Quanto segue è uno dei miei soliti minestroni, messo per iscritto tentando di
dar ordine a diverse idee senza un'orbita precisa. Ribollita, che è un minestrone da mangiarsi
freddo, a qualche giorno dalla cronaca. Insomma, sfogo e (forse) ragionamento,
dove ai classici ingredienti della ribollita aggiungerò quel tanto necessario di
piccante, come si addice alla cucina della MAHALLA.
I prezzemolini
All'inizio erano le vallette, poi furono le veline, infine le prezzemoline.
Trent'anni e passa di storia televisiva, di un paese dove la politica si è fatta
televisione. Prezzemoline erano quelle star (tarde o acerbe) di cui nessuno ha
mai capito bene la funzione, ma che spuntavano fuori ad ogni trasmissione, a
volte per un balletto, talvolta solo per ridere o sorridere, altre (ahinoi!) per
fornire il loro parere su qualsiasi cosa passasse in mente al conduttore.
Parabola di persone assolutamente inutili e fuori contesto, che non si
rassegnano a stare lontano dai riflettori. Ma si sa, se una cosa funziona per il mondo femminile, zitti zitti i maschi
se ne appropriano.
L'ascaro
Avrebbe dovuto capirlo da tempo (quando passò da editorialista
del Corriere a firma del Giornale) che i tempi stavano cambiando. Era convinto
di aver trovato un suo ruolo, remunerato, nella nostra società: giornalista
ben visto negli ambienti "giusti", parlamentare europeo, con una marea di
confratelli immigrati da linciare (almeno virtualmente, visto l'impossibilità di
farlo fisicamente). Il suo capolavoro: la conversione (fatto estremamente
privato) al cattolicesimo, vissuta come un vero e proprio evento mediatico.
E poi, una triste china discendente verso l'oblio. Provò a far
parlare nuovamente di sé, quando annunciò urbi et orbi che visto che non gli
piaceva il nuovo papa, non giocava più a fare il convertito. La risposta
altrettanto urbi et orbi, destre ecclesiali comprese, fu "Magdi chiiii?"
Lo sapevamo (non ditemi di no...) che alla nomina di un
ministro all'integrazione, il nostro avrebbe rimesso fuori la testolina, per
dare la sua opinione, sprezzante e credo non richiesta. Non richiesta, non
decisiva (chi mai gli ha dato retta?), giusto per ricordarci della sua
tutto sommato inutile esistenza.
I crociati
Ma l'ascaro è il caso (estremo) di altoparlante, e la voce? La troviamo nelle persone di
Salvini (il pragmatico) e
Borghezio
(il fattone) di un partito che in 20 e passa anni ha promesso e minacciato di
tutto:
dalle carrozze riservate ai milanesi, al portare un maiale
(suppongo leghista) ad urinare dove si potevano edificare le moschee. Un partito di
massa e governo che tra una promessa e una minaccia, s'è quasi dissolto per un
rapporto molto creativo con le finanze (altrui) e poi s'è risolidificato, ma i due punti fondanti,
autonomia fiscale e politica, non ha mai cercato nemmeno di realizzarli.
Pragmatico e fattone a minacciare, come sempre, sfracelli,
contro questo povero ministro: "i governatori del nord faranno argine..." Me li
immagino, questi coraggiosi governatori, e mi sorge un dubbio, ma se non li ho
visti, schierati a falange, neanche quando il governo era loro, cosa vogliono
adesso? L'immigrazione, gli sbarchi dei "clandestini" è storia loro, adesso che
ci sono (con tanti problemi che è inutile negare), ragionare sull'integrazione
mi pare la cosa più logica.
Perché, come nel Medio Evo, i crociati in questi 20 (ricordo:
20) anni e passa, hanno fatto una figura da cioccolatai: la gente, i famosi
migranti, arrivavano qualsiasi cosa, qualsiasi rito scaramantico si
inventassero. Che gli si appioppasse l'etichetta di clandestini, che ci fossero
CIE o CPT, che si affondassero le loro zattere o si perseguissero i pescatori che li soccorrevano
(un respiro di umanità, infine), che ci fossero sgomberi e retate... Sono
arrivati lo stesso, sono in mezzo a noi, e con noi lavorano, mangiano, figliano.
Che, la figura di cioccolataio, l'han fatta in tanti, mica
solo a destra:
Livia Turco e Giorgio Napolitano vi ricordano qualcosa?
Eppure, entrambe lamentano che la loro stessa legge (che probabilmente non
li sente ed è ancora lì) non la riproporrebbero. Man mano
che tra destra e sinistra politiche crescevano gli steccati, si confondevano le
acque tra destra e sinistra sociale, a partire dai sindacati, per arrivare alle
galassie dei non-garantiti, degli incazzati, dei senza bandiera. E, mentre i
buonisti rifluivano nel virtuale, il "cattivismo reale" di ogni declinazione
politica prendeva le leve del potere.
Chi c'era e chi c'è
Vi risulta che qualcuno abbia valutato, anche minimamente, come serie le
invettive (perché di proposte, credo non si possa parlare) di Salvini e
Borghezio?
Lo sanno loro per primi, hanno fallito e si sono coperti di ridicolo tra i
loro stessi sodali di un tempo, che fanno finta di non conoscerli. Così
son passati dal "scendi il porco che lo piscio" al "pisciare loro
come cani randagi
per marcare il territorio", d'improvviso diventato estraneo e
smemorato. Sindrome da prezzemolino di ritorno.
Ma, uscendo dalla metafora e dalla puzza, dopo la sinistra qualcosista, la
destra populista, quella tecnica ed il papocchio attuale, siamo fermi a 20 anni
fa. Le politiche "cattiviste" forse sono state messe in castigo, ma quella
attuale non mi sembra una squadra di passisti da montagna capace di recuperare
il ritardo.
C'è da rimediare con urgenza, e il nuovo ministro dell'integrazione potrebbe
essere la persona giusta, soprattutto quando esordisce:
CHIUSURA DEI CIE e
RICONOSCIMENTO DELLA CITTADINANZA. E' il minimo, è il dovuto, ma ci vuole
ancora coraggio per dirlo in Italia.
La casalinga
Borghezio, e non solo lui, probabilmente non se n'è reso conto, ma dare della
"casalinga" ad una stimata professionista finita a fare il ministro, è un
complimento. Abbiamo avuto nelle cronache, in Parlamento e al governo il fior
fiore delle vallette, delle veline, delle prezzemoline e dei prezzemolini,
attente/i ad alternare una commissione parlamentare con l'appuntamento dal
parrucchiere... e i risultati li abbiamo visti!. Finalmente, la faccia
della mia vicina, di una collega, di una persona che intravedi reale.
Che Cécile, reale e presente lo è veramente (e spero continui ad esserlo).
Quasi tutti quanti in Italia da anni hanno operato sui temi del razzismo e
dell'immigrazione possono dire di averla conosciuta, di aver scambiato una
chiacchiera o un caffè assieme. Leggo una sua
quasi-biografia di tempi non sospetti
(pagg. 27-36) ed è la storia, dura, di studi all'università, rapporti col mondo
cattolico, il lavoro, la politica, le radici. C'è poco di inquietante, c'è
determinazione e volontà. Determinazione e volontà che sino a ieri ci facevano
paura, le avremmo rinchiuse nei CIE o a pulire i cessi. Saperla ministro
non è solo soddisfazione, è guardarsi allo specchio e vedere una parte bella di
se stessi.
Una bella immagine, circondata da squali vecchi e nuovi.
Lo specchio non è (ancora) la realtà
Leggevo, sempre su
Corriere Immigrazione, di una soddisfazione simile, e della
consapevolezza di sapere chi è l'attuale ministro degli interni. Vallacapì chi
ha più potere... Anzi no, forse lo sappiamo.
In questi giorni Cécile Kashetu Kyenge ha incassato apprezzamenti e
solidarietà, dovuti certo, ma le belle parole non cambiano i 20 anni di ritardo,
non accorciano la strada da fare. Purtroppo, i supereroi esistono solo nei fumetti, o nella realtà virtuale in
cui a molti piace crogiolarsi. Cécile Kashetu Kyenge non ha alcuna possibilità
di farcela da sola, visti i suoi compagni di cordata.
Però, CHIUSURA DEI CIE e RICONOSCIMENTO DELLA CITTADINANZA (e del resto, ne
parliamo tra pochissimo), prima ancora che essere proposte giuste o sbagliate
sono proposte, ripeto NECESSARIE. Necessarie a smontare l'impianto, razzista e
classista insieme, degli ultimi 20 anni, che ci ha consegnato l'immagine
dell'immigrato come una persona aliena, da isolare e rinchiudere. Alla base di
quelle due proposte c'è quello che possiamo (dobbiamo) fare da subito: creare le
condizioni per agire, per giocare, per discutere assieme, NOI E GLI ALTRI.
Partendo dalle proprie realtà, di quartiere, comunali, magari riprendendo il
senso di FEDERALISMO che è diventato una parolaccia di destra, ma è uno dei
tanti patrimoni dispersi della sinistra che fu.
Perché (vorrei terminare, prima che non ce la facciate più), c'è
l'ultimo ingrediente di questa ribollita: resto ancora convinto che politica non
è una cosa sporca, non è neanche un recinto dove rinchiudere stimati
professionisti o poveri idealisti: è lavorare assieme, e soprattutto immaginare,
costruire, difendere il mondo in cui agiremo.
Altrimenti, ancora una volta, avremo "sacrificato" chi avrebbe potuto, UNA
FACCIA DA CASALINGA COME NOI.
"Sono nato nel nord del Kosovo, nel 1983. Mia madre
era una contadina, allevava mucche, pecore e galline, vendeva latte e formaggi.
Mio padre, invece, aveva un negozio di alimentari". Una vita di sacrifici, ma
tranquilla, almeno fino a metà degli anni '80. "Fu allora che iniziarono le
manifestazioni razziste tra le diverse etnie jugoslave e il prezzo di un chilo
di pane salì all'equivalente di 10mila lire [circa 12 euro attuali; NdR]". Enis,
un ragazzo rom simpatico e solare, e la sua famiglia fuggirono in Romagna nel
1986. "Per vivere chiedevamo l'elemosina e abitavamo in una baracca fatta di
cartone, sotto un ponte".
A sei anni Enis ha scoperto la scuola, "un mondo nuovo. Mi trovavo veramente
bene, perché fino ad allora non avevo idea che esistesse una vita normale". Non
ci sono stati problemi con nessuno: "Ti racconto una cosa. Facevo la terza
elementare e un giorno, quando sono tornato al campo nomadi, ho trovato le
nostre tre roulotte e la baracca bruciate, per colpa di un cortocircuito. Non
c'era più niente, né i vestiti né i giochi né, soprattutto, il mio cane, un
cucciolo di pastore tedesco. Sono stato malissimo". La scuola venne informata
dell'accaduto. "Il giorno dopo ogni compagno, e anche le maestre e le bidelle,
mi hanno regalato qualcosa, dei vestiti, dei giocattoli". Anche un cane, ma
quello non lo ha accettato: "Non mi andava di affezionarmi ad un altro cane, lo
vedevo come un tradimento per il mio".
Enis si è sposato molto giovane, a undici anni. Troppo pochi? "In generale sì,
ma noi rom a quell'età siamo più che maturi di corpo, perché cresciamo molto
prima. Quindi il matrimonio da giovani diventa una cosa bella: è come essere
fidanzati, con la differenza che lei viene a fare parte della tua famiglia e si
cresce insieme". Dopo circa un anno è nato il primo figlio.
Era giovane anche quando ha scoperto la sessualità con gli uomini. "Ero sulle
rive di un fiume con dei parenti e, quando mi sono appartato per mettermi il
costume, è arrivato un signore e mi ha proposto un'esperienza sessuale. Io ho
accettato". Non è un ricordo bello e neppure brutto: "E' solo un ricordo. Un
ricordo bello è la prima notte con mia moglie". Per anni Enis non si è fatto
domande sul proprio orientamento sessuale. "Non conoscevo il mondo gay e non
sapevo neppure che esistessero i bisessuali". Poi, da adolescente, ha conosciuto
Matteo, un ragazzo più grande: "Ero alla ricerca di qualcosa, ma non avevo
ancora capito quello che mi piaceva e lui mi ha aiutato a capire che sono bisessuale".
Grazie a Matteo, Enis ha iniziato ad interrogarsi sulla propria sessualità.
Molte risposte sono arrivate frequentando gli attivisti gay: "Per un periodo
sono andato all'Arcigay, quando ho scoperto la mia bisessualità, perché cercavo
di capire chi fossi. Grazie anche a loro ora sono in pace con me stesso".
Enis, comunque, non si è limitato a frequentare l'associazione, ma ha iniziato
ad andare anche in posti dove gli uomini si incontrano tra loro per fare sesso:
"Saune, locali gay, parchi pubblici, parcheggi...". Lì, però, l'esperienza non è
stata altrettanto positiva e quindi ora frequenta raramente questi posti: "Da
una parte è difficile trovare delle persone disponibili per frequentarle,
dall'altra c'è una sorta di razzismo. Non è molto forte, ma c'è". Un rom in un
luogo di battuage viene subito etichettato come un rapinatore - o anche peggio.
Per questo ha deciso di cercare amicizia e compagnia in altri modi: "Mi sono
iscritto ad alcuni siti gay e ho iniziato a conoscere gli amici degli amici,
grazie al passaparola".
All'inizio i sensi di colpa erano molti, anche perché Enis è credente,
musulmano: "Gli imam dicono che è un grande peccato avere rapporti con persone
del proprio sesso". Enis ha iniziato a fare ricerche: "Ho letto tante scritture
sacre e non ho trovato niente, solo che il peccato più grave è ammazzare". Enis
non è praticante: "Prego a modo mio e faccio fatica a pensare che bastino solo
trenta giorni all'anno per farsi perdonare i propri peccati. Quando qualcuno mi
convincerà che per essere musulmano bisogna per forza pregare cinque volte al
giorno e digiunare nel mese di Ramadan, io diventerò ateo. Insomma, credo molto
in Dio, ma non credo nelle persone che vogliono rappresentarlo, come gli imam o
i preti, per questo non vado in moschea".
Enis crede ancora meno nel futuro dell'Italia: "Qui sono tutti delinquenti. E
poi l'Italia dovrebbe essere basata sul lavoro e sulla libertà, invece
attualmente il lavoro non c'è e io non mi sento per niente libero...". Le
politica nello Stivale gli fa schifo. "Ti racconto una cosa. Durante la guerra
in Jugoslavia, tutti gli stati aiutavano l'Italia per i profughi, ai quali
avrebbero dovuto dare 35mila lire al giorno. Sai quanti soldi abbiamo visto?
Neanche una lira. E poi in Italia i rom vivono peggio che in qualsiasi altro
paese europeo, in campi nomadi abbandonati in mezzo al nulla, senza documenti e
senza alternative. Io me la sono cavata, ho comprato una casa di proprietà, ho
cinque figli e vanno tutti a scuola. Pensi che mi hanno dato i documenti? No. E
allora, anche se adesso mi offrissero la cittadinanza, io non la vorrei".
E poi in Italia "ci sono veramente tante persone razziste, che pensano che i rom
sono tutti ladri, sono tutti sporchi, sono gente da evitare, perché pensano solo
a fregarti. E i razzisti stanno diventando sempre di più. Secondo me la gente
ormai non ha più niente per cui lottare, come negli anni '70 o '80, e quindi
vuole dimostrare qualcosa, anche se non capisco cosa e a chi devono
dimostrarlo". Il simbolo del pregiudizio sono le auto costose che qualche rom
possiede: "Non ce l'abbiamo tutti. Alcuni hanno venduto tutto nel loro paese e
quando sono venuti qua si sono comprati una bella macchina, che è l'unico bene
in loro possesso. Altri se la sono presa delinquendo, ma non per questo siamo
tutti delinquenti". Osservazione ovvia, eppure un'intera etnia è crocifissa a
questi pesanti stereotipi.
Stereotipi come quelli recentemente rilanciati da Cristiana Alicata, l'ex
dirigente lesbica del PD laziale secondo cui la partecipazione rom alle primarie
romane sarebbe stata frutto solo di una compravendita di voti (Il grande
colibrì): "Ho letto quello che ha scritto, ma sinceramente non mi meraviglio: la
politica è fatta così e lei non è l'unica. Una pecora nera in più o in meno in
mezzo ad un milione di pecore nere non fa differenza. Poi noi siamo una
minoranza e non abbiamo nessuna voce; sono loro, i politici, ad averla".
Lesbiche, gay, trans e bisessuali sono forse più sensibili al tema della
discriminazione, tuttavia non sono affatto immuni dal pregiudizio: "Sai, a
volte, durante un rapporto sessuale, mi chiedono per quale motivo sono
circonciso e io rispondo che sono rom e di religione islamica. Spesso mi mollano
lì con una scusa e se ne vanno. Dicono che si è fatto tardi, è questa la scusa
classica. Oppure all'improvviso dicono che non vogliono più fare sesso perché
sono fidanzati...". Nessuno dice esplicitamente di non aver voglia di andare a
letto con un rom, "perché secondo me la gente è molto ipocrita e fifona".
Dall'altra parte, Enis deve stare attento all'omofobia presente nella comunità
rom: "Se mi dichiarassi, sarebbe uno scandalo, non solo perché ho dei figli, ma
anche perché non giudichiamo bene l'omosessualità e il concetto di bisessualità
non esiste neppure. Sono tutti argomenti tabù. Quando il discorso proprio viene
fuori, tutti dicono: 'Quella è gente malata, non bisogna avere a che fare con
loro, perché portano le malattie'. Poi però anche tra i rom ci sono tantissimi
omosessuali". Enis ne conosce parecchi: "Ad esempio il mio
amico più caro, che
per me è come un fratello, è gay. Pensa, ci siamo incrociati in un parco dove si
incontrano gli uomini e vivevamo nello stesso campo! Per scherzare io a volte lo
chiamo 'frocio di merda' e lui mi risponde che il suo stivale è più etero di
me!".
Di Fabrizio (del 03/05/2013 @ 09:08:58, in Europa, visitato 2430 volte)
Venerdì 10 maggio, ore
20.45
Libreria Popolare - via Tadino 18, 20124 MILANO
Sarà... che le cose più interessanti ti accadono sempre per caso. Sarà... che
molti ne hanno scritto, e solo qualcuno c'è tornato.
Una giovane famiglia italiana, con bimbo di due anni, in Macedonia per
teatro. Entrano in contatto con la comunità dei Rom di
Shuto Orizari
(il primo
comune che è stato amministrato dai Rom stessi), e piano piano ne scoprono la
storia e le sue caratteristiche, ma soprattutto sviluppano un intenso rapporto
con i suoi abitanti, di cui sono ospiti, alla ricerca comune dei valori, delle
tradizioni e delle conflittualità che regolano la comunità.
Ne parlano con l'autore, Andrea Mochi Sismondi Fabrizio Casavola, redazione di Mahalla Anna Stefi, ricercatrice e collaboratrice di Doppiozero
Di Fabrizio (del 02/05/2013 @ 09:03:46, in media, visitato 1540 volte)
Commenti: Come produrre disinformazione sui media cechi -
Prague, 8.4.2013 20:48, (ROMEA)
Zdenek Ryshavy, translated by Gwendolyn Albert
"Spiacenti, ci siamo bevuti una bufala..." - un famoso titolo dal
giornale britannico The Daily Mirror.
"-Quando crescerò, voglio avere l'assistenza sociale- si augura un
povero bambino dai ghetti romanì". Così recita il titolo di un particolare
articolo pubblicato sul news server iDNES.cz qui in Repubblica Ceca alcuni
giorni fa.
Il pezzo entra immediatamente nei dettagli. "Cosa vorrebbero fare i
bambini dei ghetti romanì a Liberec, una volta cresciuti? L'assegno di
disoccupazione o l'assistenza sociale, hanno risposto in molti durante un
recente sondaggio di People in Need (Clovek v tisni).
Va di male in peggio nella città in cui sono in 100.000 a vivere nei ghetti,
soprattutto a causa della loro estrema povertà e mancanza di istruzione, secondo
una ricerca di un gruppo speciale del municipio di Liberec, guidato dal
consigliere David Vaclavik."
Poi l'articolo continua con una descrizione piuttosto precisa della vita
negli ostelli residenziali. Con l'aiuto degli inquilini poveri (la cui maggior
parte sono romanì) i proprietari di questi posti imboscano ogni mese migliaia di
corone a spese dei contribuenti, attraverso i sussidi agli alloggi erogati a
favore di chi si trova in difficoltà materiali. Tuttavia, titolo e inizio
dell'articolo sono completamente estranei al resto del contenuto.
L'informazione di base fornita dai primi due capitoli dell'articolo in
questione è la seguente: C'è stato un sondaggio dell'organizzazione People in
Need che ha stabilito che l'x % dei bambini nei ghetti romanì in futuro vuole
campare di welfare, esiste anche un rapporto del municipio di Liberec condotto
dal consigliere comunale David Vaclavik.
Ho iniziato a cercare questi materiali, dato che sono davvero interessato sui
dati concreti dei desideri dei bambini nei ghetti romanì. Cosa ho trovato?
Non esiste nessun sondaggio di People in Need a riguardo. C'è
solo il rapporto del gruppo del consigliere
David Vaclavik, che non menziona niente su tale indagine. Titolo e parte
introduttiva dell'articolo sono, quindi, disinformazione e menzogna.
In che maniera queste informazioni, menzognere e fuorvianti, diventano
notizia? E' facile.
L'autore ha ricevuto, come "velina" per il suo articolo, un rapporto dal
comune di Liberec sugli ostelli residenziali. Tale rapporto li descrive in
maniera similare a come vengono illustrati in un recente rapporto di Life
Together sulla insostenibile situazione degli ostelli a Ostrava.
Alla fine di queste tre pagine, l'autore ha letto quanto segue: "Un segno
tipico dei luoghi coperti da questo rapporto, è la mancata scolarizzazione dei
residenti. Non dobbiamo sorprendercene, date le condizioni in cui vivono. Questa
gente deve affrontare situazioni di base riguardo i propri bisogni e
l'istruzione è tra queste. Il valore dell'istruzione in queste località è molto
basso. La gente che vive lì basa le decisioni sulla propria esperienza che,
sfortunatamente, è quella dei loro vicini che non lavora o non trova lavoro.
L'opinione generale è che se anche i loro figli raggiungessero un determinato
livello di scolarità, non troverebbero comunque lavoro. Un altro problema è che
l'ambiente in località simili non ispira, per esempio, neanche le famiglie i cui
figli dovrebbero frequentare le scuole primarie e secondarie. I bambini in
questo ambiente spesso non riescono, non tanto per ragioni intellettuali, quanto
a causa dell'influenza ambientale in cui vivono. Sono da considerare anche le
influenze spaziali, dato che la maggior parte non ha un posto proprio dove
studiare. Quando studiano, devono farlo nelle aree comuni, come la cucina."
L'autore dell'articolo non era pigro - prese il telefono e chiamò la sezione
a Liberec di People in Need, da cui apprese, tra l'altro, che i bambini poveri
mancavano di modelli positivi nel loro quartiere, che vedevano la gente attorno
a loro dipendere dal welfare e che l'impressione che potevano ricevere da tutto
ciò era che vivere di assistenza fosse normale. E' chiaro che alcuni bambini
allora dicano che una volta cresciuti, vogliono l'assistenza. Personalmente, li
ho sentiti anch'io. Tuttavia, niente di tutto questo può essere definito
un "sondaggio"!
Com'è consuetudine in internet, questa disinformazione, questo titolo, questa
voce ed i due capitoli d'apertura si stanno diffondendo a valanga. Una blogstar
su iDNES.cz, Bretislav Olsher, ha scritto un post dal titolo: "Conoscono il
significato della vita, Per vivere, come i loro padri, di assistenza." (Maji svuj smysl
zhivota; zhit jako jejich otcové ze socialnich davek)
Il pezzo di Olsher spinge un passo oltre l'originale. Non si tratta più
soltanto del ghetto a Liberec, ma dei bambini romanì in tutta la Repubblica
Ceca. "Raramente vanno a scuola, non si lavano quasi mai, la maggior parte
di loro sono analfabeti, e l'unica cosa che sentono e vedono attorno a loro è
parlare di assistenza e di come imbrogliare i burocrati. Cosa vorranno diventare
una volta cresciuti, questi bambini dei ghetti di Chanov, Janov, Liberec,
Ostrava, Varnsdorf o Vsetin? Diventeranno percettori di assistenza...,"
scrive Olsher.
Un altro blogger su iDNES.cz, Martin Pipek, ha scritto un articolo con un
titolo simile: "Piccoli romanì: Voglio essere come papà! Pigro, mai
lavorare, vivere di welfare!" (Mali Romové: "Chci byt jako tata! Linej, nemakat,
zhit z
davek!"). In questo pezzo traboccante d'odio, Pipek dichiara nel
secondo paragrafo quanto segue: "Non so quanti di voi si siano persi il
rapporto di People in Need sui ghetti romanì e vi abbiano trovato ciò che si
aspettavano. I bambini romanì locali hanno confessato che una volta cresciuti
vogliono campare di assistenza. Da che aktro posto avrebbero preso ispirazione?
Se fossero sinceri, cosa ci aspettiamo da questa minoranza?"
Il rating "karma" del post di Pipek su iDNES.cz, che arriva ad un massimo di
50, indica una valutazione di 40,99 quando l'ho controllato l'ultima volta.
Oltre 2.500 persone l'hanno letto.
Ancora una volta: Non esiste nessuna ricerca di People in Need.
Interessa a qualcuno? Disinformazioni e menzogne continuano a diffondersi.
Il codice dei blogger su iDNES.cz recita quanto segue: "Al blogger non è
permesso pubblicare informazioni che siano incomplete, false o non verificabili,
specialmente se così facendo si possano danneggiare gruppi o individui." I
lettosi giudichino da sé, allora, cosa fare dell'autore dell'articolo originale
e dei blogger su iDNES.cz.
Di Fabrizio (del 01/05/2013 @ 09:08:13, in lavoro, visitato 1600 volte)
Circa un mese fa, ero in giro col computer portatile. Freddo e pioggia di una
primavera che non arriva. Mi ero seduto nella sala d'aspetto di una stazione
per sfruttare il WiFi e terminare una traduzione (e magari scorrere qualche
inserzione di lavoro). Studenti e famigliole in partenza per il ponte pasquale.
Una signora seduta accanto a me avvisa la sua vicina, una vecchietta malmessa,
di fare attenzione al borsellino, perché ha visto una zingara che si aggira tra
la sala d'aspetto e le macchinette delle bibite.
Esco a fumare, il bar è chiuso. La zingara mi chiede qualche moneta. Le
rispondo in romanes che non ho un soldo. Quella mi guarda curiosa, sorride, e tempo un
minuto ne saltano fuori altri quattro, e mi circondano per vedere uno che parla la loro lingua. Mi
chiedono se sono rom e facciamo le presentazioni.
Loro sono rom rumeni, arrivati da poco dalla Spagna. Mi informo su dove siano
stati e sulla situazione in Spagna. Non c'è più lavoro per nessuno, mi dicono. E
si continua a parlare sul cosa fare, in un misto italiano-spagnolo-romanes. Dato
che il lavoro sembra un tasto dolente per tutti, su youtube cerco qualche brano
musicale rom e rumeno. Si mettono a ballare sul marciapiede, tra i passeggeri che aspettano il
treno. Arriva un loro amico, credo un facchino siciliano.
Le forme del razzismo sono tante e diverse: ve ne sono di chiassose e sfacciate,
ma anche di pudicamente ipocrite, alcune utilizzano la forza bruta, altre si
avvalgano dell'insulto o del semplice sguardo, altre ancora impiegano strumenti
di oppressione più subdoli e sottili.
Tra i razzismi che amano mascherarsi, a mio avviso, va annoverato
l'assistenzialismo: tale agire appare generoso, benevolo, preoccupato di
soddisfare i bisogni dei deboli, ma esso in realtà è offensivo, dannoso e
perfino razzista.
È razzista perché ripropone il mito coloniale del buon selvaggio, del quale
l'uomo bianco deve "prendersi cura", senza che il selvaggio venga però invitato
al tavolo delle decisioni che riguardano la sua vita. L'assistenzialismo dunque
infantilizza l'assistito: lo reputa minore, lo tratta da minore, lo abitua alla
minorità. E ciò, come spiega Kant, reca vantaggio al narcisismo degli aspiranti
tutori e foraggia l'inclinazione umana alla pigrizia e alla delega. Una perfetta
rappresentazione iconografica dell'assistenzialismo l'ha fatta il regista che ha
firmato uno spot (...) per un programma di solidarietà verso le donne
africane Un mese per la vita, promosso dalla fondazione Rita Levi-Montalcini
insieme all'acqua Lete.
Lo spot – alquanto discutibile a sostegno di un progetto probabilmente meritorio
– mostra la mano di una donna nera che iniziava a scrivere con un gesso su una
lavagna la parola "futuro", quando arrivava la mano di un'anziana donna bianca a
guidarla nella scrittura di tale parola. La donna africana è così paragonata ad
una bambina di scuola elementare che l'insegnante europea deve guidare dirigendo
la progettazione del futuro dell'assistita. Viene ad istaurarsi un rapporto
fortemente asimmetrico tra chi guida e chi è guidato, tra chi è autore del
proprio futuro e chi è eterodiretto nel proprio progetto di vita.
L'assistenzialismo ha inoltre un elevato costo per l'intera comunità e questo fa
sì che i "beneficiati", visti come parassiti, non attirino su di sé troppe
simpatie. Ma ciò non sarebbe un vero problema se davvero soggetti svantaggiati
acquisissero un vantaggio e dunque una maggiore uguaglianza. Il problema è che
l'assistenzialismo (cosa diversa da una giusta solidarietà sociale) non reca
grandi benefici ai "beneficiati". Dijana Pavlovic, in un articolo dal titolo
appunto Dall'assistenza alla responsabilità apparso sull'ultimo numero di "Near"
(p. 27), scrive:
"Il mio amico attivista rom Giorgio Bezzecchi mi racconta che nel suo villaggio
di 50 persone (una famiglia allargata) non ci sono particolari problemi. Tutti
sono autonomi e si occupano di se stessi da anni. Lavorano, sono cittadini
italiani, accedono ai servizi come tutti gli altri. Da qualche anno quel campo è
affidato in gestione a una cooperativa. Ci sono alcuni operatori che vengono al
campo per "assistere" le persone. La conseguenza è che i rom che hanno bisogno
di fare una fotocopia o andare in un ufficio per compilare un modulo adesso si
fanno accompagnare dagli operatori. Oltre ai costi materiali di questa
operazione da non sottovalutare e che pesano su tutti i cittadini, il costo più
grande lo pagherà per intero quella comunità rom: sempre più deresponsabilizzata
e sempre meno autonoma".
L'assistenzialismo è una forma di aiuto che tarpa le ali, che non cede potere,
che parte dall'assunto dell'incapacità del debole di risolvere le cose da sé,
che anchilosa la forza e le abilità, che abitua alla dipendenza e alla
deresponsabilizzazione, che produce apatia e fatalismo, che foraggia
l'autocompiacimento di chi vuole controllare per mezzo di un aiuto interessato.
Esso umilia obbligando ad una gratitudine che facilmente si converte in rabbia
verso il solerte salvatore. La rabbia, infatti, si scatena puntualmente verso
quei genitori, insegnanti, operatori sociali, ecc. che "dandoci" in realtà "ci
rubano" la possibilità di essere autori delle nostre vite.
La Commissione Europea ha preparato una
mappa interattiva di regioni, città e
comuni impegnati ad integrare la loro popolazione rom e che hanno iniziative di
rete create per sostenerli nel raggiungimento del loro obiettivo.
L'inclusione sociale dei rom è una responsabilità comune delle istituzioni
europee e degli Stati Membri ma, includere le autorità locali risulta cruciale
per mettere a punto misure volte a cambiare la vita delle comunità rom.
Diverse iniziative stanno supportando le autorità locali nel pianificare ed
implementare le strategie perl'inclusione dei rom e per richiedere finanziamenti
europei fornendo loro l'expertise e le opportunità per imparare tra di loro e
condividere esperienze:
Il sito
Network dei sindaci che ricevono il maggior numero di fondi europei per
l'inclusione dei rom (MERI) dell'Open Society Fundation riunisce comuni dalla
Bulgaria, dall'Ungheria, dalla Romania e della Slovacchia e, in un secondo
momento includerà anche comuni dalla Macedonia, dalla Croazia, dalla Serbia e
dalla Repubblica Ceca, al fine di scambiare buone pratiche, di creare servizi
rivolti ai rom e di usare al meglio i fondi europei dati alle comunità locali.
La
task force per l'inclusione dei rom di EUROCITIES promuove lo scambio di
buone pratiche, la crescita di consapevolezza sulla prospettiva cittadina sulla
mobilità europea e l'inclusione dei rom e l'accesso ai fondi per le politiche
locali volte all'inclusione dei rom. MERI ed EUROCITIES forniscono supporto
anche ad un programma di scambi est-ovest per trasferire buoni esempi di
inclusione e accessibilità dei servizi locali dall'Europa occidentale a quella
orientale e per migliorare i servizi rivolti ai rom conducenti uno stile di vita
nomade.
L'Alleanza Europea delle Città e delle Regioni per l'Inclusione dei Rom fornisce
supporto alle autorità locali e regionali nel campo dello scambio di esperienze
e di pratiche, organizza workshop tematici, corsi e visite sul campo e scambia
informazioni sulle politiche e sulle fonti di finanziamento.
ROMED (Mediazione interculturale per i rom) è un programma comune del Consiglio
d'Europa e della Commissione Europea per migliorare l'interazione tra le
istituzioni pubbliche locali e le autorità e le comunità rom e, allo stesso
tempo, assicurare l'accesso dei rom ai loro diritti. È implementato in 22 Paesi
europei.
Il
Forum dei Sindaci per l'Inclusione dei Rom è un'iniziativa del Fondo
Internazionale Visegrad nel quale i sindaci della Repubblica Ceca,
dell'Ungheria, della Polonia e della Slovacchia si scambiano esperienze e buone
pratiche per l'integrazione della popolazione rom.
Il
Progetto di Rete Urbana Rom è costituito da una partnership di nove città
europee volte ad informare e a fornirsi supporto reciproco per lo sviluppo di
piani d'azione locali per l'inclusione sociale dei giovani rom e la loro
transizione a cittadini adulti attivi.
Di Sucar Drom (del 28/04/2013 @ 09:03:55, in blog, visitato 1554 volte)
Piacenza, la MEZ smorza le polemiche
Dopo le polemiche all'interno della Lega Nord di Piacenza, pubblicate sui
quotidiani locali, la Missione Evangelica Zigana risponde con il comunicato
stampa seguente...
25 aprile, sinti e rom: eroi e partigiani
Sinti e rom in tutta l'Europa occupata furono martiri e partigiani. In Italia i
sinti e i rom, dopo l'8 settembre del 1943, fuggirono dai campi di
concentramento dov...
Di Fabrizio (del 27/04/2013 @ 09:07:16, in scuola, visitato 1964 volte)
A singhiozzo
Un caso di alto profilo in tribunale, genitori arrabbiati davanti alla
porta della scuola e sforzi, calmi e persistenti, che raccontano la storia
dell'integrazione dei Rom nell'istruzione croata.
Story and photos
by
Barbara Matejcic, a freelance journalist in Zagreb
-
27 marzo 2013
MEDJIMURJE COUNTY, Croazia | Tre anni dopo una sentenza a proposito
dell'appena iniziata integrazione scolastica, uno dei protagonisti di successo,
ora giovane uomo, dice che i Rom vanno meglio a scuola. Ma la sua fatica
nell'esprimersi in croato la dice lunga sulla scarsa istruzione disponibile a
molti Rom in uno stato in procinto di entrare nell'Unione Europea.
La Croazia iniziò a cercare l'integrazione scolastica, ben prima che il caso
Orsus e altri vs. Croazia arrivasse alla Corte Europea sui Diritti Umani nel
2003. I lenti progressi in quegli sforzi - e gli ostacoli che si opposero
all'accettazione della piccola minoranza romanì - vennero sottolineati l'autunno
scorso, quando i Croati gridavano slogan razzisti tentando di impedire ai dei
giovani rom di frequentare il prescuola nella regione di Medjimurje.
la scuola primaria Drzimurec-Strelec.
Dejan Orsus, uno dei 14 querelanti nel caso che prende il suo nome, si iscrisse
alla prima a Macinec, villaggio nella regione settentrionale di Medjimurje, nel
1999. In questa parte della Croazia, la maggior parte dei Rom vive in
insediamenti separati alla periferia dei villaggi a maggioranza croata, e a casa
parlano romanés. Dejan non parlava croato quando iniziò ad andare a scuola. Fu
messo in una scuola di soli alunni romanì, e lì rimase finché non lasciò la
scuola, nel 2006 quando aveva 15 anni, dopo aver completato la terza classe.
Dieci anni fa, quando Dejan andava ancora a scuola, il suo caso venne
sottoposto al tribunale dei diritti umani di Strasburgo, dopo che i ricorrenti
avevano perso a tutti i livelli del sistema giudiziario croato. Il 16 marzo
2010, il tribunale decise che la pratica di sistemare i Rom in classi separate,
equivaleva a discriminazione etnica.
Gli imputati - quattro scuole elementari, il ministero dell'istruzione, e la
regione di Medjimurje - sostenevano che la separazione degli alunni romanì era
giustificata a causa della loro scarsa conoscenza del croato, come stabilito da
perizie prima dell'iscrizione. Ma alcuni dei ricorrenti lamentavano di aver
passato l'intera vita scolastica in classi separate e che la loro competenza
linguistica non era stata testata regolarmente per determinare se potessero
essere inseriti in classi normali.
Quando ho incontrato Orsus a Parag, il più grande insediamento romanì in
Croazia, teneva in braccio un bambino. Ora ha 21 anni e dice che sta
frequentando il sesto grado in una scuola comunitaria - istituzione dove molti
adulti, soprattutto romanì. ricevono dal governo 210 euro al mese per continuare
la loro istruzione elementare, purché frequentino con regolarità. Gli ho chiesto
se fosse migliorato qualcosa nella scuola, a tre anni dalla sentenza del
tribunale. Mi ha guardato, incerto sull'aver compreso bene la domanda, così l'ho
ripetuta. Dejan ha annuito, dicendo: "Meglio, va meglio."
Si possono fare solo stime approssimative sul tasso di promozione degli
studenti romanì nella scuola primaria e secondaria, a causa dell'incertezza sul
numero reale dei Rom in Croazia e del fatto che il ministero dell'istruzione ha
iniziato a monitorare il rendimento scolastico dei Rom solo nel 2005. Nella
regione di Medjimurje, che ospita più Rom di qualsiasi altra regione croata,
sembra che pochi di loro vadano alle superiori o oltre. Di 1.589 scolari che
frequentano le scuole primarie della regione, dal primo all'ottavo grado,
soltanto 92 hanno raggiunto l'ottavo grado. Secondo il dipartimento regionale
per l'istruzione, la cultura e lo sport, solo 123 Rom frequentano le superiori.
Ogni anno si diplomano alle superiori circa 20 Rom.
L'elementare dr. Ivan Novak di Macinec, accusata a suo tempo di segregazione
scolastica, è frequentata da 465 bambini, 110 dei quali di etnia croata. I
bambini rom si concentrano nelle classi inferiori, sono i sette ottavi dei
primini, mentre i croati superano i Rom di cinque a uno nell'ottavo grado.
Bozena Dogsa
Quelle cifre mostrano non solo che la maggior parte dei Rom non riescono a
completare la scuola dell'obbligo, ma anche che il rapporto tra Rom e Croati
nelle scuole locali sta cambiando. La direttrice Bozena Dogsa, da 20 anni nel
mondo della scuola, dice che quando iniziò ad insegnare in loco solo un terzo
degli alunni era Rom, rispetto ai tre quarti di oggi.
Mentre in Croazia declina il tasso di natalità complessivo, quello tra i Rom
è aumentato negli ultimi 20 anni, cosa che molti pensano dipenda dalle politiche
governative negli anni '90, con be3nefici sociali ai genitori per arrestare il
declino della popolazione.
A differenza del censimento 2011 che contava 16.975 Rom - lo 0,4% della
popolazione - valutazioni più realiste stimano i Rom in 30.000, di cui forse
6.000 nella regione di Medjimurje. Classi di soli Rom esistono ancora a Macinec,
ed in altre scuole distrettuali di aree con molti Rom. Ci sono ancora bambini
che passano l'intero ciclo della loro istruzione, senza aver condiviso la
presenza di un Croato in classe, insegnante escluso. Non è necessariamente un
segno di deliberata segregazione,insistono alcuni educatori locali.
"Non abbiamo nessuna classe segregata. Come possono essere segregati i
bambini rom in una scuola dove sono la maggioranza? Non possiamo formare classi
per evitare la creazione di classi per soli rom. Chi integreremo con loro se non
ci sono bambini croati?" si chiede Dogsa. Puntualizza che gli insegnanti
passano i giorni prima dell'apertura della scuola a discutere sulle conseguenze
della composizione annuale delle classi, tenendo a mente il livello accademico
dei bambini, le amicizie, il rapporto tra bambini e bambine e altri fattori.
Dice: "Abbiamo 25 bambini rom in seconda e solo otto croati. Per noi
educatori non sarebbe accettabile separare quei quattro studenti in classi
differenti, dato che sono amici e vogliono rimanere assieme. Non penso che
dovremmo attenerci alle formalità solo per mostrare al mondo che stiamo facendo
un buon lavoro."
Ufficiosamente, gli insegnanti a Medjimurje ammettono che i bambini croati
sono tipicamente assegnati a classi con alunni romanì più capaci e, come dicono
spesso, "più civili", per essere3 sicuri che in un posto simile apprendano
meglio. Un insegnante nella scuola elementare di Kursanec, a predominanza Rom e
che fu anche tra quelle accusate nel caso Orsus, dice che i bambini nelle classi
di soli rom non si lamentano di essere segregati, perché in classi simili gli
standard sono più bassi. Gli alunni possono cavarsela con meno sforzo, al costo
di imparare meno. Anche dopo diversi anni di scuola, alcuni hanno scarse
capacità di lettura e scrittura, dice l'insegnante, che ci ha parlato a
condizione di non rivelare il suo nome. Aggiunge che per loro sarebbe più
efficace imparare a leggere e scrivere in romanes, cosa che li aiuterebbe a
cogliere più facilmente il concetto di apprendimento linguistico.
Dice l'insegnante, che tre anni fa i Croati per una settimana boicottarono
la scuola, dopo che vennero introdotte le cassi miste. Negli ultimi dieci anni
c'erano già state altre
proteste contro le scuole integrate. All'inizio dell'anno scolastico
2012-13, i residenti del vicino villaggio di Gornji Hrascan rifiutarono di
lasciare che un gruppo di giovani rom iniziasse il pre-scuola nella scuola del
villaggio che era composta da quasi solo Croati, sostenendo che non si potevano
accogliere nuovi alunni. Dopo uno stallo durato due giorni, i Croati cedettero
ed i Rom poterono da allora frequentare la scuola.
Le scuole materne sono state tra le maggiori beneficiarie degli schemi di
integrazione nei tre anni seguenti la decisione sul caso Orsus.. Anche se la
sentenza non obbligava la Croazia a prendere provvedimenti verso le scuole
segregate, il governo ha introdotto due nuovi programmi per dare ai Rom un
appoggio prima di iniziare la scuola primaria e per aiutarli una volta che la
frequentino.
Scuole materne per bambini che non abbiano fluidità nel croato operano oggi
nell'arco di tutto l'anno scolastico, invece che per soli tre mesi come in
precedenza. Molti genitori rom hanno afferrato questa opportunità per i loro
ragazzi, di trascorrere cinque ore al giorno a scuola, con trasporto verso e
dalla scuola e due pasti al giorno, tutto pagato dallo stato. Gli incaricati
della scuola di Gornji Hrascan dicono che il 90% dei bambini in età prescolare
ora frequentano, nonostante gli sforzi dei Croati all'inizio dell'anno
d'impedire l'ingresso ai Rom nella "loro" scuola.
Mantenendo aperti gli asili più a lungo durante tutto l'anno, gli educatori
sperano di inculcare l'abitudine alla frequenza scolastica nei più giovani e di
dare a chi parla romanes un vantaggio nell'imparare il croato, e ritengono che
il programma stia già dando risultati. Dogsa dice che soltanto un allievo nella
sua scuola è stata bocciata in prima, a fronte di una media di cinque prima
dell'apertura delle scuole materne.
Dogsa e altri presidi nell'area sostengono che il prossimo passo sarà di
rendere obbligatoria per tre anni la scuola materna, per rafforzare
ulteriormente i benefici della prima scolarità.
L'altra misura di integrazione ispirata dal caso Orsus è il programma di
doposcuola nelle elementari. Programmi simili esistono in molte scuole, qui a Medjimurje
lo scopo principale è di aiutare gli studenti rom con lezioni di lingua croata.
La scuola
Drzimurec-Strelec nel villaggio di Drzimurec partecipa al programma di
doposcuola, ma sinora sono inclusi soltanto i primini, causa la mancanza di
fondi, dice il direttore Djurdja Horvat. C'è ragione per credere che il
programma possa fare la differenza: con un simile progetto pilota tre anni fa
erano coinvolti gli studenti di quinta, nove dei 15 Rom che vi parteciparono
completarono tutti gli otto gradi della scuola primaria, aggiunge Horvat. Prima,
un solo studente rom all'anno completava il ciclo di studi. Aprire questo
programma a più allievi, come estendere la materna a tre anni, potrebbe
migliorare significativamente le prestazioni accademiche dei bambini rom, dice.
Comunque stiano le cose, la sua scuola sta cercando un metodo proprio. Dice:
"Quest'anno abbiamo circa 30 primini, la metà dei quali si trattiene. Quanti
partecipano difficilmente falliscono, perché acquisiscono fondamenta più solide.
Così ha provato di essere un buon metodo."
Radovan Balog, a capo del consiglio del villaggio di Parag, ha quattro
bambini a scuola. Ha riflettuto sulla risposta del suo vicino Dejan Orsus
riguardo la domanda su cosa sia cambiato dopo la sentenza della Corte Europea
dei Diritti Umani.
Dice: "Va meglio di prima, soprattutto perché quasi tutti i bambini ora vanno
alle materne."
"E poi, le scuole stanno coinvolgendo sempre più i genitori nell'istruzione
dei figli. Tuttavia, il problema è che anche quelli che si diplomano non
riescono a trovare lavoro, e questo genera la perdita di motivazione nel
continuare gli studi. La maggior parte lascia in quinta elementare o prima
media, o quando hanno 15 anni. E' l'età in cui ci si sposa e si hanno figli.
Così possono almeno avere gli assegni sociali che li aiutano a tirare avanti."
Balog dice che qui la segregazione è radicata: "Semplicemente, ci sono troppi
Rom e pochi Croati perché ci siano tutte classi miste."
L'insegnate di Kursanec ripropone un'idea nata dai movimenti per i diritti
civili negli Stati Uniti, che si è tentata di diffondere in un paio di posti in
Romania, come in altri luoghi in Europa dell'Est. Se i bambini rom venissero
portati con autobus nelle scuole a predominanza croata, a pochi chilometri di
distanza, si formerebbero classi di otto Croati e quattro Rom, così che
potrebbero imparare a ritmo più sostenuto.
Dice: "Sarebbe una spesa aggiuntiva, ma è più costoso non educare bambini che
un giorno potrebbero diventare utili membri della società, che trasformali in
casi da welfare."
Errata corrige: la scuola della regione di Medjimurje
riportata nel secondo paragrafo è una materna e non un asilo,
come da didascalia originale.
La deportazione dei rom dalla Germania al Kosovo: chi se la ricorda più? Eppure
è un fatto di pochi anni fa. Un bellissimo libro di poesie ci aiuta a non
dimenticare.
Dei saggi non noiosi si dice spesso che si leggano come romanzi. In questo caso
ci troviamo, invece, di fronte a una raccolta poetica che ha l'effetto di una
narrazione giornalistica di alto livello, capace di unire la precisione storica
dei fatti con i vissuti dei protagonisti. Ne Il pianto degli zingariPaul Polansky, intellettuale controverso ma imprescindibile per chiunque sia
interessato al tema rom, ci parla di una vicenda assi incresciosa, vicina nel
tempo e nello spazio, ma finita in uno spesso e ovattato dimenticatoio: la
deportazione dei rom, dalla Germania al Kosovo, in campi pesantemente inquinati
dal piombo, nel 2010.
In molti casi, ad essere deportati, sono stati bambini nati e cresciuti in
Germania, che non conoscevano altra lingua che il tedesco ed erano assolutamente
impreparati alla vita nei campi. Si trattava dei figli dei profughi arrivati
soprattutto in Germania, ma anche in altri Paesi europei, in seguito alla guerra
dei Balcani del 1999. I rom erano stati considerati dalla maggioranza albanese
collaborazionisti dei serbi, le loro case bruciate e distrutte. Per questo, a
più riprese, erano fuggiti all'estero. Ma alla nascita del Kosovo, grazie a
sbrigativi e discutibili accordi con Pristina, e nonostante segnali evidenti che
davano a pensare circa la loro effettiva sicurezza, sono stati rimandati
indietro.
Il racconto è affidato a Danica, una bambina molto intelligente, che frequenta
la scuola a Monaco, prendendo ottimi voti, e sogna di fare il medico o
l'insegnante. Danica ricostruisce la vicenda in poche, calibrate parole. A
partire dalla notte in cui arrivarono gli albanesi a bruciare la loro casa: "I
nostri vicini Albanesi non ci violentarono/ Soltanto, continuarono ad urlare/
che avevamo soltanto due minuti/ per salvarci la vita/ Erano le quattro/ quella
mattina/ quando scappammo/ ancora in pigiama ...". Poi ci fu l'arrivo e l'incontro
con le cugine nate in Germania e che non parlavano romanés, figlie dello zio
scappato anni prima: "Alla fine della giornata/ stavano insegnandomi/ una nuova
lingua/ dissero che dovevo dimenticare/ di essere una zingara". Poi, la nuova
vita, la scuola, la vicina affettuosa, l'avvocato rassicurante ma certamente non
in grado di ipotecare il futuro e il padre che non voleva diventare un tedesco
ma che si trova a ricredersi in pochi istanti di fronte alla possibilità di lavorare. E poi, ancora, l'epilogo inaccettabile con i poliziotti che, come gli
Albanesi, arrivano la mattina presto "ed erano come la Gestapo nelle storie di
papà". Ma Danica anche all'interno del campo avvelenato dal piombo, mette in
atto la sua resistenza. Insegna il tedesco agli altri bambini. Prova a
incontrare il mondo fuori. E progetta il ritorno in Germania.
In appendice un testo firmato da Rainer Schulze, docente di Storia moderna
Europea all'università di Essex, tratteggia un quadro di riferimento che permette
di inquadrare meglio la vicenda. Il pianto degli zingari, che è stato tradotto
da Fabrizio Casavola, grande conoscitore del mondo rom e ideatore del blog
Mahalla, illustrato da Stephane Torossian e pubblicato da Volo Press, è un testo
che si presta a molti livelli di lettura. Anche per questo sembra fatto apposta
per essere proposto nelle scuole. Noi ci auguriamo che lo sia, che non si perda
diventando una piccola perla riservata agli addetti ai lavori. Perché di questa
informazione e di questa memoria oggi c'è bisogno come il pane. Soprattutto tra
i più giovani.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
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