Il Tribunale civile accoglie la causa di Elviz Salkanovic, cittadino italiano ma
di etnia rom che era stato identificato e fotografato durante il censimento di
tre anni fa. Riconosciuto "il carattere discriminatorio della procedura e
violata la dignità con l'effetto di creare un clima ostile". Lo riferisce
l'associazione 21 luglio. Tutti i dati sensibili dovranno essere eliminati dalla
Presidenza del Consiglio
Mercoledì, 5 giugno 2013 -
Fra il Tar e il Tribunale Civile non c'è giorno in cui la comunità rom di Roma
non porti a casa una strepitosa vittoria contro il tentativo di dare una
soluzione ad una vertenza che sembra non averne. E se poi c'è la campagna
elettorale, la condanna con relativo risarcimento che mr. Elviz Salkanovic, ha
portato a casa assume i connotati di una sconfitta istituzionale. A dare la notizia, tanto per cambiare, è l'associazione 21 luglio, da sempre al
fianco e dei rom e ormai vero baluardo contro ogni tentativo comunale di attuare
il "Piano nomadi".
Ecco la storia. "Tre anni fa, insieme ad altri migliaia di rom residenti nella
Capitale, era stato oggetto del censimento nell'ambito della cosiddetta
'emergenza nomadi'. Nei giorni scorsi, con una storica sentenza, il Tribunale
Civile di Roma ha riconosciuto a un cittadino rom di essere stato vittima di una
discriminazione su base etnica e ha ordinato al Ministero dell'Interno di
distruggere tutti i documenti che contengono i dati sensibili dell'uomo raccolti
durante il fotosegnalamento".
Continua l'associazione 21 Luglio: ""Accogliendo il ricorso di Elviz Salkanovic,
cittadino italiano di etnia rom con regolare documento d'identità - prosegue il
comunicato - l'autorità giudiziaria ha di fatto riconosciuto il carattere
discriminatorio della procedura di foto segnalamento in quanto l'uomo è stato
coinvolto in un'operazione i cui destinatari erano esclusivamente persone
appartenenti alla comunità rom. La misura, secondo la sentenza del Tribunale
Civile di Roma, ha provocato l'effetto sia di violare la dignità del rom sia di
creare un clima ostile da parte dell'opinione pubblica. Oltre all'eliminazione
di tutti i dati sensibili del cittadino rom, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e lo stesso Ministero dell'Interno sono stati condannati al pagamento
di 8 mila euro in qualità di risarcimento morale".
Di Fabrizio (del 11/06/2013 @ 09:01:04, in Europa, visitato 3719 volte)
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Succede anche nelle migliori famiglie: ho iniziato la primavera scorsa
scrivendo un libro su
Milano, a dicembre già l'argomento era diventato l'Italia
e adesso, tocca all'Europa.
Di che si scrive? Vediamo cosa recita l'introduzione:
Sempre più spesso sento ripetere che quello contro i Romanì è rimasto
l'unico razzismo che l'Europa ancora si permette. Il quadro che ne deriva è
abbastanza schizofrenico, quella che chiamiamo popolazione maggioritaria, li
vede:
o come criminali e asociali irrecuperabili, da rinchiudere in riserve (salvo poi
lamentarsi se queste riserve diventano discariche invivibili);
oppure come vittime della società (però vorrebbero "integrarsi" nella stessa
società di cui sono vittime).
Il quadro, desolatamente, è simile in tutta Europa. A fatica, Romanì e società
maggioritaria trovano modi di interagire, ma i risultati riguardano frazioni
minoritarie delle due popolazioni, e dopo secoli di convivenza ogni tentativo,
presente e passato, appare fragile e temporaneo.
Questo non toglie che dopo secoli di presenza nel nostro continente, anche la
galassia romanì abbia potuto
esprimere le proprie eccellenze in diverse campi.
Ma, anche se il contributo all'umanità tutta di queste personalità è stato
notevole, rimane la sensazione di casi isolati.
L'ispirazione delle pagine che seguono mi viene da un libro di Stefania Ragusa:
"AFRICA QUI storie che non ci raccontano". Nell'introduzione scrive l'autrice:
Questo libro nasce dalla domanda che, qualche anno fa, mi ha fatto Sara, una mia
giovane amica italianissima ma dalla pelle d'ebano. Era appena rientrata da una
breve vacanza a Londra, la prima fatta all'estero e da sola. [...] Sara mi
diceva che a Londra aveva visto neri che lavoravano in banca, negli ospedali,
all'università, negli studi legali, a dare notizie in tv, a dirigere il
traffico... Perché, si chiedeva, in Italia i neri, quando riescono a lavorare,
fanno solo mestieri umili? Ho risposto che tutto questo era dovuto al fatto che
l'immigrazione, africana e non, in Italia è un fenomeno recente. Perché per
iella o per fortuna non siamo riusciti a essere una potenza coloniale e perché,
fino all'altro ieri, eravamo noi costretti a emigrare. Ma ho risposto anche che
non tutti i neri, in Italia, facevano lavori umili. Che quella del "povero
negro" era in buona parte un luogo comune. Lei mi ha rivolto uno sguardo
perplesso e di sfida e ha detto: non ti credo, dimostramelo. Non era un ordine
ma l'indicazione di un bisogno, profondissimo e non ancora dichiarato. [...]
Per i Romanì in tutta Europa, non nella sola Italia, la situazione è simile,
anzi peggiore. E, mettiamoci la mano sulla coscienza, come reagiremmo NOI se
incrociassimo un medico, un vigile, un ortolano Rom o Sinto? Questo tipo di
persone esistono, le ho anche incontrate, ma la paura dello "stigma" spesso è
più forte della voglia di dichiararsi. Ricordo nel libro "Non chiamarmi zingaro"
di Pino Petruzzelli, il racconto di una dottoressa in Italia che nasconde
persino a suo marito il suo essere rom.
Se con sguardo distaccato osserviamo la situazione dei Romanì in Europa, quello
che notiamo non è tanto che nei secoli possano esserci state figure prominenti,
ma l'assenza di quella borghesia (non necessariamente che sia anche classe
dirigente), che ha accompagnato lo sviluppo di altri popoli. Questo significa
che quasi dappertutto in Europa i Romanì vivono una situazione di continuo
dopoguerra, non solo economico, ma anche sociale e politico.
Il dottore, l'avvocato, il giornalista romanì esistono, a volte superano anche
la paura di dichiararsi. Per anni ho raccolto frammenti di queste storie,
riportati da varie testate o direttamente dalla loro voce.
Riprendere qui le loro testimonianze può servirci:
ad avere un quadro meno stereotipato della più grande minoranza etnica in
Europa;
nel contempo, a comprendere quanto la forte spinta ad emanciparsi, si leghi
all'attaccamento e all'interazione con la comunità d'origine, come pure al
mantenimento della propria identità;
infine, la speranza è la stessa del libro AFRICA QUI, che le testimonianze
raccolte possano incoraggiare le giovani generazioni romanì a trovare un posto
dignitoso tra i popoli di un'Europa di cui fanno parte a pieno titolo.
Un ulteriore motivo di approfondimento, deriva dagli argomenti trattati nelle
interviste o nei ritratti che verranno presentati: da questioni quotidiane a
tematiche più propriamente politiche. Per politica, non intendo soltanto i
cosiddetti "temi classici": razzismo, integrazione, convivenze... ma anche
questioni di base che riguardano il futuro del nostro continente, trattate da
questa futura classe intellettuale. Ancora una volta, il gioco di vederci allo
specchio, e di saper cogliere i contributi ideali che possono arrivarci.
In appendice ho aggiunto tre contributi: un mio saggio su come anche le novità
della tecnologia non siano estranee alla galassia romanì, la recensione di una
serie televisiva di qualche anno fa - che descriveva in modo atipico la vita di
una famiglia rom in Slovacchia, e un raccontino finale, che spero possa essere
di buon auspicio.
Indice:
L'Europa che c'è - Pag. 2
Introduzione: - Pag. 3
Autore: - Pag. 5
Paesi, competenze e professioni: - Pag. 8
FRANCIA - L'attivista atipico - Pag. 8
SPAGNA - Un'antropologa - Pag. 10
La situazione delle donne rom in Europa - Pag. 11
SERBIA - Comunità ed emancipazione - Pag. 15
EUROPA - Biglietti da visita - Pag. 17
ROMANIA - e l'identità - Pag. 19
REPUBBLICA CECA - Professionisti di confine - Pag. 21
GRAN BRETAGNA - Un giornalista "globale" - Pag. 23
SLOVACCHIA - La preside - Pag. 26
UNGHERIA - Dalla scuola alla società e viceversa - Pag. 32
GRECIA - Il dottore - Pag. 35
SLOVACCHIA - Una dottoressa tra tradizione e cambiamento -
Pag. 37
REPUBBLICA CECA - Il frigorifero come questione culturale -
Pag. 42
AUSTRALIA - La scrittrice - Pag. 44
ISRAELE - Nomade e digitale - Pag. 47
GRAN BRETAGNA - I ricordi di una scrittrice - Pag. 49
Da diversi anni si assiste ad un interesse per la musica e la cultura Rom,
prevalentemente d'origine balcanica, senza che si vada oltre le musiche di Goran
Bregovic o i film di Emir Kusturica, trascurando quindi le radici della storia
dei Rom e, soprattutto, ignorando le attuali condizioni di vita in cui si
trovano.
Nel contesto cittadino romano, in zone decentrate e relativamente isolate dai
centri abitati, esistono diversi campi rom nei quali convivono varie etnie
provenienti da alcuni Paesi dell'ex Jugoslavia e dalla Romania. Nella mia
esperienza professionale, ho avuto l'opportunità di avvicinarmi alla realtà dei
campi attrezzati della Capitale, autorizzati dal Comune e gestiti da varie
associazioni italiane. Ho conosciuto diverse persone che ci abitano e ho
ascoltato i loro racconti che vanno oltre ogni demagogia e retorica politica. La
realtà dei campi è fatta di problemi oggettivi legati alla convivenza più o meno
coatta in condizioni non idonee, dato che spesso la capienza del campo è
inferiore al numero di persone ospitate, per lo più minori. Per non parlare del
posizionamento di questi insediamenti, periferici e lontani dai centri abitati e
dai servizi. Molti Rom non hanno mai conosciuto la vita di campo dato che nei
loro Paesi di origine hanno vissuto una vita da sedentari. In Italia si ignora
questo aspetto e si continua a considerarli nomadi.
Un testimone privilegiato di questa realtà è l'artista Antun Blazevic, in arte
Tonizingaro che abbiamo interpellato per avere una opinione da parte di chi
l'esperienza del campo l'ha vissuta in prima persona. Autore e interprete
protagonista dei suoi spettacoli teatrali, Toni ha svolto anche il ruolo di
mediatore culturale all'interno dei campi rom della Capitale dove è vissuto per
circa 15 anni. Dall'inizio dell'intervista, Toni dimostra la sua natura
anticonformista e irriverente, rispondendo con una battuta spiritosa, nonostante
le tematiche affrontate. Alla domanda se vivesse ancora nel campo, ha esordito
rispondendo: "No, grazie".
Toni, hai svolto il ruolo di mediatore culturale anche nei campi rom, quelli che
sono erroneamente chiamati "campi nomadi". Secondo te, perché si continua a
parlare dei rom come popolo nomade, nonostante siano stanziali?
Secondo me, si continua a parlarne di nomadismo per ignoranza, ancora non hanno
capito cosa vuol dire nomadismo e non sanno che finì 200 anni fa. Ormai, per
trovare dei nomadi rom, dovresti andare a cercarli in Mongolia.
Tu hai lavorato in uno dei campi rom della Capitale dove convivono insieme rom
romeni, bosniaci e serbi, anche se divisi da un recinto "simbolico". Esistono
dei contrasti tra varie etnie?
Io ho lavorato sia nel servizio H24, controllando chi entrava e chi usciva dal
campo, che nel servizio di accompagnamento dei bambini a scuola. Non parlerei di
conflitto tra le etnie. Secondo me, si tratta più di un desiderio di proteggere
le proprie tradizioni che variano da un gruppo etnico all'altro. E' più una
questione legata al senso di appartenenza. Per quanto riguarda la divisione del
campo, si tratta, a mio avviso, di un problema di organizzazione. Le
associazioni che gestiscono i campi dovrebbero risolvere e prevenire dall'inizio
queste situazioni.
E' noto che molti bambini rom accumulano tante assenze a scuola e per quanto
riguarda le cause, le opinioni sono diverse. Secondo la tua esperienza, cosa si
potrebbe fare per risolvere questo problema?
Le responsabilità stanno da entrambe le parti. I motivi oggettivi non mancano: i
campi si trovano in zone molto periferiche; le scuole che non accettano più di
un certo numero di bambini rom sono distanti tra di loro; la mattina c'è tanto
traffico; non ci sono soste adatte per gli scuola-bus e si deve cercare un
parcheggio, far accompagnare ogni bambino a scuola, ripartire e ripetere la
stessa prassi per tutti i bambini, che ovviamente arrivano quasi sempre in
ritardo a scuola. Le associazioni che gestiscono i campi hanno problemi di
organizzazione. Quando ho lavorato come accompagnatore per i bambini, avevo
proposto di fare qualche cambiamento (partire presto, andare prima alla scuola
più lontana per poi tornare verso quelle più vicine ecc.), ma non se ne è fatto
niente. Dall'altra parte, ci sono le responsabilità dei rom che non sempre
preparano in tempo i bambini e quindi molte volte si parte in ritardo per questo
motivo.
Secondo te quali sono le cause che hanno portato i rom a essere così passivi?
Come dichiarai tempo fa in una trasmissione di RAI 3, il male assoluto che colpì
i rom in Italia fu l'assistenzialismo. Queste politiche hanno permesso alle
associazioni che gestiscono i campi di sostituirsi ai genitori e alle famiglie e
quindi hanno abituato i rom ad aspettarsi che gli altri risolvano i loro
problemi. I rom, al loro arrivo, pensavano da soli a se stessi ma queste
politiche assistenzialiste li hanno portati a pensare di avere dei diritti senza
considerare gli obblighi. Come dicevo prima, la responsabilità è sempre delle
associazioni perché dovrebbero prendere dei provvedimenti e cercare di cambiare
la situazione. Credo che si è ancora in tempo per cambiare l'andamento delle
cose.
Nei campi ci sono anche dei rom italiani?
Qualcuno c'è, ma la maggioranza vive nelle case, sono inseriti nella società
come i Sinti abruzzesi e i Camminanti siciliani che sono tutti stanziali.
Si sente spesso dire che i rom sono abituati a vivere così e che quindi sono
loro stessi a volere i campi. Come sono nati i campi rom a Roma?
Sono nati negli anni '70 con le baraccopoli dei migranti dell'Italia meridionale
che, nel momento in cui si sono trasferiti nelle case popolari, hanno affittato
le baracche ai rom. Sono nati così i campi rom a Roma.
I campi rom sono un prodotto dell'emergenza abitativa della Capitale?
A Roma, il costo elevato degli affitti e la scarsità di case popolari sono una
realtà. Molti appartamenti sono disabitati, altri sono proprietà della Chiesa e
non vengono affittati. Inoltre, non è da sottovalutare la diffidenza verso i rom.
I Rom sono spesso presentati attraverso gli stereotipi e i pregiudizi. Nella mia
vita da pendolare, mi è capitato spesso di sentire che il ritardo del treno
fosse dovuto al furto di rame. Anche se negli annunci non si specifica chi siano
gli autori, non manca chi fa commenti riferiti ai rom.
Sai, i rom sono utili per tante cose. Ai bambini non rom si insegna
l'educazione, usando come minaccia gli "zingari"; sono attuali gli stereotipi
che vedono gli zingari che rapiscono i bambini, che rubano e che sono sporchi.
Mi ricordo un episodio a cui assistetti anni fa a Milano. Tornavo col tram da
uno studio televisivo dove ero stato invitato e vicino a me sentii due signore
italiane sulla settantina che parlavano della donna rom salita con un bambino in
braccio e un altro che si reggeva alla gonna e che, secondo loro, puzzava.
Quando la donna rom andò a timbrare il biglietto, le signore insinuarono che
l'avesse rubato. Un'altra volta, a Roma, salii su un autobus e una signora,
vedendomi, strinse subito la sua borsa al petto. La tranquillizzai dicendogli di
non preoccuparsi perché quel giorno non stavo "lavorando".
Per quanto riguarda i ritardi dei treni, visto che ci sono sempre e su tutti le
linee, se la colpa fosse dei rom, significherebbe che essi lavorano 24 ore su
24. Tu conosci dei rom che lavorano ininterrottamente 24 ore al giorno?
Qual è secondo te, se c'è, l'elemento che contraddistingue il popolo rom?
Se me lo avessi chiesto 20 anni fa, avrei saputo risponderti. Adesso non lo so
perché negli ultimi tempi, con questa integrazione, ormai, non esistono più
delle differenze. Quando si parla di integrazione, si intende assimilazione.
Questo purtroppo riguarda tutti i migranti, non solo i rom.
L'assimilazione rappresenta un impoverimento reciproco. Ci viene chiesto di
lasciare la nostra cultura e adottare la loro per entrare a pieno titolo nella
società. Si parla spesso del fatto che i rom non vogliano lavorare, ma non è
tanto vero. Nei convegni o in altre occasioni, chiedo sempre alle persone che
hanno questa opinione se prenderebbero preso come assistente famigliare o
domestica una rom. Succede ancora oggi che appena si scopre che un dipendente
sia rom, venga licenziato. Oltre la discriminazione c'è anche la crisi e la
mancanza del lavoro per tutti, la concorrenza è tanta e i rom non sono neanche
tanto qualificati e molti di loro non hanno neanche studiato. In compenso, le
nuove generazioni hanno iniziato a specializzarsi di più e a studiare.
Sostieni che ormai non ci sia più alcun tratto caratteristico dei rom, eppure,
secondo me, esiste una peculiarità del popolo rom che è il "pacifismo". In tutta
la storia dell'umanità, il popolo rom non ha mai dichiarato una guerra o
rivendicato terre.
Non ha mai fatto la guerra perché non esiste un paese per cui combattere.
Neanche gli ebrei hanno fatto le guerre finché non hanno avuto uno stato. Se non
hai un territorio da difendere o un paese di appartenenza, non ha senso fare le
guerre.
Inno del popolo Rom "Jelem Jelem" (Camminando, camminando), eseguito
dall'Orchestra Europea per la Pace e l'Alexian Group insieme a Miriam Meghnagi
Aiutare i soggetti più deboli a mettere a fuoco - e poi nero su bianco - i
propri punti di forza professionali. Succede nel capoluogo siciliano. Un'idea da
esportare.
Il bilancio di competenze - lo spieghiamo per chi non ne avesse sentito parlare
- è uno strumento finalizzato a mettere a fuoco le capacità e le risorse della
singola persona, in modo da facilitarne l'inserimento nel mondo del lavoro o la
crescita professionale. In genere viene “somministrato” a manager,
professionisti e a giovani in cerca della prima occupazione.
Come mai, vi domanderete, ne stiamo parlando su Corriere Immigrazione? Perché da
circa un mese, a Palermo, il
Fo.rom sta provando a utilizzare questo strumento a
vantaggio della locale comunità romanì. Si tratta, in prevalenza, di kosovari e
serbi. La maggior parte di loro vive all'interno del campo rom, ai margini del
parco della
Favorita, nelle vicinanze dello stadio di calcio. Altri invece sono
dislocati nel centro storico della città. Pochi hanno una casa vera e quasi
tutti vivono in condizioni precarie.
Mentre scriviamo ci risultano portati a compimento trenta bilanci. Altri
quarantacinque saranno stilati nelle prossime settimane. Attraverso un
questionario semi-strutturato, si prova a tirar fuori tutto quello che può
valorizzare le esperienze maturate negli anni. Capita spesso che le persone
sappiano fare delle cose particolari e/o utili (a livello artigianale, per
esempio), ma non si rendano pienamente conto del valore del proprio know how.
Tirare fuori certe informazioni, esplicitarle e metterle nero su bianco è molto
utile per darsi un nuovo punto di partenza e una speranza di riscatto. E
sortisce effetti positivi anche dal punto di vista psicologico. Ogni bilancio,
infatti, è una storia, e rispettandola e portandola alla luce, le si dà il
valore e il riconoscimento che merita. Chi fa i bilanci, certamente, deve
possedere una reale capacità d'ascolto, che è qualcosa che va oltre la tecnica
dell'intervista aperta: è un'arte della relazione, un incontro tra due persone e
un percorso a ritroso nel tempo, a volte doloroso, che traccia storie e profili
di immenso valore.
A circa un mese dall'avvio del progetto, si cominciano a vedere i primi
risultati: due ragazze, per esempio, sono state inserite all'interno di un corso
base di taglio e cucito organizzato da una sartoria sociale di Palermo,
organizzata sotto il segno del riciclo e del riuso. Ma altri (buoni risultati)
non mancheranno. È solo questione di tempo e di bilancio.
Di Fabrizio (del 08/06/2013 @ 09:04:57, in scuola, visitato 1932 volte)
LINGUE
Romaninet è un corso multimediale che, oltre alla lingua e alla cultura
romani', promuove la diversità linguistica e il dialogo sociale.
Il progetto è stato iniziato dall'istituto "Ribeira do Louro", scuola secondaria
spagnola a cui sono iscritti numerosi studenti di lingua romani'. Si sono poi
aggiunte altre sette organizzazioni di diversi Paesi: l'Università di
Manchester, una delle principali in Europa dedite allo studio della lingua
romani', alcune organizzazioni non governative internazionali che cooperano con i
Roma ed una scuola rumena frequentata da molti alunni Roma. Il progetto è
coordinato da "AtinServices", consultorio specializzato in corsi di lingua,
mentre "Concept Consulting" ha curato il livello qualitativo del progetto.
Il corso si basa sul livello base di competenza del Quadro europeo comune di
riferimento (A1 e A2) e non ha limiti di età. Il suo status di corso
multimediale facilita il processo di apprendimento e incoraggia allo studio
della lingua romani' anche coloro che non possiedono un elevato livello
accademico.
Il corso si compone di 15 lezioni. Ogni lezione è costituita da un dialogo
basato sull'animazione, contiene il vocabolario appreso di volta in volta,
diversi esercizi per mettere in pratica il contenuto delle lezioni, spiegazioni
della grammatica così come ausili di pratica linguistica (ascolto e
ripetizione). Vi sono inoltre dei giochi, che consentono di praticare i
contenuti delle lezioni in modo divertente, ed un test grazie al quale gli
utilizzatori si possono rendere conto se hanno raggiunto gli obiettivi delle
lezioni. Il corso è disponibile in cinque versioni linguistiche: inglese,
spagnolo, portoghese, rumeno e bulgaro.
Di Fabrizio (del 07/06/2013 @ 09:05:42, in lavoro, visitato 1211 volte)
Leggevo martedì scorso questo accorato grido di dolore:
Milano: annullati eventi estivi, soldi spesi per il campo nomadi
(clicca sull'immagine per leggere tutto l'articolo)
Immagino che la prima reazione degli amati lettori sarà stata del tipo:
"Razzisti senza neanche più un briciolo di vergogna", magari
con qualche riserva su quel lussuoso destinato al nuovo campo
dell'Ortomercato.
Ma come sapete, per quanto io sia persona di saldissimi principi (o
quantomeno, ci si prova), il mio approccio alla morale e ad appioppare giudizi
(la chiamo: sovrastruttura) è piuttosto elastico.
Detto questo, mi rivolgo a tutti quei Rom e Sinti che tuttora svolgono
attività di intrattenimento, cercando di farsi accettare dai gagé, ma
padroneggiando ancora a stento determinati loro meccanismi economici e
culturali. Fossi in loro, scriverei alla redazione (redazione@voxnews.info) una letterina di questo
tenore (leggete anche le note):
e abbiamo letto il vostro articolo di settimana scorsa riguardo la
mancanza di eventi per "Verdestate". Gradiremmo porre rimedio a questa
incresciosa situazione (son problemi!), proponendoci per allietare i vostri
pomeriggi e le vostre serate estive (la mattina si dorme o si lavora...). Siamo
Rom (e/o Sinti) anche noi, ma per niente "nomadi", e questa ci pare l'occasione
più opportuna per iniziare ad appianare vecchie divergenze (o quantomeno
provarci), a cominciare con l'impatto che può avere sulla zona il previsto campo
all'Ortomercato. Speriamo di cuore che non siate infastiditi dal nostro essere "zingari":
sarebbe strano (non ci permettiamo di dire RAZZISTA) lamentarsi della mancanza
di eventi estivi, ma opporvisi se questi vedano la nostra partecipazione. Ovviamente, in quanto professionisti (2), non possiamo
esibirci a titolo gratuito, ma riteniamo giusto che ad adeguata prestazione
debba corrispondere adeguato compenso. TENIAMO FAMIGLIA (3). Con i nostri più distinti saluti,
Firma
Note:
1: scegliere la propria
categoria, sono possibili scelte multiple;
2: ricordarsi di dare di sé
un'immagine seria e professionale. Anche se il vostro capitale
iniziale è minimo, viviamo gli ultimi scampoli di un
capitalismo-straccione dove la prima impressione3 vale anche di
più delle proprie capacità;
3: è l'occasione per
dimostrare non solo la propria volontà di integrarsi, anche
economicamente, nella società maggioritaria. Quel "TENIAMO
FAMIGLIA" dimostra di aver appreso la filosofia economica della
cultura italiana
Giovedì 13 giugno 2013 alle 21,00, ingresso ad offerta
libera CGIL Salone Di Vittorio - Piazza Segesta 4, con ingresso da
Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio) a Milano
Rassegna di minidocumentari, girati da romnià e con le loro interviste e
testimonianze. Sarà presente una delle protagoniste: Ruzika Stojanovic,
per rispondere alle domande del pubblico,
Evento di chiusura della rassegna HO INCONTRATO ANCHE DEGLI ZINGARI
FELICIV Edizione, dedicata alle donne Rom, organizzata
dall'Associazione La Conta in collaborazione con: l'Associazione "Aven Amentza -
Unione di Rom e Sinti", Associazione "ApertaMente di Buccinasco" e la Redazione
di Mahalla - Rom e Sinti da tutto il mondo
Di Fabrizio (del 06/06/2013 @ 09:08:30, in conflitti, visitato 1638 volte)
La foto non viene da Istanbul, ma da Milano, c'è il parco e anche le
baracche... la continuità è data dal braccio della ruspa
Sto scrivendo domenica 2 giugno, e come molti di voi seguo, praticamente in
tempo reale, quanto sta succedendo in Turchia: Gezi.
Un anticipo di quanto sta succedendo ORA (ma non fu per niente in tempo
reale) ci fu nel 2010, anche se la lotta iniziò almeno 5 anni prima: SULUKULE
(forse qualche lettore se ne ricorda). Ora i turchi lottano per mantenere un
parco; nel caso di Sulukule, si trattava di un quartiere millenario, dove i
primi Rom si insediarono alla venuta in Europa. Ora, cacciati in altri quartieri
dove non possono più svolgere le loro attività (che erano anche fonte di entrata
per il turismo locale), non possono più permettersi di pagare gli alti affitti a
cui sono sottoposti. Dopo un millennio di stanzialità, sono tornati ad
accamparsi COME NOMADI sulle rovine delle loro ex case.
ATTENZIONE, è da parecchio che tocca ripeterlo: le politiche che i popoli
romanì sperimentano, altro non sono che un laboratorio di ciò che poi
toccherà anche ad altri. L'abbiamo voluto, l'abbiamo permesso, lo
pagheremo.
Per chi volesse,
QUI potete trovare una completa ricostruzione della vertenza
di Sulukule. Altrimenti di seguito ho preparato un riassunto, con alcuni dei
momenti principali.
Il quartiere di Sulukule ad Istanbul esiste[va] da mille anni, ed ospitava il
più antico insediamento Rom del mondo. Dichiarato patrimonio dell'Unesco, oggi è
stato quasi totalmente abbattuto nel piano di un rinnovamento urbano, ed i suoi
residenti spostati in un altro quartiere lontano dal centro, con affitti che non
sono in grado di pagare. La lettera è del 2006
Lettera aperta di Sukru Punduk, nato il 1/1/1968 a Sulukule, residente in
Edirnekapi Kaleboyu Cad. Zuhuri Sok. No: 5.
Gli abitanti del quartiere iniziarono a stabilirvisi attorno al 1504, del
calendario bizantino. Dopo l'arrivo degli Ottomani nel 1453, la comunità Rom
rimase lì e molti Rom fecero di Sulukule il punto di partenza per arrivare in
Europa. Il quartiere sorge accanto alle mura storiche del distretto di Fatih. Vi
abitano circa 3.500 Rom, che erano circa 10.000 i residenti prima che iniziasse
lo sgombero della municipalità di Fatih nel 1992. D'improvviso la municipalità
chiuse i locali musicali e d'intrattenimento, con la scusa che non pagavano le
tasse e quindi non potevano esercitare nel quartiere. Tuttavia, si può pensare
che noi siamo dei "campioni" del pagamento delle tasse, pagando tasse
sull'intrattenimento, senza mai ricevere dall'autorità riscontro delle somme
pagate. Il provvedimento di sgombero non causò soltanto la diminuzione degli
abitanti, ma anche disoccupazione per quanti rimasero, incapaci di pagare
elettricità, acqua e riscaldamento. Ora, sempre la municipalità di Fatih è
determinata ad abbattere le nostre case, nonostante noi siamo in possesso dei
documenti ricevuti nel 1983/84, quando le abitazioni provvisorie vennero
legalizzate da un'amnistia e registrate. L'insieme di questi eventi, vanno
considerati parte di un premeditato processo di rimozione della comunità romani
dal centro città. Noi, il popolo Rom di Sulukule, soffriamo la mancanza dei
nostri diritti basici come il diritto di proprietà, quello di avere un lavoro
decente, quello dell'accesso all'acqua potabile e all'elettricità.
Il numero delle case che andranno demolite è di circa 571, per un totale di
8.000 mq. Siamo venuti a conoscenza dai giornali e dalla TV che il comune ha un
piano di sviluppo e rivalutazione del quartiere. Richiediamo quindi un incontro
col sindaco, Mustafa Demir. Ci fu un incontro a novembre 2005, a cui presero
parte 17 di noi. Allora erano proprietari in 251 e 320 gli inquilini. Il sindaco
disse che le case del quartiere sarebbero state demolite e che l'area era stata
definito di rinnovo urbano. Offrì nuovi alloggi agli inquilini, senza però
andare oltre la solita "lotteria" delle abitazioni pubbliche in Turchia. Gli
alloggi erano situati a Tasoluk, a circa 2 ore e mezza dalla città più vicina,
Gaziosmanpasa. Le case sarebbero state costruite dall'Assessorato alle Case
Popolari, meglio noto come TOKI. D'altra parte, non v'è certezza su quale sarà
il costo delle nuove case e di conseguenza, se saremo in grado di pagare
l'affitto. Ed ancora, i lavori che svolgevano gli abitanti di Sulukule non si
potranno più svolgere nelle nuove case aumentando il rischio di pagamenti
insoluti. Il sindaco ha offerto due opzioni:
1. comperare il loro terreno con un ammontare incerto per metro quadro;
2. che le case siano pagate in 15 anni, deducendone il valore del terreno.
Il nostro problema è l'incertezza della situazione. Non esiste un progetto
concreto sulle somme che ci verranno offerte per le nostre terre, e quindi non
siamo in grado di decidere. Abbiamo perciò chiesto al sindaco di costruire noi
le nostre case e di disegnare un progetto comune, ma la nostra proposta è stata
rifiutata..
In seguito il comune a luglio 2006 mandò inviti individuali per illustrare la
situazione di cui ho accennato sopra. I loro argomenti si basano sulla decisione
del Consiglio dei Ministri, che chiede di determinare le aree soggette a
rinnovamento urbano, con la legge 5366. Hanno dichiarato che entro la fine di
agosto 2006 riceveremo le ordinanze di abbattimento. Finora, a nessuno nel
quartiere è giunto niente, e tutti sono preoccupati perchè non ci sono proposte
concrete di rilocazione, e nel contempo a Istambul ci sono state demolizioni nei
quartieri rom di Kucukbakkalkoy e Yahya Kemal. Anche lì le case demolite erano
registrate a norma e non sono state offerte soluzioni di rilocazione degli
abitanti.
Noi, abitanti Rom di Sulukule, non vogliamo lasciare le nostre case. Nel 1960
alcuni abitanti di Sulukule furono obbligati a trasferirsi a Gaziosmanpasa, dove
c'è oggi una comunità Rom minacciata a sua volta di sgombero e demolizione da
parte del comune. Perciò la migrazione forzata non è la soluzione per i progetti
di rinnovamento urbano. Non vogliamo essere evacuati in nuovi appartamenti, ma
continuare a vivere con i nostri strumenti, danze, musiche, dove i nostri
antenati si stabilirono un migliaio di anni fa. Non vogliamo essere esclusi
dalla comunità cittadina, né essere obbligati a migrare dalle nostre terre.
Richiediamo aiuto alle associazioni e ai singoli perché appoggino la nostra
lotta contro la migrazione forzata. Invitiamo perciò avvocati e giornalisti a
venire a Sulukule e rendersi conto di come viviamo. Saremo grati alle organizzazioni europee o di altri paesi che chiedano
informazioni sulla situazione di Sulukule alle ambasciate e ai consolati turchi.
Apprezzeremo le vostre lettere di appoggio alla nostra comunità, per non farci
sentire soli.
Sulukule Romani Culture Solidarity and Development Association
President
Sukru Punduk
9 giugno 2008 By PELIN TURGUT - Time.com
All'ombra dei merli bizantini, un gruppo di ragazze ridenti va avanti e indietro
fra le case cadenti, smettendo occasionalmente di vibrare le loro anche e di
roteare i loro polsi. Sono inseguite da diversi ragazzi urlanti, che le
afferrano e le spingono "in prigione" verso un angolo. I bambini del quartiere
impoverito di Sulukule a Istanbul - patria della più antica comunità rom del
mondo - chiamano questo gioco Poliziotti e Ballerine, versione locale di Guardie
e Ladri emendata per riflettere sulla loro esperienza di essere nati in una vita
di danza e caccia dalla polizia.
E' giovedì pomeriggio presto e i bambini giocano per strada invece di essere a
scuola. La ragione della loro assenza ingiustificata, d'altra parte, è la paura.
"I bambini sono spaventati," dice Dilek Turan, uno studente di psicologia
volontario a Sulukule. "Non vogliono andare a scuola perché sono preoccupati di
tornare a casa e non trovarla più." C'è una ragione: il piano cittadino di
demolire le loro case parte di un controverso progetto di rinnovamento urbano in
vista di Istanbul Capitale Culturale Europea nel 2010.
Fu in era bizantina che gli antenati dei bambini rom di Sulukule si accamparono
per la prima volta su questo particolare pezzo di terra, accanto al Corno d'Oro
e appena fuori dalle mura del V secolo della vecchia Costantinopoli. La prima
registrazione della comunità, circa nel 1050, si riferisce ad un gruppo di
persone, che si riteneva provenissero dall'India (dove, per la verità, molti
storici credono siano originari i Rom), accampati in tende nere fuori dalle mura
cittadine. Dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, alla comunità fu
garantito il permesso ufficiale del sultano Sultan Mehmet II di avere dimora in
quello che ora è Sulukule.
Per secoli la comunità rom si è guadagnata da vivere come indovini e ballerini
per la corte ottomana, e più tardi per i Turchi - una tradizione portata sullo
schermo nel film di James Bond Dalla Russia con Amore. Le loro fortune ebbero
una svolta negativa negli anni '90, quando le loro "case d'intrattenimento" -
abitazioni private dove le famiglie zingare cucinavano e ballavano per i loro
concittadini benestanti - furono chiuse con l'accusa di gioco d'azzardo e
prostituzione.
I Rom di Istanbul sono molto poveri, guadagnano in media circa $250 al mese, ma
la terra che abitano, una volta periferica e senza importanza, è ora un bene
immobiliare molto apprezzato a pochi minuti dal centro città. Se gli appaltatori
ed il comune locale hanno il loro senso, l'intero quartiere di Sulukule - che
ha 3.500 residenti - verrà raso al suolo entro la fine dell'anno per far posto a
620 case signorili in stile neo-ottomano.
"Ogni giorno, ci domandiamo quale casa verrà demolita," dice Nese Ozan,
volontario della Piattaforma Sulukule, una coalizione di architetti, attivisti e
lavoratori sociali contro la demolizione. Ogni tre o quattro case derelitte di
un blocco, una è stata ridotta ad un mucchio di residui e di metallo ritorto.
Una X rossa segna le prossime, quelle in prima linea per le squadre di
demolizione.
Mustafa Demir, sindaco della municipalità conservatrice di Fatih che sponsorizza
il programma di demolizione, dice che c'è bisogno di un progetto di rinnovamento
sociale "per rimpiazzare i tuguri". Il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ha
chiamato Sulukule "terribile" ed espresso stupore per le proteste
anti-demolizione. Che il quartiere abbia un disperato bisogno di risanamento è
chiaro, ma i critici accusano le autorità di aver mancato di includere una delle
più antiche comunità nei piani per lo sviluppo. Invece, ai Rom sono state
offerte due opzioni: possono vendere le loro proprietà a basso prezzo (o doversi
trovare di fronte all'esproprio), o traslocare nel quartiere popolare di Tasoluk,
a circa 25 miglia dalla città, e pagare un'ipoteca di oltre 15 anni che pochi
possono permettersi.
"La municipalità non capisce che se intende rinnovare quest'area, c'è bisogno di
fare in maniera che permetta alla comunità di continuare a vivere qui," dice
Ozan. "Non possono limitarsi a sgomberare tutti, radere l'area la suolo e
costruire un sobborgo. Questa è una comunità storica."
Il ricercatore rom britannico Adrian Marsh vede un programma più scuro al
lavoro. "Quello che abbiamo è la municipalità più religiosa del paese che si
confronta con quello che ritiene storicamente il gruppo più irreligioso ed
immorale," dice. "Se rigenerassero la comunità in maniera inclusiva, avrebbero
3.000 voti extra, ma non stanno agendo così. Perché? Perché considerano la
comunità di Sulukule irrecuperabile." Soluzioni a lungo termine come permettere
ai Rom di impiantare music halls legali ed ottenere un guadagno, non sono
gradite alle autorità locali dominate dagli islamisti, perché non intendono
promuovere questo tipo di intrattenimento, ragiona Marsh.
Questo è molto più certo: disperdere la comunità rom di Sulukule distruggerà la
loro cultura, che è legata alla vita comunale. Famiglie estese condividono case
e forme musicali, usando le strade come estensione delle loro stanze. "Sulukule
presenta un modo di vita unico," ha concluso un gruppo di ricerca sul design
urbano dell'University College di Londra. "Questo dev'essere tenuto in conto e
preservato quando viene introdotto un nuovo sviluppo per l'area."
La Piattaforma Sulukule ha richiesto un'ingiunzione del tribunale contro la
demolizione ed il parlamento ha ha nominato un comitato di studio. Ma i
bulldozer non aspettano. Il gioco di Poliziotti e Ballerine non sta andando bene
per lo spettacolo.
Sabato, 21 giugno 2008 - ISTANBUL – Turkish Daily News
Operai della municipalità di Fatih-Istanbul giovedì hanno distrutto una casa nel
quartiere di Sulukule, anche se dentro c'era ancora gente, così si è lamentato
un portavoce di un'organizzazione che combatte la trasformazione urbana
dell'area. La municipalità ha rifiutato le accuse.
Sulukule è sotto esame da quando un progetto di trasformazione urbano è
cominciato nell'area, il cui progetto vorrebbe eliminare lo spazio vitale e
minacciare la cultura del popolo Rom, che hanno vissuto nel quartiere da
secoli.. Ciononostante, la municipalità ha iniziato le demolizioni a febbraio.
La casa al numero 15 di via Neslişah Camii è stata distrutta anche se non era
tra gli edifici indicati da distruggere come parte del progetto, ha reclamato
Hacer Foggo, rappresentante della Piattaforma Sulukule. "Gli abitanti hanno
pensato che fosse un terremoto. Nella casa c'erano due sorelle. Nessuno è stato
ferito nella demolizione, ma la casa è inabitabile," ha detto. Foggo ha anche
lamentato che, testimoniano i residenti del quartiere, la squadra di demolizione
ha detto "Abbiamo distrutto la casa per errore" e sono andati.
Mustafa Çiftçi, consigliere comunale per le aree rinnovabili, ha rigettato le
lamentele, dicendo che non c'è stata alcuna demolizione di un edificio che non
fosse vuoto. "Prendiamo rapporti per impedire situazioni come queste.
Distruggiamo edifici che siano assolutamente vuoti," ha detto Çiftçi.
Non c'è solo Sulukule. Radikal, 11/02/2010
Le famiglie rom obbligate a lasciare Selendi (Manisa) dopo che il loro quartiere
è stato attaccato e dato alle fiamme sono arrivate a Salihli (Gordes), dove lo
stato aveva promesso loro assistenza, ma non ha mantenuto le promesse. Oggi,
soltanto poche famiglie possono cucinare qualcosa nelle loro abitazioni
temporanee. Qualcuno può scaldarsi la casa, ma la maggioranza manca di legna da
bruciare e di acqua calda, così lavarsi è un lusso. Soltanto metà delle case
hanno acqua corrente. "Non puoi stare bene e sano in queste condizioni", dicono
i Rom, "nel passato ogni famiglia aveva un tetto sopra la testa, ma ora ci sono
fogli di plastica e per ogni casa ci sono tre famiglie". Il materiale per i
miglioramenti di queste proprietà, per renderle abitabili alle famiglie rom, è
accatastato lì vicino nella locale moschea.
Inoltre, secondo il governatore del distretto di Salihli, i Rom sono vittime di
discriminazione nella loro nuova collocazione. "Anche quando ricorriamo allo
stato per trovare case per le famiglie rom, i proprietari non vogliono
affittare," dice. "Se sono per le famiglie rom, ci dicono, non li vogliamo nei
nostri appartamenti."
La comunità rom ha vissuto a Selendi, Manisa, per oltre trent'anni. A Capodanno
ci fu un diverbio ed in una casa del te non volevano servire un Rom, anche se il
proprietario del locale si giustifica dicendo che il Rom stava fumando nel
locale (la legge turca, in linea con le politiche UE, proibisce di fumare
sigarette nei ristoranti, bar e caffè aperti al pubblico). A seguito di ciò,
iniziò una "spedizione punitiva" contro il quartiere rom, con lancio di pietre
contro le case ed auto bruciate per le strade. Grazie all'aiuto della locale
Jandarma (gendarmeria), le famiglie si rifugiarono nella vicina città di Gordes.
La questione ebbe ampio risalto sui media, con i parlamentari che per giorni
dopo l'accaduto, focalizzarono la loro attenzione sul problema dei "Rom-in-esilio".
Le autorità fecero promesse. "Queste ferite saranno rimarginate. Ai Rom verranno
date nuove case." Invece, le famiglie vennero separate, i parenti divisi, mentre
altra furono obbligate a vivere in condizioni ristrette di tre famiglie a
condividere piccole case a Salihli. Un mese dopo, il dramma è finito e 18
famiglie stanno vivendo nella miseria...
Dr. Adrian Marsh
Researcher in Romani Studies adrianrmarsh@mac.com
+46-73-358 8918
NOTA: Quanto sopra fa parte di un rapporto che scrissi a maggio 2010 per alcuni
amici di Amnesty International Italia, riguardo la situazione abitativa dei Rom
in Europa. Chi fosse interessato, può richiedermene una copia via mail (file
.pdf, 36 pagine, 378 KB)
Di Fabrizio (del 05/06/2013 @ 09:09:11, in Regole, visitato 1792 volte)
Uno dei controlli effettuati da vigili e polizia al campo
-
L'Arena di
Giampaolo Chavan CONTROLLI IN VIA SOGARE. L'intervento di polizia e vigili urbani risale al
settembre 2008. I difensori hanno affermato che tutti gli allacciamenti alla
rete idrica erano regolari come è emerso dalle testimonianze nel dibattimento
Quattro anni e mezzo vissuti sul filo del rasoio di una possibile condanna. Sono
durati fino a ieri quando è arrivata l'assoluzione perchè i fatti non sussistono
per i 41 sinti, insediatisi in via Sogare nel 2002. Risaliva al 25 settembre
2008, l'intervento di vigili urbani, carabinieri e polizia nel campo di via
Sogare con l'accertamento di tre reati: occupazione abusiva di suolo, accusa
archiviata già in fase d'indagine su richiesta della stessa procura, furto di
acqua ed energia. La sentenza del giudice Giorgio Piziali ieri ha spazzato via
anche queste due accuse con l'assoluzione dei 41 sinti, accogliendo le tesi del
collegio difensivo, rappresentato in aula da Federica Panizzo, Paola Montresor,
Annalisa Bravi, Maila Meniconi e Gianluca Vettorato. Le ragioni di questa
assoluzione, però, si conosceranno solo tra 45 giorni quando il giudice Giorgio
Piziali depositerà la motivazione della sentenza. Al termine della sua
requisitoria, il pm non togato in aula Giusy Bisceglie aveva chiesto una
condanna a 3 anni per gli imputati. Ieri i cinque difensori hanno ricordato che
durante le udienze, è emersa la regolarità del comportamento dei Sinti. I
testimoni chiamati a deporre, hanno insistito tutti i legali, hanno parlato di
un allacciamento regolare alla rete idrica pubblica. A confermarlo durante il
processo, sono stati un paio di funzionari del del Comune e lo stesso ex
assessore della giunta Zanotto, Tito Brunelli. "Il 25 settembre 2008", ha detto
in aula l'avvocato Annalisa Bravi, difensore di alcuni degli imputati, "vigili
urbani, carabinieri e polizia hanno fatto una "retata" per fotografare la
situazione di quel giorno". E non sono mancati anche equivoci: "È finita sul
registro degli indagati anche una persona che non risiedeva nel campo ma quella
mattina si trovava lì solo per caso", ha spiegato ancora Bravi. Maila Meniconi,
legale di altri due imputati, ha ricordato che "non è stata raggiunta la prova
della responsabilità di furti commessi dai sinti nel campo di via Sogare". Anche
l'avvocata Federica Panizzo alla fine dell'udienza ha sottolineato che "quando è
stato cancellato il reato di occupazione abusiva del suolo, dovevano essere
archiviate anche le altre accuse". E ancora: "Indigna un processo intentato per
il furto di un bene primario quale è l'acqua: diritto fondamentale a cui tutti
gli esseri viventi hanno diritto". L'avvocato Paola Montresor ha sottolineato
l'assenza del Comune sui banchi riservati alle parti civili, aggiungendo che
l'amministrazione "sapeva dell'esistenza dei due contatori ai quali si
allacciavano i sinti". Nel tardo pomeriggio, è arrivata anche la nota della
comunità dei Sinti: "Esprimiamo grande soddisfazione per la piena assoluzione
pronunciata dal giudice Piziali". La decisione ha un sapore particolare per
alcuni imputati: "La sentenza assume un significato ancor più pregnante",
riporta la nota, "per alcuni appartenenti alla comunità che poco prima di
affrontare quali parti civili il processo intentato per propaganda d'idee
razzista a carico di Tosi (svoltosi il 20 ottobre 2008 mentre l'intervento delle
forze dell'ordine in via Sogare risale al 25 settembre ndr) si vedevano
ingiustamente accusati di reati. Da parti offese per una strana coincidenza,
divenivano improvvisamente indagate per reati contro il patrimonio. Ieri è stata
ristabilita la verità".
Di Fabrizio (del 05/06/2013 @ 09:03:30, in sport, visitato 2631 volte)
Mercoledì 12 giugno 2013, h. 21.00 Libreria Popolare di via Tadino 18
- MILANO
Il libro di Roger Repplinger, pubblicato dalle
Edizioni Upre Roma in
collaborazione con l'Istituto
di Cultura Sinta, racconta la vicenda di due eroi dello sport tedesco che si
intreccia negli anni dei grandi e drammatici rivolgimenti della storia europea,
nel secolo delle due guerre mondiali, delle rivoluzioni e degli stermini
razziali. Uno è un pugile "zingaro", l'altro un centravanti "ariano": si
incroceranno in un campo di concentramento dove il destino dell'uno è di porre
fine al destino dell'altro.
"Rukeli" Trollmann, sinto tedesco cresciuto nella città vecchia di Hannover, è
il pugile danzante, beniamino del pubblico maschile e femminile della Repubblica
di Weimar. Nei primi anni Trenta all'apice della forma diventa un pretendente
per il titolo di campione nazionale nei pesi mediomassimi, ma ha un difetto: è
uno "zingaro" e inoltre il suo stile non è "ariano". Ciononostante non si può
impedirgli di competere e nel giugno del 1933 combatte e vince il suo match per
il titolo. I nazisti, preso il potere hanno già iniziato le epurazioni razziali
e controllano anche la federazione dei pugili tedesca, dopo una settimana gli
tolgono il titolo.
Ma la cosa è troppo grossa, devono concedergli un'altra opportunità, ma lo fanno
a condizione che rinunci al suo stile e combatta da "ariano", fermo in mezzo al
ring a scambiarsi pugni. Il suo avversario è il più forte picchiatore europeo.
Rukeli sa che a quelle condizioni perderà e allora risponde a suo modo: vogliono
un ariano, farò l'ariano. Si presenta sul ring con i capelli tinti di biondo e
il corpo coperto di borotalco, si mette in mezzo al ring e per 5 round si
scambia pugni fino a cadere sul tappeto in una nuvola bianca. Con questo gesto
straordinario di sfida al razzismo del regime la sua carriera è finita, così
come è finita la convivenza di rom e sinti nella Germania nazista che dal 1942
saranno perseguitati perché "razza" da sterminare come la "razza" ebraica.
Espulso dall'esercito perché sinto, Rukeli finisce nel campo di concentramento
di Neuengamme dove incrocia Tull Harder, il grande centravanti dell'Amburgo e
della nazionale tedesca. L'eroe del calcio è l'opposto di Rukeli: di famiglia
borghese, aderisce subito al nazionalsocialismo, entra nelle SS, impiegato nei
Lager partecipa al Porrajmos, lo sterminio di massa di rom e sinti.
La fine di Rukeli sarà l'ultima espressione dell'orgoglio e della dignità sinta.
Costretto a sfidare uno dei kapò più feroci in un match davanti a tutti
prigionieri e alle SS del Lager, Rukeli sa che se perde si salva, ma
ciononostante mette ko l'aguzzino, ridicolizzandolo, così come aveva
ridicolizzato il razzismo nazista. La vendetta del kapò sarà la stessa,
annientare: pochi giorni dopo lo smacco, ucciderà Rukeli. Ma sarà il sinto a
vincere 70 anni dopo, quando la Germania restituirà ai famigliari di Rukeli,
scampati al Porrajmos, la corona di campione e con essa onore e dignità a lui e
a tutti i rom e sinti discriminati e perseguitati.
Ne parlano con il curatore PAOLO CAGNA NINCHI
DANIELE NAHUM già vicepresidente della comunità ebraica di
Milano
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riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
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