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Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località

La redazione
-

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 10/06/2007 @ 09:40:40, in casa, visitato 2186 volte)

Da Osservatorio sui Balcani

Con i rom, di ritorno a Mitrovica
07.06.2007

La ricostruzione degli appartamenti nel quartiere di Mahalla - OSCE

Tre donne rom. Dopo otto anni sono rientrate a Mahalla, quartiere rom di Mitrovica raso al suolo durante la guerra. Tra un passato da sfollate e un presente ancora precario. Una nostra traduzione
Di Sebiha Bajrami - Nevipe Kosov@
Selezione e traduzione a cura di Le Courrier des Balkans e Osservatorio sui Balcani



I politici che fanno visita ai rom nel loro quartiere di Mitrovica assicurano che il Kosovo sarà presto indipendente. Il primo ministro Agim Ceku ha aggiunto che il Kosovo indipendente rappresenterà un progresso per tutte le comunità che vi vivono e che nessuno dovrà avere dubbi in merito. “Noi ci auguriamo che tutti coloro i quali hanno lasciato il Paese rientrino in un Kosovo indipendente”, ha aggiunto.

"La nostra vita a Kragujevac era molto difficile. Mio bisnonno viveva in questo quartiere, ed ora noi siamo di ritorno. Non è positivo però essere obbligati a rimanere sotto la protezione dei soldati internazionali, vogliamo essere liberi. Prima o poi questi soldati se ne ritorneranno a casa loro, e allora non sappiamo cosa ci accadrà. E poi speriamo che i nostri figli possano andare a scuola, è là che si prepareranno per il loro futuro”, ci hanno raccontato alcune donne rom del quartiere.

Milikia, una donna di sessantatre anni, è rientrata da Subotica, in Vojvodina, col marito e con i suoi sei figli. Prima della guerra del 1999 viveva in questo quartiere e ora prova a ricostruirsi una vita. Abbiamo parlato con lei della sua nuova casa.

Eccoti nella tua nuova casa, come ti senti?

Milikia: Che dire, dopo la guerra in Kosovo, pieni di paura, abbiamo abbandonato le nostre case. E ora, otto anni dopo, siamo ritornati. Le nostre vecchie case non esistono più. Ma ci hanno offerto questo appartamento. Devo dire che abbiamo un po' paura a stare qui, abbiamo paura ci accada qualche cosa. Prego Dio che non ci accada niente e di non essere obbligati ad andarcene un'altra volta. Abbiamo ricevuto questi appartamenti, non sono così male, va bene.

Sei contenta di ritornare nel tuo quartiere dopo otto anni?

Milikia: Molto contenta. Prima non avevamo alcun rifugio, abitavamo in campi collettivi. E ora, grazie a Dio, stiamo bene. Mio bisnonno viveva qui, e noi siamo ritornati a casa.

Come vi guadagnate da vivere?

Milikia: E' difficile, molto difficile. E' vero che ci hanno offerto questi appartamenti, ma come facciamo se non abbiamo lavoro? Io, per esempio, avrei bisogno di una macchina da cucire, per lavorare e guadagnarmi da vivere. Ci hanno promesso aiuti regolari, ma per il momento non si è visto niente. Ma qualsiasi cosa accada quello che a noi serve ora è la libertà, nient'altro.

Un'altra donna si avvicina a noi per ascoltare la conversazione con Milikia
.

Stiamo parlando con Milikia della sua vita, prima e ora ... Cosa ci puoi raccontare della tua?

Xhanxhia: Che dire? E' stato molto difficile per noi la vita in Serbia. Non era una vita. Ringrazio l'organizzazione che ha costruito questi appartamenti per noi e che ha organizzato il ritorno in questo nostro quartiere rom. Qui, c'è la mia famiglia.

Che piani avete per il futuro? Nessuno di voi lavora ...

Xhanxhia: E' vero. Quando ci siamo spostati in questi nuovi appartamenti ci hanno promesso tre mesi di aiuti alimentari. Questa promessa non è stata rispettata. Come facciamo a vivere se non abbiamo lavoro? E' vero che ci hanno regalato delle stufe a legna e che abbiamo la corrente elettrica, ma non sappiamo cosa faremo in futuro. Non riceviamo più le nostre pensioni, e non abbiamo nulla.

Ricevete le pensioni a Belgrado?

Xhanxhia: Ho ricevuto la mia pensione solo per un anno, poi è stata tagliata. Non sappiamo che fare, abbiamo iniziato a cercare cose nella spazzatura perché abbiamo fame e non abbiamo niente da mangiare. E' per questo che imploro Dio che ci dia la libertà in Kosovo, e perché non ci sia più guerra. Siamo tutti uguali, fatti di carne e sangue.

Si avvicina Aichia. Anche lei è appena ritornata nel suo quartiere dopo otto anni passati a Kragujevac.


Dopo essere stata a Kragujevac siete ritornata nel vosro vecchio quartiere. Siete contenta?


Aichia: Certamente! Sono molto felice. La nostra vita a Kragujevac era molto difficile. L'organizzazione DRC ci ha donato cucine ed altri aiuti. Vorrei però dire che noi siamo abituati a vivere in case con un giardino e non in questi edifici con più piani. Ci servirebbe inoltre un miglior acesso ai servizi sanitari, per non essere obbligati ogni volta a recarci a Mitrovica nord, è troppo lontana per i malati.

Come fate per i generi alimenari visto che nessuno di voi ha un lavoro?

Aichia: Quando siamo arrivati qui ci hanno detto che avremmo ricevuto dei generi alimentari. E a volte, ce ne danno. Facciamo il giorno prima delle liste di ciò di cui abbiamo bisogno. Ma poi meno della metà di ciò che abbiamo chiesto arriva veramente fino a noi. Da questo punto di vista non si può certo dire le cose vadano bene. Evidentemente qualcuno si sta arricchendo sulle nostre spalle. A volte non abbiamo né la corrente elettrica né l'acqua.

Qual'è la situazione in merito alla sicurezza nel quartiere?


Aichia: La nostra casa è in fondo al quartiere. La polizia del Kosovo è nel quartiere 24 ore su 24. E ci sono anche i soldati danesi e francesi della KFOR. Ciononostante non è positivo essere protetti tutto il tempo dai soldati, vogliamo essere liberi. Prima o poi i soldati se ne ritorneranno a casa, e allora non sappiamo cosa ci accadrà.

 
Di Fabrizio (del 29/05/2007 @ 10:04:16, in casa, visitato 4100 volte)

La sottoscritta Paola Cecchi del C.N.J. (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia) e dell’ass. A.I.Z.O. rom e sinti  sottopone alla vostra attenzione la situazione di 5 famiglie che si trovano attualmente a vivere in modo precario in Viale XI Agosto nel cosiddetto “CAMPO NOMADI OLMATELLO”, va subito messo in evidenza che nessun “nomade” vive in questo luogo, ma vivono tutti cittadini Jugoslavi, la maggior parte sono originari della regione del Kosovo-Metohija, la situazione nel campo è molto disagiata e le strutture dove sono alloggiate le persone sono  roulottes alcune in pessime condizioni, attraverso una cooperativa interna il campo viene pulito regolarmente, molte delle persone che vivono nel campo sono di etnia rom, i servizi come negozi, autobus, ecc. sono molto distanti. Molte persone che prima vivevano nel campo hanno avuto accoglienza come profughi in normali abitazioni o nel corso degli anni hanno raggiunto i punti per poter avere un  alloggio  popolare e sappiamo che di qui a breve diverse famiglie troveranno una collocazione ed il campo dovrebbe essere chiuso, ma alcune nuclei “storici” sono ritenuti dal quartiere 5 “non autorizzati” a stare nel campo e viene loro intimato di lasciare, in breve, la precaria sistemazione dove vivono.
Si parla di 5 nuclei: la famiglia Ibrahimi con due figlie piccole, la famiglia Bejzak con tre piccoli (Edison ha 3 mesi)! La famiglia di Mustafa R. con due figli piccoli e la giovane moglie è incinta ed altri due fratelli di Mustafa R. con relative mogli e figli, quasi tutti i genitori sono nati in Italia o sono arrivati da anni, i minori in totale sono 14 e sono tutti nati a Firenze e stanno frequentando le scuole del quartiere, sappiamo che sono famiglie che non sono certo in grado di sopportare le spese proibitive di un affitto. 
Com’è noto in Kosovo circa 300.000 persone di tutte le etnie, ma nella stragrande maggioranza serbi e rom sono stati  scacciati dalla loro terra nel 1999 e sono stati costretti a diventare profughi! 
Non scacciamo persone che vivono da anni in baracche ! Cerchiamo insieme una sistemazione dignitosa per queste persone e per questi piccoli.
In attesa di vostre comunicazioni vi invio cordiali saluti

dott. Paola Cecchi


 
50144 Firenze
e-mail:  ristori @tin.it

Destinatari:

Spett. sindaco Leonardo Domenici, comune di Firenze
All’ass. Lucia De Siervo comune di Firenze
Al pres. Eros Croccolini comune di Firenze
Al cons. Pab Diaw PRC comune di Firenze
Alla pres. IV commissione Susanna Agostini comune di Firenze
Al cons. Jacopo Borsi PRC quartiere 5 Firenze 
Al cons Sandro Targetti PRC capogruppo provincia di Firenze
Al cons. Aldo Manetti PRC regione Toscana
Al cons. Mario Lupi Verdi Regione Toscana
Ad Andrea Martocchia - Coord. Naz. per la Jugoslavia
Alla pres. A.I.Z.O. Carla Osella - Torino

Firenze 25 maggio 2007
 
Di Fabrizio (del 28/05/2007 @ 09:54:52, in casa, visitato 2702 volte)
ITALIA. Per le città, un nuovo patto sociale - di solidarietà!!!

Se è vero che sicurezza e legalità non sono né di destra né di sinistra, va detto con chiarezza che anche il razzismo non è né di destra né di sinistra: è razzismo e basta, e l’apartheid è apartheid ovunque, anche nella nostra società democratica. Documento ARCI Toscana, COSPE e Fondazione Michelucci sui "patti di sicurezza" - a cura di pfls

venerdì 25 maggio 2007.
[...] Le nostre città non hanno bisogno di patti che interpretino la sicurezza esclusivamente in chiave di controllo e di criminalizzazione. La sfida da accettare è piuttosto quella di mettere in campo politiche urbane, abitative, sociali, culturali in grado di assicurare solidarietà, partecipazione e diritti, con procedure democratiche adeguate alla diversità delle popolazioni che vi sono presenti [...]
Per le città chiediamo un patto di solidarietà

Nel momento in cui vengono proposti "patti per la sicurezza" tra governo e amministrazioni comunali, presentati come rimedio al degrado delle città, chiediamo agli amministratori delle nostre città di non abdicare al loro ruolo di governo del territorio, di non rinunciare alle politiche inclusive e solidali che con fatica sono state costruite in collaborazione con tante associazioni, di continuare a perseguire una coesione sociale non fondata sull’esclusione delle figure più deboli e stigmatizzate.

Le nostre città non hanno bisogno di patti che interpretino la sicurezza esclusivamente in chiave di controllo e di criminalizzazione. La sfida da accettare è piuttosto quella di mettere in campo politiche urbane, abitative, sociali, culturali in grado di assicurare solidarietà, partecipazione e diritti, con procedure democratiche adeguate alla diversità delle popolazioni che vi sono presenti.

E’ preoccupante la piatta adesione di organi di stampa e forze politiche del campo della sinistra alla campagna su ordine e sicurezza, è preoccupante la volontà di contendere alla destra il primato dell’intransigenza verso i capri espiatori di turno.

E’ preoccupante che si rinunci a contrastare con la forza di proposte e di politiche inclusive i proclami xenofobi e razzisti della destra che tenta di capitalizzare l’indubbia presenza di una fascia di cittadini ed elettori sensibili ai timori per la presenza di stranieri sul territorio.

E’ l’effetto perverso delle recenti elezioni francesi che ha persuaso autorevoli rappresentanti di forze politiche e intellettuali di riferimento che si possa interpretare meglio - o solo più facilmente - l’inquieta società contemporanea assecondandone le ansie e le paure (del futuro precario, del lavoro che manca, delle protezioni sociali che diminuiscono, e forse anche dell’immigrazione) piuttosto che affrontandone le cause, più complesse e difficili da risolvere.

Il prezzo da pagare a questo nuovo realismo politico, incardinato sulla "tolleranza zero", è la cancellazione di 15 anni di impegno, di vertenze, di politiche per la convivenza, di faticosi percorsi di inclusione di ormai milioni di immigrati, per uno sviluppo democratico e interculturale della società italiana.

Il primo frutto velenoso di questa campagna sono i "patti per la sicurezza" che il Ministero dell’Interno sta stipulando con alcune grandi città italiane, in primis Roma e Milano. Infatti, tra le misure previste da questi patti, oltre a consueti strumenti di lotta al crimine come l’aumento dell’organico di polizia, figurano la delega ai prefetti per la localizzazione dei campi nomadi, e nientemeno che la delocalizzazione dei quartieri "etnici".

Cosa c’entrino i cinesi di via Paolo Sarpi a Milano, o di via Pistoiese a Prato o dell’Esquilino a Roma, con la lotta alla criminalità nessuno lo ha spiegato; e in quale misura l’allontanamento dei campi nomadi dalle città verso improbabili campagne possa favorire l’inclusione dei Rom (o, se si vuole, il loro "rispetto delle regole"), anche questo nessuno si azzarda a motivarlo.

Se è vero che sicurezza e legalità non sono né di destra né di sinistra, va detto con chiarezza che anche il razzismo non è né di destra né di sinistra: è razzismo e basta, e l’apartheid è apartheid ovunque, anche nella nostra società democratica.

L’accreditamento di un nesso tra domanda di sicurezza e immigrazione, supportato dall’utilizzo di una (presunta) scientificità di dati sulla devianza degli immigrati, è giocato sull’effetto-annuncio piuttosto che su una attenta analisi delle cifre. Nessuno dei suoi propugnatori ha mai chiarito in cosa effettivamente consiste questo "bisogno di sicurezza" e in che cosa questo trovi motivazioni nell’immigrazione: piuttosto questa campagna ha utilizzato in maniera enfatizzata alcuni piccoli o grandi episodi di cronaca, questioni differenti e spesso indipendenti tra loro, artificiosamente e forzosamente collegate, in un rapporto tra cause ed effetti che risponde non alla realtà ma ad una sua rappresentazione drammatizzata a fini politici e propagandistici.

Le città sono oggi la frontiera sulla quale si scaricano gli effetti dell’economia globalizzata, che le politiche degli stati non riescono efficacemente a intercettare e regolare. Sono lo spazio vissuto nel quale si rappresentano le contraddizioni che una volta dividevano il mondo ricco da quello povero, e che nelle grandi aree urbane devono trovare una forma di governo non autoritaria e non escludente. Le città sono cerniere tra economia e società, tra culture e provenienze differenti; sono luoghi di incontro e di scontro. La costruzione dei modelli di convivenza non può avvenire al prezzo della condanna a un destino di emarginazione per individui e comunità che vi hanno radicato le loro speranze.

Arci Toscana

Cospe

Fondazione Michelucci

 

Ricevo da Tommaso Vitale

Il 23 Maggio 2007, l’ERRC (Centro Europeo per i Diritti dei Rom) e OsservAzione – centro di ricerca azione contro la discriminazione di rom e sinti hanno inviato una lettera alle più alte autorità italiane, sollecitando un’azione urgente per rescindere i “Patti per la Sicurezza” recentemente firmati a Roma e Milano, che prevedono l’allontanamento forzato di più di 10.000 Rom. La lettera, inviata al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro degli Interni e all’ufficio italiano anti-discriminazione (UNAR) richiede alle autorità italiane di rispettare gli obblighi dettati dalla legislazione internazionale e di adottare politiche e programmi abitativi che evitino l’ulteriore segregazione di Rom e Sinti e offrano soluzioni abitative reali ed adeguate a Rom e Sinti che attualmente vivono in insediamenti precari in Italia. Nella loro lettera, inviata in copia alle competenti agenzie europee ed internazionali, ERRC ed OsservAzione hanno ricordato la decisione del Comitato Europeo per i Diritti Sociali del dicembre 2005, che ha riscontrato nei riguardi di Rom e Sinti la violazione da parte dell’Italia delle garanzie del diritto all’abitazione contenute nella Carta Sociale Europea Revisionata. Il testo completo della lettera QUI in  formato .pdf.


A coloro che desiderino esprimere simili preoccupazioni, si consiglia vivamente di contattare:

 
Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana
Palazzo del Quirinale, Piazza del Quirinale
00187 Roma, Italia
Fax +39 06 46993125

Romano Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Palazzo Chigi, Piazza Colonna 370
00187 Roma, Italia
Fax: +39 06 6779 5342/5326

Giuliano Amato, Ministro degli Interni
Ministero degli Interni, Palazzo Viminale
00187 Roma, Italia
Fax: +39 06 46549815
 
Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR)
Dipartimento Diritti e Pari Opportunità
Largo Chigi 19
00187 Roma, Italia
Fax: +39.06 67792272
 
Vuk Jeremić
Ministro degli Esteri della Repubblica Serba
Presidente di turno del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa
24-26 Kneza Milosa St., 11000 Belgrado, Serbia
Fax +381 11 3618 366
 
Hans-Gert Pöttering
Presidente del Parlamento Europeo
Parlamento Europeo
Rue Wiertz, PHS 11B011, 1047 Bruxelles, Belgio
Fax: +32 2 28 49769
 
Polonca Koncar
Presidente del Comitato Europeo per i Diritti Sociali
Segreteria della Carta Sociale Europea, Direttorato dei Diritti Umani
Counsiglio d’Europa, 67075 Strasburgo Cedex, Francia
Fax: +33 3 88 41 3700
 
Miloon Kothari
Referente Particolare delle Nazioni Unite per un’Abitazione Adeguata
Ufficio delle Nazioni Unite
Alto Commissariato per i Diritti Umani
UNOG-OHCHR, 1211 Ginevra 10, Svizzera
Fax: +41 22 917 9006
 
Thomas Hammarberg
Commissariato per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa
Ufficio del Commissariato per i Diritti Umani
Consiglio d’Europa
67075 Strasburgo Cedex, Francia
Fax: +33 3 90 21 50 53

Helene Flautre
Presidente del Comitato del Parlamento Europeo per i Diritti Umani
Bureau d'Hélène Flautre al Parlamento Europeo
8G130, 60 rue Wiertz
1049, Bruxelles, Belgio
Fax: +32 2 28 49 364
 
Jan Andersson
Presidente del Comitato del Parlamento Europeo per il Lavoro e gli Affari Sociali
Ufficio di Jan Andersson al Parlamento Europeo
14G306, 60 Rue Wiertz
1047 Bruxelles, Belgio
Fax: +32 2 28 49554
 
OsservAzione è un'associazione di promozione sociale (ONLUS) impegnata nella lotta contro l'anti-ziganismo e le violazioni dei diritti umani e per la promozione dei diritti di rom e sinti in Italia

Il Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC) ha sede a Budapest ed è un’organizzazione impegnata nella tutela dei diritti umani dei Rom in Europa
www.errc.org

per contatti: Nando Sigona +447913440315 / info@osservazione.org

 
Di Fabrizio (del 02/04/2007 @ 09:55:45, in casa, visitato 1875 volte)

Da Roma_Francais

Alcune famiglie Manouches da qualche anno vivono su di un terreno di loro proprietà a Bessancourt. Infatti, hanno comperato dei lotti sui quali hanno installato i caravan. E' un modo di vita che hanno scelto, nessuno li obbliga, è un loro diritto. Non chiedono privilegi. Non sono alla mercè delle istituzioni caritatevoli, che siano cristiane, musulmane, laiche, atee, governative...

NO, guadagnano la loro vita col sudore della fronte, come molti dei loro compatrioti, Cosa chiedono? È tanto normale che si hanno difficoltà ad immaginare che debbano passare per la giustizia!

  1. LUCE

  2. RACCOLTA DELL'IMMONDIZIA

  3. UN AUTOBUS CHE ARRIVI SINO A LI'

A chi verrebbe l'idea che queste tre cose, basiche e fondamentali, siano rifiutate a dei cittadini sul territorio della Repubblica francese? E' quindi un caso a Bessancourt. Col pretesto che il terreno di cui sono proprietari si situa in una zona "verde", questi servizi basici vengono rifiutati. Tuttavia, su questa famosa "zona verde", sono le stesse persone che, una volta acquistati i terreni, li hanno sgomberati da alcune tonnellate di rifiuti accumulati da moltissimo tempo. Così, oggi quello spazio è cambiato, poiché i proprietari lo mantengono molto accuratamente. E' altrettanto vero che dall'altra parte del sentiero che borda i terreni sono sepolti, dagli enti pubblici locali (ecologi? ) rifiuti che debordano dappertutto. Capite così chi è l'ecologista in quest'affare.

Quindi, cosa per lo meno stupefacente, questi Sinté hanno vicini che, loro, non hanno gli stessi problemi, mentre si trovano sullo stesso "bordo verde". "Tanto meglio per i nostri vicini", dicono i nostri cugini sinti; il problema non è che loro abbiano l'elettricità, o il diritto di costruire piccoli chalets (conformemente alla legge, non superano i 20 m²), ciò è normale, il problema è che noi, non abbiamo questi stessi diritti, mentre siamo nella stessa situazione.

Parteggiamo perfettamente con questo punto di vista. Di conseguenza, le associazioni "La voix des Rroms", "Femmes rroms, sinté et kalé", "Samudaripen", assieme al Centro AVER di ricerca e d'azione contro tutte le forme di razzismo, hanno sostenuto la loro azione. [...] I rappresentanti delle famiglie coinvolte hanno depositato un reclamo contro ignoti per discriminazione dinanzi al tribunale di Pontoise. Sfortunatamente, non è il solo caso di discriminazione che i Rroms, Sinté e Kalé subiscono in Francia, paese, tra l'altro, dell'uguaglianza. E' triste che nel paese dell'uguaglianza, si debba investire il giudice per essere considerato uguale al proprio simile. Speriamo che ciò risolva i problemi dei nostri amici di Bessancourt, ed anche, serva più globalmente a diminuire le discriminazioni, che siano dirette o indirette, nei confronti del nostro popolo. Perché, ricordiamo, non ha mai impedito nessuno fra noi ad essere così francesi, anche quando ciò ha implicato prendere la macchia durante la Resistenza.

Source: http://lesrroms.blogg.org

 
Di Fabrizio (del 21/03/2007 @ 09:45:29, in casa, visitato 1563 volte)

Da Roma_Rights

COMUNICATO STAMPA

[...] Il Segretariato Internazionale dell'Organizzazione Mondiale Contro la Tortura (OMCT) ha stato informato da Greek Helsinki Monitor (GHM), partner del network, sulla continua discriminazione contro i Rom in Grecia, la seria violazione dei loro diritti economici, sociali e culturali e sulle recenti dichiarazioni anti-rom del vice Pubblico Ministero della Corte Suprema. La recente visita del Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa conferma ancora una volta i fatti riguardanti gli sgomberi illegali dei Rom dalle loro case. OMCT e GHM chiedono alla Grecia l'adozione immediata da parte della Grecia delle raccomandazioni del Commissario per i Diritti Umani.

Dichiarazioni anti-rom del vice Pubblico Ministero della Corte Suprema

Athanassios Kanellopoulos in un'intervista ad un settimanale del 2 febbraio 2007 si è così espresso sullo sgombero dei Rom dalle loro case a Patrasso: "Secondo me, Patrasso non dev'essere condannata per risolvere tutti questi problemi. Patrasso non deve diventare una città zingara".

Come riportato precedentemente da OMCT e GHM, Patrasso è stata lo scenario dello sgombero forzato di numerose famiglie rom senza fornire loro un alloggio alternativo, come previsto dalle leggi greche ed internazionali. Athanassios Kanellopoulos al tempo degli sgomberi era a capo della Sezione d'Appello di Patrasso e nell'intervista tenta di giustificare gli sgomberi illegali del 2006.

Inoltre, GHM riporta che Kanellopoulos in precedenza aveva affermato che i Rom non avevano diritto alla casa ed in flagrante trasgressione dei principi di presunzione d'innocenza e del segreto giudiziario, aveva annunciato alla stampa locale che GHM incitava i Rom coinvolti nel commettere illegalità e che queste attività sarebbero state giudicate dall'autorità.

OMCT e GHM esprimono la loro profonda preoccupazione per queste dichiarazioni, incompatibili con i requisiti etici di imparzialità e anti-discriminazioni che sono richiesti ad un alto esponente dell'apparato giudiziario. [...]

La discriminazione contro i Rom in Grecia

Nei precedenti comunicati OMCT e GHM hanno richiesto la fine della discriminazione contro i Rom in Grecia, che oltre ai numerosi sgomberi illegali, riguarda le condizioni inaccettabili di vita, l'accesso all'istruzione spesso impossibile, dato che i Greci rifiutano di avere bambini rom nelle loro stesse aule. Per questo, le autorità spesso hanno fatto costruire aule speciali per classi differenziali di soli bambini rom. OMCT e GHM hanno ripetutamente richiesto la piena adozione delle norme europee ed internazionali anti-discriminazione come pure l'applicazione della legge greca contro le discriminazioni.

Il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa si esprime contro la discriminazione

La situazione dei Rom a Patrasso è stata il soggetto di una lettera del 1 dicembre 2006 di Thomas Hammarberg, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, indirizzata ai Ministri dell'Interno, dell'Amministrazione Pubblica e del Decentramento, a seguito della sua recente visita in Grecia. Nella lettera, tra l'altro, dice che la sua...

"... breve visita a Patrasso,  suggerisce che ci sono problemi residui. Ho visto famiglie rom vivere in condizioni miserabili. Non solo, ho incontrato famiglie le cui povere dimore erano state abbattute la mattina stessa. E' ovvio che le -procedure- che avevano fatto di loro dei senza-casa sono in totale contraddizione con gli standards dei diritti umani di cui riferivo in precedenza. Sono stato anche contrariato dal vedere gente non-Rom che durante la mia visita si comportavano in maniera aggressiva e disturbando le mie interviste alle famiglie rom. Mi aspettavo che la polizia intervenisse in nostra protezione ma ho avuto l'impressione che le stesse autorità non prendessero una chiara posizione contro la xenofobia e le tendenze anti-zigane."

Informa anche che "Inoltre sembra esserci una necessità di ulteriore lavoro per contenere le tendenze xenofobe e razziste che ostacolano seriamente l'inclusione sociale dei Rom."

 
Di Fabrizio (del 08/03/2007 @ 10:50:30, in casa, visitato 1550 volte)

Da L'Espresso online

POLEMICHE E PRESE DI POSIZIONE. CASO MICRO-AREE
Efrem De Barre portavoce dei Sinti lancia un appello
«Vogliamo scegliere in quale zona e con chi andarci»
‘Fateci parlare con i nostri nuovi vicini’
Alessia Pedrielli
«Basta con questa diffidenza, incontriamoci e chiariremo tutto»


«Dateci risposte e fateci parlare con la gente. La situazione si sta aggravando e diventa intollerabile. Cos’ha intenzione di fare il Comune? Di estrarre a sorte la destinazione? E perchè non ci fa incontrare i cittadini? E’ urgente, dobbiamo poter dare risposte ai cittadini preoccupati». Ribadiscono la loro posizione i Sinti attraverso la voce di Efrem de Barre, riferimento per la comunità.
«La situazione è insostenibile - spiega - non c’è giorno senza accuse e dimostrazioni di intolleranza nei nostri confronti e questo nuoce molto ai nostri ragazzi che stanno cercando di cambiare vita. Vogliamo partecipare agli incontri pubblici dell’amministrazione: non possiamo sentirci accusare così senza poter rispondere. E vogliamo essere consultati per i criteri di assegnazione delle aree. Siamo una comunità organizzata fatta di persone, non di numeri. Una divisione casuale delle famiglie sarebbe del tutto nociva». La comunità Sinti è in subbuglio: le reazioni di protesta dei cittadini preoccupano e i criteri che l’amministrazione adotterà per assegnare i posti in microarea non sono ancora chiari. Gli incaricati dell’Ufficio Stranieri, che da sempre seguono il campo di via Bacelliera, interrogati ieri mattina, mentre erano di passaggio al campo, dalle famiglie sinti non hanno dato alcuna risposta in merito: «Abbiamo chiesto di sapere quali sono le ipotesi per la divisione delle famiglie - racconta Efrem De Barre - ci hanno liquidato in due parole dicendo che farà tutto il Comune. Ma noi siamo una comunità organizzata, con abitudini di vita e legami familiari e di amicizia. Dobbiamo autodeterminarci nella scelta delle famiglie, altrimenti il progetto non ha alcun senso». All’interno della comunità esistono, infatti, compiti assegnati, come ad esempio quello di accompagnare i bambini a scuola, e legami di amicizia che spesso rendono i gruppi interdipendenti tra loro, specialmente nel tentativo di integrarsi e dare un futuro ai giovani sinti. Il timore diffuso è che le microaree rompano questo sistema a danno degli sforzi compiuti fino ad oggi: «Esistono modi di vita diversi all’interno del campo: ad esempio le famiglie che mandano i bambini a scuola e quelle che non lo fanno - spiega ancora Efrem De Barre - se venissero mescolati due modi di vita tanto diversi cosa accadrebbe? Che le conquiste di integrazione fatte fin’ora andrebbero perse. Che i nostri figli, magari divisi dagli amici di sempre si troverebbero in difficoltà, che faticheremmo per organizzare il loro trasporto a scuola. Abbiamo bisogno di essere ascoltati e di autodetrminarci nella divisione». E lancia una proposta concreta la comunità: due rappresentanti responsabili per ogni microarea con incontri mensili con la popolazione del quartiere per risolvere eventuali problemi e trovare il modo di convivere: «Vogliamo abbattere i pregiudizi - continua De Barre - siamo certi che questo sia il momento ed il modo giusto. Prendiamo le nostre responsabilità per la gestione delle microaree e vogliamo un supporto da parte del Comune per poter parlare con la gente. Potremmo confrontarci in incontri periodici su qualsiasi problema nasca attraverso due responsabili incaricati. E possiamo garantire fin da ora che non accadrà niente di brutto ai nostri”vicini di casa”. Confrontiamoci,

(06 marzo 2007)

sull'argomento, Rom Sinti e Politica

 
Di Fabrizio (del 03/03/2007 @ 10:34:26, in casa, visitato 1681 volte)

Da British_Roma

DAVID POWLES - 27 February 2007 09:02

Quanti vivono in siti funzionanti per Nomadi e Viaggianti hanno richiesto più posti come i loro per fare fronte all'afflusso previsto nel corso dei cinque anni successivi.

Un rapporto di settimana scorsa ha rivelato che circa 100 posti ulteriori saranno necessari a Norfolk entro il 2011 perché le previsioni potrebbero portare alla formazione di siti illegali.

Per anni le famiglie viaggianti hanno vissuto nello squallore nel sito di Roundwell Park a Costessey.. D'altra parte, negli ultimi cinque anni il sito è stato trasformato.

Gloria Buckley, che controlla con suo marito Trevor, dice: "Quando arrivammo qui era come una zona di guerra. Era una brutta storia che durava da 20 anni e i cittadini non ci volevano. Le carovane sembravano porcilaie e c'era immondizia ovunque, ma pensavamo che potesse migliorare. Siamo arrivati qui cinque anni fa e abbiamo stabilito delle regole e detto alle persone che dovevano rispettarsi, loro ed i vicini. E' stata una lotta ma ha funzionato ed ora la gente che vive qua è orgogliosa del sito."

I Viaggianti pagano l'affitto, come anche le bollette. Quando la coppia arrivò, ogni blocco aveva i servizi di base, nessuna cucina e collegamento agli scarichi. Sono state spese £800.000 per riammodernare ogni blocco, tre quarti dei quali arrivarono dal Governo centrale ed il resto dal Consiglio Distrettuale di Norfolk.

Ognuno ha una spaziosa cucina, giardino e steccato, il sito ha un centro comunitario, che include una sala riunione ed un club pre-scolastico.

Dice Mrs Buckley: "Per anni la comunità viaggiante non ha ricevuto aiuti, quindi è tempo che la nostra comunità provveda in qualche modo. [...]"

Louie Gallagher, 55 anni, uno dei circa 40 residenti, dice: "Da quando sono arrivato tre anni fa non abbiamo avuto problemi. Vado all'ufficio postale e nei negozi ed ognuno è molto amichevole."

Glynis Gallacher, che vive nel sito con suo marito Bernard, dice: "C'è stato un massivo miglioramento del sito. Ci hanno dato la possibilità di stabilizzarci nella comunità, mandare i nostri bambini a scuola e far parte della vita pubblica di qui."

L'Assemblea Regionale dell'Inghilterra dell'Est stima che siano necessari altri 94 posti ed ha lanciato una consultazione pubblica.

[...]

 
Di Fabrizio (del 26/02/2007 @ 09:43:59, in casa, visitato 2881 volte)

Ustiben report
DALE FARM DI FRONTE ALLA DECISIONE FINALE

By
Grattan Puxon

Il Governo UK rigetta l'appello finale dei residenti di Dale Farm e spiana la strada per l'abbattimento della quinquennale e più estesa comunità di Nomadi e Viaggianti della Gran Bretagna.

Durante lo scorso inverno un centinaio di famiglie hanno atteso con ansia il responso del Ministro per le Comunità Ruth Kelly - mentre montavano le proteste anti-zigane guidate dal deputato John Baron.

Queste dimostrazioni, nelle quali i sostenitori del neo-fascista National Party hanno avuto un ruolo preponderante, hanno avuto il risultato di aumentare gli attacchi razzisti ai Viaggianti, bambini inclusi.

Attualmente non si registrano tentativi di sgombero, nell'attesa del giudizio della magistratura sulla decisione finanziata con cinque milioni di euro dal consiglio comunale di Basildon per radere al suolo Dale Farm. Questo è previsto non prima di luglio.

Giudizio a parte, Basildon intende avvalersi dei servizi della Constant & Co., la compagnia privata specializzata negli sgomberi di Zingari.

Nei mesi scorsi è stata impegnata nella distruzione di varie piccole proprietà di Zingari nel distretto di Basildon.

Queste attività, assieme alle spese legali, sono costate circa un milione di euro [...]

Nel rigettare il diritto dei Viaggianti a risiedere nelle proprie aree di proprietà, Ruth Kelly nel contempo ha sottolineato che gli sgomberati saranno forzati a vivere per strada.

 
Di Fabrizio (del 14/02/2007 @ 10:16:15, in casa, visitato 1734 volte)

Viaggio tra le roulotte e le case-mobili abitate da più di trecento zingari

I nomadi di via Gramsci: «Siamo con Delrio»
Michela Scacchioli - L'Espresso - Gazzetta di Reggio
«Questo campo è invivibile, siamo in troppi, sì alle micro-aree nei quartieri»

«Il sindaco vuole smantellare il nostro campo nomadi, toglierci da via Gramsci e ricollocarci un po’ qua un po’ là nei vari quartieri della città? Ben venga, siamo con lui: qui sembra Auschwitz, manca solo il forno crematorio».
Trecento sinti - poco meno della metà sono bambini - risultano raggruppati in trenta-quaranta famiglie. Tante, troppe per i 3mila metri quadrati a forma di lungo rettangolo che le ospita dal 1987, quando però le famiglie erano una decina e su quell’area ci stavano larghe: con gli anni sono nati i figli, e a seguire sono arrivati i figli dei figli. Tutti sono rimasti lì. Un mix di roulotte mezzo fatiscenti e di «case mobili» rigorosamente bianche sono collegate a rete idrica ed elettrica: «Acqua e luce - dicono - sono le uniche cose di cui non ci possiamo lamentare. Qui siamo stipati come topi. Anzi: anche i topi scappano da qui». E’ domenica mattina nel campo nomadi di via Gramsci numero 132 («Questo indirizzo è un marchio - lamenteranno poco dopo i suoi abitanti - che ti condanna di fronte a tutta la città. Quando scoprono che viviamo qui, e che quindi siamo zingari, i reggiani ci tolgono lavoro e saluto. Ma anche noi siamo reggiani, i nostri genitori sono nati in questa provincia, e noi siamo qui da sempre. Abbiamo fatto il militare e votiamo alle elezioni»).
Il sole e il cielo azzurro mitigano - per quanto è possibile - le brutture di quello che, a tutti gli effetti, è un ghetto, asfaltato ma deturpato ovunque da buche grandi come crateri. I cattivi odori sono quelli che esalano dall’unica vera casa in cemento che svetta su tre piani al centro del campo: è inagibile anche se i più giovani ci salgono di nascosto. Al piano terra c’è il wc: «I nostri bambini giocano qui», raccontano due capi-famiglia, Nello Esposti, 54 anni, e Giuseppe De Barra, 56, mentre mostrano lo scenario desolante e grigio di una toilette - una per tutti - che reca sui muri le testimonianze scritte di quattro generazioni: nomi e date, date e nomi intrecciati a colori gli uni sulle altre. «Siamo in troppi, non riusciamo a tenere pulito», risponde De Barra quando gli si fa notare che, forse, se vivono così la colpa è anche un po’ la loro. «Se ognuno di noi potesse essere responsabile di un pezzetto di terra proprio, allora sarebbe diverso». Ma il fermento in via Gramsci comincia a farsi sentire attorno a mezzogiorno: Delrio vuol chiudere il campo e istituire i patti di legalità coi sinti. Gli uomini, tutti parenti tra loro, si radunano al centro del campo e discutono.
«Siamo favorevoli alle micro-aree - spiegano mentre le donne stanno in disparte - a patto che i nuovi luoghi individuati dall’amministrazione siano quelli in maniera definitiva. Non siamo pacchi». E poi: «Dividerci nei vari quartieri a noi va benissimo. Sapremo farci apprezzare da chi vive già nella zona di insediamento. Se poi ci dessero anche una piccola casa con un bagno decente, sarebbe ancora meglio». Nessun timore, dunque, di perdere il connotato tipico di chi è nomade: «Una volta andavamo in giro per fiere - sottolineano -. Oggi non ci spostiamo più come un tempo. Di fatto siamo già stanziali. Ci interessa non perdere la cultura che sta alla base della nostra razza e del nostro essere sinti: ad esempio il rispetto per la famiglia. Noi non porteremo mai i nostri anziani in una casa di riposo».
Dal coro, però, c’è una voce più giovane che si leva: «Non parliamo solo di casa, qua il problema è il lavoro. Io non voglio andare a rubare per mangiare, ma qualcuno dovrà pur aiutarci a non essere discriminati quando cerchiamo un impiego». Da qui l’appello al governo locale: «Abbiamo imparato a considerare il carcere come un ufficio di collocamento. Un detenuto in libertà è agevolato nella ricerca di un lavoro. Noi no».

(12 febbraio 2007)

 

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