Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 30/08/2008 @ 17:29:42, in casa, visitato 2436 volte)
Da
Roma_Francais
Fine della più grande baraccopoli di Francia
ALLOGGIO. Lo stato evacua il campo rom di
Saint-Ouen (Seine-Saint- Denis).
Solamente 24 famiglie coinvolte nel progetto di inserimento
Seduti al sole, gli uomini continuano a giocare a carte. Tuttavia, da qui a
qualche giorno, la più grande baraccopoli di Francia non sarà che mucchio di
rovine e di rifiuti. Da due anni, circa 650 Rom occupano questo terreno situato
a Saint-Ouen, Seine-Saint- Denis, nel quartiere dei magazzini in piena
riorganizzazione. La città di Parigi, proprietaria del terreno, e quella di Saint-Ouen
hanno firmato un accordo per costruirvi alloggi sociali. Indesiderabili, i Rom
sono dunque pregati di andare altrove. Ventiquattro famiglie sono state
selezionate dalla DDASS per integrarsi in un "villaggio d'inserimento". Gli
altri sono invitati a lasciare la Francia.
Delle 633 persone occupanti il più grande terreno libero di Francia, un
centinaio sono già partiti per la Romania, giovedì scorso, con un viaggio
offerto dall'ANAEM (Agenzia nazionale di accoglienza degli stranieri e dei
migranti), che ha retribuito questi "ritorni volontari" con 300 euro per adulto.
Domani, una seconda partenza dovrebbe contare nuovamente un centinaio di Rom.
Quanti rifiutano questi ritorni riceveranno un'ingiunzione a lasciare il
territorio francese (OQTF). Quanto alle voci di un'espulsione dal campo condotta
dalle forze di polizia e prevista domani, Paul Planque, primo assistente del
sindaco di Saint-Ouen, rassicura "Non siamo assolutamente in una fase
d'espulsione".
Accaldate, molte famiglie hanno già lasciato la baraccopoli per altri
terreni. A fianco delle baracche di fortuna in lamiera, il vecchio immobile
dell'EDF è già praticamente deserto. Al primo piano, la famiglia Covaciu si fa
discreta. I genitori ed i loro quattro figli sono tra i fortunati che
usufruiranno del "villaggio d'inserimento". Situato in rue de Clichy, sempre
nella zona dei docks, questo terreno accoglierà prima di tutto roulottes
attrezzate e poi, entro otto mesi, 25 case mobili. "Quando ho appreso la buona
notizia, ho pianto dalla gioia, - racconta la madre Violeta. - E' veramente bene
per i miei figli". I bambini saranno scolarizzati ed i genitori accompagnati
verso mestieri autorizzati. La madre vorrebbe fare lavori di casa, il padre,
lavorare nella ristorazione. Sinora la famiglia ha vissuto della vendita di
ferraglia e di mendicità.
All'interno della baraccopoli, le selezioni suscitano gelosie e
incomprensioni. "Perché loro e non noi?", tuona un giovane la cui famiglia non è
stata selezionata. La sua sorellina, Bianca, 8 anni, e secondo tutti, una
scolara modello. "Non ha mai saltato un giorno di scuola," sottolinea Coralie
Guillot, dell'associazione Parada, che si inquieta per il percorso scolare della
bambina: "Bianca avrebbe dovuto rientrare in CE1 tra qualche giorno, la sua
scolarizzazione, ben avviata, può interrompersi." "Sulle 94 famiglie che hanno
depositato una candidatura, solo 24 sono state selezionate secondo diversi
criteri: padronanza della lingua francese, sforzo di scolarizzazione dei figli e
capacità di lavorare in uno dei 62 mestieri aperti ai Rumeni e ai Bulgari dal
gennaio 2007. Sette altre famiglie con problemi sanitari saranno prese in
carico. "Occorre che questo tipo di villaggio d'inserimento resti a misura umana
perché l'inserimento funzioni," sottolinea il sotto prefetto
Olivier Dubaut. All'interno di progetti simili, solo 21 famiglie sono state
selezionate a Saint-Denis, e 18 a Aubervilliers. "E' la soluzione meno peggio,"
sospira Paul Planque che chiede una conferenza regionale. "L'alloggiamento dei
Rom non può essere di sola responsabilità dei comuni. Occorre una visione a
scala regionale, soprattutto quando l'Île-de-France è la regione più ricca
d'Europa."
Marie Barbier
"6.000 Rom nell'emergenza"
Malik Salemkour è vice-presidente della Lega dei diritti dell'uomo e
membro del collettivo Romeurope
Lo sgombero del più grande campo rom segna una svolta?
Si tratta di una nuova tappa della politica dello Stato che accompagna alcune
famiglie e ne espelle altre. Non è una novità, l'abbiamo già visto a Saint-Denis e Aubervilliers.
A Saint-Ouen, le grida d' allarme delle associazioni e delle famiglie finalmente
sono state ascoltate. Solo, sono state scelte appena 24 famiglie su 100. Le
altre sono invitate a lasciare il terreno o il territorio. Ma questi cittadini
europei, che hanno un progetto di vita in Francia, torneranno inevitabilmente ed
in tempi molto brevi.
Qual'è la situazione dei Rom in Francia?
I 6.000 Bulgari e Rumeni che vivono qua sono praticamente tutti
nell'emergenza. Sono i capri espiatori dello Stato. A livello di rispondere
all'uguaglianza dei diritti europei, li si tratta come cittadini di seconda
scelta. Lo Stato è troppo repressivo, non abbastanza nell'esame individuale.
La metà vive a Seine-Saint-Denis. Come si spiega?
Con le sue officine industriali ed i terreni abbandonati, questo dipartimento
accoglie molti mal-alloggiati. Contrariamente ad altri siti, come l'Hauts-de-Seine, l'espulsione
non è immediata. Possono sopravvivere.
Cosa pensa dei villaggi d'inserimento?
E' una soluzione transitoria accettabile per rispondere all'urgenza
dell'indegnità delle baraccopoli e rimettere queste persone nel diritto
all'abitare. Ma non può essere durevole, come le città di transito che sono
durate anni. La loro prima richiesta è d'integrarsi, di accedere ad alloggi di
diritto comune e ad un impiego, di uscire dal regime transitorio della Romania e
della Bulgaria (i rumeni e i bulgari non possono accedere in Francia che a 62
mestieri - NDLR).
Propos recueillis par M. B.
Di Fabrizio (del 27/08/2008 @ 08:50:54, in casa, visitato 1866 volte)
Da
Czech_Roma
Roma Buzz
Aggregator - Sistemazione ed alloggio delle famiglie Rom nella Repubblica
Ceca
Molte famiglie nella Repubblica Ceca continuano a vivere in condizioni sotto
gli standard caratterizzate da infrastrutture e servizi non adeguati,
segregazione, disagi e minacce di espulsioni, che spesso portano a forme di
ghettizzazione. Di solito, le comunità Rom vivono in case che mancano di
fognature, in quartieri ristretti, senza accesso all'acqua potabile, elettricità
o servizi di emergenza. Vivere in condizioni che non sono sanzionate legalmente
lascia la comunità Rom più esposta a sgomberi forzati dallo stato, un problema
riflesso nel numero di reinsediamenti negli ultimi anni. Uno studio recente
commissionato dal Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, portato avanti
dalla compagnia privata GAC, riporta che c'erano 310 località Rom socialmente
escluse e che il 35% di queste erano emerse negli ultimi 10 anni.
La pratica degli sgomberi forzati e dei reinsediamenti delle comunità Rom,
vede le famiglie spostate dalle loro case originarie in altre parti del paese,
risultando così la popolazione più segregata ed isolata, inoltre vengono
esacerbate le loro basse prospettive di impiego. Un esempio di questi
reinsediamenti fu la rilocazione della comunità Rom a Mladá Boleslav, che ha
visto una popolazione di circa 3.000 Rom diminuire a circa 300. Similarmente, il
reinsediamento delle famiglie Romanì dalla città di Vsetín ha visto 50 famiglie
obbligate a lasciare la città perché la loro sistemazione era sotto gli
standard, e la maggior parte delle famiglie aveva affitti troppo alti. La
sistemazione in località periferiche non è riuscita a incontrare nemmeno le
necessità basiche come l'acqua corrente e l'elettricità, portando alla creazione
di nuovi ghetti invece di risolvere i problemi abitativi.
Esistono pratiche discriminatorie anche all'interno della ripartizione delle
condizioni di alloggio, con le famiglie Rom spesso piazzate in sistemazioni
riferite come "appartamenti di infima qualità", o appartamenti "vuoti coi muri",
generalmente riservati a chi ha pagato in ritardo l'affitto. Oltre il 50% degli
appartamenti "vuoti coi muri" sono abitati da Rom, con la percentuale che in
alcune aree sale al 90%. Non c'è trasparenza nel fornire case possedute dai
comuni, ed il criterio è spesso indirettamente discriminatorio, il che significa
che le famiglie Romanì sono spesso incapaci di ottenere un alloggio adeguato.
Uno studio del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali dimostra che il
numero dei Rom in condizioni sotto gli standard sono cresciuti negli ultimi 10
anni, e trovato che non esiste nessun programma globale per combattere la
deprivazione sociale.
Il rapporto 2008 di Amnesty International ha mostrato che i dipartimenti
alloggiativi nella Repubblica Ceca sono prima di tutto interessati agli aspetti
finanziari della vicenda, trascurando grossolanamente il loro dovere e funzione
civica, come una corporazione privata senza responsabilità nel bisogno sociale
nel campo dell'alloggio. Inoltre Amnesty critica l'incapacità dei lavoratori
sociali nell'evitare gli sgomberi forzati di famiglie con bambini, che è
riportata come una pratica estesa nell'odierna Repubblica Ceca. Il Comitato ONU
per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) ha espresso la propria
preoccupazione che le leggi ceche non proibiscano chiaramente la discriminazione
razziale nel diritto alla casa, ed il Comitato per i Diritti Umani ha criticato
la pratica degli sgomberi assieme all'esistenza dei ghetti Rom nella Repubblica
Ceca.
In una dichiarazione congiunta nell'ottobre 2007, riguardo il diritto alla
casa per i Rom nell'Europa, il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio
d'Europa e il Relatore ONU per il diritto alla casa, hanno dichiarato che la
Repubblica Ceca violava il diritto alla casa riguardo le comunità Rom,
criticando i locali uffici pubblici per sostenere l'intolleranza verso i Rom e
sviluppare politiche pubbliche per spostare le famiglie Rom dalle città verso
aree isolate. La dichiarazione indica che negli anni recenti il tasso di
sgomberi forzati di Rom è cresciuto drammaticamente e che la segregazione e la
ghettizzazione nel campo dell'alloggio appare essersi intensificato.
Il tema della ricerca di una sistemazione adeguata non ha significato solo
per il diritto, ma ha anche un sostanziale impatto per sostenere altri diritti e
libertà fondamentali, come il diritto alla privacy, libertà dai trattamenti
degradanti, istruzione, impiego, sanità, libertà di movimento ecc. Il diritto ad
un alloggio adeguato, come pure gli altri diritti, si trovano nei maggiori
strumenti internazionali dei diritti umani, inclusa la Convenzione
Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e la Revisione della
Carta Sociale Europea. Sono pure rilevanti altri trattati ONU, come pure la
Convenzione Europea sui Diritti Umani ed altre legislazioni UE riguardo la
discriminazione.
Ci sono perciò basi chiare per il rafforzamento del diritto alla casa, ed un
bisogno apparente nella comunità Rom ceca di avere protetti e rafforzati questi
diritti. La meta generale del progetto sarà di lavorare verso il riconoscimento
di questi diritti per la popolazione Rom e di vedere miglioramenti nelle
condizioni di vita dei Rom nella Repubblica Ceca. Più specificatamente, il
progetto si focalizzerà sull'accesso e il rafforzamento dei rimedi legali per le
famiglie che sono state oggetto di discriminazione abitativa o di sgombero
forzato. Con la mancanza di aiuto e rappresentazione legale per la comunità Rom,
il progetto si focalizzerà nel fornire rappresentazione legale e assistenza alle
famiglie coinvolte, allo scopo di assicurare conformità agli standard
internazionali di non-discriminazione nella fornitura di alloggi da parte delle
municipalità, come pure nel promuovere la sicurezza del possesso per i gruppi
vulnerabili e i rimedi dovuti per l'accesso a quanti sono penalizzati da
trattamenti simili. Questa azione aiuterà a rafforzare i diritti dei Rom alla
casa e potenzialmente incoraggerà lo sviluppo di politiche pubbliche che
assicurino la conformità agli standard internazionali.
By Elizabeth Sarah Jones - currently on internship at DZENO
Di Fabrizio (del 26/08/2008 @ 13:07:11, in casa, visitato 1641 volte)
Da
La Repubblica Rom: non solo campi nomadi, la storia di Orhan e Jasa
La famiglia Ibraimov è uno dei primi nuclei che ha ottenuto un alloggio
popolare grazie al "progetto rom" del Comune. Un'iniziativa, tra le poche in
Italia, che cerca di integrare i rom affrancandoli dalla logica
dell'assistenzialismo
di Benedetta Pintus
Nell'Italia dell'emergenza sicurezza la parola rom è diventata sinonimo di
criminalità e disprezzo per le regole, ma il calore di una famiglia come quella
di Orhan e Jasa spazza via ogni pregiudizio. Il loro piccolo e accogliente
appartamento di via Navetta è lontano anni luce dallo stereotipo dello
zingaro che vive di furti ed elemosina rifugiandosi in un campo nomadi alla
periferia della città. Quelle quattro mura colorate da soprammobili di
porcellana e innumerevoli mazzi di fiori variopinti sono il simbolo
dell'integrazione e raccontano una storia iniziata in Macedonia e finita a
Parma. Dove i coniugi Ibraimov, dopo una vita di stenti tra accampamenti
abusivi, edifici occupati e roulotte, grazie al "progetto rom" del Comune, sono
riusciti a ottenere un alloggio popolare per potersi finalmente stabilire e
crescere in serenità i propri figli.
Madre e padre sono poco più che trentenni, ma le loro spalle portano il peso di
anni di sacrifici, celati in fondo allo sguardo stanco di Jasa. "Per me –
racconta - arrivare al campo di strada del Cornocchio è stato come entrare in
albergo, perché dopo aver vissuto in mezzo alla strada tutto mi sembrava un
lusso". Anche se all'inizio mancavano l'acqua e il riscaldamento. "C'era freddo
da morire". Ma sempre meglio che dormire in macchina con i bambini piccoli e
affamati in attesa che il padre torni dal lavoro. Mai fatto l'elemosina? "Io
sono un lavoratore – risponde Orhan – non sono venuto qui per mendicare".
Altrimenti sarebbe rimasto in Macedonia, il suo paese d'origine, dove aveva una
casa ma, in quanto rom, era comunque discriminato. "Nel nostro Paese i rom sono
costretti a vivere in case pericolanti, dove intere famiglie dormono in una sola
stanza. Mio padre, pensionato, riceveva dallo stato un contributo di 15 euro al
mese. Quella non è vita". Trovare un impiego per Orhan era diventata un'impresa
impossibile, così nel 1996 ha deciso di emigrare in Italia con Jasa in cerca di
fortuna.
La prima tappa è stata in un campo nomadi di Foggia, dove nel 1998 è nato
Gelo, il loro primo figlio. Anche in Puglia, però, trovare lavoro non è facile,
perciò i due si spostano con il bambino verso nord e finiscono in un
accampamento abusivo in riva a un fiume a Marano di Basilicanova, che presto
viene sgomberato. Da quel momento Orhan e sua moglie cercano rifugio in una
scuola occupata da altri immigrati e poi nell'ex villa Maghenzani, dove vivranno
per tre mesi. Intanto Jasa ha dato alla luce altri due bambini, Leonardo e
Bernando, con cui, infine, nel 2002 arrivano al campo nomadi di Parma. Da qui
gli Ibraimov fanno domanda per l'assegnazione di una casa popolare tramite il
"progetto rom" dei servizi sociali.
Si tratta di un'iniziativa portata avanti dal Comune con l'obiettivo di
affrancare i rom dalla logica dell'assistenzialismo. "Cerchiamo di superare il
concetto di campo nomade", spiega il coordinatore del progetto Vito Verrascina.
"Anche perché negli anni i rom in Italia hanno fatto un percorso che li ha
trasformati da nomadi a stanziali. Solo alcuni si spostano per difficoltà o
problemi legali. In molti casi sono i rom stessi a chiedere di poter andare a
vivere in un appartamento".
Orhan aveva tutti i requisiti per ottenerlo: una famiglia numerosa, un permesso
di soggiorno, la residenza da più di due anni, un lavoro continuativo. Il sogno
di trovare un rifugio stabile si è realizzato nel 2005. "Siamo stati la seconda
famiglia ad andare via dal campo. Ora non torneremmo mai a viverci". Secondo
Jasa la situazione è molto peggiorata rispetto a prima: "Quando ci vivevamo noi
c'erano regole più severe. Per qualsiasi cosa bisognava chiedere il permesso al
Comune. Ora invece chi ci abita fa tutto quello che vuole: si rubano anche le
cose tra loro". Molti rom non vogliono stare in appartamento "perché
preferiscono essere liberi e non avere regole da rispettare. Vogliono fare
feste, grigliate, ascoltare la musica a tutto volume fino a tardi. Il nostro
scopo, invece, da quando siamo arrivati in Italia era quello di trovare una
casa".
Oggi Orhan si sveglia ogni mattina alle sei: lavora da quasi sette anni come
operaio nell'impresa di costruzioni Pizzarotti. Sua moglie Jasa si occupa della
casa e dei bambini, che frequentano la scuola elementare: Gelo ha ormai dieci
anni, Leonardo otto e Bernando sette. La loro è una famiglia come tante, che tra
prezzi in aumento, conti da pagare e visite mediche, cerca di arrivare alla fine
del mese con un solo stipendio. "Per la scuola si spende tanto", si lamenta Jasa.
Ma sorride quando Bernando mostra con orgoglio il suo nuovo zainetto di
Superman. Poi il suo sguardo si fa di nuovo preoccupato. "Ora basta bambini. I
bambini costano", dice ricordando con sofferenza i suoi due aborti, l'ultimo due
anni fa. "Le famiglie numerose – spiega Verrascina - sono frequenti tra i rom.
Spesso i figli vengono usati come strumento per ottenere agevolazioni".
"Molti bambini rom disturbano. Fanno chiasso, chiedono l'elemosina", ammette
Orhan. "Ma non è colpa loro. E' colpa dei genitori", gli fa eco Jasa, che
racconta le difficoltà che ha incontrato dopo il trasloco a causa dei
pregiudizi. "Nessuno ci salutava, c'era molta diffidenza. Parlavano alle nostre
spalle e i bambini non potevano neanche giocare in giardino. Una volta i vicini
si sono lamentati perché c'era qualcuno che suonava continuamente i campanelli e
loro hanno subito accusato ingiustamente i nostri figli". Addirittura una volta
qualcuno ha telefonato l'Acer, l'azienda che gestisce gli alloggi popolari,
dicendo che in casa Ibraimov si nascondevano famiglie di clandestini. A quanto
pare per qualche inquilino del quartiere il solo fatto di avere origini rom è
più che sufficiente per sospettare che dietro la facciata di una famiglia per
bene si nasconda un covo di criminali. "Il problema – dice Orhan – è che basta
il cattivo esempio di uno per gettare cattiva luce su tutti. Ma i rom non sono
tutti uguali".
A poco a poco, però, la situazione è migliorata. Gelo, Leonardo e Bernando
giocano tranquillamente sotto casa con gli altri bambini di via Navetta e
qualche vicino invita anche Orhan e Jasa a prendere un caffè. "Ora - dice lei -
salutano anche i bambini, ma io continuo a non parlare con nessuno. Certa gente
è peggio degli zingari".
(25 agosto 2008)
Di Fabrizio (del 25/08/2008 @ 08:47:21, in casa, visitato 2877 volte)
Da Roma_Francais
BOBIGNY, 22 agosto 2008 (AFP) - Un progetto d'inserimento sociale e professionale è stato proposto a 24 delle 150 famiglie rom del campo di Saint-Ouen (Seine-Saint- Denis), le altre sono state invitate a lasciare la Francia, si è appreso venerdì dal sotto-prefetto del distretto.
"Abbiamo trattenuto 24 famiglie, cioè più di uno centinaio di persone, per rientrare in un progetto d'inserimento sociale e professionale", ha chiarito ad AFP il sotto-prefetto Olivier Dubaut, spiegando che "occorre che questo tipo d'inserzione locale resti a dimensione umana perché l'inserimento funzioni". Altre sette famiglie, "che presentano problemi sanitari", saranno "prese in carico in modo umanitario", ha aggiunto Dubaut. "Le 24 famiglie selezionate dovrebbero potersi installare con le roulottes il 1° settembre su un terreno di Saint-Ouen appartenente alla Rete Ferrata di Francia (RFF), prima di integrare bungalow che saranno situati allo stesso posto", ha precisato. Il sotto-prefetto ha fatto la sua scelta tra le 94 situazioni familiari riportate dagli assistenti sociali incaricati di incontrare le famiglie volontarie. I Rom selezionati sono stati scelti sulla base di diversi criteri: padronanza della lingua francese, sforzo nella scolarizzazione dei bambini, capacità di maneggiare uno dei 62 mestieri aperti ai Rumeni e ai Bulgari dal 1° gennaio 2007. Secondo Dubaut, 663 persone vivono sul più grande terreno di Francia, costituito da un edificio abbandonato e da accampamenti di baracche in legno e lamiere insalubri, senza acqua né elettricità.
Di Fabrizio (del 24/08/2008 @ 09:10:26, in casa, visitato 2893 volte)
caro Fabrizio, ti segnalo questo articolo pubblicato sul Venerdì di
"Repubblica" del 22 agosto: Dopo i mobili, ecco le case da montare.
Potrebbe diventare un sistema interessante non solo per Rom e Sinti stanziali ma
anche per tutti noi!
ciao, Maria Grazia Dicati
Dopo i mobili, ecco le case da montare. Ma comprarle è una lotteria.
di Riccardo Staglianò
Costruite con criteri ecologici e democratiche, si assemblano in un giorno,
hanno tutti i comfort e prezzi competitivi. Nate in Svezia, ma arrivate anche in
Gran Bretagna, sono richiestissime. Tanto che, per acquistarne una, bisogna
partecipare a una riffa
Vivere in una casa Ikea nel senso dei muri, non dei mobili. Dal contenuto
al contenitore è un trasloco anche linguistico. E infatti, entrando in
questi sessantadue metri quadrati inondati di luce con il Baltico che scintilla
in lontananza, non ti senti intrappolato nelle pagine del catalogo
dell’arredamento globalizzato.
La teoria di base è la stessa: bel design a prezzi accessibili. Ma la
prassi è diversa e ognuno di questi Bo Klok (in svedese «vivi con
intelligenza»), i prefabbricati più insospettabili e affascinanti del mondo, fa
storia a sé.
«Solo la cucina e un paio di pezzi sono Ikea» spiega la biondissima Joanna, al
quarto mese di gravidanza, mostrandoci le tre stanze, «tutto il resto l’abbiamo
comprato altrove». «Più bellezza per tutti» è sempre stato il programma
estetico-elettorale del fondatore Ingvar Kamprad. Che nel ‘96 ha deciso di
traslare la sua filosofia nell’edilizia. E, invece di chiedere agli architetti
da che parte cominciare, ha interpellato l’ufficio statistico nazionale. Kamprad
ha scoperto così che nelle grandi città i due terzi delle famiglie (oggi a
Stoccolma sono l’85 per cento) erano formate da una, due, massimo tre persone.
Cosicché le abitazioni in circolazione, ancora concepite per una natalità
subequatoriale, risultavano grandi, inabbordabili, vuote. «Il passo successivo»
spiega Martina Holtz, che lavora nel team dei designer che perfezionano le varie
soluzioni abitative, «era fissare il prezzo giusto. Abbiamo scelto come salario
di riferimento quello di un’infermiera con un figlio a carico. Dai nostri
calcoli l’affitto che può permettersi senza troppi sacrifici è oggi di 550
euro». Ovvero la cifra che un inquilino di una Bo Klok base, cinquanta metri
quadrati, deve pagare per una specie di super-condominio che comprende luce,
acqua e tutto il resto. Oltre ai 50 mila euro iniziali per comprare la proprietà
dell’edificio. Ci sono poi i tagli da 62, 73 e 144 metri, con un tariffario che
cresce di conseguenza. «A ciascuno secondo i propri bisogni, da ciascuno secondo
le proprie capacità»
sembra il sottotesto di un sistema che ricorda più una lezione in
socialdemocrazia scandinava che in urbanismo.
Nei mesi scorsi le casette in legno sono sbarcate anche in Gran Bretagna, un
centinaio di appartamenti sui 3500 assemblati in totale, a Gateshead, vicino
a Newcastle. «Ci espanderemo anche nel resto d’Europa» dice Holtz, «ma abbiamo
bisogno di partner immobiliari locali. Dall’Italia sono arrivate varie offerte,
ma siamo ancora in una fase di perlustrazione».
I Bo Klok non sono prefabbricati che compri e metti dove vuoi...
continua su
Repubblica
CASA & DESIGN
Di Fabrizio (del 12/08/2008 @ 08:54:01, in casa, visitato 1743 volte)
Da
Romano Them
Luglio 2008 - Giesela Kallenbach, membro del Parlamento Europeo, a luglio ha
visitato il Kosovo e riportato notizie "più moderate che incoraggianti." Secondo
lei, la situazione dei Rom che sono tornati a Mitrovica sud è migliorata solo in
parte.
Riporta Kallenbach: "La situazione dei Rom è migliorata solo parzialmente
dopo l'esecuzione del progetto di reinsediamento di parte delle famiglie. Sono
state costruite case per le famiglie e blocchi di appartamenti, sono stati
sviluppati spazi pubblici. Non sono disponibili aiuti agli indigenti.
Soltanto 7 bambini Rom vanno a scuola, che è a Mitrovica nord. Questi bambini
devono camminare per qualche chilometro ogni giorno per andare a scuola e
tornare. Per loro non ci sono facilitazioni dei trasporti. Le promesse 24 ore di
supporto medico sono state ridotte a 2 ore al giorno. Non viene raccolta la
spazzatura. Non ci sono misure per generare impiego lavorativo o accelerare la
crescita economica. I residenti hanno un solo negozio a disposizione. Per
ragioni di sicurezza, reale o percepita, non si azzardano ad andare in città per
le compere. Molti abitanti lasciano la sera le loro dimore per andare a dormire
nella parte nord. Questo perché si sentono minacciati o per non perdere il
supporto medico.
L'intero rapporto (formato .doc) è disponibile
qui
Di Fabrizio (del 08/08/2008 @ 09:36:50, in casa, visitato 2324 volte)
Da
Roma_Francais
LE MONDE | 02.08.08 | GENÈVE CORRESPONDANCE
Quando la Russia ha iniziato, giovedì 31 luglio a Ginevra, i suoi esami per
passare davanti al Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziali
delle Nazioni Unite (CERD), due OnG, la Federazione internazionale delle leghe
per i diritti dell'uomo (FIDH) ed il centro Memoriale di San Pietroburgo,
pubblicano un rapporto dettagliato sulle gravi discriminazioni di cui sono
vittime i circa 500.000 Rom di Russia.
Lo studio - "Sgomberi forzati e diritto all'alloggio dei Rom di Russia" -
elabora una tabella scura sulla situazione, che riferisce molti casi di
espulsioni forzate di interi villaggi, distruzioni di case e di campagne di
stigmatizzazione. Il tutto in un contesto di grande miseria sociale, di impunità
e di diniego totale da parte delle autorità russe.
I diciotto esperti del CERD, riuniti nella 73^ sessione, dal 25 luglio al 15
agosto, per passare al setaccio gli inadempimenti dei dieci stati firmatari
della convenzione ONU sull'eliminazione della discriminazione razziale, tra cui
la Russia, avranno così numerose domande da indirizzare a Mosca, continuando
l'esame lunedì 4 agosto.
Se la recrudescenza delle aggressioni razziste contro i provenienti dall'Asia
centrale e dal Caucaso e contro gli studenti di colore - più 20% in media
all'anno - dove le derive della lotta antiterrorismo sono fatti conosciuti in
Russia, le gravi discriminazioni che soffrono i Rom, una popolazione
sedentarizzata a forza dal 1956, sono, queste, largamente passate sotto
silenzio.
Risultato di una missione sul campo che s'è svolta nel maggio 2007, il rapporto
della FIDH e del Memoriale, s'è particolarmente fermato sulla sorte dei Kelderari (30 % della
popolazione dei Rom) che hanno conservato un modo di vita tradizionale.
Ripartiti in un centinaio di villaggi in tutta la Russia, le loro terre sono
ormai l'obiettivo dei promotori immobiliari e di altri speculatori.
"A partire dal 1956, i Rom si sono visti rimettere le terre dalle autorità
locali e vi hanno costruito case spesso con semplici autorizzazioni verbali.
Spesso, non figurano nemmeno sul catasto o sui piani, spiega Olga Abramenko, del Memorial,
una specialista sui Rom arrivata a Ginevra per perorare la loro causa, a fianco
di altri sei difensori russi dei diritti dell'uomo. I villaggi, che contano dai
duecento ai mille abitanti, non hanno né numeri né nome delle strade. Risultato,
su decisione di un tribunale, si può ordinare la distruzione delle loro case e
la confisca delle loro terre senza alcun rimborso", indica la signora
Abramenko.
Così, tra febbraio e giugno 2006, gli abitanti del villaggio di
Dorozhnoe
(regione di Kaliningrad), che non erano riusciti ad ottenere dei titoli di
proprietà, sono stati espulsi. Quarantacinque case sono state distrutte dai
bulldozer, le sole due abitazioni risparmiate appartenevano a famiglie "russe".
Queste demolizioni sono state accompagnate da una campagna sulla stampa locale
che designava gli espulsi come trafficanti di droga.
Tra aprile e maggio 2007, nel villaggio di Chudovo (regione di Novgorod), gli
stessi abitanti hanno dovuto distruggere otto case. Sono previste altre
quattordici demolizioni. Nel contempo, a Kolyanovo (regione di Ivanovo) in
previsione della sistemazione dell'aeroporto, trentotto famiglie hanno accettato
le pressioni per cedere le loro abitazioni per somme irrisorie. Numerosi altri
villaggi vivono sotto minaccia di espulsione. "Vogliono cacciarci, ma dove
andremo? Occupiamo questa terra dal 1972, Abbiamo l'impressione che le autorità
vogliano che noi adottiamo nuovamente il nostro vecchio stile di vita nomade",
si lamenta Boris Mikhay - leader del quartiere di Mysovskaya, a Tioumen (Siberia),
dove sono installate 50 famiglie rom - interrogato da FIDH e dal Memoriale.
Olga Abramenko, che lavora con una dozzina di avvocati reclutati in Russia per
aiutare i Kelderari a registrare le loro abitazioni, si appoggia a un muro. Il
rapporto redatto dalla Russia in occasione del suo passaggio al CERD, non
comporta una linea sui Rom. Di solito le autorità locali negano ferocemente il
problema, avanzando argomenti "ultra-legalisti" o igienisti, per giustificare le
espulsioni.
Agathe Duparc
Di Fabrizio (del 06/08/2008 @ 09:34:30, in casa, visitato 1951 volte)
Da
Roma_Francais
LE MONDE | 31.07.08 | 13h19
LAMEZIA TERME (ITALIE) ENVOYÉ SPÉCIAL - I fiori di plastica abbelliscono le
finestre delle baracche. I bambini giocano in mezzo ai contenitori d'acqua. La
biancheria asciuga sul filo spinato. Il campo rom di Lamezia Terme, in Calabria,
incastrato tra la pendenza della ferrovia, il recinto dell'ospedale ed un muro
di 4,5 metri di altezza per 50 di lunghezza, è un ghetto con un solo accesso, il
tunnel sotto la strada ferrata.
"Il muro c'era già quando siamo arrivati, ma era più basso", si ricorda
Massimo che è cresciuto qui. "Poco a poco, i residenti l'hanno alzato e messo
del filo spinato per impedirci di saltare dall'altra parte." Massimo, cognome
italiano come tutti quelli della famiglia: Berlingeri. Il muro separa dal
resto della città degli italiani da generazioni, con meno diritti e condizioni
di vita inumane.
"Zi' Antonio", la memoria del campo, ricorda in dialetto locale e con un
forte accento calabrese: "Prima di andare a dormire, chiamo una dozzina di
giovani che vengano coi bastoni e mi aiutino a cacciare i ratti dalla baracca."
Attorno, si conviene. Se non sono i ratti, sono le blatte. Un alloggio degno: è
quello che domandano le 84 famiglie che sono istallate in questo campo
"provvisorio" dal 1982.
E se si parla loro del censimento dei Rom in corso, aggirano la questione con
un gesto della mano. Qui, dove vive la più forte comunità rom del Sud dopo
Napoli, non è questo il problema. Anche se siano riunite tutte le condizioni per
accedere agli alloggi sociali, è tutto bloccato. "E' un vicolo cieco", riconosce
il sindaco della città, Gianni Speranza. "Il rialloggiamento in stabili ad
affitto moderato è la sola soluzione, e finirà per arrivare, ma quel giorno,
spiega, temo una guerriglia contro i Rom."
I Rom sono accusati di provocare fumi tossici incendiando i pneumatici per
ricavarne materiale da rivendere. Si rimprovera loro di avere trasformato i
dintorni del campo in uno scarico di rifiuti ingombranti o tossici. "Più facile
per i privati o le imprese girare un biglietto di 10 o 20 euro tra di loro per
sbarazzarsi dei rifiuti, che seguire la filiera obbligatoria con i costi che
comporta", spiega Antonio Rocca, dell'associazione Ciarapani. Da qui l'amalgama,
Rom, criminalità. L'associazione vuole mostrare che esiste un'altra via: ha
messo in piedi una cooperativa incaricata dal comune di raccogliere le
immondizie. "Grazie al mio lavoro, sono riuscito a trovare un alloggio in
città", spiega Massimo, fiero della sua uniforme di spazzino. "Sono dei
cittadini. E' scandaloso rinchiuderli in un ghetto, quando avrebbero diritto,
come tutti, alla scolarizzazione, alla formazione, alle opportunità di lavoro e
ad un alloggio", spiega Marina Galati, presidente dell'associazione. Ma la paura
ei Rom, denunciata dalla sinistra, dalle associazioni cattoliche e della difesa
dei diritti, allontana tutte le soluzioni. Il muro di Lamezia Terme non è pronto
a cadere.
Salvatore Aloïse
Article paru dans l'édition du 01.08.08
PS: Di Marina Galati, segnalo "Fare
cittadinanza insieme ai rom"
Di Fabrizio (del 04/08/2008 @ 23:11:56, in casa, visitato 1759 volte)
Savorengo Ker: a parole nostre
Lettera aperta di Francesco Careri, responsabile del progetto Savorengo Ker:
una risposta alle polemiche sollevate dalla presentazione della casa di tutti;
un appello ad aderire a un'idea abitativa sperimentale.
Savorengo slideshow
Una rassegna delle migliori fotografie scattate dagli amici che ci hanno
seguito e sostenuto in questa lunga e incredibile avventura.
Savorengo Ker: istruzioni per l'uso
Un breve video di presentazione dei lavori di Savorengo Ker. Disponibili
in download anche il Press Kit e la Rassegna Stampa
Di Fabrizio (del 01/08/2008 @ 09:05:17, in casa, visitato 2007 volte)
Da
Roma_Daily_News
23 luglio 2008, ISTANBUL -
Turkish Daily News
Secondo un recente rapporto, c'è bisogno di un'azione urgente per prevenire
infortuni dovuti alle macerie lasciate dalle
demolizioni nel quartiere di Istanbul di Sulukule. Nel rapporto, la Camera
di Commercio di Istanbul (ITO), chiede alle istituzioni interessate di prendere
immediatamente le misure necessarie a combattere il rischio di infezioni ed
infortuni nel quartiere, largamente popolato da Rom.
"Il quartiere ha molti problemi che lo rendono rischioso per la salute", ha
detto ieri in una conferenza stampa il dottor Hüseyin Demirdizen, segretario
generale dell'ITO. Il quartiere ha bisogno di un'azione immediata, ha detto
Demirdizen nella conferenza stampa, organizzata dalla Piattaforma per un Futuro
Sano e Sicuro per Tutti.
Sulukule, che è stata per secoli dimora della popolazione Rom, ha affrontato
cambiamenti culturali, strutturali ed economici da quando il Municipio di Fatih
ha iniziato a demolire le case dopo il lancio di un progetto di trasformazione
urbana.
"Le macerie dovrebbero essere rimosse, le case devono avere acqua pulita, le
infrastrutture dovrebbero essere rinforzate, dovrebbe essere riparata la
fognatura e ricostruite, e dovrebbe essere raccolta la spazzatura", ha detto
Demirdizen, che è anche membro del sotto-comitato per i diritti umani
dell'Ufficio del Governatore di Istanbul.
Le macerie, lasciate dopo che le case sono state demolite, non sono state
rimosse e, al contrario, secondo un recente rapporto ITO, a Sulukule sono state
create nuove macerie. Un bambino si è ferito mentre giocava tra le macerie,
proprio mentre una petizione veniva rivolta alla municipalità. Demirdizen ha
detto che la camera ha sottoposto il rapporto sui problemi urgenti di Sulukule
all'Ufficio del Governatore di Istanbul, alla Municipalità Metropolitana di
Istanbul (IBB), al Comune di Fatih e al Dipartimento Provinciale di Istanbul
sulla Sanità. Demirdizen ha detto al Turkish Daily News che la camera non ha
avuto risposte positive alle sue prime richieste di fermare le demolizioni a
Sulukule.
Una clinica sanitaria permanente dovrebbe operare per i residenti nelle
insalubri condizioni di Sulukule ed i bambini andrebbero vaccinati contro le
infezioni, espone il rapporto. Alcune case non hanno ancora accesso all'acqua
pulita, anche se hanno chiesto aiuto alla municipalità, dice il rapporto.
Il rapporto rivela anche che circa 80 case sono state demolite e che alcune
famiglie residenti nell'area hanno cominciato a vivere nelle case dei parenti,
il ché rende la loro vita più difficile ed insalubre.
Mücella Yapıcı, un membro della Camera degli Architetti di Turchia, chiede ai
giudici di prendere le giuste decisioni sul futuro di Sulukule "così da non
essere obbligati ad appellarci ai tribunali internazionali". Ha aggiunto che la
gente di Sulukule viene obbligata ad abbandonare il quartiere, dove la maggior
parte delle famiglie ha risieduto per molti anni e questo causa traumi sociali.
Dato che alcuni residenti vendono le loro case, gli affittuari si spostano in
un'altra casa e di solito in un altro quartiere. "Mia sorella ha dovuto lasciare
Sulukule dopo che il proprietario ha venduto la sua casa", ha detto Mehmet Asım
Hallaç, un residente che ha una drogheria nel quartiere.
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