Da
La Repubblica Rom: non solo campi nomadi, la storia di Orhan e Jasa
La famiglia Ibraimov è uno dei primi nuclei che ha ottenuto un alloggio
popolare grazie al "progetto rom" del Comune. Un'iniziativa, tra le poche in
Italia, che cerca di integrare i rom affrancandoli dalla logica
dell'assistenzialismo
di Benedetta Pintus
Nell'Italia dell'emergenza sicurezza la parola rom è diventata sinonimo di
criminalità e disprezzo per le regole, ma il calore di una famiglia come quella
di Orhan e Jasa spazza via ogni pregiudizio. Il loro piccolo e accogliente
appartamento di via Navetta è lontano anni luce dallo stereotipo dello
zingaro che vive di furti ed elemosina rifugiandosi in un campo nomadi alla
periferia della città. Quelle quattro mura colorate da soprammobili di
porcellana e innumerevoli mazzi di fiori variopinti sono il simbolo
dell'integrazione e raccontano una storia iniziata in Macedonia e finita a
Parma. Dove i coniugi Ibraimov, dopo una vita di stenti tra accampamenti
abusivi, edifici occupati e roulotte, grazie al "progetto rom" del Comune, sono
riusciti a ottenere un alloggio popolare per potersi finalmente stabilire e
crescere in serenità i propri figli.
Madre e padre sono poco più che trentenni, ma le loro spalle portano il peso di
anni di sacrifici, celati in fondo allo sguardo stanco di Jasa. "Per me –
racconta - arrivare al campo di strada del Cornocchio è stato come entrare in
albergo, perché dopo aver vissuto in mezzo alla strada tutto mi sembrava un
lusso". Anche se all'inizio mancavano l'acqua e il riscaldamento. "C'era freddo
da morire". Ma sempre meglio che dormire in macchina con i bambini piccoli e
affamati in attesa che il padre torni dal lavoro. Mai fatto l'elemosina? "Io
sono un lavoratore – risponde Orhan – non sono venuto qui per mendicare".
Altrimenti sarebbe rimasto in Macedonia, il suo paese d'origine, dove aveva una
casa ma, in quanto rom, era comunque discriminato. "Nel nostro Paese i rom sono
costretti a vivere in case pericolanti, dove intere famiglie dormono in una sola
stanza. Mio padre, pensionato, riceveva dallo stato un contributo di 15 euro al
mese. Quella non è vita". Trovare un impiego per Orhan era diventata un'impresa
impossibile, così nel 1996 ha deciso di emigrare in Italia con Jasa in cerca di
fortuna.
La prima tappa è stata in un campo nomadi di Foggia, dove nel 1998 è nato
Gelo, il loro primo figlio. Anche in Puglia, però, trovare lavoro non è facile,
perciò i due si spostano con il bambino verso nord e finiscono in un
accampamento abusivo in riva a un fiume a Marano di Basilicanova, che presto
viene sgomberato. Da quel momento Orhan e sua moglie cercano rifugio in una
scuola occupata da altri immigrati e poi nell'ex villa Maghenzani, dove vivranno
per tre mesi. Intanto Jasa ha dato alla luce altri due bambini, Leonardo e
Bernando, con cui, infine, nel 2002 arrivano al campo nomadi di Parma. Da qui
gli Ibraimov fanno domanda per l'assegnazione di una casa popolare tramite il
"progetto rom" dei servizi sociali.
Si tratta di un'iniziativa portata avanti dal Comune con l'obiettivo di
affrancare i rom dalla logica dell'assistenzialismo. "Cerchiamo di superare il
concetto di campo nomade", spiega il coordinatore del progetto Vito Verrascina.
"Anche perché negli anni i rom in Italia hanno fatto un percorso che li ha
trasformati da nomadi a stanziali. Solo alcuni si spostano per difficoltà o
problemi legali. In molti casi sono i rom stessi a chiedere di poter andare a
vivere in un appartamento".
Orhan aveva tutti i requisiti per ottenerlo: una famiglia numerosa, un permesso
di soggiorno, la residenza da più di due anni, un lavoro continuativo. Il sogno
di trovare un rifugio stabile si è realizzato nel 2005. "Siamo stati la seconda
famiglia ad andare via dal campo. Ora non torneremmo mai a viverci". Secondo
Jasa la situazione è molto peggiorata rispetto a prima: "Quando ci vivevamo noi
c'erano regole più severe. Per qualsiasi cosa bisognava chiedere il permesso al
Comune. Ora invece chi ci abita fa tutto quello che vuole: si rubano anche le
cose tra loro". Molti rom non vogliono stare in appartamento "perché
preferiscono essere liberi e non avere regole da rispettare. Vogliono fare
feste, grigliate, ascoltare la musica a tutto volume fino a tardi. Il nostro
scopo, invece, da quando siamo arrivati in Italia era quello di trovare una
casa".
Oggi Orhan si sveglia ogni mattina alle sei: lavora da quasi sette anni come
operaio nell'impresa di costruzioni Pizzarotti. Sua moglie Jasa si occupa della
casa e dei bambini, che frequentano la scuola elementare: Gelo ha ormai dieci
anni, Leonardo otto e Bernando sette. La loro è una famiglia come tante, che tra
prezzi in aumento, conti da pagare e visite mediche, cerca di arrivare alla fine
del mese con un solo stipendio. "Per la scuola si spende tanto", si lamenta Jasa.
Ma sorride quando Bernando mostra con orgoglio il suo nuovo zainetto di
Superman. Poi il suo sguardo si fa di nuovo preoccupato. "Ora basta bambini. I
bambini costano", dice ricordando con sofferenza i suoi due aborti, l'ultimo due
anni fa. "Le famiglie numerose – spiega Verrascina - sono frequenti tra i rom.
Spesso i figli vengono usati come strumento per ottenere agevolazioni".
"Molti bambini rom disturbano. Fanno chiasso, chiedono l'elemosina", ammette
Orhan. "Ma non è colpa loro. E' colpa dei genitori", gli fa eco Jasa, che
racconta le difficoltà che ha incontrato dopo il trasloco a causa dei
pregiudizi. "Nessuno ci salutava, c'era molta diffidenza. Parlavano alle nostre
spalle e i bambini non potevano neanche giocare in giardino. Una volta i vicini
si sono lamentati perché c'era qualcuno che suonava continuamente i campanelli e
loro hanno subito accusato ingiustamente i nostri figli". Addirittura una volta
qualcuno ha telefonato l'Acer, l'azienda che gestisce gli alloggi popolari,
dicendo che in casa Ibraimov si nascondevano famiglie di clandestini. A quanto
pare per qualche inquilino del quartiere il solo fatto di avere origini rom è
più che sufficiente per sospettare che dietro la facciata di una famiglia per
bene si nasconda un covo di criminali. "Il problema – dice Orhan – è che basta
il cattivo esempio di uno per gettare cattiva luce su tutti. Ma i rom non sono
tutti uguali".
A poco a poco, però, la situazione è migliorata. Gelo, Leonardo e Bernando
giocano tranquillamente sotto casa con gli altri bambini di via Navetta e
qualche vicino invita anche Orhan e Jasa a prendere un caffè. "Ora - dice lei -
salutano anche i bambini, ma io continuo a non parlare con nessuno. Certa gente
è peggio degli zingari".
(25 agosto 2008)