Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da
British_Roma
Irish Central by Mary Catherine Brouder
Non importa dove vai: nel centro di Dublino o di altre grandi città; troverai
quasi sempre persone sedute per strada a elemosinare per sopravvivere. Ci sono
giovani scappati di casa, tossicodipendenti, e poi ci sono i Rom, ai quali
spesso ci si rivolge come "zingari".
Nonostante il fatto che i Rom generalmente non mostrino dipendenze da droghe,
che portino i figli con loro e che mantengano un aspetto curato pur con i loro
scarsi mezzi, è proprio di loro che i miei amici e i miei vicini irlandesi si
lamentano di più.
Da quando di recente la Francia ha dato inizio alla deportazione di centinaia di
famiglie Rom, ho preso parte a non poche conversazioni interessanti.
Alcuni dei miei amici erano, come me, inorriditi da questo provvedimento, ma
sono rimasto sorpreso nel vedere che molte persone appoggiano pienamente l'idea
delle deportazioni forzate.
Un amico si era lanciato in una tirata sugli orrori dei "gypos". Quando ho
insistito perché mi spiegasse da dove proveniva questo suo modo di pensare,
decisamente negativo, nei confronti dei Rom (forse un'esperienza personale?), mi
ha risposto con il solito: "I Rom sono così rozzi e così ignoranti".
Inoltre, ha spiegato, "I Rom picchiano i loro figli per poter avere maggiori
possibilità di raccogliere più denaro dall'accattonaggio".
Aveva qualche prova che supportasse una tale accusa? Nessuna.
A me sembra che crescere per strada un figlio disabile, piuttosto che uno in
perfetta salute, richieda logicamente molta più attenzione da parte dei
genitori. E, in quanto a ciò, le cure e i trattamenti per tutta la vita non
costerebbero ai genitori più di quello che possono sperare di guadagnare
chiedendo l'elemosina?
Anche se l'affermazione del mio amico non aveva molto senso, lui aveva un altro
motivo per i suoi pregiudizi.
"Quando tu dai loro dei soldi, loro li raccolgono da ogni punto in cui si
trovano nella città, e quando fanno ritorno al campo li dividono".
Questo sembra essere un buon senso per gli affari, o almeno fare una buona
suddivisione, difficilmente sembra essere una prova di inganno e di innata
disonestà, come il mio amico avrebbe voluto farmi credere.
Qualche mese fa, mentre lavoravo a un documentario sui Rom, passai del tempo con
loro. Il mio co-produttore ed io abbiamo viaggiato in Ungheria, in alcuni delle
più povere e miserabili baraccopoli che avevo mai visto.
E da allora non ho più incontrato persone più desiderose di aprire la porta
della propria casa ed il loro cuore a me, un perfetto sconosciuto con una video
camera, quanto i Rom di quelle zone.
Tutte le famiglie che abbiamo incontrato ci hanno dato tre baci sulle guance –
un'usanza ungherese – e ci hanno offerto caffè e, letteralmente, ogni singolo
boccone di cibo che conservavano nelle loro dispense.
Un'anziana signora ci diceva di avere a malapena il denaro sufficiente per
comprare fette di pane per sfamare la sua famiglia, e rideva all'idea di avere
la possibilità di comprare carne da mettere fra quelle fette. Ci fu un silenzio
imbarazzato, pieno di vergogna e di pena, da parte mia e dei miei collaboratori.
Avevamo mangiato panini a pranzo e consumato carne ogni sera di quella
settimana.
I Rom non solo sono poveri. Vivono in case senza un riscaldamento adeguato,
senza elettricità né sanitari.
Vivono in condizioni che nessun essere umano dovrebbe sopportare, e non vi
sarebbero costretti se fossero qualcosa d'altro di un comodo capro espiatorio
per i problemi finanziari dell'Europa.
Ho incontrato il Prof. Jack Greenberg, un avvocato che si è battuto per i
diritti civili in Sud Africa durante l'apartheid.
In questi anni il professore, ha anche visitato diversi campi Rom e i territori
circostanti.
Egli descrive le condizioni di vita dei Rom come peggiori di quelle viste nelle
bidonville del Sud Africa.
I Rom più fortunati se ne vanno dai luoghi dove storicamente sono stati in
schiavitù, hanno subito genocidi, discriminazioni, emarginazione, per iniziare
una nuova vita in posti come la Francia o l'Irlanda. E quando arrivano devono
lottare per ogni centesimo raccolto.
E' vero, molti sono aggressivi quando chiedono soldi o cibo. Anche io ho avuto
qualche esperienza spiacevole con i Rom, spingendoli via da me quando mi
chiedevano l'elemosina o quando rispondevano con ingratitudine alla mia offerta.
Ma mi sono sempre domandata quanto prepotente sarei io se dovessi dipendere
dalla carità altrui per nutrire i miei figli.
Penso che combatterei con le unghie e con i denti per ottenere tutti i soldi
possibili dal mio prossimo. Probabilmente non sarei tanto educato se vedessi la
gente attorno a me sprecare cibo e indossare abiti costosi, mentre io passo i
miei giorni preoccupandomi che la mia famiglia non vada a dormire affamata.
Qualche giorno fa ho incontrato un Ungherese che vive in Irlanda. Così gli ho
raccontato del viaggio che ho fatto nella sua terra per documentare le
condizioni di vita del popolo Rom. L'espressione del suo viso è cambiata in una
smorfia di disgusto.
"I Rom?" ha detto sbuffando. "Sei mai stato in una prigione in Ungheria?".
Beh, no.
"Le prigioni sono piene di Rom".
Ho cominciato a parlare di come un retaggio di povertà, di discriminazione e di
emarginazione porti all'abbandono della speranza, e di come spesso questo
conduca a compiere crimini. Lui mi ha interrotto.
"Là la polizia ha paura ad arrestare chiunque, perché quelli dicono: Hey, mi
stai arrestando perché sono Rom?".
Ha sottolineato questa sua affermazione con un'imitazione soddisfatta di una
persona che si gioca la carta del "povero me".
Ci ho pensato su un momento, quindi ho realizzato che ciò non aveva alcun senso.
Così gli ho chiesto: "le prigioni sono piene di Rom, oppure i poliziotti hanno
paura ad arrestarli? Non possono essere vere le due cose".
Non mi ha risposto.
Lui, come milioni di altre persone nel mondo, è stato nutrito con un mucchio di
sciocchezze sulle persone diverse da lui, ed essendo incline a disprezzare ciò
che non gli è familiare, fornisce qualunque giustificazione per supportare le
sue teorie.
Anche quando queste sono letteralmente contraddittorie e illogiche.
La discriminazione non è mai logica. E nemmeno accettabile.
Di Fabrizio (del 06/10/2010 @ 09:33:21, in Europa, visitato 1582 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso
Rom (foto
Francesco Paraggio /flickr)
Mustafa Canka | Ulcinj 27 settembre 2010
Anche il Montenegro sloggia i rom. Il comune di Podgorica ha comunicato che
verranno demoliti due quartieri alla periferia della città dove vivono circa
2.500 profughi rom provenienti dal Kosovo. Il parallelo con la Francia e le
reazioni del Consiglio nazionale dei rom e degli egiziani
"La cosa che più ci preoccupa è che nemmeno nelle note si parla di una soluzione
alternativa per queste persone", dicono al Consiglio nazionale dei rom e degli
egiziani del Montenegro.
Il vicepresidente dell'organizzazione, Muhamend Uković, ha dichiarato ad
Osservatorio Balcani e Caucaso che è sintomatico che questa azione del governo
di Podgorica sia stata decisa proprio dopo il trasferimento di centinaia di rom
dalla Francia. "A noi sembra proprio un'azione sincronizzata, che ha come scopo
far ritornare tutti i rom da dove sono venuti. Ci aspettiamo che i
rappresentanti del governo montenegrino si esprimano sulla questione, perché se
il quartiere dei profughi ‘Konik' viene smantellato, in pratica ciò significa
che i rifugiati rom e egiziani dovranno da soli assicurarsi un tetto nel caso
volessero rimanere in Montenegro. Se questi sono standard democratici, allora
non abbiamo proprio nessun commento da fare", ha detto Uković.
Il quartiere dei profughi "Konik" si trova nella periferia della capitale
montenegrina. Qui, in baracche provvisorie e in condizioni estreme vivono oltre
duemila profughi rom provenienti dal Kosovo, giunti in Montenegro nel 1999.
Nelle vicinanze del campo vivono anche un centinaio di rom con domicilio. Tutti
però vivono sull'orlo della soglia di sopravvivenza, mentre gli aiuti delle
organizzazioni umanitarie montenegrine e internazionali sono praticamente
esauriti. Per sopravvivere, i profughi sono costretti a fare quei lavori che la
maggior parte dei cittadini del Montenegro rifiuta di fare.
La maggior parte dei rom, arrivati in Montenegro 11 anni fa, si sono in seguito
trasferiti in altri paesi dell'Europa occidentale oppure sono tornati in Kosovo.
Ultimamente, però, il processo dei ritorni è diventato più difficile.
"Per questo la decisione del governo di Podgorica di demolire questi due campi è
preoccupante e estremamente disumana", sostiene il redattore del settimanale
indipendente "Monitor" Veseljko Koprivica e aggiunge: "I rom e gli egiziani per
la seconda volta diventano vittime di chi ha il potere di decidere sul destino
altrui. Prima queste persone sono state vittime della guerra, fatto che li ha
portati a Podgorica, ora di nuovo saranno dei senzatetto perché, per quanto si
sa, il governo di Podgorica non offre alcuna soluzione alternativa per la
sistemazione delle 300 famiglie di questo quartiere".
Recentemente il governo montenegrino ha adottato un piano d'azione col quale
prevede di risolvere entro la fine dell'anno prossimo lo status dei circa 10mila
rifugiati kosovari presenti in Montenegro.
Per questo Uković chiede di risolvere il prima possibile il problema dei
profughi rom del Kosovo con accordo con tutte le parti. "Noi non vogliamo
pregiudicare alcun tipo di soluzione, ma non dobbiamo dimenticare il fatto che
si tratta di persone che in Kosovo hanno perso tutto quello che avevano. Perciò
crediamo che sia necessario condurre un dialogo basato sugli standard
democratici e sulle convenzioni internazionali sui diritti umani. I rom e gli
egiziani fuggiti dal Kosovo non devono essere una preoccupazione esclusiva delle
istituzioni montenegrine, ma anche di quelle internazionali e kosovare, perché
si tratta di cittadini del Kosovo", ritiene Uković.
Al Consiglio nazionale dei rom e degli egiziani si aspettano che il governo
montenegrino, comunque, non permetterà al comune di Podgorica di demolire i due
campi profughi, e pensano inoltre che una richiesta del genere arriverà anche
dall'Unione europea.
Secondo le parole del capo dell'Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati a
Podgorica (UNHCR) Serge Ducas, il problema dei campi profughi di "Konik" non è
soltanto un problema del comune di Podgorica, del governo montenegrino oppure
delle organizzazioni internazionali. "Tutti noi dobbiamo metterci al tavolino
per trovare una soluzione", ha ribadito Ducas.
"L'amministrazione di Podgorica legittimamente chiede la restituzione dei
terreni dove sono situati i campi, per i motivi urbanistici e per lo sviluppo
della città. Dall'altra parte, però, il Montenegro ha degli obblighi verso
queste persone, ma anche verso la comunità internazionale, quindi tutti insieme
dobbiamo trovare un luogo alternativo e la soluzione della questione", ha
dichiarato il responsabile dell'UNHCR di Podgorica, concludendo che non ci si
può aspettare che più di un quarto dei profughi rom dei campi profughi di "Konik"
torni in Kosovo di sua spontanea volontà.
Di Fabrizio (del 06/10/2010 @ 09:11:33, in Europa, visitato 2476 volte)
Da
Romanian_Roma
SETimes.com
I Rom di Romania necessitano di una miglior rappresentazione politica e di
un efficace movimento civico, dice a SETimes l'attivista Margareta Matache.
By Paul Ciocoiu for Southeast European Times in Bucharest
Margareta Matache parla con Paul Ciocoiu, corrispondente del SETimes. [Victor Barbu/SETimes]
27/09/2010 - Margareta Matache è direttrice esecutiva del Centro Rom per
l'Intervento e gli Studi Sociali (CRISS). Ha parlato con SETimes sulla polemica
in corso riguardo alle espulsioni francesi dei Rom, sul progresso
dell'integrazione in Romania e gli ostacoli che restano.
SETimes: Descrivi CRISS e le sue attività.
Margareta Matache: CRISS è un'organizzazione per i diritti umani
fondata nel 1993 per difendere e promuovere i diritti dei Rom. Le priorità di
CRISS sono [ottenere] l'accesso alla sanità ed all'istruzione, ma abbiamo anche
un dipartimento ricerca ed offriamo consulenza legale nei casi di
discriminazioni, abusi e violenza.
Alcuni casi vengono adoperati per far pressione nel cambiare le leggi. Per
esempio, nel 2003, contro la segregazione nelle scuole, dove i bambini rom erano
spostati in classi o edifici separati. Nel 2007, dopo un colloquio con noi, il
ministero dell'istruzione ordinò la desegregazione delle scuole.
CRISS lavora con organizzazioni partner locali in Romania, che abbiamo
aiutato nello sviluppo. Di solito viviamo delle donazioni delle ambasciate, ma
lavoriamo anche in partnership con l'Open Society Institute e Central East European Trust.
SETimes: Puoi commentare sulle "misure di sicurezza pubblica" delle
autorità francesi, culminate con le espulsioni dei gruppi rom?
Matache: Osserviamo due serie di misure. La prima, il programma di
rimpatri volontari che la Francia ha sviluppato per diversi anni, prima dell'1
settembre. E' una forma camuffata di espulsione tramite denaro - 300 euro per
adulto e 100 euro per bambino - una compravendita del diritto di movimento.
Esaminiamo anche i programmi economici di cui i rimpatriati potrebbero essere
parte. Avrebbero dovuto ricevere 3.500 euro per iniziare un'attività, ma in
molti casi non sono nemmeno stati informati. Abbiamo persino scritto un rapporto
nel 2008 dopo una visita in Francia e nella regione di Timisoara, dove ai Rom fu
promesso che sarebbero stati inclusi nel programma.
Secondo, esaminiamo le violazioni della Francia dopo settembre della legge
comunitaria e dei principi e valori europei - per esempio, le impronte digitali
dei Rom espulsi. Alcuni lo accettano liberamente perché [attraverso le
pressioni] non è difficile ottenere il consenso.
Funziona così: all'inizio la polizia francese ammonisce i Rom che demoliranno
il loro campo entro una settimana e li espelleranno se non se ne andranno. Pochi
giorni più tardi, i funzionari dell'immigrazione informano i Rom che li
pagheranno per partire e - possibilmente - essere messi in lista di un programma
di reinserimento. I Rom sono d'accordo per ottenere alcuni benefici, invece di
essere sgomberati brutalmente, con le loro baracche demolite.
SETimes: La Francia sostiene di aver anche intrapreso misure per
proteggersi da pratiche illegali, come il traffico di persone.
Matache: Ci sono dei Rom coinvolti nel traffico di persone così come
Rom che ne sono vittime - e non solamente in Francia. Non penso che le soluzioni
risiedano nel restringere i diritti di una comunità etnica, ma nelle leggi
francesi e degli altri paesi. Ci sono leggi che affrontano crimini come il
traffico di persone.
SETimes: Ogni caso di infrazione della legge può essere trattato
individualmente?
Matache: Infatti, è ciò che prevede la direttiva europea sulla libertà
di movimento ed è così in tutto il mondo. la criminalità viene giudicata
individualmente.
SETimes: Quale paese porta le maggiori responsabilità riguardo la
questione rom?
Matache: I Rom sono cittadini rumeni e le maggiori responsabilità
ricadono sulla Romania. Prima dell'accesso nella UE del 2007, quando era
monitorata da vicino, Bucarest si sforzava di convincere la UE che il processo
d'integrazione dei Rom stava progredendo. Dopo il 2007, la questione rom è
diventata visibile in tutta Europa.
Mentre la Francia è molto concentrata nell'espellere i Rom e la Commissione
Europea ha autorizzato la discussione del documento sui Rom, le autorità rumene
sinora non hanno familiarità con i problemi della comunità e non hanno ancora
fissato la loro mente a risolverli.
L'argomento che i Rom non siano un problema nazionale ma europeo è andato
avanti per anni in Romania. Questo perché non abbiamo rappresentanti né a
livello politico o nelle organizzazioni rom internazionali che sono capaci di
negoziare col governo.
Comunque, trovo strano che la Francia decida sugli affari interni della
Romania - la nomina di un segretario di stato rumeno sui Rom è avvenuta su
richiesta della Francia. Entrambe sono membri UE ed hanno pari diritti, ma qui
la Francia impone la propria volontà.
SETimes: Non sono i leader rom che dovrebbero mediare e razionalizzare
il processo di integrazione?
Matache: Ci sono grosse discrepanze sul modo in cui i leader rom
affrontano l'integrazione nelle numerose comunità rom sparse nel paese. Incontro
leader locali ce esercitano il controllo sulla comunità. ma preferiscono
nascondere i problemi o non porvi interesse, a causa della loro posizione nei
municipi o nelle prefetture, dove agiscono in qualità di esperti.
Dato che sono una singola persona in un grande sistema, è più facile cercare
di mantenere il proprio incarico ed ignorare i problemi dei Rom. Durante un
conflitto tra Rom e Rumeni in Transilvania, nessuno della comunità rom riconobbe
la propria rappresentante presso la prefettura quando si presentò, perché non
era mai stata là.
Ci sono leader rom che hanno ottenuto rispetto tanto dalle autorità locali
che dalla comunità. Ma soprattutto, manchiamo di leader forti, specialmente
nella politica. Per esempio, non ci sono state reazioni nel parlamento rumeno
riguardo ai recenti sviluppi in Francia, o in Italia un anno fa. Includo qui
anche le istituzioni collegate come l'Agenzia Governativa Nazionale per i Rom.
Su 200 organizzazioni rom, solo 20 sono attive. Alcune sono state create da
leader che le chiamano "la mia organizzazione" e la usano per auto-legittimarsi
nelle loro relazioni con le autorità locali, ma non investono nelle persone o
generano programmi.
C'è sempre chi accetta cosa dice e cosa fa il governo. Le autorità presto
hanno capito che era facile dividerci. Possiamo generare unità attorno alla
lingua romanì, per esempio, nonostante il fatto che in seguito al comunismo
quasi il 40% non lo parla più. La storia rom potrebbe anche generare unità, ma
dev'essere inclusa nel libri di storia rumeni.
Non abbiamo un'agenda politica, i Rom non sono motivati a votare per un
politico rom, è per questo che c'è un solo rappresentante rom in parlamento.
A livello locale, c'è un desiderio generale di tenere dipendenti i Rom
perché, da un punto di vista elettorale, sono comprabili molto facilmente ed a
buon mercato. In breve, il problema riguarda la rappresentanza e la creazione di
un vero movimento civico rom. Finché non avremo dei buoni negoziatori, il
governo non si preoccuperà di integrarci.
SETimes: Come rispondete ai pregiudizi della maggioranza verso i Rom
nella loro integrazione?
Matache: Oltre alle campagne TV dirette alla maggioranza per mostrare
i Rom in maniera differente, abbiamo organizzato attività di strada come il "razzistometro"
quando abbiamo usato apparecchio per la misurazione della pressione sanguigna,
mentre ponevamo domande sui Rom. Ovviamente, l'apparecchio è stato usato
simbolicamente, ma le domande erano ben calibrate.
Dopo anni di campagne, abbiamo concluso che la gente ama gli spot TV o
visuali, ma è molto difficile influenzare la mente del Rumeno medio. Alcuni
pregiudizi derivano dalla mancanza di informazione. Alcuni Rumeni non hanno mai
incontrato un Rom, o li hanno solo visti mendicare, offendendoli per strada.
Questo si ferma nelle loro menti e diventa un punto di riferimento per i Rom in
generale. Ma se noi riduciamo il milione e mezzo di Rom in Romania solo a quelli
[svantaggiati] che sono visibili, non sapremo creare e sviluppare politiche di
integrazione.
Il cambio di mentalità inizia con l'istruzione. Fintanto ci sarà una forte
diversità culturale nelle scuole rumene, la maggioranza non potrà pensare ai Rom
diversamente.
Di Fabrizio (del 02/10/2010 @ 09:40:52, in Europa, visitato 1500 volte)
29 settembre 2010 - Presentato il Rapporto "Benvenuti da nessuna parte:
stop ai rimpatri forzati dei rom in Kosovo".
Benvenuti da nessuna parte: stop ai rimpatri forzati dei rom in Kosovo è il
nuovo Rapporto presentato da Amnesty International sulla violazione dei diritti
umani dei rom kosovari e delle altre minoranze del Paese.
L'organizzazione per i diritti umani durante la presentazione ha chiesto ai
Paesi dell'Unione europea di sospendere il rimpatrio forzato dei rom in Kosovo,
stop richiesto anche dalla Commissione immigrazione del Parlamento del Consiglio
d'Europa.
Il rapporto descrive come rom e appartenenti ad altre minoranze, anche coi
loro bambini, siano costretti con la forza a rientrare in Kosovo, spesso coi
soli vestiti che indossano, verso un possibile futuro di discriminazione e
violenza.
Secondo Sian Jones, uno degli autori del Rapporto, "i Paesi dell'Ue rischiano
di violare il diritto internazionale rinviando persone verso Paesi dove
potrebbero subire persecuzione. L'Ue, invece, dovrebbe continuare a dare
protezione internazionale ai rom e alle altre minoranze kosovare, fino a quando
non potranno tornare in condizioni di sicurezza". Per Jones inoltre, "le
autorità del Kosovo, a loro volta, devono garantire che i rom e le altre
minoranze possano rientrare in modo volontario e reintegrarsi a pieno nella
società".
(Red.)
Da
Roma_Francais
Campo rom accanto alla stazione Part-Dieu di Lione. | MAXPPP
Le Post par Emilio Rosso
"Il Sarkozy, vuole che noi ce ne andiamo così" inizia Sonia, 11 anni,
schioccando le dita per illustrare la sua affermazione. Con sua sorella e le sue
cugine, si eclissano dal campo Rom situato dietro la stazione della Part-Dieu a
Lione e mi trascinano in disparte: "Tu, sei giornalista, io ho molte cose da
dire ai francesi", spiega in un francese approssimativo. "Ma mio padre, non
vuole. Allora, cambia il mio[/] nome" avverte.
A soli 12 anni, Angéli è più informata della politica del governo che la
maggior parte dei francesi. "Noi guardiamo la TV. Mia nonna, legge i giornali e
ci spiega tutto" racconta Lauravaz di 10 anni e mezzo. "Sarkozy ha chiesto al
nostro capo, il capo dei rumeni (Traian Basescu) di mandare poliziotti rumeni
per farci del male" afferma Angéli, la paura negli occhi. "Sono molto cattivi,
ci metteranno in carcere solo per una parolaccia. E possono ucciderci" assicura
Bianca.
"Sappiamo che la polizia francese verrà, aspettiamo. Poi ci faranno spostare
continuamente, così non abbiamo più casa, e possono farci andare via in Romania"
analizza la giovane Rom con sorprendente perspicacia. "Siamo piccoli, ma
sappiamo tutto" dice ridendo Angéli. "Ma nonna dice che bisogna stare attenti,
perché se facciamo qualcosa di grave, ci faranno brutte cose". "Noi non rubiamo
mai!" giura Bianca. "Mendichiamo per comprare da mangiare, questo si", confessa
la cugina.
Malgrado la minaccia, le ragazzine mantengono il sorriso. Hanno difficoltà a
restare serie, magari sorpassate dall'ampiezza della situazione. Affermano in
coro di non avere paura. Eppure, il loro sguardo si vela. "Ci accuseranno di
tutto. Ci metteranno nell'aereo, e ci separeranno", confida Sonia a bassa voce,
tenendo fermamente la sua catenina, come fosse il suo bene più prezioso. "Un
giorno, la polizia ha picchiato mio padre, e gli ha strappato i suoi documenti
d'identità. Adesso non è più niente. Allora ho paura"
La loro comprensione della situazione si ferma qui. "Dici, perché i francesi non
ci amano?", chiede Bianca, con un reale desiderio di sapere. "Ho degli occhi
come te, ho dei capelli come te, allora perché?" insiste. "Noi amiamo tutte le
razze, non facciamo differenze. Vogliamo fare amicizia", aggiunge sua sorella.
Le piccole, spostate di quartiere in quartiere, di scuola in scuola, confessano
di avere difficoltà a legarsi con le compagne. "Dicono che siamo gitane. Ma non
è vero! Noi siamo Rom ", dichiara Bianca con fermezza.
Quando si parla loro del futuro, i loro sguardi brillano gridando "adoro la
scuola". "Io, voglio diventare una star" annuncia Sonia, birichina, prima di
intonare una canzone in francese."Io sarò insegnante", promette Angéli. "Io
voglio imparare l'algerino". Sono quindi coscienti che la riuscita scolastica è
la chiave della "vie en rose". "Provo a imparare la mia lezione, ma dimentico
tutto, sempre" rapporta Sonia, la quale gongola quando gli si chiede se fa bene
i compiti. "No, non posso a casa mia".
"Ci ricordiamo della Romania. Era bello. Vorremmo ritornarci, ma la Francia, è
meglio per noi ", confessa una di loro. "In Romania, c'è troppa povertà, e non
ci vogliono", dichiara Lauravaz.
"Abbiamo parlato abbastanza ora, non diciamo più niente", conclude Sonia,
decidendo che era riuscita a far passare il suo messaggio. Saltellando e
correndo, si rimettono in moto. "One, two, three, Viva Romania", canticchiano in
coro ritornando al campo.
Di Fabrizio (del 01/10/2010 @ 09:31:24, in Europa, visitato 1691 volte)
di Dijana Pavlovic
Un racconto popolare rom descrive come si sente il popolo che i nazisti
volevano sterminare con gli ebrei e che tuttora viene discriminato e
perseguitato: anche un "maiale" si può sentire superiore a un rom.
Come dei maiali non si butta via nulla, così dei rom non ci si libera tanto meno
quanto più si strilla contro di loro. Da questo punto di vista Milano è la
capitale italiana della vigliaccheria e dell'ipocrisia. Nella primavera prossima
si vota per le amministrative e tempestivamente si è riaperta la questione rom:
il ministro leghista Maroni finanzia il piano rom di Milano (chiusura di 4 campi
regolari con circa 1000 tra adulti e minori di nazionalità italiana, rumena,
macedone e kossovara da sistemare), a luglio Regione, prefettura e assessore
alle politiche sociali del Comune firmano un contratto con relativo
finanziamento con le associazioni del terzo settore a luglio con l'assegnazione
di 25 case Aler fuori quota. Ora facendo finta di cadere dal pero lega e pdl
insorgono: non una casa ai rom, presidi per le strade, benzina sul disagio delle
periferie e via così verso il voto di primavera.
Ma i "nostri" non sono soli. In Francia Sarkozy di fronte al declino della sua
politica monarchica ha pensato bene di aprire la caccia al rom rumeno con un
editto che utilizza la direttiva europea che garantisce la libertà di movimento
sul territorio comunitario condizionandolo all'autosufficienza economica. Solo
che questo editto è applicato esclusivamente alla comunità rom caratterizzandosi
quindi come una vera e propria espulsione su base etnica e sollevando così le
proteste del parlamento europeo e attirandosi persino la reprimenda degli Stati
Uniti.
C'è in tutto questo un utilizzo dell'ondata xenofoba che percorre l'Europa,
un'ondata che ha lambito persino la civilissima Svezia, patria della tolleranza
e dell'accoglienza, che è molto pericoloso. Il calcolo elettorale di recuperare
voti coltivando il disagio, il sentimento xenofobo e la paura di fronte alla
crisi economica e di valori di questa fase storica ha la gravissima conseguenza
di legittimare le spinte razziste anziché contrastarle.
Si pensa che il gioco vale la candele di un pugno di voti che consenta di
vincere e forse che una volta al potere queste spinte si possano tenere sotto
controllo. Ma non è così: questo calcolo di breve respiro fa finta di non
accorgersi del veleno che diffonde nelle coscienze e dimentica le tragiche
esperienze del secolo scorso. La bestia razzista è più forte del padrone che
crede di tenerla al guinzaglio.
24 settembre 2010
Di Fabrizio (del 29/09/2010 @ 09:31:24, in Europa, visitato 1703 volte)
Da
Roma_und_Sinti
Prensa Latina
Berlino, 23/09/2010 - Nonostante i dinieghi del cancelliere tedesco, Angela
Merkel, la Germania ha continuato a deportare persone di etnia rom e sinti verso
il Kosovo.
Secondo i resoconti della stampa tedesca, la deportazione di circa 10.000 Rom
e Sinti [...] è basata su di un accordo col Kosovo firmato a settembre 2009.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha detto in un recente vertice UE che
la Germania prevede anche di smantellare i campi nomadi, ma la Merkel ha
immediatamente smentito ciò, senza menzionare il controverso accordo col Kosovo.
La Germania sta deportando un numero crescente di ex rifugiati dal conflitto
nei Balcani, secondo la OnG Pro Asyl.
Secondo l'OnG, 213 persone sono state deportate nei primi quattro mesi dell'anno
verso il Kosovo, che ha dichiarato la propria indipendenza nel febbraio 2008.
Interrogata da parlamentari della sinistra, l'amministrazione Merkel ha
ammesso che 53 di loro erano Sinti o Rom. Nel 2009, la Germania ha deportato 51
persone in Kosovo.
Pro Asyl ha confermato che di 12.000 membri di minoranze etniche kosovare che
vivono in Germania, 5.000 sono bambini e adolescenti.
"...in Kosovo affronteranno un isolamento sociale e discriminazioni diffuse,"
ha detto Pro Asyl, basandosi su uno studio dell'UNESCO che mostra come oltre il
70% dei minori deportati lascia la scuola.
Anche se la Germania ha negato qualsiasi rischio per i deportati in Kosovo,
il Consiglio Centrale dei Sinti e Rom in Germania ha confermato le critiche. "La
situazione della sicurezza in Kosovo è ancora critica," ha detto l'attivista
Herbert Heuss.
Mercoledì il Consiglio d'Europa ha invitato la Germania ha fermare le
deportazioni di Sinti e Rom.
Comment this on
http://euyouthspeak.org/roma/?p=14697
Di Fabrizio (del 28/09/2010 @ 09:42:59, in Europa, visitato 3522 volte)
by Paul Polansky
[continua]
EULEX
(immagine da
daylife.com) Il generale in pensione Yves de Kermabon mentre prega
(spero) per salvare (spero) i bambini rom e askali di Mitrovica dai soldati
francesi, dal dr. Bernard Kouchner, dall'ONU, dal governo del Kosovo e... dall'EULEX.
IL PREMIO IN-GIUSTIZIA: disgrazia questa Missione dell'Unione Europea in
Kosovo sul Ruolo della Legge che rivendica il suo scopo principale
nell'assistere e supportare le autorità del Kosovo sul ruolo della legge e si
riserva il diritto di perseguire i seri crimini che il governo del Kosovo
ignora. EULEX viene disonorata con questo premio per avere rifiutato di
considerare "la negligenza di massa verso l'infanzia" nei campi di Mitrovica
come un "serio crimine", nonostante le 86 morti sino ad oggi.
Dato che era risultato impossibile durante quasi undici anni di coinvolgere
qualsiasi agenzia ONU o il governo del Kosovo, soprattutto il Ministro della
Salute, nel salvare i bambini che muoiono di avvelenamento da piombo negli ex
campi UNHCR, inviai una mail a Yves de Kermabon, capo della missione EULEX,
chiedendogli un incontro per discutere su cosa EULEX potesse fare.
Ex generale francese, che una volta comandava la Legione Straniera in
Cambogia e poi le forze NATO in Kosovo, Kermabon rifiutò di vedermi.
Con l'aiuto di amici impegnati nel salvare questi bambini, facemmo ricorso al
suo capo UE, la baronessa Catherine Ashton, ed alla fine ottenemmo un
appuntamento per vedere il procuratore capo del generale Kermabon, Theo Jacobs,
e tre componenti della sua squadra. Non fu un ricevimento caloroso. Erano troppo
ritrosi per ricevermi o soltanto riluttanti di dovermi vedere.
Il procuratore capo Jacobs non fece nessun tentativo di dare inizio alla
riunione, così gli chiesi se avesse ricevuto il nostro promemoria legale che gli
avevo inviato per posta elettronica il giorno precedente. Con riluttanza mi
disse di sì ma non fece nessun commento. Così tirai fuori tutti gli altri
documenti che avevo portato e iniziai a passarglieli.
Il primo era un comunicato OMS del settembre 2009 che ancora una volta
chiedeva l'immediata evacuazione e cure mediche. Dissi che l'OMS ne chiedeva
l'evacuazione dal novembre 2000 e che da allora aveva inviato richieste simili.
Nessuna risposta da EULEX: nessuna domanda, nessun commento.
Ho poi consegnato il rapporto del difensore civico al primo ministro del
Kosovo inviato ad aprile 2009, in cui il difensore civico chiedeva l'immediata
evacuazione e chiedeva una risposta entro 30 giorni. Non venne mai ricevuta
nessuna risposta da parte del primo ministro. Dissi che il nuovo difensore
civico il giorno prima aveva visitato i campi ed avrebbe inviato un rapporto
simile chiedendo l'evacuazione e cure mediche. Nessun barlume di vita da parte
dei convocati EULEX seduti davanti a me.
Poi consegnai loro il rapporto di Thomas Hammarberg, il Commissario per i
Diritti Umani del Consiglio d'Europa, che chiedeva l'evacuazione dei campi e
cure mediche. Uno dello staff di Jacobs seduto di fronte a me disse che la
settimana seguente avrebbe posto maggior pressione al governo del Kosovo perché
facesse qualcosa.
Allora diedi loro il rapporto di Human Rights Watch (77 pagine) e per finire
un'altra copia del nostro memorandum legale di 46 pagine.
Dissi che avevamo fatto pressioni sull'UNMIK per un'evacuazione e cure
mediche già dal novembre 2000 e naturalmente senza ottenere niente. Eravamo ora
a febbraio 2010. Dissi che probabilmente era impossibile portare in giudizio lo
staff ONU a causa della loro immunità, ma volevamo comunque farlo per gli
amministratori del campo, Norwegian Church Aid e KAAD. Fornii allora loro degli
esempi di "negligenza premeditata" commessa da entrambi gli amministratori del
campo, enfatizzando il rifiuto di NCA di riportare le morti nel campo e mai
chiedendo alimenti o trattamento medico per avvelenamento da piombo; e KAAD, che
oltre a ciò aveva colpevolmente interrotto la dieta speciale per Ergin e suo
fratello.
Dissi che ci doveva essere giustizia. Per quello ero venuto da loro.
Jacobs disse che un'azione sotto il loro mandato era impossibile. Loro erano
lì essenzialmente per monitorare il sistema giudiziario del Kosovo. EULEX si
incaricava personalmente di pochissimi seri crimini. Anche se il nostro caso
fosse stato possibile sotto il loro mandato, non l'avrebbe accettato perché
sarebbero occorsi anni per trovare se qualcuno fosse responsabile. Dissi che
avevamo tutte le prove che servivano. Dissi che l'OMS si era offerto di fornire
tutti gli elementi di prova e che io ed i nostri avvocati potevamo fornire nomi
e prove della negligenza criminale.
Jacobs disse che non si trattava di un caso criminale, ma di una questione
politica. Disse che l'unica maniera per noi era di mettere più pressione
politica sul governo del Kosovo per risolvere questa questione politica.
Non ero d'accordo e parlai a lungo sulla storia di questo caso: il dr.
Kouchner che mette i Rom su di un terreno contaminato, promettendo che sarebbero
stati spostati entro 45 giorni; dissi che la squadra medica ONU aveva
raccomandato l'evacuazione nel novembre 2000 e la disintossicazione in Polonia,
ma che Kouchner aveva opposto il veto; dissi a Jacobs che il mio team aveva
portato la famiglia di Mustafa in Germania, sottoponendo a TAC tutti i bambini,
che trovò Denis di 7 anni col fegato di un sessantenne alcolizzato, a causa
dell'avvelenamento da piombo secondo i dottori tedeschi; dissi di come io e il
mio staff avessimo raddoppiato i livelli di piombo che causano danni cerebrali e
che anche noi avessimo dovuto essere disintossicati. Menzionai come tutti
stessero rimproverando ai Rom di avvelenarsi da soli smaltendo le batterie delle
auto, ma che i campioni su 66 bambini del campo mostravano di avere 36 altri
metalli pesanti che non si trovavano nelle batterie delle macchine. Continuai ma
non vidi nessun barlume di interesse nelle persone sedute di fronte a me. Era
ovvio che non mostravano alcuna compassione per la sofferenza di questa gente...
questi zingari.
Parlai per 50 minuti, raccontando loro ogni tragedia che era successa nei
campi dal 1999. Se fosse dipeso da loro, il meeting sarebbe finito dopo cinque
minuti.
Alla fine, Jacobs era abbastanza esasperato con me che cercavo di rendere
questo un caso criminale. Continuò a dire che era una perdita di tempo. Quella
era una questione politica e io dovevo trovare un modo di fare pressione sul
governo del Kosovo, non su EULEX.
Alla fine gli chiesi se non fosse stato un serio crimine. Mi rispose di no.
Disse che era un serio problema, ma perché lui lo definisse un serio crimine
prima avrebbe dovuto investigare e questo avrebbe preso anni. Anche così, disse,
sarebbe stato difficile trovare i responsabili di persona. Dissi che se questa
situazione fosse avvenuta in qualsiasi città europea ed il sindaco, il capo
della polizia e gli incaricati alla sanità pubblica non avessero immediatamente
evacuato l'area, sarebbero finiti in prigione per negligenza verso l'infanzia.
Il procuratore capo si limitò a fissare davanti a sé.
Il suo staff concordò con lui. Questa era una questione politica e dovevamo
porre maggiore pressione sul governo del Kosovo. Dal 1999 al 2008 non era
possibile. Ora che il Kosovo aveva l'indipendenza, dovevano mostrare di
meritarsela.
La donna seduta di fronte a me continuò a ripetere che Thomas Hammarberg
sarebbe venuto la settimana prossima. Era molto alterato perché il governo del
Kosovo non aveva seguito le sue raccomandazioni di sei mesi prima, quando era
stato lì l'ultima volta, di evacuare i campi. Disse che avrei dovuto incontrarlo
durante la sua visita.
Lasciai loro due nostri DVD: Kosovo Blood e la manifestazione del campo di
Osterode ad aprile 2009. Lascia anche loro due copie del mio libro UN-Leaded
Blood che immediatamente loro coprirono con le loro carte, nel caso qualcuno
potesse vederne la copertina.
Fui molto educato nel ringraziarli per avermi ricevuto, ma spero di aver
mostrato con la mia espressione quanto frustrato io fossi dalla loro mancanza di
umanità e compassione, e soprattutto dalla loro mancanza di interesse nel
cercare giustizia per questa povera gente che aveva sofferto la peggiore
tragedia di ogni minoranza in Europa nell'ultima decade. Così come non c'è
misericordia per i nostri bambini romanì negli affari targati Mercy Corps, né
nessun interesse nel salvare i nostri bambini da parte dell'OnG Save the
Children... non c'è nemmeno nessun interesse nella giustizia per questi ragazzi
del Dipartimento Giustizia di EULEX.
Riconoscimenti
Durante questi undici anni per portare l'attenzione sulla sofferenza e la
tragedia dei Rom/Askali scaricati dall'ACNUR e dall'UNMIK su terreni
contaminati, non molte persone od organizzazioni sono state con noi durante la
lunga tirata. Quelli che hanno iniziato con noi e tuttora stanno contribuendo:
Argentina e Miradija Gidzic, e Jacky Buzoli. Tutti e tre sono Rom e sentono una
dedizione profonda per aiutare la loro gente. Sono anche stati curati per
avvelenamento da piombo, a causa del loro lavoro nei campi. Nel 2005, si è
aggiunta Dianne Post, un avvocato americano che non solo ha dedicato il suo
tempo (gratuitamente) per difendere questi bambini rom/askali, ma ha anche
offerto il proprio denaro per comprare aiuti. Lo stesso anno, Yechiel Bar Chain
donò dei fondi per comprare le prime medicine per curare quanti avevamo fatto
uscire dai campi. Il dr. Bader di Milwaukee, WI, si unì quell'anno per
finanziare i nostri viaggi a Belgrado. Inoltre comprò un pezzo di terra per la
famiglia di Jenita Mehmeti e finanziò la pubblicazione di UN-Leaded Blood e la
realizzazione del documentario Gipsy Blood. Dan Lanctot che fece il film donò il
proprio lavoro. Anche il dr. Klaus Runow si unì a noi nel 2005 per raccogliere i
primi campioni di capelli dei bambini nel campo, registrando che [i bambini] non
solo erano avvelenati da piombo, ma soffrivano anche di altri 36 metalli
pesanti. Per strada sono arrivati contributi ed appoggio dalla Società per i
Popoli Minacciati, JDC, Mary Ellen Salinas, Linda Johnson, Jennifer Clayton-Chen
ed il suo gruppo a Monaco (Germania), Fed Didden, Nidhi Trehan, ed il dr.Sasha
Maksutovic. I contributi a questo libro includono: Bernie e Suzie Sullivan, John
Munden, Graham Crame e Dianne Post.
Due anni fa la nostra campagna navigava in cattive acque finché Bernie
Sullivan organizzò il KMEG (Gruppo di Emergenza Medica del Kosovo) ed introdusse
nuovi attivisti, in particolare Valerie Hughes che spinse il senatore irlandese
David Norris a parlare (e continua a farlo) a favore dei nostri bambini zingari.
Molti giornalisti e media importanti come Bild Zeitung, Aljezzera, BBC, ZDF,
ARTE TV, la TV australiana (Dateline), The Sun, The Guardian, l'International
Herald Tribune, ed il Washington Times hanno informato il pubblico su questi
bambini che stanno morendo. Sono arrivati in aiuto due altri avvocati: Bob
Golten, professore in Diritto Umanitario all'Università di Denver, che ha
scritto lettere a Mercy Corps e ad NCA, richiamandole alle loro responsabilità;
e Nichola Marshall, in rappresentanza dello studio legale Leigh Day di Londra,
che si è unito a Dianne Post nel richiedere un risarcimento dall'ONU per i campi
rom/askali.
Ironicamente, non molte organizzazioni romanì si sono unite alla nostra lotta
ma recentemente due hanno vigorosamente raggiunto la causa: l'Associazione
Britannica delle Donne Zingare e Patrin GB. Sono certo di essermi dimenticato di
menzionare molti altri che ci hanno aiutato in questo percorso e chi ora sta
contribuendo. Ma loro sanno nel loro cuore che cosa hanno fatto. Tristemente, la
nostra campagna di undici anni non ha salvato molti bambini. Quando abbiamo
iniziato c'era una possibilità di salvare la maggior parte di loro da danni
irreversibili al cervello. Ora tutti ce li hanno. Un dottore mi ha detto che
abbiamo perso un'intera generazione di bambini dei campi. Forse anche una
seconda generazione dato che molti di questi bambini non vivranno abbastanza da
avere dei bambini a loro volta. Ma ancora stiamo combattendo per loro, per un
risarcimento e per la giustizia. Sfortunatamente, non possono mangiare la
giustizia.
Titolo originale: DEADLY NEGLECT
di Paul Polansky
Prima edizione
71 pagine
Tiratura: 1.000 copie
Editore: Kosovo Roma Refugee Foundation (KRRF)
traduzione in italiano di Fabrizio Casavola
www.paulpolansky.nstemp.com
Email: pjpusa5040@yahoo.com
www.toxicwastekills.com
Fine quindicesima e ultima puntata
Di Fabrizio (del 27/09/2010 @ 09:33:54, in Europa, visitato 1921 volte)
RSI.ch (al link è visionabile un breve video)
Minacce ad alcuni membri della Commissione cantonale nomadi
Due denunce sono state inoltrate al Ministero pubblico
Una lettera minatoria é stata recapitata ad alcuni membri della commissione
cantonale ticinese nomadi. "Ve la faremo pagare", si può leggere, tra l'altro.
In precedenza, all'inizio dell'estate, una missiva di minacce era arrivata
anche al presidente della commissione, Ermete Gauro, il quale, dopodomani,
sentirà i suoi colleghi per decidere che seguito dare alla vicenda.
Nel frattempo due denunce sono state inoltrate al ministero pubblico. La
commissione cantonale nomadi ha il compito di approfondire le problematiche
legate al periodico transito di zingari nel nostro cantone. Tra i suoi
obbiettivi vi è tra gli altri formulare proposte per la messa a disposizione di
aree di sosta.
Si da il caso che conosca la persona minacciata, le ho
scritto per sapere cos'era successo. Ecco il suo racconto:
Ciao Fabrizio,
è successo che ho ricevuto una lettera anonima con minacce. Questo perché
faccio parte della commissione cantonale nomadi il cui compito è di trovare aree
di sosta e sensibilizzare la popolazione. Visto quanto sta accadendo devo
ammettere che il secondo obbiettivo è ancora ben lungi dall'essere raggiunto.
Non c'è molto da aggiungere se non che il clima qui è degenerato. Ormai c'è chi
pensa di sfruttare lo scontento della gente deviandolo sui rom. I quali rom qui
non costituiscono assolutamente un problema. Ci sono alcuni gruppi (che al
massimo raggiungono il numero di 150 persone) che viaggiano e si autosostentano
con il commercio di tappeti e si fermano in Ticino per qualche settimana. Dal
punto di vista economico sono perfettamente autosufficienti senza dover
ricorrere a pratiche quali l'elemosina o altri stratagemmi. Tempo addietro
sorgeva il problema della sporcizia lasciata sui campi dopo la partenza.
Sporcizia dovuta al fatto che i campi non erano attrezzati: una canna
dell'acqua, niente gabinetti, ritiro dell'immondizia non organizzato. Ora benché
il solo campo rimasto non sia per niente l'ideale (hanno messo qualche latrina "toitoi")
anche quel problema è praticamente risolto in quanto i nomadi riescono
ciononostante a lasciare il luogo in condizioni decenti. Quindi chi fomenta
l'ostilità gioca sulle fantasie ancestrali dei sedentari e non poggia per nulla
su fatti concreti. Hanno fatto gran rumore sull'arresto di due ragazzine
minorenni rom a Chiasso e Como che portavano sul treno un trolley con dentro una
cassaforte forzata ma non ancora aperta. Si trattava di ragazzine che
rientravano in Italia provenienti dalla Svizzera tedesca e che di fatto non
avevano nulla a che fare con il Ticino. Ti ho già scritto della pagina del
"Mattino della Domenica" della Lega Bignasca del 12 corrente. Se la cosa ti è
sfuggita ti metto di nuovo il link:
Il Mattino online
All'inizio pochi hanno reagito. Il primo è stato il direttore della "Regione
Ticino" Caratti con un editoriale forte dal titolo "Quando diremo basta?".
Qualcuno di notte ha imbrattato la porta della sede della Lega e ha piantato una
croce con il nome del Bignasca. C'è stata anche una manifestazione del centro
sociale il Mulino. I ragazzi sono stati molto bravi hanno fatto il presidio
davanti alla Lega leggendo poesie di Primo Levi e altre contro il razzismo.
Reggevano un cartello "Il lavoro rende liberi? Chiedetelo a Bignasca". Un
vecchietto di 87 anni (Edouard Wahl) ha camminato per un'ora in via Nassa a
Lugano (la via più elegante della città) portando un cartello "Solidarietà ai
Roma". Bertoli, segretario del partito socialista ha chiesto agli altri partiti
di riunirsi per far fronte al degrado del clima sociale. Con qualche
tentennamento e distinguo alla fine si sono riuniti per discuterne. Tra l'altro
il rappresentante della Lega nel governo cantonale si è dissociato e ha
deplorato la pagina del giornale del suo partito. Quanto alla lettera anonima
(...) ho sporto denuncia.
Caro Fabrizio, per la lettera non ho paura ma provo disgusto. Ciao
silvana
Ah, volevo aggiungere che stasera (domenica 26 settembre ndr) dalle
17.00 alle 18.30, insieme al vecchietto di cui ti ho scritto nella mail, faremo
un presidio davanti al Municipio di Locarno con un cartello "Pro Rom non
Pogrom". Lo so che è una goccia in confronto al mare di ciò che andrebbe fatto.
Ciao
silvana
Eccolo qui il vecchietto Edouard Wahl che manifesta davanti al Municipio di
Locarno.
ciao
silvana
Di Fabrizio (del 27/09/2010 @ 09:02:49, in Europa, visitato 2231 volte)
Da
Mundo_Gitano
Euronews.net Andalusia, la terra promessa dei Rom?
16/09/2010 - Sandra Heredia è consulente del lavoro presso l'organizzazione
rom Hamuradi-Falaki di Siviglia. "Sono orgogliosa di essere Rom. Non dico
"Salve, sono Sandra e sono Rom". Dico solo "Salve, sono Sandra". Anche se,
sapete, è un nome abbastanza comune tra i Rom, così naturalmente sto dicendo
loro che sono Rom e di solito la gente dice, "Davvero sei Rom?" Non dicono "Ma
non sei abbastanza scura e vivi modernamente..." ma quasi...
Sandra Heredia, laureata in gestione aziendale, non si conforma agli
stereotipi tanto dentro che fuori dalla sua comunità.
Le notizie sulle espulsioni di Rom dalla Francia ha provocato condanne
unanimi dalle organizzazioni rom spagnole. Il 4 settembre, Sandra ha preso parte
ad una manifestazione a Parigi, in rappresentazione delle donne rom qualificate
in Spagna. Ha commentato: "E' stato incredibile, un'esperienza straordinaria
perché stavamo dimostrando in rappresentanza del Consiglio Statale per i Rom.
Avevamo il nostro striscione, e la bandiera spagnola, così la gente si
avvicinava e ci chiedeva perché eravamo lì. Abbiamo marciato da Rue de la
République a Place de la Bastille. La gente ci ringraziava per essere lì, per
averli appoggiati."
Anche Manuel García Rondón, Segretario Generale di "Unión Romaní" era lì:
"Siamo spaventati. Siamo in disaccordo con l'atteggiamento di Nicolas Sarkozy e
del governo francese, ma per me la cosa peggiore è che ciò sta accadendo in un
paese che si autodefinisce patria della democrazia... fraternité, egalité et
liberté. Ed il problema non è l'essere Rom in sé, è l'essere poveri."
La prima menzione documentata dei Rom in Spagna data dal 1425. Attualmente si
stima che oltre mezzo milione dia Spagnoli siano di etnia Rom. Circa il 40% di
loro vive in Andalusia.
Manuel García Rondón ha detto: "Per i Rom, l'Andalusia è la terra promessa.
La chiave di ciò è la coabitazione, la mutua comprensione tra i due gruppi della
popolazione. Grazie a questo, abbiamo eliminato tutte le barriere e viviamo
fianco a fianco."
L'Andalusia è sempre stato un punto di incontro per civiltà e culture: Rom,
Arabi, Ebrei ed altri hanno contribuito all'identità della regione. Sia le facce
che la musica riflettono questo mix.
Come dappertutto, nel passato i Rom non erano sempre benvenuti sul suolo
spagnolo. Ma le politiche recenti si sono focalizzate nell'aiutare i Rom e
specificatamente identificare i loro bisogni. Ora la sfida è di costruire
sulla tolleranza per raggiungere una vera integrazione.
Ana Gómez è Direttrice Generale dei Servizi Sociali in Andalusia. "La chiave
del successo è di avere politiche in atto che via via promuovano l'accesso ai
diritti e ai doveri, come tutti gli altri cittadini e tutti gli altri Andalusi."
I Rom arrivarono in Spagna in un'altra era, un altro contesto politico,
economico e sociale... Ma l'esperienza spagnola può servire altrove come
esempio?
Juan Manuel Reyes, direttore regionale della "Fundation Secretariado Gitano"
ha detto a Euronews: "Questa politica è esportabile? Certamente, qui, la
filosofia e la partecipazione dei Rom nelle pubbliche amministrazioni è
notevole. Ed infatti penso che sempre più l'Europa stia guardando alla Spagna
nel progettare politiche di sostegno all'integrazione dei Rom. Ci sono stati
grandi progressi negli ultimi cinque anni, specialmente riguardo al loro accesso
ai beni e ai servizi, alloggio, istruzione e lavoro. E di cui, naturalmente,
hanno beneficiato la maggior parte dei Rom, anche se ci sono ancora alcuni
grossi problemi da risolvere."
Da 75 anni El Vacie, a pochi minuti dal centro di Siviglia, è la più antica
baraccopoli d'Europa. Quando venne qui Francisco Franco, promise alloggi decenti
per gli abitanti. Ma dopo decenni di delusioni, 900 Rom vivono ancora là.
Uno di loro, Lole del Campo, ci ha detto: "Appena dici di essere di El Vacie,
non ti daranno lavoro, e ho passato gli esami. Ho il mio CV, ma è inutile. Non
mi daranno un lavoro solo a causa di dove vivo."
Alcuni dei Rom qui sono nuovi arrivati dall'Europa orientale. Ma le autorità
andaluse, determinate a sradicare tutte le baraccopoli, non autorizzeranno
ulteriori costruzioni.
Dice un altro residente: "Voglio essere chiaro, non li vedo come fratelli. Ma
sono Rom come loro. E loro hanno gli stessi miei diritti. E ho un posto e una
baracca - anche loro hanno il diritto di vivere."
Di martedì e venerdì la polizia rastrella la baraccopoli cercando nuove
capanne, di solito costruite da europei dell'est. Lo scopo è di sradicare le
rimanenti baraccopoli in Andalusia, e di evitare che ne vengano costruite altre.
Ma come vengono smantellate, così sono ricostruite. Ed il governo regionale
comprende di non aver ancora trovato una soluzione permanente per i Rom
dell'est.
Espulsa in varie occasioni, la famiglia Mihalache ha un permesso speciale per
fermare qui la sua roulotte. Sono in Spagna da quattro anni, in Siviglia gli
ultimi due. Qualche mese fa, il padre ha trovato lavoro come meccanico e le tre
figlie ora vanno a scuola.
Spiega
Petru Mihalache: "In Romania non abbiamo niente, così per guadagnare qualcosa
tutti vengono in Spagna, Francia o Italia."
Sua moglie Patrita aggiunge: "Molti vengono nonostante il sistema delle
quote, per far soldi, per curare i bambini, e per mandarli a scuola. Per
costruire o ricostruire una casa perché ci sono stati così tanti alluvioni."
Una delle loro figlie, Crina Mariana Mihalache, commenta: "In Romania non
possiamo lavorare. Là non abbiamo case, neanche qui. Ma ora mio padre ha un
lavoro e ci va ogni giorno."
La famiglia Mihalache ha avuto l'appoggio dell'organizzazione spagnola Romani Unión
che ha installato un centro informazioni per la comunità. José vi ci si reca
regolarmente per vedere cosa stanno facendo.
Dice: "La Romani Unión è al 100% un'entità rom e considera il popolo rom come
universale. Così quando vediamo questa crescente migrazione dall'est
dell'Europa, capiamo che questi nuovi arrivati hanno specifici bisogni. I
collegamenti tra tutti i Rom significano che dobbiamo aiutarli, dobbiamo
intervenire per migliorare il loro standard di vita."
Ma Manuel García Rondón è convinto che il momento migliore per i Rom debba
ancora arrivare. "L'Europa sta invecchiando e ci sono 12 milioni di Rom in
Europa. Siamo un popolo molto, molto giovane. Ed avranno bisogno di noi per
lavorare. Così dovranno trattarci equamente perché molto presto avranno bisogno
di noi... Per favore, non siate tirchi con noi."
E così lasciamo qui i Rom di Siviglia. La prossima puntata della serie sui
Rom verrà dall'Ungheria, nel cuore dell'Europa.
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