Di Fabrizio (del 11/05/2010 @ 09:54:40, in casa, visitato 1487 volte)
Caro [...],
grazie per aver firmato l'appello per la sospensione e revisione del "Piano
nomadi" a Roma. Insieme a te, in Italia più di 8000 persone hanno firmato
l'appello al Prefetto Pecoraro e oltre 62.000 in tutto il mondo. Questi
risultati ci indicano quanto sia importante continuare ad opporsi all'attuazione
del "Piano nomadi" prima che possa essere replicato in altre regioni italiane e
in altri Paesi europei.
Per questo motivo porteremo il tema delle violazioni dei diritti umani nei
confronti delle comunità rom anche alla Marcia per la pace Perugia -
Assisi.
La Marcia si aprirà con una ruspa e uno striscione con la scritta "I diritti
umani non si sgomberano". La nostra sarà una presenza forte, visibile,
importante. Sarà un'occasione imperdibile per continuare a raccogliere firme e
per sensibilizzare l'opinione pubblica su un tema che, in genere, si preferisce
ignorare piuttosto che affrontare.
Se hai la possibilità di partecipare e vuoi marciare insieme a noi, contattaci
all'indirizzo action@amnesty.it o al
telefono 328 7412913. Ti ricontatteremo per darti tutti i dettagli logistici e
indicarti gli appuntamenti previsti.
Se sei distante da Perugia, non ti preoccupare! La Tavola della pace ha
organizzato pullman praticamente da tutta Italia.
Unisciti a noi e potrai continuare a dare il tuo contributo per i diritti dei
rom in Italia!
Di Fabrizio (del 10/05/2010 @ 09:48:57, in casa, visitato 1601 volte)
ERRC - European Roma Rights Centre (organizzazione internazionale che lavora per
combattere le violazioni e le discriminazioni dei diritti dei rom) e NAGA hanno
inviato una lettera alle principali istituzioni di tutela dei diritti umani,
europei ed internazionali, per l’ondata, senza precedenti, di sgomberi forzati
di famiglie rom e sinti a Milano.
Dal momento che, nel solo 2010, le autorità milanesi hanno ordinato ed eseguito
almeno 61 sgomberi forzati, lasciando più e più volte le famiglie rom e sinti
per la strada, ERRC e NAGA hanno richiesto con urgenza al Commissario per i
Diritti Umani del Consiglio d’Europa, allo Special Rapporteur ONU
sull’abitazione e all’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali, di
denunciare pubblicamente le gravissime violazioni di diritti umani e di
organizzare una missione di emergenza in Italia.
Il testo completo della lettera è disponibile sul sito di ERRC: (QUI, pdf in inglese ndr). La stessa lettera è stata mandata, per
conoscenza, al Ministro degli Interni Maroni
La notizia è di ieri. Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, in qualità però di
delegato per l'emergenza nomadi, ha pubblicato un bando per l'acquisto di aree
private da attrezzare a campi rom. Non trovando (o trovando pochissime) aree
comunali da riconvertire, l'unica soluzione è pagare qualche privato disposto a
vendere o affittare (a prezzo d'oro naturalmente) al Comune il suo terreno.
Il Nimby (Not in my back yard, non nel mio giardino) passa dalle centrali
nucleari e le discariche di rifiuti ai campi rom. Nessun municipio romano (di
destra e di sinistra) si è detto disponibile: troppo forte la paura di trovarsi
la gente in piazza ad urlare contro "gli zingari che rubano e portano le
malattie".
E così le migliaia di rom RESIDENTI a Roma (i Bartali di oggi) sono ancora alle
prese con una vera e propria deportazione senza fine. Finito lo show televisivo
della chiusura del Casilino '900 (il più grande campo di Roma, ora a
disposizione dei costruttori per l'ormai proverbiale speculazione edilizia) ci
sono famiglie che sono state spostate in strutture con persone di etnia diversa,
riavvicinando nuclei in guerra fino a pochi anni fa, allontanando i bambini a 25
km dalla scuola in cui andavano con gioia e profitto.
Ora finalmente le cose si metteranno a posto. A guadagnarci saranno i soliti
noti: gente piena di soldi che abita in centro, a debita distanza dai campi
stessi. Guadagnano sui rom e sulla paura. E sono contenti.
Cohre.orgFamiglia rom della comunità di Bourgas e quel che rimane della
loro casa, Bulgaria (PHOTO: EOA, September)
23/04/2010 - Il Centro per i Diritti Abitativi e gli Sgomberi (COHRE) con il
suo partner, l'Associazione per le Pari Opportunità (EOA), organizzazione
bulgara per i diritti umani, hanno sottoposto questa settimana un rapporto al
Consiglio ONU per i Diritti Umani, in cui si denuncia che da decenni i Rom in
Bulgaria sono sottoposti a discriminazione razziale nel campo degli alloggi.
Il rapporto anticipa la rassegna del Consiglio per i Diritti Umani sulla
situazione in Bulgaria riguardo al processo "Rassegna Periodica Universale".
La RPU è la più importante rassegna di dati sui diritti umani del Consiglio
dei 47 stati membri.
"La situazione generale per i residenti rom in Bulgaria è illustrativa di
decenni di discriminazione razziale, incluso il campo d'alloggio," dice Gotzon
Onandia-Zarrabe, direttore legale del COHRE.
"Molti Rom risiedono in alloggi inadeguati sovrappopolati, senza accesso
all'acqua, all'elettricità e alle fognature; molto lontani dagli standard
internazionali che definiscono una dimora adeguata."
Nel 2009 sono cresciuti gli sgomberi minacciati ed attuati delle comunità
romanì.
Nel loro rapporto [...] COHERE e EOA osservano come la mancata applicazione
della legge esistente ha contribuito a questa crescita delle violazioni dei
diritti d'alloggio in Bulgaria. Per esempio, mentre la Protezione contro gli
Atti Discriminatori è in vigore dal 1 gennaio 2004, non è stata adeguatamente
applicata nel contesto delle pratiche discriminatorie statali e delle autorità
municipali, o dei ministeri e delle agenzie federali.
"I recenti sgomberi forzati nella città di Bourgas sono emblematici della
cresciuta minaccia che pende sulle comunità romanì di tutto il paese," dice Gotzon Onandia-Zarrabe.
L'8 settembre 2009, le autorità comunali di Bourgas hanno sgomberato a forza
27 Rom della comunità di Gorno Ezerova e demolito le loro case. Le demolizioni
sono avvenute con l'assistenza della polizia locale. I residenti sono stati
allontanati dalle loro case ed alcuni di loro malmenati dalla polizia. Sono
stati obbligati a lasciare la maggior parte dei beni di loro proprietà, mobili
inclusi, quando le loro case sono state demolite. Le famiglie, compresi bambini
ed anziani, sono state lasciate senza casa. Quanti sono rimasti attualmente
rischiano uno sgombero forzato, senza che siano stati consultati o che sia stato
loro offerto un indennizzo o una sistemazione alternativa.
La comunità di Gorno Ezerova esiste da oltre 50 anni. Durante questo periodo,
è stata riconosciuta dalle pubbliche autorità. Questo riconoscimento includeva
la fornitura di servizi postali individuali, come pure servizi pubblici, come
l'acqua, le fognature e l'elettricità.
La comunità di Meden Rudnik, pure di Bourgas, ha sofferto un simile destino
il 25 settembre 2009 e la comunità di Barite a Sofia è ora sotto minaccia di
sgombero forzato.
I membri di comunità come Gorno Ezerovo vivono in insediamenti
informali dovuti in larga parte al modello persistente di discriminazione
razziale contro i Rom nell'accesso alla casa. Questa discriminazione include la
mancanza di accesso all'istruzione e alle opportunità d'impiego necessarie per
affrontare gli affitti ai prezzi di mercato.
"Secondo le leggi internazionali sui diritti umani, sottoscritte dalla
Bulgaria, gli sgomberi possono essere giustificati sono in circostanze
eccezionali e dopo che tutte le alternative praticabili siano state esplorate, e
con una significativa consultazione con i diretti interessati," dice Gotzon Onandia-Zarrabe.
"In ogni caso, gli sgomberi non possono avvenire in maniera discriminatoria o
se rendono senza casa gli sgomberati."
COHRE chiede al governo bulgaro di indire una moratoria su tutti gli
sgomberi di massa, fintanto che non si arrivi ad un quadro legale adeguato per
assicurare che non avvengano sgomberi arbitrari e contro la legge o altri
sgomberi forzati e che il governo agisca in accordo con le leggi internazionali.
Inoltre l'organizzazione chiede al governo di assicurare che tutti i
residenti, inclusi quelli di discendenza rom, ottengano un grado sufficiente di
sicurezza di proprietà ( la sicurezza che venga riconosciuta il diritto della
persona alla propria terra) che garantisca protezione legale contro sgomberi
forzati, molestie e altre minacce.
Con questa "soluzione" la città multiculturale di Cluj rimane molto indietro
rispetto alle raccomandazioni della Commissione Europea riguardo alla
desegregazione e le politiche inclusive, o a quelle che si riferiscono alla
necessità di prendere decisioni col coinvolgimento delle comunità rom - idee
ripetute questa settimana al secondo Summit Europeo dei Rom(http://www.nieuwsbank.nl/en/2010/04/09/H007.htm).
Secondo le dichiarazioni del vicesindaco, il Consiglio ha iniziato a
considerare una risoluzione per identificare i proprietari a Pata Rat per
espropriare i terreni dove sistemare i Rom delle vie Cantonului e Coastei e
dintorni. Oltre al diniego totale del pericolo si segregazione etnica, non viene
posta attenzione al problema fondamentale di queste persone: la mancanza di
documenti di residenza e di documenti d'identità permanenti, che potrebbero
assicurare loro la sicurezza nella vita di tutti i giorni.
Queste recenti decisioni e proposte sono state prese come d'abitudine per le
autorità locali: ad es. senza consultare i rappresentanti delle comunità rom e
senza nemmeno avvertire i diretti interessati. Per oltre dieci anni hanno subito
improvvisi sgomberi e rimozioni forzate da un posto all'altro, diventando via
via vittime di una crescente segregazione residenziale che riproduce ed aggrava
tutti i loro problemi, dall'accesso all'istruzione di qualità, a quello ad un
lavoro decente, sino alla discriminazione istituzionale. Né ora, né altrimenti,
è mai stato offerto alle organizzazioni rom un quadro legale in cui discutere
della questione, le autorità non si sono consultate con loro e quando è stato
fatto un tentativo in questo senso da parte delle organizzazioni, le loro
opinioni sono state ignorate. Inoltre, anche se ci sono persone di etnia rom
nelle autorità locale, in Prefettura, nei Consigli Distrettuale e Comunale di
Cluj, non hanno preso una posizione ufficiale contro la ghettizzazione dei Rom
in città. Questo dimostra che le posizioni da loro occupate non sono
sufficientemente indipendenti da servire gli interessi di quanti dovrebbero
rappresentare, ma che sono subordinate alle decisioni di queste strutture di
potere.
Chiediamo l'attenzione del Consiglio Cittadino e dell'Ufficio del Sindaco di
Cluj perché il loro nuovo progetto è un progetto di ghettizzazione etnica, una
manifestazione di discriminazione istituzionale e perciò una grave violazione
dei diritti umani, con gravi conseguenze sulla cronica esclusione
socio-economica e non-riconoscimento dei Rom come parte integrale della città. I
firmatari di questa petizione chiedono urgentemente di fermare questo progetto e
sviluppare strategie che assicurino effettivamente condizioni di vita durature e
decenti per tutti i cittadini di Cluj.
Potete appoggiare la nostra richiesta firmando la petizione in lingua rumena
a: http://www.petitieonline.ro/petitie-p19395057.html
(per chi non ha familiarità con la lingua, cliccare su Semneaza petitia,
poi nella prima casella indicare nome e cognome, nella seconda la propria mail -
confermare nella terza - e nell'ultima il codice di validazione, le altre
caselle sono facoltative. ndr)
Cluj, 11.04.2010.
Pavel Doghi, president of Amare Phrala Association Enikő Vincze, professor Babesc-Bolyai University, member of the Romani Criss
board
Molti Rom che sono stati spostati negli appartamenti del quartiere di
Taşoluk forniti dall'Amministrazione dell'Edilizia di Massa (TOKİ),
sono ritornati nel loro quartiere originario e nei dintorni di Sulukule per
ragioni culturali e socio-economiche. Molti dicono che le spese per i [nuovi]
appartamenti sono oltre le loro capacità ed anche che lì la vita non è
sostenibile, perché preferiscono case col cortile da condividere con parenti e
vicini
I Rom vivono una vita nomade dopo le demolizioni a Sulukule
Secondo gli osservatori e le OnG, i membri della comunità rom di Istanbul
continuano a vivere come nomadi dopo la demolizione delle loro case, nonostante
i nuovi appartamenti offerti dal governo.
Dopo che le case dei Rom che vivevano nel quartiere Sulukule del distretto di
Fatih a Istanbul sono state distrutte, durante un progetto di trasformazione
urbana guidato dal comune di Fatih negli ultimi tre anni, agli affittuari è
stato permesso di spostarsi in appartamenti costruiti dall'Amministrazione
dell'Edilizia di Massa, o TOKİ, nel quartiere di Taşoluk, sempre a
Istanbul nel distretto di Gaziosmanpaşa.
L'iniziativa fa parte degli sforzi del governo per migliorare gli standard di
vita dei Rom in Turchia, ma i membri della comunità rom di Sulukule dicono di
soffrire ancora per i risultati delle demolizioni.
Spostarli non ha risolto i problemi
Spostare alcuni Rom a Taşoluk non ha fornito una soluzione, dato che molti
di loro hanno fatto ritorno a Sulukule soltanto qualche mese dopo, avendo
venduto i loro appartamenti.
"Abbiamo potuto rimanere lì [a Taşoluk] solo quattro mesi. Non era adatta
per noi," dice Faruk Say, un Rom ritornato a Sulukule. Dopo che la casa di Sulukule
che aveva in affitto con sua moglie e due bambini era stata demolita, Say aveva
scelto di spostarsi negli appartamenti TOKİ a Taşoluk. Dice che vivere
a Taşoluk era socio-economicamente difficile per loro.
"Lì per noi non c'era vita. Dopo le nove le strade sono buie. E' un quartiere
solitario," dice Say. "Le spese mensili del nostro appartamento erano superiori
a quel che potevamo permetterci."
"Dovremmo guadagnare 1.000 lire turche al mese per vivere negli appartamenti a Taşoluk.
Ci sono molte altre spese oltre all'affitto, per esempio il gas, l'elettricità e
le spese dell'appartamento," dice Say.
Quasi la metà è tornata
I Rom vivono e lavorano a Sulukule sia come musicisti che come venditori,
conducendo una vita a basso reddito ed anche i loro affitti sono bassi. Pero il
comune ribatte che ai Rom sono state fornite buone opportunità a Taşoluk.
"Erano tutti in affitto, ma avevano anche la possibilità di acquistare
l'appartamento, pagando 250 lire al mese," dice Mustafa Çiftçi, coordinatore di
progetto per il comune di Fatih.
Dopo 15 anni di pagamenti mensili, avrebbero potuto essere proprietari
dell'appartamento, dice Çiftçi, aggiungendo che tutti hanno ricevuto dal comune
100 lire come supporto. Però, Çiftçi deve concordare che quasi la metà dei 127
Rom mandati a Taşoluk hanno venduto o affittato l'appartamento e sono
tornati a Sulukule o nei quartieri circostanti.
Però secondo Hacer Foggo, della Piattaforma Sulukule, le cifre sono
inferiori. Dice che solo sei o sette famiglie sono rimaste a Taşoluk.
"La maggior parte ha venduto la sua casa a partire da 5.000 lire e sono tornati
nel loro vecchio quartiere. Ma ora si spostano come nomadi da una casa
all'altra, perché non possono pagare l'affitto," dice.
Foggo, che lavora presso l'Associazione Zero Discriminazione, ha raccontato a
Daily News che dovrebbero essere fatte ricerche a Sulukule per studiare i
bisogni dei locali, prima di far partire il progetto di trasformazione urbana.
"Dovrebbero essere esaminate le ragioni per cui i bambini non frequentavano la
scuola o i disabili non lasciavano le loro case, e prodotti progetti sociali per
migliorare la loro vita," ha detto.
Sevcan Küçükatasayar, 20 anni, ex affittuario a Taşoluk ritornato a
Sulukule, dice che non potevano vivere in un appartamento. "Avevamo l'abitudine
di vivere in una grande casa col giardino. Tutti i nostri parenti erano nello
stesso quartiere. Ma a Taşoluk, mio padre ha aperto una casa da te, ed ha
fatto bancarotta perché nessuno ci andava," dice.
Nel contempo, alcuni Rom dicono di essere felici a Taşoluk. "Quanti hanno
un lavoro stabile possono viverci," dice Şahin Kumralgil, che vive a Taşolukma
passa il tempo a Sulukule.
Secondo Şükrü Pündük, capo dell'Associazione Rom di Sulukule, molti dei Rom
tornati a Sulukule sono anche stanchi di parlare alla stampa ed hanno
perso la speranza di un futuro migliore.
Rimozione di una sentenza discriminatoria
Il deputato di Bursa Ali Koyuncu, del partito di governo Giustizia e Sviluppo (AKP)
ha anche preparato una proposta che chiede la rimozione di una sentenza con
connotazioni discriminatorie, riporta l'agenzia Anatolia news. La sentenza
recita: "Il Ministro degli Interni è responsabile della deportazione di zingari
e nomadi stranieri."
Di Fabrizio (del 21/03/2010 @ 09:52:18, in casa, visitato 2065 volte)
Da Verona, una segnalazione di Franco Marchi. In calce il
suo commento
19-03-2010 (ASCA)
- Verona, 19 mar - E' stato finanziato dal Ministero dell'Interno con 1 milione
400 mila euro il progetto del Comune di Verona per la riqualificazione dei campi
nomadi di Forte Azzano e piazzale Atleti Azzurri d'Italia. Lo rende noto il
Sindaco di Verona, che oggi insieme al Prefetto Perla Stancari e all'assessore
ai Servizi demografici ha illustrato il progetto, cui il Prefetto di Venezia,
Commissario straordinario per l'emergenza nomadi sul territorio veneto, ha
assegnato il finanziamento ministeriale. Grazie all'erogazione della prima
tranche di contributi, pari a 230 mila euro, gia' nei prossimi giorni partiranno
i lavori di sistemazione dello storico campo nomadi di Forte Azzano di strada La
Rizza 65, che ospita attualmente 12 nuclei familiari, per un totale di 70
persone di cui 15 minori, tutti cittadini italiani presenti in loco gia' dagli
anni '80. L'intervento per complessivi 400 mila euro prevede: la sistemazione
delle 8 piazzole esistenti con il rifacimento completo dei servizi; la messa a
norma delle altre 4 piazzole irregolari esistenti con relativi servizi; la
delimitazione dell'area e la realizzazione di un accesso protetto con sbarra
apribile; la realizzazione degli allacciamenti alla rete esistente; il
rifacimento di parte della fognatura con la realizzazione dei nuovi allacci alle
piazzole in costruzione; la sistemazione del piazzale e delle aree di accesso
con relativa bitumatura; la bonifica delle piante di vegetazione spontanea che
creano problemi ai sottoservizi.
Per la sistemazione del campo nomadi di piazzale Atleti Azzurri d'Italia, che
presenta una situazione piu' complessa, saranno destinati 800 mila euro: il
campo ospita attualmente circa 90 persone di etnia sinti e circa 150 giostrai,
che vi soggiornano stabilmente solo nei mesi invernali. I restanti 200 mila euro
del finanziamento ministeriale assegnato saranno impiegati per garantire una
costante azione di censimento e di controllo della popolazione, al fine di
regolarizzarne la permanenza, con particolare attenzione alla tutela dei minori
presenti.
''Ringrazio il Prefetto -ha detto il sindaco- che ha ben rappresentato le
esigenze di Verona e che ha il merito principale per le importanti risorse
assegnate a questo progetto, che coniuga rigore e integrazione. Grazie a questo
intervento, la comunita' di sinti che risiede da molti anni nello storico campo
di Forte Azzano potra' avere condizioni piu' vivibili e servizi adeguati, nel
pieno rispetto del regolamento che abbiamo varato di recente, per favorire la
pacifica convivenza e garantire la sicurezza e la tranquillita' dei residenti
del quartiere''. ''E' un progetto concreto -commenta il prefetto- che mette a
disposizione risorse ingenti per migliorare la qualita' della vita di queste
persone, quasi tutte di nazionalita' italiana, ed offrire loro reali
opportunita' di integrazione: in questo modo diminuiranno le situazioni
conflittuali sul territorio, a vantaggio di tutti i cittadini''.
fdm/mcc/ss (Asca)
È molto interessante la notizia. È certamente frutto della presenza e del
lavoro del prefetto
Perla Stancari. Sono e siamo disposti a sotterrare i precedenti del sindaco
Tosi se, affiancato dal prefetto, inizierà un nuovo rapporto con i cittadini rom
e sinti di Verona. I campi di Verona, si vedono i numeri nell'articolo, non sono
mai stati enormi e attraverso una "cogestione" con gli abitanti sono sempre
stati decentemente puliti ed ordinati. I sinti veronesi sono da sempre presenti
in zona, con scambi con le province vicine, i rom di forte Azzano provengono in
massima parte dalla Slovenia e zone vicine e sono a Verona, vado a memoria e mi
riferisco alla famiglia più vecchia, dal 1961. Sono tutti cittadini italiani e
pertanto hanno superato i criteri di reddito e di certificati penali. Auguro
pertanto agli amici rom e sinti veronesi che inizi un nuovo periodo di buoni
rapporti con le amministrazioni locali. Della delibera una cosa sola mi crea
dispiacere: "200 mila euro del finanziamento ministeriale assegnato saranno
impiegati per garantire una costante azione di censimento e di controllo della
popolazione". Una parte di questo concetto non mi piace, entre è accettabile la
seconda parte: "al fine di regolarizzarne la permanenza, con particolare
attenzione alla tutela dei minori presenti". Se oltre al controllo vi saranno
azioni positive ben vengano.
Il 24 marzo (2008 ndr) il vicesindaco Decorato dichiara ai giornali
che il comune di Milano spende ogni anno 6milioni di euro solo per i campi
nomadi regolari; visto che sono 12 i campi in Milano siamo andati a vedere come
sono stati spesi nel campo di Via Bonfadini i circa 500.000 euro che dovrebbe
costare mantenere questo campo.
Degli altri campi milanesi, ne avevamo parlato in passato:
Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:02:38, in casa, visitato 1710 volte)
A giugno scade l'accordo per l'area di via Lazzaretto, che sarà destinata
ad altro uso. Le famiglie si dividono: alcuni pronti a fare domanda per una
casa, altri a rimanere fedeli alla loro tradizione
Case popolari sì, case popolari no. È il dilemma delle famiglie del campo sinti
di via Lazzaretto, che a giugno dovranno lasciare l'area attrezzata dopo che
l'amministrazione
ha deciso di non rinnovare la convenzione annuale di affitto,
per liberare l'area per altro uso. Le famiglie del campo, una ventina, sono
state convocate dall'assessore ai servizi sociali Roberto Bongini per un
confronto. «Ho invitato le famiglie – spiega Bongini - a fare domanda per le
case popolari, anche se ho chiarito che non hanno nessuna precedenza nelle
graduatorie». Già in passato un paio di famiglie avevano accettato, ora un'altra
mezza dozzina è pronta a fare domanda per il prossimo bando di marzo. Ma gli
altri nuclei non hanno intenzione di abbandonare la vita legata alla tradizione
nomade. Da tempo i sinti si sono stabiliti a Gallarate (sono cittadini
gallaratesi a tutti gli effetti) e non esercitano più forme di lavoro
itinerante, come ad esempio quello di giostrai. La vita nel campo, però,
consente però di mantenere unite le famiglie allargate: i figli continuano a
vivere accanto ai genitori, con i nipoti. E questo è l'aspetto a cui i sinti non
intendono rinunciare.
Nell'incontro si è parlato anche delle bollette dell'elettricità e dell'acqua.
«Hanno detto anche sui giornali che non paghiamo le bollette e che il Comune
deve pagarle. Non è vero, per questo ci ha dato fastidio» dice Ivano, uno dei
giovani capifamiglia sinti. «Molti di noi hanno pagato, altri hanno difficoltà a
causa del lavoro che manca: noi abbiamo chiesto di rateizzare le bollette, che a
volte sono pesanti». Sulla questione Bongini ha promesso che verificherà se ci
sono stati errori e chiarirà la posizione delle famiglie.
La grande preoccupazione dei sinti, però, riguarda giugno: quando l'accordo
scadrà dove andrà chi non vuole fare richiesta di case popolari?
La posizione
dell'amministrazione non cambia: a giugno il campo sarà sgomberato e destinato
ad altro uso, in attesa di decidere, nel pgt, a quale uso destinare l'area.
Nella zona non urbanizzata accanto all'autostrada
dovrebbe sorgere un complesso
logistico. Case popolari o meno, i sinti secondo l'amministrazione dovranno
dividersi, mettendo fine a quella che il sindaco Nicola Mucci ha definito «autoghettizzazione».
Soluzioni alternative, come quelle già sperimentate recentemente altrove anche
nel
nord Italia, non sono all'ordine del giorno.
Le famiglie rom obbligate a lasciare Selendi (Manisa) dopo che il loro
quartiere è stato attaccato e dato alle fiamme (vedi
ndr), sono arrivate a Salihli (Gordes), dove lo stato aveva promesso loro
assistenza, ma non ha mantenuto le promesse. Oggi, soltanto poche famiglie
possono cucinare qualcosa nelle loro abitazioni temporanee. Qualcuno può
scaldarsi la casa, ma la maggioranza manca di legna da bruciare e di acqua
calda, così lavarsi è un lusso. Soltanto metà delle case hanno acqua
corrente. "Non puoi stare bene e sano in queste condizioni", dicono i Rom, "nel
passato ogni famiglia aveva un tetto sopra la testa, ma ora ci sono fogli di
plastica e per ogni casa ci sono tre famiglie". Il materiale per i miglioramenti
di queste proprietà, per renderle abitabili alle famiglie rom, è accatastato lì
vicino nella locale moschea.
Inoltre, secondo il governatore del distretto di Salihli, i Rom sono vittime
di discriminazione nella loro nuova collocazione. "Anche quando ricorriamo allo
stato per trovare case per le famiglie rom, i proprietari non vogliono
affittare," dice. "Se sono per le famiglie rom, ci dicono, non li vogliamo nei
nostri appartamenti."
La comunità rom ha vissuto a Selendi, Manisa, per oltre trent'anni. A
Capodanno ci fu un diverbio ed in una casa del te non volevano servire un Rom,
anche se il proprietario del locale si giustifica dicendo che il Rom stava
fumando nel locale (la legge turca, in linea con le politiche UE, proibisce di
fumare sigarette nei ristoranti, bar e caffè aperti al pubblico). A seguito di
ciò, iniziò una "spedizione punitiva" contro il quartiere rom, con lancio di
pietre contro le case ed auto bruciate per le strade. Grazie all'aiuto della
locale Jandarma (gendarmeria), le famiglie si rifugiarono nella vicina città di
Gordes. La questione ebbe ampio risalto sui media, con i parlamentari che per
giorni dopo l'accaduto, focalizzarono la loro attenzione sul problema dei "Rom-in-esilio".
Le autorità fecero promesse. "Queste ferite saranno rimarginate. Ai Rom verranno
date nuove case." Invece, le famiglie vennero separate, i parenti divisi, mentre
altra furono obbligate a vivere in condizioni ristrette di tre famiglie a
condividere piccole case a Salihli. Un mese dopo, il dramma è finito e 18
famiglie stanno vivendo nella miseria...
Dr. Adrian Marsh Researcher in Romani Studies adrianrmarsh@mac.com
+46-73-358 8918
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