Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 10/10/2010 @ 09:02:10, in casa, visitato 1744 volte)
Comunicato stampa di
Luciano Muhlbauer
I capi del Pdl e della Lega di Milano, il Sindaco e il Vicesindaco del
capoluogo lombardo e tutti gli altri illustri esponenti delle istituzioni locali
e nazionali, che in queste ultime settimane hanno animato l'incredibile gazzarra
sulle 25 case ai rom di via Triboniano, dovrebbero semplicemente chiedere scusa
ai cittadini e alle cittadine.
Lo farebbero, se gli fosse rimasto ancora un briciolo di dignità, perché la
realtà che sta emergendo, dopo settimane di politica politicante ed urlante,
ci consegna la fotografia di un'ignobile montatura elettorale, fatta da bugie,
prese per i fondelli e violazioni di regole ed accordi sottoscritti.
L'ultimo atto di questa imbarazzante e disgustosa commedia l'abbiamo letto
stamattina su il Giorno di Milano, che accanto al solito ritornello decoratiano
del "verranno sgomberati", riporta le dichiarazioni del Prefetto di Milano, Gian
Valerio Lombardi, il quale dichiara, invece, che il campo di via Triboniano non
verrà sgomberato. Anzi, trattandosi di un campo regolare e non abusivo,
sgomberarlo "sarebbe come intervenire in una casa privata; si commetterebbe
reato". In altre parole, bisogna trovare soluzioni concordate.
E bene ha fatto, dunque, la Casa della Carità a pubblicare sul suo sito web
finalmente la dettagliata e documentata
cronistoria degli ultimi mesi. Nulla di nuovo, beninteso, nel senso che non
rivela certo segreti, ma in cambio mette in fila quei fatti, coperti e nascosti
da settimane di fango.
Infatti, i 25 (venticinque) appartamenti non sono stati sottratti ai milanesi
in graduatoria per una casa popolare, poiché vuoti, abbandonati e bisognosi di
ristrutturazione. E quindi, la Giunta regionale ha deliberato il 5 agosto
scorso, all'unanimità, dunque Lega compresa, di toglierli da patrimonio Erp
dell'Aler. La ristrutturazione sarebbe stata gestita dal Comune di Milano e
finanziata da un apposito stanziamento di 300mila euro del Ministro Maroni.
Riassumiamo. Il Triboniano è un campo comunale e regolare e suoi residenti
sono regolari e quindi non possono essere sgomberati. Quindi, volendo liberare
l'area, visto che si trova sulla traiettoria dell'Expo, il Comune, la Regione e
il Ministero degli Interni, gestiti tutti quanti dalle stesse forze politiche,
cioè Pdl e Lega, hanno deciso di concordare con la Casa della Carità un piano,
al fine di trovare soluzioni alternative e negoziate per le 104 famiglie
riconosciute del Triboniano.
A tal fine, sono già stati firmati, dai rappresentanti del Sindaco e del
Ministro, alcuni accordi, relativi all'ingresso negli appartamenti dei primi 11
nuclei familiari.
Ma poi, qualcuno si è ricordato della campagna elettorale e del bilancio
disastroso dell'amministrazione Moratti e ha pensato bene di riesumare un po' di
campagna razzista contro i rom, che funziona sempre.
A questo punto, però, il re è nudo e non rimangono che due strade. La prima ci
porta fuori dalla democrazia e dalla Costituzione e consiste nel fissare
formalmente il principio che in Italia c'è un'etnia a cui è inibito l'accesso ad
alcuni servizi e diritti. La seconda è quella di porre fine alla gazzarra,
assumersi le proprie responsabilità e trovare delle soluzioni.
La scelta sta unicamente alla Moratti, a De Corato e a Maroni.
Di Fabrizio (del 09/10/2010 @ 09:52:04, in media, visitato 2136 volte)
La Stampa
Una ragazza di vent'anni, torinese, che fa un documentario prodotto da
RaiTre, ispirandosi a Woody Allen e alla sua famiglia. Solo un dettaglio: è Rom.
Ecco la sua storia
DA WWW.DIGI.TO.IT - MATTEO ZOLA
"Un giorno metti la pentola a bollire sul fuoco, e sei in un posto. Quando
l'acqua bolle sei in un altro. Quando la pasta cuoce in un altro, e la mangi
chissà dove". Con queste parole la vecchia nonna di Laura Halilovic commenta lo
sgombero che la polizia ha imposto al campo nomadi in cui si trova. Laura, dal
canto suo, ne ha fatto un film: "Io la mia famiglia Rom e Woody Allen", in cui
racconta la sua vita e quella dei suoi cari, tra discriminazioni e vita
quotidiana.
Il titolo è una citazione proprio di un film di Woody Allen. Il cineasta
americano ha letteralmente folgorato la piccola Laura che, ancora bambina, si
trovò da allora a coltivare un sogno: fare la regista. Oggi, con questo film
documentario prodotto in collaborazione con RaiTre e Film Commission Torino,
quel sogno è diventato realtà.
A META' TRA DUE CULTURE
"Da quando ho fatto questo film molti si interessano a me. Certo, il pericolo è
che lo facciano solo perché sono Rom, che mi mettano addosso quest'etichetta e
ci si interessi a me perché "diversa"".
Una diversità che le viene additata anche dalla sua comunità: "Sono diversa per
gli italiani e sono diversa per i Rom perché non voglio vivere secondo la nostra
tradizione e non intendo sposarmi per realizzare "il mio futuro"". Proprio con
queste parole infatti i genitori di Laura, nel documentario, la spingono al
matrimonio: "Sei già vecchia, hai 19 anni", le dicono. "Così mi trovo a metà tra
due culture, in bilico - prosegue Laura - e certo è una sofferenza, è una
situazione che vivo malissimo".
Ma la giovane regista ha le spalle larghe e con tenacia procede nel suo cammino
umano e artistico: "Anche la mia famiglia ora si è convinta, ma all'inizio è
stata dura poiché una ragazza Rom non può studiare e nemmeno lavorare, può solo
sposarsi".
LA VITA NEI CAMPI
Nata a Torino, Laura ha vissuto nel campo vicino all'aeroporto di Caselle fino
all'età di otto anni. Poi la sua famiglia ottiene una casa popolare dove vanno a
vivere in nove: lei e i suoi quattro fratelli, i genitori e due cognati. Della
vita del campo resta un ricordo indelebile di libertà e prigionia al contempo:
"Mi ricordo la libertà, noi bambini stavamo sempre in giro nel campo, solo il
cielo a farci da confine. Ma ricordo anche il filo e la rete che delimitavano il
campo, eravamo come animali in gabbia". Le difficoltà coi "Gagé" – i non Rom –
iniziarono con la scuola: "Ricordo la mia felicità, il primo giorno. E ricordo
come gli altri genitori commentassero: "Ci mancava anche la zingarella". Quel
giorno non parlai con nessuno e corsi via appena la campanella suonò".
INTEGRAZIONE NON E' ESSERE TUTTI UGUALI
Questo dolore è quello che, secondo Laura, farà sempre sentire i Rom inferiori.
Un'inferiorità interiorizzata a tal punto da renderli incapaci di rivendicare i
loro diritti. "E non cambierà mai. Come mai cambierà l'atteggiamento dei Gagé
che continueranno sempre a disprezzarci. Un'integrazione è impossibile". Poi,
con un sospiro: "Integrazione non è essere tutti uguali, non è –per un Rom –
diventare Gagé. I Rom non vogliono diventare Gagé. Se non ci fosse più
diversità, nel futuro, forse non ci sarebbe più discriminazione. Ma poi saremmo
tutti più poveri".
Nella parole di Laura echeggia la saggezza della vecchia nonna, che nel film è
il simbolo di una cultura antica, modellata dai secoli e dai chilometri percorsi
da questo popolo nomade. "Quando mi dicono: "vai a casa tua" io mi domando qual
è la mia casa, la casa di un nomade è ovunque". Laura non nasconde che ci siano
dei problemi: "Le persone però non devono fare di tutta l'erba un fascio, tra di
noi siamo diversi. Tra un Rom Romeno e uno bosniaco c'è differenza, ad esempio.
Non conoscono la nostra cultura". E davvero è arduo conoscere la cultura Rom, il
film di Laura è un ponte per la reciproca conoscenza. Forse così sarà possibile
capire che: "Non è vero che i Rom sono tutti ladri e delinquenti". "Quando un
Rom fa un reato, a venire puniti sono tutti i Rom" si dice nel film.
CASETTE IN FILA
E Laura fa un agghiacciante parallelismo: "Quando vedo le casette in fila, tutte
uguali, del nuovo campo di via Germanasca a Torino, con un recinto di ferro
intorno alto tre metri, mi vengono in mente i campi di concentramento dove sono
morti i miei bisnonni". Già, poiché molti dimenticano che, insieme agli ebrei,
ad Auschwitz trovarono la morte milioni di zingari. "Se mai incontrassi Woody
Allen di persona – conclude Laura – gli chiederei come ha vissuto il suo essere
ebreo. E come ne ha fatto una risorsa".
Di Fabrizio (del 09/10/2010 @ 09:17:16, in scuola, visitato 1714 volte)
Roma.Press.Agency
Jarmila Vaňová | 2010-09-24
Oggi all'ufficio editoriale abbiamo ricevuto una lettera. Per ragioni che
saranno chiare dopo la lettura, non menzionerò luoghi o nomi.
Il 20 settembre 2010 durante la quinta ora in una classe quarta elementare,
un'insegnante ha minacciato alcuni studenti, dicendo loro che se non le
obbedivano avrebbe chiamato la polizia. E l'ha fatto. Uno dei due poliziotti
entrato in classe era una vecchia conoscenza. Iniziò a battere un manganello sui
banchi, gridando: "Dannati zingari, chi vuole assaggiarlo?" Poi entrambe i
poliziotti hanno picchiato sulla testa i bambini rom e sbattuto la loro
testa sui banchi. Così la polizia ha picchiato 7 bambini. I bambini dalla paura
se la sono fatta addosso e sono corsi a casa. Piangendo hanno detto che non
sarebbero più andati a scuola. Hanno raccontato ai genitori tutto ciò che era
successo a scuola. Le madri rom sono corse a scuola per vedere la direttrice.
Quest'ultima ha detto di non essere informata sulla venuta della polizia a
scuola, ma poi ha aggiunto che la polizia può intervenire a scuola ogni volta
che i bambini non obbediscono. Più tardi, nel suo ufficio, alla presenza della
polizia, ha accusato una delle madri di aver afferrato per la gola l'insegnante
che aveva chiamato la polizia, dicendole che poteva avere dei problemi in quanto
le insegnanti sono protette. Solo 15 minuti prima la direttrice aveva detto di
non essere a conoscenza di niente. Le madri hanno rigettato con forza l'accusa
della direttrice. Alla fine la madre accusata ha una testimone che dice che non
ha attaccato l'insegnante, ma ha solo alzato la voce. Chi non griderebbe se
qualcuno picchiasse i suoi bambini?
Più tardi una delle madri è andata al commissariato locale con suo marito ed il
bambino che era a scuola. Sono stati ricevuti dagli stessi poliziotti che erano
stati a scuola. Hanno negato tutto, dicendo dinon aver picchiato i bambini.
Hanno sgridato la madre, dicendo che è colpa dei genitori che non si prendono
cura dei loro bambini. La polizia ha anche rifiutato di fare un rapporto, ed i
genitori sono tornati a casa col loro figlio.
Nei 5 giorni seguenti, 7 bambini per la paura non sono andati a scuola.
Sin qui la lettera.
No comment.
L'ufficio editoriale ha contattato un'organizzazione dei diritti umani ed
inoltre seguirà personalmente questo caso.
Di Fabrizio (del 08/10/2010 @ 09:49:07, in media, visitato 1456 volte)
Mi scrive Roberto Malini che l'Enciclopedia dei Comuni
Italiani, pubblicata nell'edizione online del Radiocorriere TV, nella sezione
dedicata alla città di Pesaro, dedica ampio spazio alla tragica vicenda della
comunità Rom romena rifugiatasi in città nel 2008 e vittima di innumerevoli
episodi di discriminazione e persecuzione.
Riporto il pezzo:
...Nel 2008 una comunità Rom proveniente dalla Romania si è rifugiata nella
città di Pesaro. La comunità, seguita da organizzazioni per i diritti umani,
ha testimoniato davanti alla Commissione europea la condizione di segregazione e
persecuzione in cui vivono i Rom in Italia. La TV di stato ungherese e alcuni
noti autori di documentari etnici hanno filmato in alcune occasioni i Rom di
Pesaro, quali rappresentanti di un'etnia perseguitata a causa delle sue antiche
tradizioni anche in Romania e in altri Stati membri dell'Ue. Portavoce della
comunità era Nico Grancea, incaricato dalle Istituzioni europee di monitorare la
condizione del popolo Rom in Italia. Nico Grancea è tuttora membro del Gruppo
EveryOne. In alcune famiglie Rom rifugiatesi a Pesaro vivono i figli e i nipoti
dei pochi 'zingari' sopravvissuti allo Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau. Fra
di esse, la famiglia mista ebrea-'zingara' Ciuraru, alcuni dei cui martiri sono
ricordati dal Museo Yad Vashem di Gerusalemme. Il Comune di Pesaro si impegnò,
nell'estate 2008, ad attuare un piano di inclusione sociale, con concessione di
alloggi da riattare (dietro regolare pagamento di canone di affitto) e
inserimento al lavoro. Purtroppo tale piano è stato disatteso e, nonostante la
comunità rappresenti davanti all'Unione europea, la testimonianza
dell'emarginazione e della persecuzione del popolo Rom in Italia, il 25 febbraio
2009 polizia locale e polizia di Stato, dietro denuncia di occupazione abusiva
di stabile, hanno allontanato i suoi membri, effettuando un tentativo di
togliere ai genitori la potestà dei loro bambini. Le madri Rom, con un'azione di
grande coraggio, sono fuggite verso la Romania, da dove hanno presentato
denuncia alla Corte Internazionale dell'Aja, alla Commissione europea e al
Comitato anti-discriminazione delle Nazioni Unite per l'incredibile sequenza di
abusi subiti. Un film dedicato alla drammatica vicenda della comunità Rom di
Pesaro è in lavorazione per una produzione ungherese-italiana.
Il resto della pagina su Pesaro è visibile su
http://www.radiocorriere.tv/marche/Pesaro_pu.html
Di Sucar Drom (del 08/10/2010 @ 09:35:14, in casa, visitato 1693 volte)
Il Mattino
GIUGLIANO (5 ottobre) - Un muro traccerà la linea di confine tra le imprese e
le nuove case dei rom.
La barriera di mattoni alta tre metri, finanziata dalla Provincia, assieme a una
nuova ordinanza di sgombero, farà scattare a breve il conto alla rovescia per
portare gli ex nomadi fuori dalla zona Asi.
Dopo anni di braccio di ferro tra gli imprenditori e le associazioni, venerdì se
ne discuterà in Prefettura. Sul tavolo le modalità di trasferimento e,
probabilmente, di selezione dei 120 rom – sui quasi seicento presenti da metà
degli anni Ottanta all’interno dell’area industriale - che dovranno alloggiare
nel villaggio attrezzato dal Comune, sempre a pochi passi dall’Asi. Addio
baracche di legno e lamiere, senza acqua e senza luce, ma solo per una parte
delle famiglie, in pratica. Di soluzioni abitative alternative, infatti, finora
non si è mai discusso, né era andato a buon fine il tentativo di
provincializzare - cioè di spostare in altri comuni - i rom in esubero.
Sul destino degli ex nomadi restano vigili le associazioni che già a dicembre
2009 erano scese in campo per strappare la sospensione dell’ordine di sgombero
della Procura, legato all’inquinamento delle aree. Ora, però, i tempi sembrano
maturi per andare avanti. Le condizioni per far scattare il piano ci sarebbero
quasi tutte. Il villaggio attrezzato del Comune potrebbe essere completato entro
ottobre con l’installazione dei 24 alloggi prefabbricati. Mentre si attende che
sia tutto pronto il Comune paga un istituto di vigilanza per proteggere l’area
dai vandali...
Tonia Limatola
collegarsi al link per testare il servizio
ARRIVA U VELTO RADIO! Il Mondo Radio è la scommessa dell’Istituto di Cultura
Sinta per portare alla ribalta la musica sinta, rom, manouche, kalè e
romanichals.
Le trasmissioni sperimentali di U Velto Radio si possono ascoltare in tutto il
mondo, basta venire sulla pagina di U VELTO il 7 OTTOBRE dopo le 15.00
http://sucardrom.blogspot.com/
E’ arrivata U Velto Radio! Il Mondo Radio è la scommessa dell’Istituto di
Cultura Sinta per portare alla ribalta la musica sinta, rom, manouche, kalè e
romanichals. Una scommessa condivisa con il Consiglio direttivo di Sucar Drom
che ha messo a disposizione le risorse e tutto il suo patrimonio musicale.
Il lancio di U Velto Radio è considerato strategico per offrire ad ogni
persona collegata in rete la possibilità di ascoltare un pezzo importante delle
culture sinte, rom, manouche, kalè e romanichals. La musica è scelta e
privilegiata da altre forme d’espressione perché quest’arte offre un’intensità
emozionale e una libertà uniche. Ed è per questo che fin dai primi documenti
attestanti la presenza di sinti, rom, manouche, kalè e romanichals si sottolinea
sempre le loro qualità di musicisti. La musica trasmessa oralmente di
generazione in generazione, contaminandosi con il patrimonio musicale con cui si
veniva in contatto. La musica elemento culturale in cui si trasmette il senso di
appartenenza ad una comunità sia suonando all’interno che all’esterno. Si suona
per la propria famiglia allargata, per la propria comunità in occasioni di feste
che sono importanti momenti di coesione sociale. Si suona per gli appartenenti
alla cultura maggioritaria, un lavoro svolto da molte famiglie allargate che
produce un reddito. E questo continuo uscire ed entrare permette una continua
contaminazione reciproca.
La musica come linguaggio internazionale, la musica come strumento di
conoscenza, la musica come interazione capace di generare un nuovo modo di stare
insieme.
Proprio grazie all’interazione tra musica sinta, musica jazz ed in parte
musica colta europea è nato il jazz europeo. Django Reinhardt è stato, insieme a
Stéphane Grappelli, l’artefice di questa magia. Ed è per questo che U Velto
Radio inizia le sue trasmissioni sperimentali con un omaggio a questa grande
musica, nel centenario dalla nascita del suo alchimista.
Le trasmissioni sperimentali di U Velto Radio si possono ascoltare in
tutto il mondo, basta collegarsi ad internet, venire sulla pagina di U Velto e
cliccare sul logo che vedete sulla parte destra dello schermo. Vi si aprirà una
finestra dove potrete scegliere il programma di riproduzione musicale che
preferite. A questo punto... buon ascolto!
Da
British_Roma
Irish Central by Mary Catherine Brouder
Non importa dove vai: nel centro di Dublino o di altre grandi città; troverai
quasi sempre persone sedute per strada a elemosinare per sopravvivere. Ci sono
giovani scappati di casa, tossicodipendenti, e poi ci sono i Rom, ai quali
spesso ci si rivolge come "zingari".
Nonostante il fatto che i Rom generalmente non mostrino dipendenze da droghe,
che portino i figli con loro e che mantengano un aspetto curato pur con i loro
scarsi mezzi, è proprio di loro che i miei amici e i miei vicini irlandesi si
lamentano di più.
Da quando di recente la Francia ha dato inizio alla deportazione di centinaia di
famiglie Rom, ho preso parte a non poche conversazioni interessanti.
Alcuni dei miei amici erano, come me, inorriditi da questo provvedimento, ma
sono rimasto sorpreso nel vedere che molte persone appoggiano pienamente l'idea
delle deportazioni forzate.
Un amico si era lanciato in una tirata sugli orrori dei "gypos". Quando ho
insistito perché mi spiegasse da dove proveniva questo suo modo di pensare,
decisamente negativo, nei confronti dei Rom (forse un'esperienza personale?), mi
ha risposto con il solito: "I Rom sono così rozzi e così ignoranti".
Inoltre, ha spiegato, "I Rom picchiano i loro figli per poter avere maggiori
possibilità di raccogliere più denaro dall'accattonaggio".
Aveva qualche prova che supportasse una tale accusa? Nessuna.
A me sembra che crescere per strada un figlio disabile, piuttosto che uno in
perfetta salute, richieda logicamente molta più attenzione da parte dei
genitori. E, in quanto a ciò, le cure e i trattamenti per tutta la vita non
costerebbero ai genitori più di quello che possono sperare di guadagnare
chiedendo l'elemosina?
Anche se l'affermazione del mio amico non aveva molto senso, lui aveva un altro
motivo per i suoi pregiudizi.
"Quando tu dai loro dei soldi, loro li raccolgono da ogni punto in cui si
trovano nella città, e quando fanno ritorno al campo li dividono".
Questo sembra essere un buon senso per gli affari, o almeno fare una buona
suddivisione, difficilmente sembra essere una prova di inganno e di innata
disonestà, come il mio amico avrebbe voluto farmi credere.
Qualche mese fa, mentre lavoravo a un documentario sui Rom, passai del tempo con
loro. Il mio co-produttore ed io abbiamo viaggiato in Ungheria, in alcuni delle
più povere e miserabili baraccopoli che avevo mai visto.
E da allora non ho più incontrato persone più desiderose di aprire la porta
della propria casa ed il loro cuore a me, un perfetto sconosciuto con una video
camera, quanto i Rom di quelle zone.
Tutte le famiglie che abbiamo incontrato ci hanno dato tre baci sulle guance –
un'usanza ungherese – e ci hanno offerto caffè e, letteralmente, ogni singolo
boccone di cibo che conservavano nelle loro dispense.
Un'anziana signora ci diceva di avere a malapena il denaro sufficiente per
comprare fette di pane per sfamare la sua famiglia, e rideva all'idea di avere
la possibilità di comprare carne da mettere fra quelle fette. Ci fu un silenzio
imbarazzato, pieno di vergogna e di pena, da parte mia e dei miei collaboratori.
Avevamo mangiato panini a pranzo e consumato carne ogni sera di quella
settimana.
I Rom non solo sono poveri. Vivono in case senza un riscaldamento adeguato,
senza elettricità né sanitari.
Vivono in condizioni che nessun essere umano dovrebbe sopportare, e non vi
sarebbero costretti se fossero qualcosa d'altro di un comodo capro espiatorio
per i problemi finanziari dell'Europa.
Ho incontrato il Prof. Jack Greenberg, un avvocato che si è battuto per i
diritti civili in Sud Africa durante l'apartheid.
In questi anni il professore, ha anche visitato diversi campi Rom e i territori
circostanti.
Egli descrive le condizioni di vita dei Rom come peggiori di quelle viste nelle
bidonville del Sud Africa.
I Rom più fortunati se ne vanno dai luoghi dove storicamente sono stati in
schiavitù, hanno subito genocidi, discriminazioni, emarginazione, per iniziare
una nuova vita in posti come la Francia o l'Irlanda. E quando arrivano devono
lottare per ogni centesimo raccolto.
E' vero, molti sono aggressivi quando chiedono soldi o cibo. Anche io ho avuto
qualche esperienza spiacevole con i Rom, spingendoli via da me quando mi
chiedevano l'elemosina o quando rispondevano con ingratitudine alla mia offerta.
Ma mi sono sempre domandata quanto prepotente sarei io se dovessi dipendere
dalla carità altrui per nutrire i miei figli.
Penso che combatterei con le unghie e con i denti per ottenere tutti i soldi
possibili dal mio prossimo. Probabilmente non sarei tanto educato se vedessi la
gente attorno a me sprecare cibo e indossare abiti costosi, mentre io passo i
miei giorni preoccupandomi che la mia famiglia non vada a dormire affamata.
Qualche giorno fa ho incontrato un Ungherese che vive in Irlanda. Così gli ho
raccontato del viaggio che ho fatto nella sua terra per documentare le
condizioni di vita del popolo Rom. L'espressione del suo viso è cambiata in una
smorfia di disgusto.
"I Rom?" ha detto sbuffando. "Sei mai stato in una prigione in Ungheria?".
Beh, no.
"Le prigioni sono piene di Rom".
Ho cominciato a parlare di come un retaggio di povertà, di discriminazione e di
emarginazione porti all'abbandono della speranza, e di come spesso questo
conduca a compiere crimini. Lui mi ha interrotto.
"Là la polizia ha paura ad arrestare chiunque, perché quelli dicono: Hey, mi
stai arrestando perché sono Rom?".
Ha sottolineato questa sua affermazione con un'imitazione soddisfatta di una
persona che si gioca la carta del "povero me".
Ci ho pensato su un momento, quindi ho realizzato che ciò non aveva alcun senso.
Così gli ho chiesto: "le prigioni sono piene di Rom, oppure i poliziotti hanno
paura ad arrestarli? Non possono essere vere le due cose".
Non mi ha risposto.
Lui, come milioni di altre persone nel mondo, è stato nutrito con un mucchio di
sciocchezze sulle persone diverse da lui, ed essendo incline a disprezzare ciò
che non gli è familiare, fornisce qualunque giustificazione per supportare le
sue teorie.
Anche quando queste sono letteralmente contraddittorie e illogiche.
La discriminazione non è mai logica. E nemmeno accettabile.
Di Fabrizio (del 06/10/2010 @ 09:33:21, in Europa, visitato 1582 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso
Rom (foto
Francesco Paraggio /flickr)
Mustafa Canka | Ulcinj 27 settembre 2010
Anche il Montenegro sloggia i rom. Il comune di Podgorica ha comunicato che
verranno demoliti due quartieri alla periferia della città dove vivono circa
2.500 profughi rom provenienti dal Kosovo. Il parallelo con la Francia e le
reazioni del Consiglio nazionale dei rom e degli egiziani
"La cosa che più ci preoccupa è che nemmeno nelle note si parla di una soluzione
alternativa per queste persone", dicono al Consiglio nazionale dei rom e degli
egiziani del Montenegro.
Il vicepresidente dell'organizzazione, Muhamend Uković, ha dichiarato ad
Osservatorio Balcani e Caucaso che è sintomatico che questa azione del governo
di Podgorica sia stata decisa proprio dopo il trasferimento di centinaia di rom
dalla Francia. "A noi sembra proprio un'azione sincronizzata, che ha come scopo
far ritornare tutti i rom da dove sono venuti. Ci aspettiamo che i
rappresentanti del governo montenegrino si esprimano sulla questione, perché se
il quartiere dei profughi ‘Konik' viene smantellato, in pratica ciò significa
che i rifugiati rom e egiziani dovranno da soli assicurarsi un tetto nel caso
volessero rimanere in Montenegro. Se questi sono standard democratici, allora
non abbiamo proprio nessun commento da fare", ha detto Uković.
Il quartiere dei profughi "Konik" si trova nella periferia della capitale
montenegrina. Qui, in baracche provvisorie e in condizioni estreme vivono oltre
duemila profughi rom provenienti dal Kosovo, giunti in Montenegro nel 1999.
Nelle vicinanze del campo vivono anche un centinaio di rom con domicilio. Tutti
però vivono sull'orlo della soglia di sopravvivenza, mentre gli aiuti delle
organizzazioni umanitarie montenegrine e internazionali sono praticamente
esauriti. Per sopravvivere, i profughi sono costretti a fare quei lavori che la
maggior parte dei cittadini del Montenegro rifiuta di fare.
La maggior parte dei rom, arrivati in Montenegro 11 anni fa, si sono in seguito
trasferiti in altri paesi dell'Europa occidentale oppure sono tornati in Kosovo.
Ultimamente, però, il processo dei ritorni è diventato più difficile.
"Per questo la decisione del governo di Podgorica di demolire questi due campi è
preoccupante e estremamente disumana", sostiene il redattore del settimanale
indipendente "Monitor" Veseljko Koprivica e aggiunge: "I rom e gli egiziani per
la seconda volta diventano vittime di chi ha il potere di decidere sul destino
altrui. Prima queste persone sono state vittime della guerra, fatto che li ha
portati a Podgorica, ora di nuovo saranno dei senzatetto perché, per quanto si
sa, il governo di Podgorica non offre alcuna soluzione alternativa per la
sistemazione delle 300 famiglie di questo quartiere".
Recentemente il governo montenegrino ha adottato un piano d'azione col quale
prevede di risolvere entro la fine dell'anno prossimo lo status dei circa 10mila
rifugiati kosovari presenti in Montenegro.
Per questo Uković chiede di risolvere il prima possibile il problema dei
profughi rom del Kosovo con accordo con tutte le parti. "Noi non vogliamo
pregiudicare alcun tipo di soluzione, ma non dobbiamo dimenticare il fatto che
si tratta di persone che in Kosovo hanno perso tutto quello che avevano. Perciò
crediamo che sia necessario condurre un dialogo basato sugli standard
democratici e sulle convenzioni internazionali sui diritti umani. I rom e gli
egiziani fuggiti dal Kosovo non devono essere una preoccupazione esclusiva delle
istituzioni montenegrine, ma anche di quelle internazionali e kosovare, perché
si tratta di cittadini del Kosovo", ritiene Uković.
Al Consiglio nazionale dei rom e degli egiziani si aspettano che il governo
montenegrino, comunque, non permetterà al comune di Podgorica di demolire i due
campi profughi, e pensano inoltre che una richiesta del genere arriverà anche
dall'Unione europea.
Secondo le parole del capo dell'Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati a
Podgorica (UNHCR) Serge Ducas, il problema dei campi profughi di "Konik" non è
soltanto un problema del comune di Podgorica, del governo montenegrino oppure
delle organizzazioni internazionali. "Tutti noi dobbiamo metterci al tavolino
per trovare una soluzione", ha ribadito Ducas.
"L'amministrazione di Podgorica legittimamente chiede la restituzione dei
terreni dove sono situati i campi, per i motivi urbanistici e per lo sviluppo
della città. Dall'altra parte, però, il Montenegro ha degli obblighi verso
queste persone, ma anche verso la comunità internazionale, quindi tutti insieme
dobbiamo trovare un luogo alternativo e la soluzione della questione", ha
dichiarato il responsabile dell'UNHCR di Podgorica, concludendo che non ci si
può aspettare che più di un quarto dei profughi rom dei campi profughi di "Konik"
torni in Kosovo di sua spontanea volontà.
Di Fabrizio (del 06/10/2010 @ 09:11:33, in Europa, visitato 2476 volte)
Da
Romanian_Roma
SETimes.com
I Rom di Romania necessitano di una miglior rappresentazione politica e di
un efficace movimento civico, dice a SETimes l'attivista Margareta Matache.
By Paul Ciocoiu for Southeast European Times in Bucharest
Margareta Matache parla con Paul Ciocoiu, corrispondente del SETimes. [Victor Barbu/SETimes]
27/09/2010 - Margareta Matache è direttrice esecutiva del Centro Rom per
l'Intervento e gli Studi Sociali (CRISS). Ha parlato con SETimes sulla polemica
in corso riguardo alle espulsioni francesi dei Rom, sul progresso
dell'integrazione in Romania e gli ostacoli che restano.
SETimes: Descrivi CRISS e le sue attività.
Margareta Matache: CRISS è un'organizzazione per i diritti umani
fondata nel 1993 per difendere e promuovere i diritti dei Rom. Le priorità di
CRISS sono [ottenere] l'accesso alla sanità ed all'istruzione, ma abbiamo anche
un dipartimento ricerca ed offriamo consulenza legale nei casi di
discriminazioni, abusi e violenza.
Alcuni casi vengono adoperati per far pressione nel cambiare le leggi. Per
esempio, nel 2003, contro la segregazione nelle scuole, dove i bambini rom erano
spostati in classi o edifici separati. Nel 2007, dopo un colloquio con noi, il
ministero dell'istruzione ordinò la desegregazione delle scuole.
CRISS lavora con organizzazioni partner locali in Romania, che abbiamo
aiutato nello sviluppo. Di solito viviamo delle donazioni delle ambasciate, ma
lavoriamo anche in partnership con l'Open Society Institute e Central East European Trust.
SETimes: Puoi commentare sulle "misure di sicurezza pubblica" delle
autorità francesi, culminate con le espulsioni dei gruppi rom?
Matache: Osserviamo due serie di misure. La prima, il programma di
rimpatri volontari che la Francia ha sviluppato per diversi anni, prima dell'1
settembre. E' una forma camuffata di espulsione tramite denaro - 300 euro per
adulto e 100 euro per bambino - una compravendita del diritto di movimento.
Esaminiamo anche i programmi economici di cui i rimpatriati potrebbero essere
parte. Avrebbero dovuto ricevere 3.500 euro per iniziare un'attività, ma in
molti casi non sono nemmeno stati informati. Abbiamo persino scritto un rapporto
nel 2008 dopo una visita in Francia e nella regione di Timisoara, dove ai Rom fu
promesso che sarebbero stati inclusi nel programma.
Secondo, esaminiamo le violazioni della Francia dopo settembre della legge
comunitaria e dei principi e valori europei - per esempio, le impronte digitali
dei Rom espulsi. Alcuni lo accettano liberamente perché [attraverso le
pressioni] non è difficile ottenere il consenso.
Funziona così: all'inizio la polizia francese ammonisce i Rom che demoliranno
il loro campo entro una settimana e li espelleranno se non se ne andranno. Pochi
giorni più tardi, i funzionari dell'immigrazione informano i Rom che li
pagheranno per partire e - possibilmente - essere messi in lista di un programma
di reinserimento. I Rom sono d'accordo per ottenere alcuni benefici, invece di
essere sgomberati brutalmente, con le loro baracche demolite.
SETimes: La Francia sostiene di aver anche intrapreso misure per
proteggersi da pratiche illegali, come il traffico di persone.
Matache: Ci sono dei Rom coinvolti nel traffico di persone così come
Rom che ne sono vittime - e non solamente in Francia. Non penso che le soluzioni
risiedano nel restringere i diritti di una comunità etnica, ma nelle leggi
francesi e degli altri paesi. Ci sono leggi che affrontano crimini come il
traffico di persone.
SETimes: Ogni caso di infrazione della legge può essere trattato
individualmente?
Matache: Infatti, è ciò che prevede la direttiva europea sulla libertà
di movimento ed è così in tutto il mondo. la criminalità viene giudicata
individualmente.
SETimes: Quale paese porta le maggiori responsabilità riguardo la
questione rom?
Matache: I Rom sono cittadini rumeni e le maggiori responsabilità
ricadono sulla Romania. Prima dell'accesso nella UE del 2007, quando era
monitorata da vicino, Bucarest si sforzava di convincere la UE che il processo
d'integrazione dei Rom stava progredendo. Dopo il 2007, la questione rom è
diventata visibile in tutta Europa.
Mentre la Francia è molto concentrata nell'espellere i Rom e la Commissione
Europea ha autorizzato la discussione del documento sui Rom, le autorità rumene
sinora non hanno familiarità con i problemi della comunità e non hanno ancora
fissato la loro mente a risolverli.
L'argomento che i Rom non siano un problema nazionale ma europeo è andato
avanti per anni in Romania. Questo perché non abbiamo rappresentanti né a
livello politico o nelle organizzazioni rom internazionali che sono capaci di
negoziare col governo.
Comunque, trovo strano che la Francia decida sugli affari interni della
Romania - la nomina di un segretario di stato rumeno sui Rom è avvenuta su
richiesta della Francia. Entrambe sono membri UE ed hanno pari diritti, ma qui
la Francia impone la propria volontà.
SETimes: Non sono i leader rom che dovrebbero mediare e razionalizzare
il processo di integrazione?
Matache: Ci sono grosse discrepanze sul modo in cui i leader rom
affrontano l'integrazione nelle numerose comunità rom sparse nel paese. Incontro
leader locali ce esercitano il controllo sulla comunità. ma preferiscono
nascondere i problemi o non porvi interesse, a causa della loro posizione nei
municipi o nelle prefetture, dove agiscono in qualità di esperti.
Dato che sono una singola persona in un grande sistema, è più facile cercare
di mantenere il proprio incarico ed ignorare i problemi dei Rom. Durante un
conflitto tra Rom e Rumeni in Transilvania, nessuno della comunità rom riconobbe
la propria rappresentante presso la prefettura quando si presentò, perché non
era mai stata là.
Ci sono leader rom che hanno ottenuto rispetto tanto dalle autorità locali
che dalla comunità. Ma soprattutto, manchiamo di leader forti, specialmente
nella politica. Per esempio, non ci sono state reazioni nel parlamento rumeno
riguardo ai recenti sviluppi in Francia, o in Italia un anno fa. Includo qui
anche le istituzioni collegate come l'Agenzia Governativa Nazionale per i Rom.
Su 200 organizzazioni rom, solo 20 sono attive. Alcune sono state create da
leader che le chiamano "la mia organizzazione" e la usano per auto-legittimarsi
nelle loro relazioni con le autorità locali, ma non investono nelle persone o
generano programmi.
C'è sempre chi accetta cosa dice e cosa fa il governo. Le autorità presto
hanno capito che era facile dividerci. Possiamo generare unità attorno alla
lingua romanì, per esempio, nonostante il fatto che in seguito al comunismo
quasi il 40% non lo parla più. La storia rom potrebbe anche generare unità, ma
dev'essere inclusa nel libri di storia rumeni.
Non abbiamo un'agenda politica, i Rom non sono motivati a votare per un
politico rom, è per questo che c'è un solo rappresentante rom in parlamento.
A livello locale, c'è un desiderio generale di tenere dipendenti i Rom
perché, da un punto di vista elettorale, sono comprabili molto facilmente ed a
buon mercato. In breve, il problema riguarda la rappresentanza e la creazione di
un vero movimento civico rom. Finché non avremo dei buoni negoziatori, il
governo non si preoccuperà di integrarci.
SETimes: Come rispondete ai pregiudizi della maggioranza verso i Rom
nella loro integrazione?
Matache: Oltre alle campagne TV dirette alla maggioranza per mostrare
i Rom in maniera differente, abbiamo organizzato attività di strada come il "razzistometro"
quando abbiamo usato apparecchio per la misurazione della pressione sanguigna,
mentre ponevamo domande sui Rom. Ovviamente, l'apparecchio è stato usato
simbolicamente, ma le domande erano ben calibrate.
Dopo anni di campagne, abbiamo concluso che la gente ama gli spot TV o
visuali, ma è molto difficile influenzare la mente del Rumeno medio. Alcuni
pregiudizi derivano dalla mancanza di informazione. Alcuni Rumeni non hanno mai
incontrato un Rom, o li hanno solo visti mendicare, offendendoli per strada.
Questo si ferma nelle loro menti e diventa un punto di riferimento per i Rom in
generale. Ma se noi riduciamo il milione e mezzo di Rom in Romania solo a quelli
[svantaggiati] che sono visibili, non sapremo creare e sviluppare politiche di
integrazione.
Il cambio di mentalità inizia con l'istruzione. Fintanto ci sarà una forte
diversità culturale nelle scuole rumene, la maggioranza non potrà pensare ai Rom
diversamente.
Di Sucar Drom (del 05/10/2010 @ 13:29:02, in blog, visitato 1987 volte)
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