Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località

La redazione
-

\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 05/08/2006 @ 10:22:51, in conflitti, visitato 1662 volte)
La burocrazia della morte, più di 50 milioni di documenti sulla sorte delle vittime e sui piani di sterminio dell'esercito nazista. Quello che è passato alla storia come l’”Archivio dell’orrore”, la più grande fonte di notizie sulle violenze perpetrate dalla Germania nazista verrà finalmente riaperto.

La decisione risale al maggio scorso ma solo mercoledì 26 luglio, in una cerimonia al Min...
 
Di Fabrizio (del 01/08/2006 @ 17:03:13, in conflitti, visitato 1657 volte)
Cuando sembramos bombas y no semillas,
germinan muertos y no flores.

Cuando vivir es el pretexto para matar,
o morir sin motivo es el precio de vivir,
los inocentes riegan con su sangre
los jardines donde florecen
las victorias militares.

El oscurantismo religioso
y la prepotencia militar,
son dos peligrosísimas armas
de destrucción masiva que,
-disfrazadas bajo la piel aterciopelada
del amor a Dios o a la Patria-
esperan ansiosas el momento
de ser pisadas por gente como nosotros,
que lo único que pide
y quiere es poder caminar en Paz.

Bruno Kampel

 

Con mis mejores deseos…
Un beso, Elena
Sarakali.com
http://www.sarakali.com
 
Di Fabrizio (del 28/07/2006 @ 10:14:02, in conflitti, visitato 2586 volte)

Apre a Brno una mostra sull'Olocausto Rom

Brno, 24. 7. 2006, 17:49 (CTK)

 

[...] Trattasi di 82 pannelli che illustrano il destino dei Rom nella II guerra mondiale, con alcuni pannelli dedicati all'attualità. Così i visitatori, ad esempio, possono seguire la storia del muro di via Maticni ad Usti nad Labem e i problemi della minoranza Rom in Slovacchia, Austria e Germania.

"La mostra si apre ad un capitolo sconosciuto della storia europea. Il termine Olocausto di solito è connesso allo sterminio di 6 milioni di Ebrei, ma contiene anche lo sterminio sistematico di 500.000 Rom e Sinti." ha detto alla cerimonia di apertura Silvio Peritore, del Centro Documentazione per i Sinti ed i Rom Tedeschi, creatore dell'esposizione già presentata con successo a Strasburgo e Praga.

Secondo Jana Horvathova (Museo di Brno sulla Cultura Romani) l'esposizione è un evento significativo. "Principalmente riguarda il passato, ma ci sono collegamenti col presente, dice, aggiungendo che le questioni del razzismo e della cancellazione dei Rom dall'Europa rimangono urgenti.

"Ci sono nella nostra società dimostrazioni di intolleranza, incapacità di coesistere e razzismo, anche se tendiamo a nascondere queste tendenze" ha detto l'ombusdam Otakar Motejl.

La mostra è stata finanziata dalla regione Sud Moravia, dopo il rifiuto del municipio di Brno. Il municipio non ha condiviso il contenuto del pannello sulla controversia di via Maticni. Il muro fu eretto negli anni '90, per dividere i residenti dalla comunità Rom. La sua costruzione fu criticata come razzista da molti politici della Repubblica Ceca ed esteri, e dalle OnG, alla fine il muro venne rimosso.

Durante la II guerra mondiale i Rom furono perseguitati e deportati nei campi di concentramento e di sterminio, nelle terre occupate dal Terzo Reich. I Rom della Repubblica Ceca e della Moravia condivisero i campi di Lety, vicino a Pisek, nella Boemia orientale e di Hodonin, nella Moravia del sud.

Secondo gli storici, furono 2690 i Rom mandati in quei campi di concentramento. Molti morirono o furono inviati ad Auschwitz. Secondo varie fonti, ad Auschwitz furono inviati tra i 5400 e 5600 Rom. Il primo treno partì da Brno il 7 marzo 1943.

 
Di Fabrizio (del 24/07/2006 @ 10:03:20, in conflitti, visitato 1651 volte)

A quanti siano interessati: il 26 giugno 2006 è uscito il rapporto "At Risk: Roma and Displaced in Southeast Europe", curato dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNPD). Qui la versione integrale.

Il rapporto è basato su dati raccolti e congiunti nel corso di una ricerca unica a carattere regionale, che abbraccia la situazione dei Dispersi Interni (IDP) in Albania, Bosnia Herzegovina (BiH), Bulgaria, Croazia, FYR Macedonia, Montenegro, Romania e Serbia, inclusa la provincia del Kosovo. Fornisce una immagine onnicomprensiva e statistica sui problemi dei gruppi vulnerabili nella regione - e porta avanti discorsi concreti e pragmatici su cosa i governi, la comunità internazionale e i rappresentanti dei gruppi vulnerabili, devono fare per rompere il circolo vizioso di povertà ed esclusione. Inoltre enfatizza come gli Obiettivi di Sviluppo (MDG) possano essere raggiunti, solo confrontandoli a livello nazionale, e questo anche per la comunità dei Rom IDP.

Il rapporto è costruito attorno a diversi messaggi prioritari:

  1. Rafforza il principio di vulnerabilità come criterio di intervento - a gruppi come i Rom viene data attenzione speciale non in quanto Rom, ma in quanto vulnerabili. Oltre ai Rom, il gruppo più vulnerabile nella regione, viene prestata attenzione ad altri gruppi di IDP. Un criterio che dovrebbe essere assunto dai principali donatori internazionali.
  2. Il rapporto non si basa esclusivamente sui dati e la correlazione dei gruppi vulnerabili. Aggiunge idee pratiche per soluzioni tangibili e invoca un nuovo approccio per i temi legati alle minoranze - gruppi sensibili e sviluppo regionale [...]. L'esperienza dimostra che un approccio focalizzato sul territorio ha vaste potenzialità ed è anche il più adatto ad un realtà frammentata come quella dei Balcani.
  3. Contiene infine indicazioni per iniziare (spin-offs). Abbiamo già precedentemente lavorato su simili analisi di vulnerabilità, come nel caso dell'HIV; colleghi stanno svolgendo una ricerca simile sulla vulnerabilità dei Rom in Moldavia. [...]

Per richiedere copia completa del rapporto, scrivere ad erika.adamova@undp.org

Erika Adamova, Assistant for the Skills Building Programme
UNDP, Europe and the CIS
Bratislava Regional Centre
Grosslingova 35, 81109 Bratislava, Slovak Republic
Tel: +421 2 59337
Fax: +421 2 59337 450
www.undp.org/europeandcis

 
Di Fabrizio (del 14/07/2006 @ 10:22:45, in conflitti, visitato 1659 volte)
COLLOQUIO CON BAJRAM HALITI, MEMBRO DEL PARLAMENTO MONDIALE DEI ROM E PRESIDENTE DELL'UFFICIO CENTRALE DEI ROM IN KOSOVO

intervista di Casper Molenaar

Con l'auspicio di parlare apertamente del carico di miserie che i Rom stanno trasportando nel III millennio, intervistiamo Bajram Haliti, di professione avvocato, noto commentatore e giornalista, e delegato dell'associazionismo rom.

Casper Molenaar: Mr. Haliti, può presentarsi con tre parole?

Bajram Haliti: Sono nato il 21 maggio 1955 a Gnjilane, Kosovo. Sono Rom.
Sono giornalista dal 1985, ho fatto tutta la trafila da praticante sino ad editore di un programma romanì. Ho avuto riconoscimenti come giornalista e scrittore.
Ho pubblicato studi, articoli, critiche e documentari. Come giornalista, letterato ed avvocato attraverso i miei lavori ho descritto al mondo come l'odio e l'ineguaglianza siano sormontabili, attingendo dagli esempi del passato, anche senza andare troppo in là col tempo.
Il mio libro "Contemplations on Roma issue" ha ottenuto il primo premio alla XII edizione della manifestazione internazionale "Amico Rom", che si tiene ogni anno a Lanciano.
Sono editore responsabile delle riviste d'informazione (in lingua serba e romanì) "Ahimsa" - "Nenasilje" (nonviolenza), presidente dell'agenzia informativa dei Rom di Sebia e Montenegro, e membro dell'associazione dei letterati della Repubblica Serba.
L'8 aprile del 2002, in concomitanza con la Giornata Internazionale del Popolo Rom, ho ottenuto il premio "Slobodan Berberski" per la letteratura e il giornalismo: la prima volta che questo premio andasse alla Repubblica Federale di Yugoslavia. Ho anche ottenuto il premio "Peace and Tolerance", per il contributo alla pace, alla tolleranza e alla comprensione tra i popoli e le nazioni, premio ottenuto per quanto era stato svolto allo sviluppo culturale ed educativo nella repubblica Serba, il riconoscimento "per l'aiuto e la cooperazione nello sviluppo e nel lavoro associativo", "Per il lavoro in forma scritta per l'affermazione della cultura" dal Consiglio Nazionale della Minoranza Rom. [...]

Casper Molenaar: Può descrivere il suo impegno per il Kosovo?

Bajram Haliti: Ho fatto quanto possibile per una soluzione pacifica, attraverso il dialogo e i mezzi democratici, per cancellare le diseguaglianze, i pericoli e la povertà, conservando i vantaggi multietnici e multiculturali della regione.
Penso che la cosa più difficile sia superare l'odio in Kosovo.Sono state fondate diverse OnG, nelle scuole si deve parlare delle conseguenze che ha la guerra e dei valori della pace. In occidente molti programmi sono dedicati a ciò, ma questo manca completamente nei programmi scolastici e nei libri di testo in Kosovo.
Sono tanti gli analisti politici che sottolineano la necessità di cambiare per il futuro e come questa sia la sfida più grande.
Naturalmente, sono richieste che nascono dalla logica umana. Ma nella pratica, non è così facile. Se mancano orientamenti sul futuro - nessun popolo potrà avere diritto al proprio futuro - questo è chiaro, come pure che non si può vivere nel passato.Il passato è qualcosa che è successo ed è terminato, e il politico che vi fa riferimento rischia di scatenare nuove distruzioni.
Ciò comporta alcune condizioni da rispettare: per virare verso il futuro c'è bisogno della salvaguardia della propria vita e che vi siano condizioni minime per pianificare il proprio futuro - il futuro non lo si può improvvisare, dev'essere progettato, e progettato assieme se si vive in comunità varie e diverse.
Io spero che nel Kosovo, l'UNMIK, la comunità internazionale, i partiti di governo degli Albanesi come pure quelli Serbi, riescano infine a trovare soluzioni comuni secondo quanto descritto dalla Risoluzione 1244. Dovrebbe portare pace e sicurezza a chiunque viva in Kosovo, tenendo conto dei circa 200.000 che si sono rifugiati all'estero e dovranno fare ritorno.
Ciò a cui ho lavorato negli ultimi due anni è stato nell'interesse di tutti i cittadini, soprattutto nel sviluppare le relazioni interetniche in Kosovo e sviluppare relazioni democratiche per un domani (e un oggi!) migliore.

Casper Moleanaar: Secondo lei, quale la miglior soluzione per lo status del Kosovo?

Bajram Haliti: E' politicamente necessaria la formazione di cantoni per assicurare una vita pacifica a tutte le componenti del Kosovo. E' un processo inevitabile dopo tutto quel che è successo. [...] Ritengo debba esserci pure il cantone Rom, che sono un gruppo nazionale numeroso in Kosovo.
La stessa necessità vale per la Bosnia. Altre soluzioni, sfortunatamente non esistono, per lo meno al momento. Può essere che in futuro questo diventi superfluo, c'è bisogno di persone capaci che si concentrino sul futuro dell'ex Yugoslavia, potrebbe esserci una domanda di unità, economicamente all'inizio, culturalmente e politicamente in seguito.
Per formare una comunità autonoma dei Rom in Kosovo, è necessario che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU prevedano una Risoluzione speciale.
Il senso e i contenuti di base di questa Risoluzione è la realizzazione dei diritti speciali della comunità rom, cioè la possibilità di continuare ad esistere in Kosovo, e la concretizzazione dl ritorno dei profughi dalla Serbia centrale e dall'Occidente. L'esperienza di circa sei anni di presenza delle Nazione Unite, militare e civile, dimostrano che la sopravvivenza e il rimpatrio sono possibili soltanto applicando un meccanismo simile a quello del governo provvisorio come dall'articolo 10 della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, previsto per l'intera provincia nel quadro della Federazione Yugoslava, che può riassumersi in "sostanziale autonomia".
La nuova Risoluzione non sostituirebbe la 1244, ma la integrerebbe in funzione dello status del Kosovo e Methoia e conseguente presenza della comunità nazionale Rom, il riconoscimento dei suoi problemi e la difesa dei suoi diritti basici.
Questa nuova Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, dovrebbe contenere la formulazione e l'adozione dello Statuto di Autonomia della comunità del Kosovo. Lo statuto determinerebbe l'area interessatae le strutture di un governo temporaneo. L'unica differenza sarebbe nel prevedere la presenza nel governo provvisorio, l'UNMIK, le comunità albanesi, dei Rom (attualmente la loro presenza è solo formale), e i rappresentanti della Serbia e del Montenegro, in funzione del recente referendum. [...] (la formulazione integrale della proposta in questo articolo ndr.)

Casper Molenaar: Ha amici in Kosovo e di quale comunità etnica?

Bajram Haliti: Naturalmente, ho amici tra tutte le comunità del Kosovo: Albanesi, Serbi, Musulmani, Turchi, Gorani, Egizi ed Askhali.
Albanesi, Serbi e Rom per lungo tempo hanno convissuto in pace e collaborazione. Gli ultimi 10- 15 anni hanno visto l'aumento della tensione etnica. Dobbiamo trovare il modo di far diminuire le tensioni. L'unico modo è che Albanesi, Serbi e Rom inizino ad interagire e dialogare apertamente. [...] Non esiste una ragione per cui le varie comunità non riprendano ad agire come avevano fatto sinora. Ma gli Albanesi devono chiaramente sconfessare la violenza e mostrare comprensione verso quanti devono tornare alle loro case.

Casper Molenaar: Come si immagina il Kosovo futuro?

Bajram Haliti: Voglio un Kosovo stabile, multietnico, grazie alla collaborazione e la coesistenza delle varie comunità, che il Kosovo e Methoia diventino una regione indipendente d'Europa, e dove l'Unione Europea mostri la capacità di assicurare la sua presenza economica e politica, perché siano assicurate la pace, la libertà di movimento e la sicurezza di ogni individuo e comunità.
Consiglierei che il Kosovo sia fondato come entità politica di varie entità, con parlamenti regionali e corpi esecutivi.
Con Pristina -città aperta, comunità che accetterà tutti i cittadini IDP (dispersi interni ndr) ed in esilio. Una parte di Europa organizzata su base federativa, dove le città prevedano entità comunali volte allo sviluppo locale e alla convivenza pacifica tra le etnie.
Con un Parlamento bicamerale.
Io chiedo:

  1. ALLA COMUNITA' INTERNAZIONALE:
  • di fermare il terrorismo,
  • di creare un ambiente pacifico e
  • di aiutare il Kosovo a ricostruire la coesistenza che guidi la formazione di una comunità civile e multietnica.
  1. ALLA SERBIA:

Che siamo consci del peso di ogni compromesso, degli accordi che riguardano la Serbia, perché possa integrarsi nella Comunità Europea nella maniera più consona, riconoscendo il suo ruolo nel futuro del Kosovo.

  1. A SERBI, ALBANESI E ROM:

Perché lavorino affinché il Kosovo sia stabile, una comunità aperta e una società libera e democratica. Questo non sarà possibile senza il rientro degli IDP e di quanti sono in esilio. Lo scopo comune è una politica che porti il Kosovo democratico nell'Unità Europea.
A tale riguardo, due elementi importanti:

  1. La situazione della sicurezza in Kosovo deve migliorare, anche se ora è migliore di quella di qualche anno fa. Occorre che il governo sia rafforzato e nel contempo che siano puniti i colpevoli di crimini.
  2. Va migliorata la situazione economica. La percentuale di disoccupazione varia tra il 5 e il 60%. In altre paure, senza migliori condizioni di impiego, manca la possibilità di un ritorno dei Rom alle loro case.

Soprattutto, le forze internazionali rimarranno ancora per molto nella provincia. Va presa ad esempio la situazione in Bosnia Herzegovina, dove le forze di pace sono presenti dal 1995. Se la NATO dovesse ritirare le proprie forze, l'Unione Europea deve sostituirvisi. La NATO è in Kosovo dal 1999 e tuttora conta 20.000 soldati.
Ma , secondo la mia opinione, il punto chiave è il miglioramento della situazione economica, che faccia da volano al lavoro e agli affari, tenendo sempre conto dell'aspetto di collaborazione, che è l'altro punto chiave per far scendere le tensioni. Come ho detto prima, occorre un rafforzamento dell'esecutivo e che siano assicurati alla giustizia i colpevoli dei crimini del passato.

 
Di Daniele (del 10/07/2006 @ 10:19:22, in conflitti, visitato 2280 volte)

Rifugiati serbi intrappolati nel limbo

di Matthew McAllester - NEWSDAY

Podgorica – Montenegro

Circa 5000 rom kosovari rifugiati in due campi (Konik 1 e 2) nella periferia della capitale del nuovo stato del Montenegro, denunciano le violenze subite in Kosovo dopo l'aggressione della NATO del 1999, e le attuali terrificanti condizioni di vita e di impossibilità di rientro nelle proprie case in Kosovo.

Bedri Shala, rifugiato del campo Konik 2, riassume così la situazione: "Kosovari albanesi, dopo la guerra del 1999, mi hanno rapito, torturato e stuprato ripetutamente, hanno ucciso mio fratello e provato ad uccidere me. Riuscito a scappare mentre ammazzavano mio fratello, mi sono ritrovato in un torrente d'acqua cosparso di cadaveri, alla sembianza, uccisi di recente. A quel punto siamo scappati in Montenegro. Non abbiamo la possibilità, dopo 7 anni, di tornare in Kosovo perché le nostre case sono state bruciate o occupate. Tutto questo perché gli albanesi kosovari dicono che i rom hanno collaborato con i serbi nelle violenze prima del 1999."

Politici e personale umanitario parlano di enormi difficoltà di vita, di igiene, di integrazione e di lavoro dei rom rifugiati. Molti problemi sono dovuti anche alla diversa cultura sociale dei rom, soprattutto in ambito di educazione famigliare e scolastica.

Bedri Shala, come molti rom del campo rifugiati, sogna di andarsene via. "Voglio andare in un altro paese", dice. "Ovunque. Ma non in Kosovo e non qui."

--
ЈУГОСЛАВИЈА:
www.flickr.com/photos/gustomaina

 
Di Fabrizio (del 11/05/2006 @ 11:23:53, in conflitti, visitato 1936 volte)

COMUNICATO STAMPA CS46-2006
RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLA RUSSIA: RAZZISMO E XENOFOBIA IN AUMENTO

Secondo un nuovo rapporto di Amnesty International, gli omicidi a sfondo razzista, i pestaggi e la discriminazione sono in aumento nella Federazione Russa. Il governo di Mosca, che attualmente presiede il G8 e sta per assumere la presidenza semestrale del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, non riesce a contrastare in modo adeguato la xenofobia e l'intolleranza.

Il rapporto di Amnesty International, 'Razzismo violento fuori controllo', prende in esame casi di aggressioni, alcuni dei quali con esiti mortali, nei confronti di studenti stranieri, richiedenti asilo e rifugiati provenienti da Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina, membri di minoranze etniche e migranti del Caucaso e dell'Asia Centrale, esponenti della comunita' ebraica e rom. Il testo mette in luce il fallimento delle autorita' nel prevenire gli attacchi a sfondo razzista attraverso politiche efficaci e nell'indagare e punire la grande maggioranza dei responsabili.

'La dimensione del razzismo in Russia e' incompatibile col posto che il paese occupa nella scena internazionale e mina la sua reputazione mondiale. In quanto membro del Consiglio d'Europa e suo prossimo presidente nonche' membro del G8, la Russia deve rispettare gli obblighi del diritto internazionale' - ha dichiarato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. 'Lo Stato ha la responsabilita' di proteggere i diritti umani di tutte le persone che si trovano sul suo territorio, a prescindere dal colore della loro pelle. Deve contrastare e portare di fronte alla giustizia coloro che violano i diritti umani.
E' giunto il momento che le autorita' russe raddrizzino la deteriorata situazione dei diritti umani e rispettino i propri impegni, se vogliono avere un ruolo sul piano internazionale'.

Secondo il Centro analitico di informazioni 'Sova', un istituto russo, solo nel 2005, 28 persone sono state uccise e altre 366 aggredite per motivi razziali. Il numero effettivo, comunque, potrebbe essere molto piu' elevato, poiche' molti reati a sfondo razzista non vengono denunciati o riconosciuti come tali. La polizia e i magistrati inquirenti preferiscono spesso classificarli come atti di 'teppismo'.

In realta', gli autori degli episodi di razzismo fanno parte di gruppi ben organizzati che professano un'ideologia razzista, neofascista e violenta.
Secondo dati ufficiali, in Russia sono attivi circa 150 'gruppi estremisti' con oltre 5000 membri. Secondo le Organizzazioni non governative e le associazioni che svolgono campagne contro il razzismo, a loro volta nel mirino di questi gruppi, gli aderenti sarebbero 50.000.

'Questi attacchi violenti sono una delle manifestazioni piu' visibili di un'intolleranza e di una xenofobia profondamente radicate in molti settori della societa' russa. Chiudere un occhio su questi crimini dell'odio ha incoraggiato la crescita dell'estremismo xenofobo e del neofascismo nel paese' - ha commentato Khan.

Il rapporto di Amnesty International denuncia come, a seguito di attacchi violenti e su vasta scala nei confronti della popolazione civile, attribuiti ai gruppi armati ceceni, i membri di vari gruppi etnici del Caucaso, ceceni inclusi, siano stati perseguitati. Queste persone, in quanto appartenenti a minoranze etniche distinguibili a occhio nudo dai russi, vengono prese di mira ai controlli d'identita' istituiti nel contesto delle misure antiterrorismo o a semplice scopo di estorsione da parte della polizia. Secondo una ricerca condotta l'anno scorso da un'organizzazione locale per i diritti umani, le persone di aspetto non slavo hanno 21 probabilita' in piu' di essere fermate per controlli mentre viaggiano sulle linee della metropolitana di Mosca.

'Il razzismo e' un attacco alla nozione stessa di universalita' dei diritti umani. Esso nega sistematicamente il godimento dei diritti umani sulla base del colore, della razza, dell'etnia, della discendenza o dell'origine nazionale. In base al diritto internazionale, la Russia deve combattere il razzismo in ogni sua forma. Alcune autorita' regionali hanno preso iniziative al riguardo, ma si sono dimostrate profondamente inadeguate e isolate. E' giunto il momento che il governo federale ponga in essere un piano nazionale per dare alla lotta contro il razzismo la priorita' che merita'.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 4 maggio 2006

Il rapporto 'Federazione Russa: razzismo violento fuori controllo' e' disponibile in lingua inglese all'indirizzo http://web.amnesty.org/library/index/engeur460162006

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224, cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it
 
Di Fabrizio (del 07/05/2006 @ 10:49:57, in conflitti, visitato 2142 volte)

BUCAREST - Il governo rumeno ha approvato lo scorso 20 aprile il Programma di sviluppo comunitario nel villaggio di Hadareni (regione di Mures, Romania centrale - riferimenti precedenti ndr.) che si svilupperà nel periodo 2006-2008. Il programma include misure per sviluppare le relazioni tra i membri della locale comunità di Hadareni, per prevenire e combattere la discriminazione come pure per coinvolgere i cittadini di etnia rom nella vita sociale e culturale. E' rivolto a tutti gli abitanti di Hadareni - Rumeni, o di etnia Rom o Ungherese - come pure alle autorità locali e regionali.

"Il Programma si basa sul concetto di sviluppo comunitario. Le autorità intendono spronare gli abitanti a valutare tutte le misure necessarie per ristabilire le relazioni nella comunità", ha detto Mariea Ionescu, presidente dell'Agenzia Nazionale per l'Etnia Rom.

Il costo del programma per il 2006-2008 è stimato in 3,48 milioni di Lei (circa 1 milione di euro ndr.). Il Governo ha allocato 1 milione e mezzo per l'anno corrente. [...]

Nell'ambito del Programma, l'Agenzia Nazionale per l'Etnia Rom si occuperà di risolvere i problemi connessi ai documenti di identità, organizzare campagne sui diritti e doveri dei cittadini, sulle legislazioni per le minoranze, pratiche nel campo della non-discriminazione, stabilire ed organizzare una forza di polizia locale che veda la partecipazione e il coinvolgimento di rappresentanti delle tre etnie.

[...]


Da Alecs Iancu: Il governo ha stanziato per il Progetto Hadareni una somma superiore a quanto stabilito dalla Corte Europea per i Diritti Umani (ECHR), dato che le misure non riguardano soltanto la comunità rom nel villaggio, ma anche quelle rumena e ungherese, secondo quanto affermato da [...] Haller Istvan, capo dell'Ufficio Diritti Umani dell'organizzazione Pro Europe League.

A seguito di gravi incidenti interetnici del settembre 1993, ad Hadareni ci furono 3 morti, 18 feriti e una dozzina di case vennero date alle fiamme. Agli scontri seguì un violento conflitto tra la polizia e i Rom, che portarono a dodici arresti tra Rom e Rumeni, tramutati dal tribunale in pene che variavano da uno a sette anni per omicidio e altri crimini. Le vittimi e i loro parenti fecero ricorso all'ECHR, affermando che dopo la distruzione delle loro case, erano stati costretti per anni a vivere in case di fortuna, senza riscaldamento e sovraffollate.

La Corte Europea aveva ingiunto alla Romania di rifondere i danni per somme varianti tra 11.000 e 95.000 euro a sette dei richiedenti e ai loro parenti. In seguito, il governo aveva deciso di lanciare un proprio progetto che contribuisse a ricostruire i rapporti comunitari che erano stati distrutti dal conflitto.

[...]

In un commento di lunedì scorso, Cristian Radu Georgescu, senatore socialdemocratico della regione di Mures, ha detto che la decisione del governo è una "misura di discriminazione positiva che potrebbe generare nuovi conflitti."

Da: Romanian_Roma

 
Di Fabrizio (del 04/05/2006 @ 09:40:22, in conflitti, visitato 1916 volte)

Lettera aperta: 29 aprile 2006

A Sua Altezza il Papa - Vaticano

Sua Santità,

Anche se sono in possesso di innumerevoli prove sui crimini commessi durante la II guerra mondiale dalla Croazia Indipendente contro i Rom, documenti croati e tedeschi fornitimi dai sopravvissuti, mi mancano tuttora i documenti vaticani degli anni 1941-1945, così da poter terminare la sceneggiatura del film "I Rom a Jasenovac".

Sarebbe un grande contributo alla verità se Lei volesse aprire gli archivi del Vaticano e Le rivolgo un appello in questo senso. Come presidente del "Memorial Center dei Rom" in Serbia e Montenegro, sono a disposizione per formare una commissione speciale che presenterebbe i documenti, così La invito a nominare la commissione del Vaticano che li possa illustrare, in modo che i documenti possano essere comparati ed ispezionati.

Ogni paese che ha paura della verità, si sforza a celare le testimonianze. Ma questa è una grande opportunità per il Vaticano nel mostrare il proprio sguardo verso la verità. Durante la sua esistenza, la Chiesa ha insegnato "Il diritto e la verità provengono da Gesù Cristo (Giovanni 1:17). Se il Vaticano decidesse di seguire questo esempio, sarebbe di sprone all'applicazione di questi principi.

Con profondo rispetto,

BAJRAM HALITI
Presidente del Memorial Center dei Rom per gli studi sull'olocausto,
Membro del Parlamento dei Rom, incaricato delle questioni per il Kosovo,
Presidente dell'Uffico Centrale dei Rom del Kosovo

 
Di Fabrizio (del 23/04/2006 @ 10:01:46, in conflitti, visitato 1946 volte)

Premessa: di infiltrazioni islamiche nei Balcani, ne sento parlare da tempo. Come da tempo sento (e io stesso mi interrogo) sul ruolo degli USA, che da un lato combattono una "battaglia epocale" e senza esclusioni di colpi, contro il terrorismo islamico, e dall'altro hanno reso possibile che Bosnia, Kosovo e Macedonia diventassero le centrali internazionali della droga, della prostituzione e dell'addestramento dei mujaheddin. Settimana scorsa leggevo questa notizia ANSA, molto accurata su cosa sia diventata una città che era stata un esempio della convivenza tra diverse religioni.

In questo quadro, il Kosovo marcia a passo di carica verso la "democrazia", ancora non si capisce quale. Ho trovato la notizia che segue su Kosovo_Roma_News, e senza rinnegare nessuno dei miei dubbi, mi sembra interessante per la fonte da cui arriva (Al Jazeera)

(indicazione x i tifosi della curva: adesso non mi interessa stabilire qual'è la verità o quali sono le menzogne. Lo lascio fare a chi c'era o chi dice di esserci stato. Visto che in passato ho dato spazio a fonti di tuttaltro tenore, ritengo che sia interessante per VOI, sapere che a volte anche gli ALTRI si fanno domande)

La Serbia sonda i crimini di guerra del Kosovo - 17 Aprile 2006 1:04 PM GMT (Al Jazeera) - Original article

Il Kosovo è sotto amministrazione ONU dal 1999.

Dieci ribelli kosovari albanesi sono indagati dal tribunale serbo contro i crimini di guerra per le atrocità commesse contro civili durante il conflitto del 1999.

Gli inquirenti si riferiscono a tre diversi casi di crimini di guerra, quando due persone sparirono e altre due furono seriamente ferite.

Secondo il tribunale, le violazioni del diritto internazionale avvennero nelle città di Pec e Djakovica, nel marzo e nel giugno 1999.

Le vittime furono Serbi, etnico-Albanesi e Zingari, o Rom. Il rapporto non fornisce altri dettagli. E non arrivano ulteriori commenti dal Kosovo.

Formalmente la provincia è parte della Serbia, ma Belgrado non vi ha più alcuna autorità da quando la Nato attaccò l'allora presidente Slobodan Milosevic, per interrompere la sua politica contro i separatisti kosovari-albanesi e respingere le truppe serbe.

Furono uccise durante quella guerra circa 10.000 persone,  per la maggior parte kosovari di etnia albanese.

Ma anche i ribelli dell'ALK sono stati accusati di rapimenti e uccisioni di centinaia di Serbi e appartenenti ad altre etnie, durante il conflitto e dopo la ritirata delle truppe serbe.

Status futuro:
Nel frattempo, durante gli sviluppi conseguenti, a più riprese l'incaricato USA ha fatto pressione su Belgrado perché giocasse un "ruolo costruttivo" nei successivi colloqui sullo status del Kosovo, pressioni a cui la Serbia ha risposto di voler presentare quanto prima una specifica proposta per l'autonomia della provincia amministrata dall'ONU.

Frank Wisner, rappresentante USA ai negoziati ONU, ha incontrato i leaders serbi durante un viaggio nella regione, che includeva anche colloqui in Kosovo e Macedonia. [In Serbia] ha incontrato il primo ministro Vojislav Kostunica, il presidente Boris Tadic e il ministro degli esteri Vuk Draskovic.

C'è speranza che la visita dia nuovo respiro ai negoziati ONU sulla provincia, che conta due milioni di abitanti.

La maggioranza dei kosovari di etnia albanese insiste sull'indipendenza, mentre Belgrado e la minoranza serba vorrebbero che almeno formalmente il Kosovo rimanesse nei confini serbi.

 
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