L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Lunedì 21 marzo alle 00.30, France 3 diffonderà nella programmazione di "La
case de l'oncle doc" un documentario intitolato "Roms, premier peuple européen".
Sei secoli dopo il loro arrivo in Europa, i Rom, a seconda delle frontiere
conosciuti come Manouches, Gitans, Sinti…continuano a vivere, tra carovane e
bidonville, alle porte delle nostre società. Ma in Francia a luglio 2010, una
semplice notizia riguardante un cittadino francese di origine gitana, dava fuoco
alle polveri.
Discorsi sicuritari infiammati, amalgama tra delinquenza e "gens du voyage",
regna la confusione, e designa un capro espiatorio per l'insicurezza del
momento: i Rom. Tra i 10 e i 12 milioni di suoi cittadini vivono ai margini dei
diritti più fondamentali, dalla sanità all'istruzione. Tra i 10 e i 12 milioni
di uomini, donne, bambini marginalizzati che vogliamo tenere a debita distanza,
ma a quale distanza, visto che sono europei? Lo stigma, per non dire il rifiuto
di "Gitani, Zigani, Manouches..." è ancestrale. Evidente la loro paura
dell'integrazione o dell'assimilazione. Il loro posto in un'Europa ufficialmente
senza frontiere interne, ma che resta un'Europa delle Nazione, è difficile da
definire. A meno che i Rom stessi non aprano una prima breccia. A marzo 2011,
Romania e Bulgaria, membri dell'Unione Europea entreranno nello spazio Schengen
garantendo la libera circolazione a tutti i loro membri.
Questo film ci fa viaggiare, da Montreuil dove si espellono i Rom rumeni o
bulgari, a Budapest dove le milizie nazionaliste incendiano le case delle
famiglie rom. Un itinerario di paria abbandonati dai loro stati e che convergono
verso Strasburgo e Bruxelles, capitali legislativa e amministrativa dell'Unione
Europea, dove giovani studenti rom tentano di far intendere la voce dei 10-12
milioni di cittadini europei che non vogliono più vivere rifiutati e
marginalizzati. Un viaggio per raccontare la lunga e difficile gestazione di una
nazione senza territorio nazionale. Una prima tappa verso un'Europa dei popoli?
Forse no, ma una questione centrale: quale status perché 10-12 milioni di
cittadini europei non siano più rigettati ai margini dei diritti fondamentali?
"Diversità urbana" è il primo concorso fotografico lanciato dall’Unar -
Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - presso il Dipartimento per le
Pari Opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri. L'intento è quello
di far emergere a livello nazionale ogni iniziativa di conoscenza reciproca, che
a partire dalla rimozione degli stereotipi che favoriscono la conflittualità,
favorisca il dialogo e l'inclusione sociale nei contesti urbani tra cittadini
italiani, stranieri, rom, sinti e di altre minoranze etnico-linguistiche e di
altre religioni, tra persone disabili, tra giovani ed anziani e tra persone con
diverso orientamento sessuale ed identità di genere.
Il concorso, a cui si potrà partecipare fino al 15 aprile 2011, è rivolto ai
giovani dai 18 ai 35 anni e premierà, con mille euro ciascuna, le migliori 6
foto ritenute vincitrici ex-equo dalla Commissione giudicatrice formata da
esperti dell’Unar e dal National Working Group contro le discriminazioni.
Inoltre, le migliori foto (vincitrici e non) saranno selezionate e diffuse
nell’ambito di campagne informative e di sensibilizzazione elaborate dal
Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, oltre ad essere pubblicate in un libro fotografico e usate per mostre
fotografiche di rilievo nazionale.
Il concorso si articola sui seguenti temi: diversità razziale; diversità etnica
con particolare riferimento alle comunità rom, sinti e camminanti; diversa
abilità; diversità religiosa; diversità di età; diversità di orientamento
sessuale ed identità di genere. Ogni autore può partecipare con un massimo di
quattro foto rappresentative di almeno due temi oggetto di concorso. Tutte le
fotografie devono essere inedite. La domanda di partecipazione si può scaricare
dal sito dal sito www.unar.it e dal sito
www.pariopportunita.gov.it e deve
pervenire entro il 15 aprile 2011.
Di Fabrizio (del 20/02/2011 @ 09:14:43, in media, visitato 1588 volte)
15-02-2011
Negli ultimi cinque anni sulle principali reti televisive italiane si è
assistito al dilagare delle notizie relative alla cronaca nera, cronaca
giudiziaria e criminalità organizzata, nei telegiornali come nelle trasmissioni.
Mentre nel periodo 2003-2005 la rappresentazione di eventi criminosi si era
mantenuta costante, a partire dal 2006 si è rilevato un sensibile incremento del
tempo dedicato a questa tipologia di notizie, con un ulteriore aumento nel corso
del 2007.
Infatti, se nel 2003 le edizioni principali dei telegiornali di tutte le
emittenti nazionali trattavano questi temi per il 10% del loro tempo, nel 2007
la percentuale di tali argomenti saliva al 24% con punte, su alcune testate
televisive, del 30%. Tale sovraesposizione mediatica si rivelava poi del tutto
ingiustificata se confrontata con i dati ufficiali del Ministero dell'Interno
che evidenziavano un calo di oltre il 10 per cento dei reati nel 2007 con un
ulteriore conferma nei primi sei mesi del 2008.
E' in particolare l'"emergenza rom" a spiccare tra le notizie di cronaca dei
telegiornali quando, nell'aprile del 2007 ad Appignano, in provincia di Ascoli
Piceno, un giovane rom alla guida di un furgone travolge e uccide quattro
ragazzi. Qualche giorno dopo il campo nomadi del paese viene dato alle fiamme e
le cronache dell'incidente proseguono per i successivi cinque mesi fino al
processo, nel settembre dello stesso anno.
Ma il culmine della sovraesposizione delle notizie di cronaca nera, con
particolare riferimento alla popolazione rom e rumena si raggiunge a partire
dall'ottobre del 2007 quando Giovanna Reggiani, aggredita e rapinata alla
stazione ferroviaria di Tor di Quinto, muore due giorni dopo.
L'aggressione viene segnalata da una donna rom, che indica l'autore del delitto
in un giovane, anche lui rom rumeno.
Nei primi giorni i media non danno molto risalto alla notizia credendo la
Signora Reggiani appartenente alla comunità rom, quindi di rilevanza marginale.
Non appena si apprende che la vittima aveva nazionalità italiana scoppia il
"caso Reggiani": il processo viene trattato frammentariamente dalla stampa e
strumentalizzato politicamente.
Di lì a pochi mesi (aprile 2008) si terranno le elezioni politiche e le
amministrative per l'elezione del Sindaco di Roma e il tema emergenza sicurezza,
con particolare riferimento alla comunità rom e ai cittadini di origine rumena,
è l'argomento principale dei media e della campagna elettorale del centrodestra.
In questo periodo, con cadenza quotidiana, hanno particolare rilevanza
nell'agenda dei telegiornali le notizie relative agli sgomberi dei campi nomadi
in tutta Italia.
Si giunge addirittura ad un decreto legge (181/2007) sollecitato dall'allora
sindaco di Roma Walter Veltroni che prevede l'attribuzione ai prefetti del
potere di espulsione dei cittadini comunitari per ragioni di pubblica sicurezza.
Il decreto non verrà mai convertito in legge poiché in netto contrasto con la
direttiva 2004/38/CE.
Come dimostrano diversi studi, media, opinione pubblica e realtà hanno
alimentato l'insicurezza percepita, facendo raggiungere livelli elevatissimi
alla preoccupazione sociale e all'allarme per i crimini contro la persona e la
proprietà privata nei confronti degli immigrati, percepiti come vera e propria
minaccia, mai come risorsa.
Sono rari i casi in cui il tema dell'immigrazione è trattato al di fuori di un
contesto di cronaca o comunque svincolato dalla criminalità.
In un campione di notizie delle edizioni principali dei telegiornali di tutte le
emittenti dei primi sei mesi del 2008, su 5.684 notizie analizzate, solo lo
0,45% di queste affrontano l'immigrazione senza legarla, al contempo,a un fatto
di cronaca o al tema della sicurezza.
Non solo il singolo fatto di cronaca viene ricondotto all'immigrazione in quanto
tale, ma tutto il recente interesse al tema sicurezza sembra ruotare intorno
alla presenza – vista sempre in termini emergenziali e straordinari – di persone
provenienti da luoghi diversi.
Su 163 servizi televisivi che trattano fatti di cronaca con protagonisti
migranti, 65 contengono
informazioni/immagini che possono portare all'identificazione di persone
(adulte) colpevoli di atti di violenza (39,9%). Un dato di dieci punti superiore
rispetto ai servizi di cronaca che non riguardano solo migranti e che si
attestano, infatti, al 29,7%.
Su tutto domina l'etichetta di clandestinità che, prima di ogni altro termine,
definisce l'immigrazione in quanto tale. Rom e rumeni sono il gruppo etnico e la
nazionalità più frequentemente citati nei titoli di tg.
Le parole, dunque, contribuiscono a tematizzare la presenza degli immigrati in
Italia con un riferimento forte alla minaccia costituita dagli stranieri alla
sicurezza degli italiani.
Si assiste inoltre alla tendenza di diffondere informazioni e immagini lesive
della dignità delle persone coinvolte, direttamente o meno, in fatti di cronaca
soprattutto quando i protagonisti sono migranti.
Nel febbraio del 2009, per più di un mese, telegiornali e trasmissioni
"processano" Karol Racz, un cittadino rumeno arrestato all'indomani dello stupro
di una ragazza in un parco di Roma, indicandolo come "faccia da pugile", il
mostro della Caffarella.
Il suo volto è mostrato per settimane, nonostante le indagini stessero
proseguendo e non si avessero prove della sua colpevolezza.
Durante le indagini sono ripetute le accuse alla comunità rumena, mentre la
situazione sociale esplode in una serie di vere e proprie spedizioni punitive ai
loro danni, quasi legittimato dai ripetuti sgomberi effettuati in quei mesi in
tutta Italia.
Nessuno dei due fermati ricalca le descrizioni fornite dalle vittime, le prove a
loro carico decadono dopo pochissimi giorni, ma per loro le porte del carcere
non si aprono comunque.
Così un cittadino comunitario incensurato proveniente dalla Romania è
trasformato in "faccia da pugile" dai media e usato come prova dell'idoneità
delle misure di sicurezza adottate dal Governo.
Un mese e mezzo dopo l'arresto Racz è ospite di Porta a porta, una delle
principali trasmissioni televisive, nel giorno della sua scarcerazione. E' il
conduttore a porre le scuse.
La stampa e la televisione italiana sembrano le uniche in Europa a descrivere un
crimine mettendo in evidenza la nazionalità del criminale, quasi a sollecitare
la creazione di un capro espiatorio nel quale far confluire tutti i malcontenti
possibili.
I media, attraverso la scelta del linguaggio e della trattazione "criminale" del
tema immigrazione predispongono un terreno fertile su cui poi lavorare durante i
casi di cronaca più eclatanti.
L'enfatizzazione di alcuni aspetti di questi episodi (ad esempio la nazionalità
dell'aggressore) in un clima così ansioso finisce per agevolare l'insorgere del
panico morale.
Queste ondate emotive, rivolte contro un capro espiatorio che viene identificato
come minaccia per la conservazione della società, sono teoricamente destinate a
risolversi in poche settimane.
Se è la cronaca l'unico argomento utilizzato dai media per descrivere la
presenza straniera e i fenomeni migratori è possibile chiedersi quale sia il
ritratto delle persone di origine straniera nei mass media.
In generale, più del 70% delle notizie di cronaca presentate da tg e quotidiani
descrive un atto criminoso, l'attività delle forze dell'ordine o un procedimento
giudiziario o penale. Per oltre i tre quarti delle volte (76,2%), persone
straniere sono presenti nei telegiornali come autrici o vittime di reati. Le
persone straniere compaiono nei telegiornali, quando protagonisti di fatti
criminali, più facilmente degli italiani (59,7% contro il 46,3%).
Al contrario, le notizie di cronaca giudiziaria che riguardano stranieri sono il
16,5% del totale.
Questo risultato, oltre a essere un primo segnale di un diverso trattamento
informativo sulla base della nazionalità dei protagonisti, può avere qualche
conseguenza più profonda sulla rappresentazione dei migranti.
Gli stranieri sono ritratti nel momento dell'atto criminale, sovraesposti nella
dimensione inquietante e drammatica della cronaca nera, tendono invece a sparire
nel momento processuale, cioè nel momento in cui non solo possono essere
evidenziate le effettive responsabilità penali, ma anche in cui ne possono
emergere le caratteristiche umane, la personalità, le difficoltà, la voce.
I delitti compiuti da stranieri presenti sul suolo italiano diventano allora
delitti senza movente né conseguenze, rimangono ritratti spesso da senza storia,
umanità o ripercussioni penali.
Episodi di cui l'unica conoscenza certa può essere la loro brutalità e la loro
residua matrice comune: l'immigrazione.
Non è mai presentata l'immagine reale dell'immigrato che vive e lavora in
Italia.
Negli ultimi trent'anni l'immagine dell'immigrazione fornita dai mezzi di
informazione appare come congelata, immobile.
Ancorata alle stesse modalità, alle stesse notizie, agli stessi stili narrativi
e in qualche caso agli stessi tic e stereotipi. I risultati delle ricerche
avviate sullo stesso tema a partire dalla fine del 1980, con molti elementi
comuni con il passato di altri paesi europei, appaiono straordinariamente
simili.
Da una parte, c'è una rappresentazione dominata da una visione "naturalmente"
problematica del fenomeno: l'immigrazione è, in sostanza, un problema da
risolvere. Dall'altra parte, il tipo di notizie evidenziate: la cronaca appare
l'elemento ancora dominante della trattazione riducendo la complessità della
realtà alla sua eventualità criminale.
Di Fabrizio (del 08/02/2011 @ 09:12:50, in media, visitato 1764 volte)
Di quanto è successo a Roma domenica sera, si è scritto
parecchio. Tra poco la cosa sarà dimenticata, fino al prossimo incendio.
Riprendo questo articolo di
Repubblica, perché per una volta, raccoglie pezzi di discorso degli
scampati, senza la morbosità che spesso hanno i giornali. La segnalazione è di
Luisa Rizzo
"Voglio morire anch'io insieme ai miei bimbi" lo strazio del padre davanti ai
corpi carbonizzati La madre: "Non mi muovo di qua. Li devo vegliare anche se non serve a
niente". Uno zio: "Volevo portarli via perché in queste baracche si vive come
animali" di ANNA MARIA LIGUORI e EMILIO ORLANDO
Mircea Erdei, padre dei piccoli morti nel rogo
"Voglio morire anch'io, adesso che ho perso tre figli voglio andare con loro".
Mircea Erdei ripete in uno stentato italiano di "non potercela fare" di volerla
"fare finita".
Mircea Erdei è padre di tre dei quattro piccoli (l'altra è invece figlia di
primo letto della moglie) bruciati nella baracca andata a fuoco. Poco distante
c'è la moglie, Elena, che si lamenta e si contorce come se una mano invisibile
la stesse torturando: "Io non mi muovo di qua, dice anche se non serve a niente
devo vegliare i loro corpi, devo stare vicino a loro". Mircea e Elena hanno
altri cinque figli, poco più grandi e poco più piccoli di quelli che non ci sono
più. Vagano sparsi per il campo, gli agenti della municipale cercano di
raccoglierli, di farli stare insieme, ma loro non ne vogliono sapere. Fernando
Eldeban aveva 3 anni, Sebastian 7, Raul 5 e l'unica bambina Elena Patrizia 11,
figlia del primo marito di Elena. I poliziotti parlano con la sorella maggiore
Bianca, 18 anni, una delle prime a dare l'allarme, piange senza sosta: "Mi sono
allontanata solo cinque minuti, ero andata a prendere l'acqua. Quando sono
tornata la baracca era in fiamme. Cosa potevo fare?".
Nel piccolo campo abusivo sembrano spariti tutti, molti sono scappati, chi è
rimasto è legato a doppio filo ai genitori dei bimbi. Come uno zio arrivato dal
Campo regolare Arco di Travertino, che è sempre nel IX municipio, che non si da
pace per quello che è successo: "Volevo portarli via da qui, volevo portarli
dove vivo io, perché la vita lì è umana. Non come in queste baracche dove si
vive come animali. Ma non ce l'ho fatta non ce l'ho fatta". E poi viene fuori la
rabbia: "Siamo tutti disperati, qui la gente ci tratta male, non ci vuole. Noi
non vogliamo stare qui, ma dove andiamo".
Mircea Mirgia esce ogni mattina per andare a lavorare a nero fa il muratore. Il
suo vicino di baracca lo conosce da sempre, sono arrivati insieme in Italia un
anno fa: "Fa tutto per sfamare i figli, lavora come un pazzo. Tutto quello che
può fare lo fa. I bambini li avevo visti pochi minuti prima che il materasso
prendesse fuoco, si erano messi a dormire da poco. Come è potuto succedere?".
Tutti i bambini morti nel rogo andavano a scuola. Ma spesso erano soli, come
ieri sera, la madre e un'amica erano andate a comprare l'acqua e qualcosa da
mangiare in un fast food poco lontano. Al campo non si cucina, è abusivo: niente
acqua, ovviamente niente bagni. Stefan, un amico di famiglia, scalcia le pietre
e urla a chiunque voglia sentirlo: "Venivano solo a controllarci e a chiederci i
documenti, ci hanno fatto solo promesse ma nessun aiuto. Niente aiuto. Siamo
isolati e abbandonati a noi stessi. E noi non ce la facciamo. I nostri figli
muoiono e noi non possiamo farci niente". Rado, appena arrivato dalla Romania
gli fa eco: "Sono qui da pochi giorni e già ho capito questo campo non è sicuro,
per niente sicuro...". Intanto Mircea e Elena non si muovono, sono fermi davanti
alla baracca bruciata. Il sindaco Alemanno è lì e loro gli chiedono aiuto "per
gli altri nostri figli" dicono, "e i funerali dei bambini li facciamo in
Romania".
"Un giorno metti la pentola a bollire sul fuoco, e sei in un posto. Quando
l'acqua bolle sei in un altro. Quando la pasta cuoce in un altro, e la mangi
chissà dove". Con queste parole la vecchia nonna di Laura Halilovic commenta lo
sgombero che la polizia ha imposto al campo nomadi in cui si trova. Laura, dal
canto suo, ne ha fatto un film: "Io la mia famiglia Rom e Woody Allen", in cui
racconta la sua vita e quella dei suoi cari, tra discriminazioni e vita
quotidiana. Il titolo è una citazione proprio di un film di Woody Allen. Il
cineasta americano ha letteralmente folgorato la piccola Laura che, ancora
bambina, si trovò da allora a coltivare un sogno: fare la regista. Oggi, con
questo film documentario prodotto in collaborazione con RaiTre e Film Commission
Torino, quel sogno è diventato realtà.
A META' TRA DUE CULTURE
«Da quando ho fatto questo film molti si interessano a me. Certo, il pericolo è
che lo facciano solo perché sono Rom, che mi mettano addosso quest'etichetta e
ci si interessi a me perché "diversa"».
Una diversità che le viene additata anche dalla sua comunità: «Sono diversa per
gli italiani e sono diversa per i Rom perché non voglio vivere secondo la nostra
tradizione e non intendo sposarmi per realizzare "il mio futuro"». Proprio con
queste parole infatti i genitori di Laura, nel documentario, la spingono al
matrimonio: "Sei già vecchia, hai 19 anni", le dicono. «Così mi trovo a metà tra
due culture, in bilico – prosegue Laura – e certo è una sofferenza, è una
situazione che vivo malissimo».
Ma la giovane regista ha le spalle larghe e con tenacia procede nel suo cammino
umano e artistico: «Anche la mia famiglia ora si è convinta, ma all'inizio è
stata dura poiché una ragazza Rom non può studiare e nemmeno lavorare, può solo
sposarsi».
LIBERTA' E PRIGIONIA
Nata a Torino, Laura ha vissuto nel campo vicino all'aeroporto di Caselle fino
all'età di otto anni. Poi la sua famiglia ottiene una casa popolare dove vanno a
vivere in nove: lei e i suoi quattro fratelli, i genitori e due cognati. Della
vita del campo resta un ricordo indelebile di libertà e prigionia al contempo:
«Mi ricordo la libertà, noi bambini stavamo sempre in giro nel campo, solo il
cielo a farci da confine. Ma ricordo anche il filo e la rete che delimitavano il
campo, eravamo come animali in gabbia». Le difficoltà coi "Gagé" – i non Rom –
iniziarono con la scuola: «Ricordo la mia felicità, il primo giorno. E ricordo
come gli altri genitori commentassero: "Ci mancava anche la zingarella". Quel
giorno non parlai con nessuno e corsi via appena la campanella suonò».
INTEGRAZIONE NON E' ESSERE TUTTI UGUALI
Questo dolore è quello che, secondo Laura, farà sempre sentire i Rom inferiori.
Un'inferiorità interiorizzata a tal punto da renderli incapaci di rivendicare i
loro diritti. «E non cambierà mai. Come mai cambierà l'atteggiamento dei Gagé
che continueranno sempre a disprezzarci. Un'integrazione è impossibile». Poi,
con un sospiro: «Integrazione non è essere tutti uguali, non è –per un Rom –
diventare Gagé. I Rom non vogliono diventare Gagé. Se non ci fosse più
diversità, nel futuro, forse non ci sarebbe più discriminazione. Ma poi saremmo
tutti più poveri».
Nella parole di Laura echeggia la saggezza della vecchia nonna, che nel film è
il simbolo di una cultura antica, modellata dai secoli e dai chilometri percorsi
da questo popolo nomade. «Quando mi dicono: "vai a casa tua" io mi domando
qual
è la mia casa, la casa di un nomade è ovunque». Laura non nasconde che ci siano
dei problemi: «Le persone però non devono fare di tutta l'erba un fascio, tra di
noi siamo diversi. Tra un Rom Romeno e uno bosniaco c'è differenza, ad esempio.
Non conoscono la nostra cultura». E davvero è arduo conoscere la cultura Rom, il
film di Laura è un ponte per la reciproca conoscenza. Forse così sarà possibile
capire che: «Non è vero che i Rom sono tutti ladri e delinquenti». "Quando un
Rom fa un reato, a venire puniti sono tutti i Rom" si dice nel film.
CASETTE IN FILA
E Laura fa un agghiacciante parallelismo: «Quando vedo le casette in fila, tutte
uguali, del nuovo campo di via Germanasca a Torino, con un recinto di ferro
intorno alto tre metri, mi vengono in mente i campi di concentramento dove sono
morti i miei bisnonni». Già, poiché molti dimenticano che, insieme agli ebrei,
ad Auschwitz trovarono la morte milioni di zingari. «Se mai incontrassi Woody
Allen di persona – conclude Laura – gli chiederei come ha vissuto il suo essere
ebreo. E come ne ha fatto una risorsa».
Di Fabrizio (del 10/01/2011 @ 09:21:37, in media, visitato 2111 volte)
7 gennaio 2011 Siccome si sa che gli zingari rubano i bambini, allora Denise Pipitone può
essere anche quella ragazzina ritrovata nel 2008 in Grecia. Così almeno dicono
durante Quarto Grado, condotta da Salvo Sottile, nel servizio di ricostruzione
del caso di Denise, dove affermano testualmente che in Grecia viene ritrovata (e
si mostrano le foto) una ragazzina rom che somiglia tantissimo alla scomparsa,
ma poi la zingara che la conduceva per mano "scompare nel nulla con la bimba, la
cercano in tutti i campi rom ma non la trovano".
Mica vero. Era stata ritrovata sull'isola di Kos una bimba di otto anni che
somigliava a Denise, scomparsa quattro anni fa (il 1 settembre 2004) a Mazara
del Vallo mentre giocava in pieno giorno nel giardino della sua casa. L'Interpol
aveva anche arrestato una donna di trent'anni (una rom albanese) che si faceva
passare per la madre della bimba, ma non parlava italiano. A portare gli agenti
dalla bambina, una turista italiana che aveva acquistato da lei un braccialetto
era rimasta colpita dalla somiglianza. Così almeno era stata raccontata la
storia, con dovizia di particolari fantasiosi, dai giornali italiani il giorno
prima. Il giorno dopo, la doccia fredda: l'esame del Dna ‘scopre' che la bimba
era proprio figlia dell'albanese che diceva di esserne la madre. Tu guarda il
caso, alle volte.
La polizia ha fatto sapere che dall'esame del dna è emersa "una compatibilità
ereditaria" tra la bambina e la zingara albanese arrestata, che aveva sempre
affermato di esser sua madre. "Al 99% non è Denise bensì la figlia
dell'albanese" dicono dalla Grecia dopo avere avuto i risultati, ancora
informali, dell'esame. "I risultati ufficiali li avremo domani, attendiamo
ulteriori disposizioni della magistratura"
scriveva il Giornale. A Mediaset si vede che, a distanza di due anni, ancora non
se ne sono fatti una ragione.
Secondo una recente ricerca, i media inciderebbero sulla percezione
dell'altro, attraverso stereotipi. Così il 59% del campione ritiene che
l'ingresso degli stranieri favorisca la criminalità, il 45% crede che gli
zingari (rom e sinti) siano tutti ladri
Firenze, 16 dicembre 2010 – La discriminazione nei confronti del "diverso"
nella società attuale è molto diffusa. Lo pensano i giovani che hanno
partecipato all'indagine "Minori, mass media e diversità" realizzata dal
Centro Studi Minori e Media su un campione di 1214 studenti di 19 scuole medie
superiori di 13 città in 9 regioni italiane e presentata oggi a Firenze in un
convegno svoltosi presso la Regione Toscana .
In apertura ha portato il saluto della Regione Toscana il consigliere regionale
Gianfranco Venturi che, nel ricordare l'anniversario dell'unità d'Italia, ha
affermato che è necessario creare l' unità nel Paese fatta di diversità
solidale. Ma gli stessi studenti intervistati dichiarano, quasi per la metà,
di provare sentimenti discriminatori nei confronti delle persone diverse da sé
ed il 90% del campione ha amici che non nascondono atteggiamenti discriminatori
nei confronti degli immigrati e delle persone senza fissa dimora.
Non solo. Sebbene sia opinione diffusa che i giovani siano meno discriminanti
degli adulti, dalla ricerca è emerso, invece, che circa il 9% è più
discriminante dei propri genitori e nonni. Solo il 26 % è meno discriminante,
mentre la maggior parte (66%) riflette la posizione famigliare . "E' evidente –
ha affermato la presidente del Centro Studi Laura Sturlese, commentando i
risultati della ricerca – che la scuola, con un efficace insegnamento
dell'educazione civica , incentrata sui valori fondanti della Costituzione, e
elevata al rango di materia obbligatoria e di pari dignità, e le scuole e
facoltà di giornalismo, e un'opportuna sensibilizzazione dei media potranno
porre rimedio a questo quadro desolante ".
"I giovani oggi? Digitali nativi, aperti al mondo, a nuove tecnologie e
forme di comunicazione – afferma Isabella Poli, direttore del Centro Studi
Minori e Media - ma spesso diffidenti e discriminanti nei confronti di chi è
accanto, se "diverso". Il diverso fa paura ed allora, se per gli adulti c'è la
tentazione di rinchiudersi nel privato, per i giovani il rifugio è il branco
dove non ci si deve confrontare con l'altro, il diverso". Contradditori, come
spesso sono i giovani, non hanno pregiudizi per i compagni di scuola disabili o
per gli atleti stranieri nello sport, ma invece li hanno per gli immigrati e,
fra questi, soprattutto per asiatici, musulmani e rom che risultano loro
particolarmente antipatici .
E di contraddizioni della società stessa ha parlato anche il prof. Franco
Cambi dell'Università di Firenze che tuttavia ha individuato nelle risposte
dei ragazzi un trend di sviluppo verso un atteggiamento meno discriminante
rispetto alle generazioni più anziane. " Dobbiamo passare – ha affermato Cambi -
dalla multiculturalità all'intercultura come spazio di incontro delle diversità.
Netto, invece, il giudizio degli studenti intervistati sui soggetti più
influenti nella lotta alla discriminazione ed alla xenofobia. Ai primi posti non
risultano né le istituzioni, che hanno il compito di regolamentare e promuovere
la piena attuazione delle norme, né le principali agenzie educative quali
famiglia e scuola, alle quali compete l'educazione all'accoglienza ed alla non
discriminazione, bensì le associazioni di volontariato, la Chiesa ed i mass
media, seguiti a distanza da famiglia e scuola, e, all'ultimo posto, dal
Governo.
"Dati sconcertanti – ha affermato Chiara Dino, redattore del Corriere Fiorentino
– che rivelano la responsabilità stessa dei media sulla quale tutti noi
giornalisti dobbiamo riflettere". La Dino ha anche invitato gli studenti a
dialogare, attraverso strumenti ai giovani congeniali come i social network e
siti web , con gli operatori della comunicazione.
Il rapporto dei giovani con i media è più forte di quanto essi stessi non
credano. Sebbene solo 1 su 4 dichiari di aver formato la sua opinione sulla
diversità attraverso i media, le risposte ad altre domande rivelano l' incidenza
nei loro giudizi dei messaggi, e talvolta degli stereotipi, che caratterizzano
la comunicazione oggi. Così iI 59% del campione ritiene che l'ingresso degli
stranieri favorisca la criminalità, il 45% crede che gli zingari (rom e sinti)
siano tutti ladri ed il 36% ritiene che la religione islamica costituisca una
minaccia per l'Occidente. Però, allo stesso tempo, l'80% pensa anche che gli
stranieri facciano lavori che gli italiani non vogliono fare.
E' seguito quindi il dibattito nel quale sono intervenuti, fra gli altri,
docenti e studenti di scuole che hanno partecipato alla ricerca.
Dichiarazioni anti rom, imbarazzo nel centrodestra: Lombardi convocata dai
probiviri del Pdl. Solo la Lega la difende a spada tratta
Il Pdl prova a correre ai ripari sul caso creatosi attorno alle dichiarazioni
anti-rom e convoca per domani Clarissa Lombardi (leggi
QUI ndr) per valutare eventuali provvedimenti da prendere. Lo annuncia
il vice-coordinatore vicario del Popolo della Libertà, Filippo Bernocchi:
"Incontrerò Lombardi per decidere il da farsi, al momento però mi sembrano
quasi incredibili le dichiarazioni riportate". Anche Riccardo Mazzoni,
coordinatore provinciale del Pdl prende le distanze: "La xenofobia è un male che
va estirpato dalla nostra società – commenta in una nota –. Frasi xenofobe come
quelle scritte su Facebook da un nostro consigliere di circoscrizione non
appartengono dunque né alla nostra storia politica né alla nostra cultura e
costituiscono un gravissimo danno all’immagine del partito". A deliberare su
Clarissa Lombardi saranno direttamente i probiviri nazionali. Nel frattempo il
centrodestra si divide facendo affiorare l’esistenza di due anime quasi
inconciliabili circa il comportamento da tenere nei confronti dei rom con
pulsioni xenofobe pronte ad essere sprigionate. La Lega Nord così nella versione
del suo segretario comunale Leonardo Soldi sta dalla parte della consigliera di
circoscrizione. "Capisco perfettamente la sua rabbia – afferma –. Noto che la
questione dei rom non è ormai sentita solo dalla Lega, ma anche dagli elementi
meno moderati del Pdl. In un periodo di crisi certe agevolazioni, che i comuni
sono obbligati a concedere ai rom stridono ancora maggiormente rispetto al
passato. Mi riferisco in particolar modo alla situazione dei campi nomadi. Non
avendo per nulla una cultura della pulizia e del vivere civile, come invece
abbiamo noi, se ne fregano di rispettare certi standard. Oggettivamente Lombardi
ha sbagliato in un solo punto, si è dimenticata di includere nelle sue
dichiarazioni un riferimento ai sinti". Decisamente di carattere opposto le
dichiarazioni del capogruppo in consiglio comunale di Futuro e Libertà, Federico
Lorusso che ne approfitta per riaprire un contenzioso politico con il Pdl. "Mazzoni
ci ha appellati come inutili idioti, bene adesso dovrebbe guardare in casa
propria gli idioti che ha. Questa gente dovrebbe dimettersi immediatamente senza
attendere un minuto di più. Chi è nelle istituzioni ha il dovere di pensare
prima di parlare, questo purtroppo non sta avvenendo da troppo tempo all’interno
del partito di Mazzoni". Il suo collega di partito, Maurizio Bernocchi
consigliere della circoscrizione sud allarga il campo della stigmatizzazione:
"Sono rimasto delusissimo da Bonny Marras (che su Facebook ha parlato di rom
come "razzaccia che sa solo rubare", ndr). Voglio prendere le distanze dalle sue
parole da queste parole e mi meraviglio che una consigliera eletta possa fare
delle dichiarazioni simili. Questa non è politica, ma solo razzismo. Brava, ha
messo in difficoltà la maggioranza". Dalla circoscrizione Est, istituzione dove
è eletta la protagonista delle esternazioni contro i rom, trapela un fortissimo
imbarazzo. Il presidente Alessandro Ciardi si è preso 24 ore di tempo per
riflettere prima di rilasciare qualsiasi tipo di dichiarazione. L’unico disposto
a parlare è Andrea Bonacchi, presidente della commissione lavori pubblici della
Est, che prova a minimizzare. "Le dichiarazioni di Clarissa Lombardi – dice -non
sono un comunicato ufficiale, ma semplicemente delle iperboli. Premesso questo
il problema rom non si risolve né cacciandoli né con la compassione: le
baraccopoli sono un problema sociale e d’integrazione". Su quest’ultimo versante
si inserisce la considerazione del capogruppo in consiglio comunale dell’Udc,
Antonio Longo. "Si fanno queste sparate a caso per fomentare odio, ma nel
frattempo si lavora. Abbiamo già trovato degli accordi con gli assessori Silli e
Mondanelli per la sistemazione dei rom già spostati da Santa Lucia in viale
Marconi. Le dichiarazioni di Lombardi pertanto appaiono prive di logica e di
senso esattamente come capitato a Padova".
Carlandrea Adam Poli
Segnalo sull'argomento:
La Risposta di Rom alla Consigliera Pdl Clarissa Lombardi:
I Rom si occuperanno del risanamento dell'ambiente nelle Province di La
Spezia e Massa Carrara
Per la Consigliera del Pdl Clarissa Lombardi i Rom sono "zingari,
ladri, bastardi da rimandare a casa" a lei i Rom "fanno vomitare".
Queste le pesantissime parole usate dalla Consigliera Pdl Lombardi.
Opera Nomadi Toscana e tutta la comunità Rom esprime la sua forte denuncia per
le gravissime affermazioni di stampo apertamente Razzista e Xenofobo usate da un
rappresentante delle Istituzioni pratesi.
Non sono le prime affermazioni di questo tenore usate da rappresentanti del Pdl
e della Lega Nord.
Il 9 settembre a Monza, la Lega Nord ha presentato un ordine del giorno alla
Provincia di Monza e della Brianza: "Espulsione dei Rom dalla Provincia di Monza
e dalla Brianza"
Opera Nomadi Toscana ha già denunciato nella riunione tenutasi il 16 Novembre a
Roma, c/o la Commissione Straordinaria dei Diritti Umani – Senato della
Repubblica presieduta dal Presidente Pietro Marcenaro , dal rappresentante
dell'Osce Andrej Mirga e dalla Consulente per la Coesione Sociale – Presidenza
della Repubblica Giovanna Zinconi la campagna di Discriminazione Razziale che il
Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il Ministro degli Interni Roberto
Maroni, il Pdl e la Lega Nord stanno conducendo da mesi contro il Popolo Rom.
La denuncia è stata da tempo inoltrata alla Commissione diritti umani –
Consiglio d'Europa a Strasburgo (Miss. Viviane Reding) ed all'Osservatorio sulle
discriminazioni Razziali della Camera Presieduto dal Presidente On. Gianfranco
Fini
Lo stesso Andrei Mirga, nel corso del suo intervento sottolineava che la
Politica del confinamento dei Rom all'interno dei Campi Nomadi, veri e propri
campi di esclusione e segregazione razziale e
Prassi unicamente italiana. L'Advisor/Senior dell'Osce ha affermato inoltre che
in nessun altro paese Europeo esistono i Campi Nomadi, anche se le
discriminazioni sono presenti in tutti i paesi con gradi ed accezioni diverse.
La risposta concreta che Opera Nomadi Toscana e le comunità Rom danno a
questa campagna apertamente razzista e xenofoba e la volontà di occuparsi della
ricostruzione del paese.
Nella zona delle Province di La Spezia e Massa Carrara, in una zona fortemente
segnata da dissesti idro-geologici i Rom andranno a lavorare, attraverso la
costruzione di auto-imprese nella cura del territorio: dragaggio del fiume
Magra, sistemazione degli argini, cura del Patrimonio boschivo, ripulitura delle
spiagge.
E' quanto afferma Ulderico Fusani, dirigente della Provincia di La
Spezia, nel settore delle Politiche Economiche, Sociali e del Lavoro: «E' più
che un'idea da vagliare, siamo a un punto successivo. Ci stiamo lavorando, e
l'ipotesi di dare questa alternativa a questa gente, potrebbe, sottolineo il
potrebbe, realizzarsi davvero» (fonte: Corriere della Sera – Fiorentino
06.12.2010) nell'intervista che Marco Bezzecchi ha realizzato nell'ambito di una
inchiesta giornalistica condotta sul Campo Rom di Quaracchi.
Di fronte ad un paese, che sta letteralmente crollando a pezzi, tra esondazioni,
allagamenti, frane
La volontà dei Rom e quella di lavorare e trovare una occasione di "Riscatto
Sociale" dopo le guerre e l'esclusione di cui sono sempre stati vittime.
La volontà dei Rom è quella di essere protagonisti di un possibile
rinascimento per iniziare una nuova fase della vita di questo paese. Politiche
sociali improntate all'inclusione sociale per tutti: case, scuole e lavoro
premesse indispensabili per la vita di una vera democrazia.
Le affermazioni della Consigliera Lombardi saranno oggetto di una denuncia che
Opera Nomadi Toscana promuoverà c/o l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni
Razziali – Presidenza del Consiglio dei Ministri (Unar).
Nel chiedere le immediate dimissioni della Consigliera Lombardi, invitiamo tutti
i cittadini a partecipare alla Manifestazione dell'11 Dicembre a Roma.
Opera Nomadi Toscana e le comunità Rom aderiscono alla Manifestazione promossa
dal Pd chiamando le associazioni, i sindacati, i partiti, i singoli cittadini ad
unirsi alla Nazione Rom
Nella lotta contro il Porrajmos (la Shoa dei Rom) che non è ancora, ad oggi
terminato ed alla difesa della vita umana, del Rispetto e della Convivenza
Pacifica tra tutti i cittadini della Repubblica Italiana. La lotta contro il
Razziamo e per una Società dell'Inclusione Sociale è premessa della lotta per
l'Affermazione della Legalità e sconfitta di Mafie, Camorre ed Illegalità.
Opera Nomadi Toscana
Marcello Zuinisi
Presidente Opera Nomadi Toscana
Via XXV Aprile 61, Ameglia (Sp)
Tel 320 9489950 – 328 1962409
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