Di Fabrizio (del 25/02/2011 @ 09:33:50, in lavoro, visitato 2025 volte)
Vintila
(o
Ventila), vecchia conoscenza per i lettori della Mahalla, ha
fatto capolino tra le pagine del
Giornale. Cosa avrà mai combinato?
di Maria Sorbi
Nomade, 56 anni, moglie e 5 figli: la sua specialità è fare la ronda lungo i
cantieri della metropolitana milanese Risultato: i blitz per rubare rame sono
cessati. E così l’assessore provinciale alle Infrastrutture lo ha assunto
Milano Vintila si macina 30 chilometri a piedi ogni notte lungo le rotaie
della metropolitana di Milano. «Lo faccio per controllare che i rom non rubino
il rame» racconta. Ma anche lui è rom e, a sentire la sua storia, vien da
sorridere. Un rom schierato contro i rom.
Il suo vero nome è Marin Costantin, ma si fa chiamare Vintila. «No, non vuol
dire nulla, è un soprannome, mi piace e basta» ci spiega. Arriva da uno dei
campi nomadi più difficili della città, il Triboniano, ed è stato assunto per
fare il guardiano notturno durante i cantieri per il prolungamento fino ad
Assago della linea verde. In quella zona i furti di rame da parte dei nomadi
sono all’ordine del giorno e i tecnici non fanno a tempo a posare qualche cavo
che, zac, nel giro di poche ore è già sparito tutto.
E chi meglio un nomade per tenere d’occhio le imboscate rom? Chi ne conosce
meglio le tecniche e le abitudini? Ecco allora che per Vintila è arrivato un
contratto di lavoro. Lui, 56 anni, moglie e cinque figli, si era già messo in
luce come portavoce della comunità rom e in passato, soprattutto dopo lo
sgombero come quello del campo nomadi di via Capo Rizzuto, gli era perfino
capitato di sedere ai tavoli delle politici locali per tentare un accordo. Il
suo nome tra le istituzioni gira da un po’ di tempo. Finché un giorno
l’assessore alle Infrastrutture della Provincia di Milano, Giovanni De Nicola,
durante un sopralluogo ai cantieri del metrò, si rende conto che i furti di rame
rallentano l’avanzamento dei lavori. E lancia l’idea: «Perché non ingaggiamo
Vintila?». Detto fatto.
Marin Costantin firma il contratto per quello che chiama «il lavoretto». «Mi
hanno rinnovato il contratto di mese in mese» racconta e ci tiene a dire che lui
è «uno a posto», «uno che ha la partita iva», che «paga i contributi» e che in
vent’anni in Italia non ha ricevuto nemmeno una denuncia.
Nelle sue ronde notturne, avanti e indietro lungo i 4 chilometri di rotaie, si è
perfino imbattuto in qualche vicino di roulotte che se l’è data a gambe non
appena l’ha visto. «Non ho paura - racconta - ma per le emergenze sono armato».
La sua arma è una fionda e in tasca ha anche qualche bullone da usare come
proiettile.
Ma fortunatamente non ne ha mai avuto bisogno: Vintila mette tutti in fuga. «Non
si avvicinano nemmeno, sanno che potrei riconoscerli». Lui, rom controcorrente,
ha preso la sua mission seriamente e non ha saltato una notte di lavoro. Ora che
i cantieri sono finiti e il metrò di Assago è entrato in funzione, Vintila si
cercherà un altro «lavoretto». «Sono bravo io, trovo lavoro subito». Intanto il
suo nome è stato pronunciato al microfono dall’assessore De Nicola durante il
taglio del nastro della nuova tratta metropolitana. E non capita spesso che un
politico ringrazi pubblicamente un rom al microfono.
«Ho voluto citare anche Vintila tra le persone da ringraziare - spiega De Nicola
- perché ha lavorato bene e da quando c’è lui i furti sono davvero calati. È
stato bravo e serio».
E ora che il suo compito è finito, cosa farà Vintila? L’elemosina? «No, per
carità, si fa più fatica a fare quello che a lavorare» scherza lui. «Magari mi
trasferirò a Genova, o a Napoli o forse resterò qui, dipende da dove troverò un
lavoretto». Quel che è certo è che Vintila e la sua famiglia si sentono ormai
italianissimi. «Voglio prendere la pensione in Italia - dice lui con voce ferma
- e non ho accettato i 15mila euro che il Comune di Milano dà ai nomadi che se
ne tornano a casa. Sono regolare e lavoro».
Non solo. Vintila, da capo rom che sa il fatto suo, cerca di convertire la sua
comunità a una vita più onesta e integrata. Ha imposto a sua figlia di smetterla
di stare ai semafori a chiedere l’elemosina e ora lei lavora in un bar. E ha più
volte detto agli zingari del suo campo: «Comportatevi bene, provateci». Lui lo
ha fatto e questo gli ha portato pure un contratto in regola.
Il Fondo Educazione Rom REF ha annunciato che il suo nuovo sito web è pronto
ed in funzione. Il sito è stato ridisegnato e ristrutturato per essere più
intuitivo. Uno degli obiettivi di REF è di fare informazione sull'istruzione
rom, che sia facilmente accessibile e disponibile
Le case di questo importante campo rifugiati a Podgorica di Rom fuggiti
dal Kosovo, sono state definite da The Guardian come "una cima di spazzatura
puzzolente". Eppure i giovani ambiziosi che vivono là sono futuri maestri di
hip-hop e padroni del loro destino
By Emmanuel Haddad
15/02/11 - Siamo in Bratstva i jedinstva 4, un edificio fatiscente situato
in un grande viale in Montenegro. La porta si apre e Dijana Uljarevic,
incaricata dei programmi del
Forum MNE (forum sull'educazione informale giovanile), ci accoglie in un
ufficio un po' disordinato, un mix di giochi per bambini, computer e poster di
concerti.
Queste case spesso vanno in fiamme
Konik è il più grande campo profughi nei Balcani, di cui pochi
conoscono l'esistenza, secondo un
articolo del 2009 di The Guardian. Lì vivono oltre 2.000 Rom in
baracche di fortuna costruite con scarti di legno, latta ed altri materiali.
Queste case spesso vanno in fiamme e, nei giorni di neve come oggi, al freddo e
a perdite dai soffitti. Basta andare in case che sono cumuli di spazzatura
puzzolente per i rifugiati del Kosovo dimenticati in un angolo, come
suggerito dal titolo del giornale britannico. Enorme, specialmente dopo che la
simpatia per i Rom è considerevolmente aumentata in Francia, a seguito della
politica governativa di espulsione di massa dei Rom dai campi.
"Insegno loro a non vergognarsi"
Pavle Calasan | Il più grande centro commerciale con le foto di Konik
Speriamo di scattare fotografie nello stile di quelle del giovane fotografo
montenegrino Pavle Casalan, che vengono esposte in un centro commerciale
in città. Poco prima della nostra partenza arriva Osman Mustafaj. E'
normale che gli ex partecipanti del progetto si fermino. "Non siamo spesso
consapevoli dei progressi raggiunti da un progetto che opera con la gioventù,"
nota Dijana. "Spesso è quando tornano e ci dicono di aver trovato un lavoro che
capiamo quanto ha operato".
Osman è un ragazzo di bell'aspetto, con un sorriso raggiante. Trent'anni, è
arrivato dal Kosovo che ne aveva dodici, e non si è mai guardato
indietro. La sua casa è qui. Le sue radici in MNE sono così forti che ne è
diventato un membro attivo e sta pensando di fondare una propria OnG,
"Coinvolgere la gioventù rom, ascali ed egizia nei Balcani" (UM RAE, Ukljuciti mlade Romi Aškalije Egipćani).
Vuole far crescere la consapevolezza ed ascoltando Dijana, capisci da dove l'ha
presa. "La cosa più importante è il dialogo" dice la giovane mente di MNE. "La
comunità internazionale, che sovvenziona la maggior parte delle nostre attività
- il governo montenegrino essendo per lo più assente - fornisce cibo ed altri
beni, ma questo da solo non è sufficiente a sviluppare la capacità dei giovani.
Ecco perché siamo qui. Per aiutare a tratteggiare le capacità degli individui,
le loro capacità comunicative, i talenti e così via." Questo si realizza
attraverso attività, ed è qui che intervengono Osman e altri educatori.
Vividamente racconta il primo set di karaoke da lui organizzato nel campo
rifugiati, la prima partita di calcio o quando i bambini sono scesi in centro
città per mostrare la loro abilità nella breakdance. "Insegno loro a non
vergognarsi di ciò che sono," sorride. "Alla loro età, ho sofferto la
discriminazione..."
Hip-hop o piccola criminalità
E' difficile tracciare semplicemente un ritratto delle vittime o lamentare lo
stato dei dintorni, anche se ci sono tutti gli ingredienti. "Nel 2003, il
61,3% della popolazione rom non aveva istruzione; il 21,3% non aveva
terminato la scuola primaria. Solo il 9,2% l'ha terminata e ci sono solo
sei Rom iscritti all'università tra il 2004 e il 2005, di cui quattro
hanno abbandonato," osservano Sofia Söderlund e Elin Wärnelid in uno studio del
2009 intitolato
Hip-hop and the construction of group
identity in a stigmatised area.
Barčić Record ed altri artisti di Konik | storie di successo
del Forum MNE
Osman è ottimista, ad esempio sul laboratorio di responsabilizzazione
sull'Aids. "Per molti partecipanti è la prima volta che sentono queste
informazioni." Nella soddisfazione che segue il suo discorso "molti vanno a
fare i test, perché la popolazione rom è la più pesantemente colpita dal virus."
Il potenziale dei giovani che prendono parte alle attività del Forum MNE, ispira
non solo rispetto ma anche ammirazione. Sulle pareti dell'ufficio sono appesi
articoli di giornali dedicato ai Barčić Record, uno dei gruppi
di hip-hop emersi da Konik. Tuttavia, nel loro studio sull'impatto positivo
dell'hip-hop nella creazione dell'identità rom di Konik, Sofia Söderlund e Elin Wärnelid
hanno raccolto storie esemplari sulla povertà nei campi uno e due, dove le
famiglie dei rifugiati vivono una sull'altra, tra crimine, prostituzione e
problemi di droga. Le origini dei problemi spesso nascono dalla stessa fonte,
cioè la mancanza di istruzione. Con i dati del 2007 che mostravano un
tasso di disoccupazione dell'82% tra i Rom in Montenegro, l'istruzione
era diventata secondaria.
Barčić
Record, Boys in Da Hood e co | Come l'attenzione agli emarginati ha prevalso
Laggiù, la gente "normale"
I giovani rapper le cui voci si sentono nello studio menzionano il confine
tra "loro" e la gente "normale"; tra il centro città e "noi". Qualcuno è
risentito soprattutto perché sono cresciuti in Germania, prima di essere
deportati qui nella periferia. "Non fanno entrare i Rom," ricorda Dijana di
quando andò in un pub con giovani Rom e non-Rom. "Poi si sono scusati." E' un
inizio.
Giorno di neve a Podgorica | Giovani nel campo Konik uno
Mi dirigo verso il campo Konik uno, dove ho appuntamento con Osman. La donna
che ci accompagna in macchina non sa come arrivarci. Si ferma a chiedere:
nessuno lo sa. I bambini stanno giocando nella neve in sandali e si finisce a
bere un caffè nel suo ufficio. E' accanto al campo, ma lei non c'era mai
passata.
Di Fabrizio (del 24/02/2011 @ 10:31:34, in scuola, visitato 2089 volte)
25 febbraio, ore 20.15
Auditorium Quintino di Vona -
via Sacchini 34, 20131 Milano
Un'occasione per conoscere da dove nascono e come trovano forza nei secoli
pregiudizi e persecuzioni della comunità Rom e Sinti
Dijana Pavlovic - attrice di origine Rom
scene da Rom Cabaret accompagnate al violino da George Moldoveanu
Paolo Finzi - giornalista, storico Porrajmos: la Shoa zingara
Seminateci bene
documentario di E. Cucca, S. Fasullo, R. Midili e F. Picchi (menzione speciale al film festival del documentario solidale "L'anello debole") L'integrazione passa attraverso la scuola: lo mostrano tre scuole del
quartiere di Lambrate (via Feltre, via Cima, via Pini)
Anna, Flaviana, Francesca, Garofiza le mamme e maestre di Rubattino Storie di bambini Rom a scuola
Stefano Pasta - Comunità di Sant'Egidio Integrazione o segregazione?
Rapporti tra Rom e comunità cittadina
Una serata aperta a tutti, genitori, ragazzi e insegnanti
per conoscere, per capire e per non voltare lo sguardo
Documenti inediti tracciano nuovamente la storia delle deportazioni razziali
commesse nel Nord Pas-de-Calais durante l'occupazione. Un lavoro di ricerche su
iniziativa di amici della fondazione per la memoria della deportazione e del
museo della resistenza di Bondues.
La più giovane aveva quattro settimane, il più anziano 81 anni. Arrestati nella
regione, sono stati imbarcati a bordo del convoglio Z, partiti dal campo di
transito belga di Malines, direzione senza ritorno: Auschwitz, Pologna. Era il
15 gennaio 1944. A bordo di questo treno, 351 persone, di cui quasi la metà
bambini, ebrei ma anche tzigani. "Siamo l'unica regione di Francia nella quale
ci sono state deportazioni di tzigani. Un triste privilegio..." constata Odile
Louage, presidente degli Amici della Fondazione per la Memoria della
Deportazione, e ugualmente presidente dell'associazione Ricordo della Resistenza
e dei Fucilati del Forte di Bondues, la quale percorre nuovamente la storia di
queste famiglie schiacciate dal sistema nazi.
47
TZIGANI ARRESTATI A ROUBAIX Altrove, le famiglie tzigani sono rimaste nei campi installati sul territorio
francese.
Perché il Nord Pas-de-Calais andò oltre nell'orrore? "Non lo sappiamo ancora"
riconosce Monique Hennebaut, uno storico che si è chinata prima sulla storia
della deportazione degli ebrei nel Douaisis prima di scoprire che gli zigani
della zona erano stati assassinati nei campi della morte. Colpa
dell'affiliazione del Nord Pas-de-Calais al commando tedesco? Può darsi.
Erano cestai, giostrai, stagionali, artisti del circo, musicisti... "La maggior
parte parzialmente sedentarizzati" precisa Monique Heddebaut "e avevano quasi
tutti lo stesso itinerario". Ha trovato la traccia di 47 zigani arrestati a
Roubaix. Vivevano in via Edouard d'Anseele, via Pierre de Roubaix. C'era stata
anche la famiglia Lagrenée (leggere pag. 3), arrestata a Pont-de-la-Deule nel
Douaisis. Quindici deportati, solo tre sopravvissuti. Poi questa famiglia di
Poix-du-Nord, giostrai ancora. "Un giorno, dopo una conferenza che avevo data
sulla deportazione degli zigani della zona, un signore è venuto a vedermi,
ricorda Monique Heddebaut. Era di Poix-du-Nord. Mi ha raccontato il ricordo di
una roulotte che era rimasta sul ciglio della strada durante anni. Dopo la
guerra, pensava che i suoi proprietari sarebbero venuti a riprenderla. Aveva
finalmente capito perché era rimasta lì..."
UN SOLO MONUMENTO COMMEMORATIVO PER GLI ZIGANI DELLA ZONA La deportazione degli tzigani della zona resta una macchia nera della nostra
storia. E' sempre mal conosciuta e i lavori degli storici che hanno lavorato per
l'esposizione virtuale presentata dal museo della resistenza di Bondues, colmano
questa lacuna. E' rivelatore che, nella zona, un solo monumento commemorativo
sia stato eretto per ricordarsi di questi zigani, allorché "ci sono 27 o 28
monumenti o targhe in memoria di ebrei o giusti" cifra Odile Louage. Niente a
Roubaix per 57 persone arrestate. Possiamo meravigliarci.
A Malines, questo campo di raggruppamento in Belgio, tramite il quale sono
transitati la maggior parte degli ebrei deportati, i sopravvissuti hanno fatto
installare una targa per gli tzigani, loro fratelli di dolore e di sfortuna.
"Nella zona, abbiamo aiutato e nascosto dei bambini ebrei" ricorda Odile Louage,
tra l'altro assistente di storia che ha insegnato fino ad andare in pensione in
classi preparatorie al liceo Faid'herbe di Lille "ma non abbiamo fatto nulla per
i bambini tzigani". La fondazione per la memoria della deportazione non fa
nessuna esclusiva, nessuna distinzione nell'orrore: ebrei, partigiani, tzigani,
omosessuali, hanno in comune la loro sorte.
UN GIORNO E' TROPPO TARDI Di queste scomparse, Monique Heddebaut parla con commozione. Ha ritrovato tracce
dei decreti di 1940, i quali vietavano ai nomadi di circolare. "Poi ci fu
un'escalation". L'estate scorsa, quando i rom si trovarono tra i fuochi della
comunicazione governativa, Monique Heddebaut ha risentito un profondo malessere.
"Siamo nel 2010 non nel 1940, ma attenzione, ci sono alcuni atteggiamenti che
non si possono tollerare."
Cita quest'altro storico che ha lavorato su le popolazioni rom di Ungheria,
Romania, Repubblica Ceca, la quale ha sentito dire là, inorridita: "bisognerebbe
gasarli"...
Monique Heddebaut dice ancora: "Il problema è l'escalation. Un giorno, è troppo
tardi."
Antoine Lagrenée, è un bambino rom arrestato e deportato qui.
Aveva 14 anni. Come altre 14 persone della sua famiglia, Antoine Lagrenée è
stato deportato perché tzigane. Arrestati dai tedeschi con l'aiuto della polizia
francese, solo tre di loro ritornarono dai campi nel 1945.
E' oggi un signore di 80 anni, con l'udito un po' difettoso, e dallo sguardo che
sfugge talvolta nel vago. Nel gennaio 1944 Antoine Lagrenée ha quasi 14 anni.
Vive a Pont-de-la-Deule vicino a Douai, dove la sua famiglia è arrivata dopo una
lunga epopea. Una vita di viaggiatori come quella di tanti altri. Lo storico
Monique Heddebaut non ha trovato tracce scritte di questi arresti. E' giusto
riuscita ha tirare fuori dagli archivi delle schede d'arresto, redatte a
posteriori. Sa che questi arresti sono stati compiuti dall'occupante tedesco con
"l'aiuto della polizia francese, la quale in zona rendeva sicuri i luoghi mentre
i tedeschi intervenivano per gli arresti."
Antoine Lagrenée ha una memoria discreta, il verbo scarso. Parla con poche
parole della sua liberazione, "l'11 aprile 1945". Dopo essere transitato nel
campo di Malines in Belgio e Auschwitz (il convoglio vi arrivò il 17 gennaio
1944) è inviato a Buchenwald. Antoine Lagrenée viveva nel blocco 31 di questo
campo di lavoro, vicino a Weimar in Germania. "Abbiamo avuto la fortuna di stare
in un blocco molto organizzato dai partigiani francesi" ricorda. Monique
Heddebaut che conosce bene Antoine, racconta anche "che un maestro che si
trovava nello stesso blocco, faceva lezione ai bambini."
Antoine Lagrenée è sopravvissuto, malgrado la sua giovane età, nell'inferno di
Buchenwald. "Siamo stati liberati dagli americani, ma prima ancora dai deportati
stessi" precisa. Secondo le valutazioni di Monique Heddebaut, 148 tzigani sono
stati deportati dal Nord Pas-de-Calais. Ne ha contati 351 arrestati in Belgio,
anche loro inviati verso i campi della Polonia e della Germania. Ma confessa di
non essere certa che non ce ne siano altri. Il lavoro degli storici non è ancora
concluso.
ESPOSIZIONE VIRTUALE A BONDUES E' lì dove 68 persone della zona sono state fucilate, tra 1943 e 1944 che il
museo della resistenza di Bondues ha installato delle postazioni, presentando
documenti inediti sulle deportazioni razziali dell'ultima guerra mondiale. La
maggior parte sono inediti. I documenti sono stati affidati dalle famiglie agli
storici, i quali hanno lavorato con il museo della resistenza di Bondues. Ci
sono anche fondi degli archivi propri del museo, documenti tratti da archivi
dipartimentali, da quelli della caserma Dossin, del museo ebraico di Malines.
Una raccolta consultabile su delle postazioni, le quali presentano documenti
numerati, i quali raccontano di queste persecuzioni razziali che hanno toccato
il Nord Pas-de-Calais durante la seconda guerra mondiale. Alle spalle, ci sono
due anni di ricerche per potere tracciare le "grandi fasi di quello che è
successo", spiega Danielle Delmaire storico, che ha insegnato all'università di
Lille III. "Dalle prime serie di divieti imposti agli ebrei a partire da
1940-1941, i grandi arresti di 1942, i convogli, i ritorni dai campi..." Vi
troviamo inoltre la foto di Micheline Teichler, scolara a Faid'herbe a Lille
della quale un compagno di scuola – Edgard Leser il quale ha avuto la fortuna di
essere un bambino nascosto -, ha voluto onorare la memoria. Con gli Amici della
Fondazione per la Deportazione, ha tenuto che il suo ricordo non sprofondi
nell'oblio. Il suo nome è stato dato a una classe del collegio Rabelais di
Mons-en-Baroeul. "Abbiamo l'intenzione di proseguire con questo lavoro,
organizzando una giornata di studi sulla spoliazione dei beni di ebrei e
tzigani, il prossimo 12 ottobre, al museo della resistenza di Bondues" precisa
Odile Louage, la quale ha presa la presidenza del museo e vuole perfino prendere
in considerazione una pubblicazione al riguardo. Un lavoro che risponde
esattamente agli obiettivi della Fondazione per la Memoria della Deportazione:
la ricerca storica, la trasmissione e la difesa di questa memoria. Odile Louage
aggiunge che: "intorno alla Fondazione si è realizzata l'unione di tutti i
componenti del mondo della deportazione. Tutte queste strutture, con ognuna la
propria sensibilità, lavorano alla trasmissione di valori tali come sono stati
definiti all'indomani della guerra, nella Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo."
Di Fabrizio (del 24/02/2011 @ 09:36:24, in Italia, visitato 1636 volte)
RepubblicaIl Comune ha trasferito i rom un anno fa, ma rimane il degrado
- di CECILIA GENTILE
Degrado e rifiuti dopo lo sgombero del campo nomadi
Sedie di plastica, materassi, scarpe, rami secchi, bottiglie, cibo per gatti. Un
water, tante carrozzine, tavolacci, schermi di vecchi computer, calcinacci,
carcasse di auto. C'è di tutto nelle montagne di rifiuti davanti all'ingresso di
quello che fino ad un anno fa era il Casilino 900, il campo rom più grande
d'Europa.
Il sindaco Gianni Alemanno celebrò lo sgombero del febbraio 2010 come l'inizio
di una nuova era. La rimozione di quella indecente baraccopoli avrebbe
consentito la realizzazione del parco di Centocelle ed inaugurato la progressiva
scomparsa degli insediamenti abusivi. "Vogliamo che entro quest'anno non
esistano più campi nomadi abusivi e tollerati e tra qualche anno neanche gli
altri", diceva Alemanno durante il lavoro delle ruspe. E ancora prima, quando
nel giugno 2009 il Comune installò gli allacci della luce nell'insediamento, il
sindaco dichiarava: "I lavori portati a termine a Casilino 900 resteranno a
disposizione dei cittadini che, una volta completata la chiusura del campo
prevista per fine anno, avranno un parco pubblico attrezzato dotato di
illuminazione".
Ma un anno dopo, il parco di Centocelle non esiste e i 700 rom sgomberati dal
Casilino 900 vivono appiccicati ai nomadi dei villaggi attrezzati esistenti,
contendendosi spazi e servizi in condizioni di estremo degrado. Nella gigantesca
area un tempo occupata dalle case di fortuna di bosniaci, montenegrini e serbi,
adesso ci sono un'altissima foresta di erba secca, siringhe vecchie e nuove
sparpagliate tra campi e sentieri, cumuli di rifiuti. Un altro monumento al
degrado e all'abbandono, che rischia di essere rioccupato da un momento
all'altro dai nomadi sgomberati e furiosi. Qualcuno che ci vive dentro c'è già.
Ad appena pochi passi dall'ingresso principale malamente chiuso con un muretto
basso di cemento e una cancellata arrugginita che è stata forzata, c'è una
costruzione in mattoni con un'entrata ad arco, dove sono accumulati materassi e
coperte. Tutt'intorno, i resti evidenti di toilette improvvisate.
"Ormai abbiamo capito che sindaco e giunta non hanno alcun interesse a
realizzare il parco di Centocelle - dichiara il presidente del VII municipio
Roberto Mastrantonio - Il 19 dicembre 2010 una delibera del consiglio comunale
ha rimodulato i fondi per Roma Capitale definanziando il secondo stralcio di 18
ettari del parco, per il quale erano stati stanziati quattro milioni e 200 mila
euro. Una gran parte di quei fondi, pari a tre milioni, sono stati utilizzati
per realizzare la Prenestina bis, che era una promessa elettorale di Alemanno".
Il parco archeologico di Centocelle venne deciso dalla prima giunta Rutelli nel
1993. Il consiglio comunale ne ha adottato il piano particolareggiato con le
controdeduzioni il 31 gennaio 2005. La regione Lazio lo ha approvato il 20
ottobre 2006. Ma fino ad ora, dei complessivi 110 ettari, ne sono stati aperti
al pubblico soltanto 33, all'epoca del sindaco Veltroni. "Il secondo stralcio
definanziato - racconta il presidente Mastrantonio - interessa la cosiddetta
area del "Canalone", dove un tempo c'era l'insediamento del Casilino 700, anche
quello sgomberato, e prevedeva anche un'area servizi con un teatro, piste di
pattinaggio e un gazebo per la guardiania. Ma adesso siamo di nuovo all'anno
zero".
Di Fabrizio (del 23/02/2011 @ 09:39:24, in Italia, visitato 1795 volte)
Leggere anche
QUI (17 ottobre 2010),
QUI (27 gennaio 2011) e
QUI (6 febbraio 2011)
Oggetto:incontro comitato intersettoriale venerdì 18 febbraio pv.
Egregio Sig. Sindaco,
in riferimento all'invito pervenutoci telefonicamente per il tramite
dell'assistente sociale in servizio presso l'istituzione dei Servizi Sociali del
Comune di Lecce, Le comunico che non presenzieremo all'incontro.
La proposta di contributo comunale dell'ammontare di Euro 500 non ci permette di
risolvere il problema abitativo in quanto non è una cifra sufficiente ad
acquistare delle roulotte ignifughe a norma di legge.
Questa cifra è stata sufficiente in passato perché coloro che hanno occupato i
16 prefabbricati hanno venduto per 500 euro al comune alcune roulotte ancora in
buone condizioni.
Consci che il comitato intersettoriale non ha poteri decisionali all'interno
dell'amministrazione comunale ma che si tratta di un organismo puramente
consultivo e di razionalizzazione dell'agire amministrativo, rimaniamo in attesa
di essere ricevuti in delegazione dalla S.V. ed insieme ad una rappresentanza di
associazioni che in questi anni hanno seguito le vicende del campo rom panareo.
Sono trascorsi più di quindici anni dal nostro arrivo nella città. Non siamo
nomadi, non lo siamo mai stati. Non possiamo ritornare a vivere nelle roulotte e
nel degrado nel quale il campo si trova.
Stante la disponibilità di altri enti e di associazioni di sostegno ad
individuare delle strategie di superamento della condizione di estrema
emarginazione sociale ed urbana nella quale viviamo, chiediamo di poter essere
ascoltati e di poter trovare insieme una speranza di soluzione.
Siamo consci che le diverse problematiche non sono risolvibili nell'immediato,
siamo consci altresì che il Comune di Lecce non può farlo da solo, perciò
chiediamo di allargare a quei soggetti che si sono resi disponibili.
Tamponare oggi un'emergenza più che annunciata, non risolve i problemi sanitari
e abitativi del campo e soprattutto quanto durerà?
Altri quindici anni?
Non possiamo non dare un futuro più dignitoso ai nostri figli, nati e cresciuti
qui a Lecce.
Segnaliamo, infine, che l'aria del campo è fortemente malsana, irrespirabile a
causa del continuo fluire delle fogne e della mancata raccolta della spazzatura.
Constatiamo con dispiacere che di fronte ai diversi problemi strutturali e
sociali che presenta il campo, più volte da noi denunciati in tutti questi anni,
non ci si è attrezzati politicamente per ricercare soluzioni capaci di garantire
un'effettiva inclusione sociale. Le Istituzioni si sono mosse solo sulla scia
delle infinite emergenze che la stessa situazione di vita in un campo
ripropone sistematicamente. Questo modo di operare si è rivelato, di fatto,
infruttuoso, visto che l'unico
risultato è stato quello di spostare le "risoluzioni" a qualche anno più avanti,
senza di fatto mai iniziare alcun processo di emancipazione.
Per questi motivi rimaniamo in attesa di un cortese confronto con la S.V. per
avviare un dialogo, che ci auguriamo sia costruttivo e proficuo, capace di
affrontare con una prospettiva politica di medio e lungo termine la questione
dell'inclusione sociale. Auspichiamo che esista la volontà politica di avviare
un percorso concertato in grado di superare definitivamente l'approccio
emergenziale con cui sino ad oggi ci si è mossi rispetto al campo.
Ai fini, inoltre, dell'incontro previsto venerdi p.v., ci scusiamo e chiediamo
cortesemente di voler far mettere a verbale la presente lettera.
In attesa di cortese riscontro, porgiamo cordiali saluti.
Lecce, 17.02.2011.
Benfik Toska
(Rappresentante Campo Sosta Panareo - Lecce)
Tel. 328.9447057
Al Sindaco del Comune di Lecce Paolo PERRONE
Al Direttore dell'Istituzione per i servizi Sociali del Comune di Lecce Antonio CARPENTIERI
Ai Componenti Commissione Intersettoriale dell'Amministrazione Comunale di
Gestione dell'Area Sosta Attrezzata per Comunità Rom
Dirigente del Settore Servizi Sociali, Dirigente del Settore Educazione,
Formazione e Lavoro,Dirigente del Settore Lavori Pubblici, Dirigente del Settore
Igiene, Dirigente del Settore Randagismo, Dirigente del Settore Urbanistica,
Dirigente del Settore Polizia Municipale, Equipe socio-assistenziale referente
dell'area di sosta
Componenti la V^ Commissione
Sevizi sociali, pari opportunità, emarginazione ed emigrazione, politiche della
casa, problematiche giovanili, associazioni, problematiche del lavoro, emergenza
abitativa. Roberto MARTELLA, Corrado DE RINALDIS, Carlo BENINCASA, Marcello CANNONE,
Antonio LAMOSA, Massimo LANZILAO, Francesca MARIANO, Antonio PELLEGRINO, Stefano
PORCARI, Paola POVERO
Di Fabrizio (del 22/02/2011 @ 09:56:38, in Italia, visitato 1586 volte)
Dei rom e dei sinti (non chiamiamoli zingari) abbiamo da sempre due opinioni,
entrambe sbagliate: tutti straccioni, oppure intrisi di colore romantico.
Pensate al rossiniano "stuol di zingarelle" del Turco in Italia. Un
compiacimento che affiora ancora di tanto in tanto. Prevale, però, la visione
degli zingari "brutti, sporchi e cattivi" che a Pino Petruzzelli, attore e
regista, direttore del centro teatro Ipotesi di Genova, non piace. Petruzzelli
ha così deciso, diversi anni fa, di mettersi sulla strada dei rom per capirli.
Per anni ha visitato i loro campi, ha stretto loro la mano, e ne ha raccolto le
storie. Tutto è finito in Non chiamarmi zingaro, edito da Chiarelettere
(pagine 228, euro 12,60), che è il taccuino vivido e appassionato di questo
singolare viaggio.
Cosa l'ha spinto a questo nomadismo culturale? "Mi sembrava interessante capire come mai di questo popolo si conosca soltanto
una sfaccettatura negativa: i furti, il nomadismo... Ho voluto comprendere
cosa c'è dietro, partendo da una frase di Eduardo De Filippo. Diceva: 'Un uomo
vivo non ruba per morire, ma ruba per vivere'. Me ne sono occupato per circa
cinque anni, girando l'Italia e l'Europa, per conoscere questo mondo così
sconosciuto. In libreria c'era e c'è ancora poco, se non qualcosa per gli
addetti ai lavori. E girando ho scoperto tante cose".
Chi sono, allora, gli zingari? "Un popolo né migliore né peggiore di tutti gli altri popoli che colorano questo
nostro mondo. Hanno problemi con cui devono confrontarsi quotidianamente.
Vivere in un campo, per i sinti o per i rom italiani, non è semplice. Non è un
campeggio, vivere venti anni in situazioni così estreme è drammatico. In
Italia c'è il grande equivoco che i rom siano nomadi geneticamente, e infatti
siamo l'unica nazione al mondo che ha messo in piedi i campi nomadi. In tutto il
resto del mondo vivono in appartamenti, e solo se sono estremamente poveri
finiscono in una baracca, come finiscono così anche i non rom poveri delle
periferie delle grandi metropoli. Forse anche in buona fede si è pensato così.
Negli anni '70 si diceva: sono nomadi, quindi, facciamo un campo per loro... ".
È la condizione di disagio in cui vivono che crea la diversità... "Sicuramente. I rom hanno una storia molto simile a quella del popolo ebraico,
ma nessuno si sognerebbe di dire che un ebreo è un nomade. Invece, nel caso
degli zingari, una storia di continue persecuzioni ha creato il nomadismo, a
iniziare dal Cinquecento quando – mi riferisco alla Serenissima – si poteva
uccidere uno zingaro senza scontare alcuna pena".
I rom entrano nella storia, ma quella degli altri. Sembra un popolo senza
storia: non ha avuto la possibilità di scriverla? "Hanno una storia tramandata in maniera orale. La nostra è una cultura che ha
scritto, così sappiamo soltanto quello che noi abbiamo scritto di loro. Oggi
sarebbe importante conoscere meglio questa loro storia e la loro cultura per
provare a vivere insieme nel rispetto di regole reciproche. Su questo dovremmo
lavorare tutti, e naturalmente anche i rom".
Lei non è zingaro. Usando una loro espressione è un gagé. Non crede che la
parola sia discriminante almeno quanto la parola zingaro? C'è anche da parte
loro una forma di discriminazione?
"Gagé è l'equivalente del nostro zingaro. Effettivamente racchiude tutto ciò
che non va bene, in un'accezione abbastanza negativa".
Da dove nasce il solco tra noi e loro, o, se preferisce, tra loro e noi gagé? "Le radici sono nel Cinquecento. Il fatto che si spostassero ha creato grossi
problemi. La nostra società invece si fa sedentaria, sicché loro, con i
continui spostamenti, rappresentano un problema. Le persecuzioni iniziano
proprio in questo periodo. Vivono in un continuo terrore verso il mondo gagé.
Nutrono la stessa paura nei nostri confronti. E hanno anche buone ragioni per
temerci. Guardando indietro nella storia, gliene abbiamo fatte di tutti i
colori: da ultimo i campi di sterminio nazisti in cui sono morti a migliaia".
Prenda De André: "Con le vene celesti dei polsi anche oggi si va a caritare".
È il verso di una sua bella canzone. Non crede però che continui ad offrire
un'immagine romantica del mondo rom? Caritare rientra nella cultura?
"No, certo, ma caritare è ben diverso da rubare. Anche il furto va capito. Chi
pensa che sia facile per un giovane rom trovare un lavoro anche da cameriere in
un bar sbaglia. Diventa difficile venir fuori da una situazione complicata, come
un campo rom. Ciò non giustifica il furto, è solo un voler capire cosa c'è
dietro".
Lei, nel suo nomadismo culturale, ha incontrato tanta gente che si è integrata.
Come è possibile l'integrazione? "In Italia ci sono tantissimi rom e sinti che ci sono riusciti, nascondendo
però la loro origine, per non essere discriminati. L'integrazione comincia con
i bambini, e nelle scuole i bambini rom e gagé giocano tra loro. Scuola però non
significa entrare in un campo e imporla. Va capito un meccanismo: agli occhi di
una società in cui il padre rappresenta la massima autorità, l'imposizione
della scuola va a minare questo suo prestigio. Un approccio sbagliato ha
soltanto un risultato: quel bambino non dovrà andare a scuola. Non si può da
elefanti entrare in una vetreria. In molti, comunque, frequentano la nostra
scuola. In tanti la lasceranno dopo le medie, ma questo avviene anche tra i
ragazzi... gagé".
Lei, da autore di teatro, ha preso qualcosa dai rom? "Il mio lavoro è nomade: stare qui e domani là, oppure prendere da questo o da
quell'autore. Ho imparato che il bello di tutti i lavori sta nel farli.
Nell'arte conta più la persona, l'autore dell'opera, che il risultato finale.
Questo a me piace: è un rispetto dell'essere umano, perché non tutti i
musicisti e i commediografi diventeranno Mozart o Shakespeare. Però hanno
vissuto come se lo fossero. Gli zingari la pensano così".
Di Fabrizio (del 22/02/2011 @ 09:42:35, in Italia, visitato 1994 volte)
Buongiorno,
Le invio un comunicato del "Gruppo di confronto e ricerca sulle politiche locali
per i gruppi zigani in Europa" nato all'Università di Milano Bicocca in risposta
a quanto affermato dal Ministro degli Interni Roberto Maroni alla puntata del
13/02/2011 del programma "Che tempo che fa" .
Cordialmente,
Alice Sophie Sarcinelli
Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris
Nella puntata di "Che tempo fa?" del 13/02/2010, il Ministro degli
Interni Roberto Maroni ha affermato di aver firmato il piano sviluppato dal
Comune di Milano secondo il quale "lo sgombero c'è quando c'è una soluzione
alternativa". Egli si è detto "garante della buona attuazione di questo piano".
Come ricercatori sul campo, siamo a diretta conoscenza della concreta situazione
relativa agli sgomberi delle baraccopoli costruite a Milano dai rom immigrati
dall'Europa sud-orientale. Quanto è stato affermato dal Ministro degli Interni
Roberto Maroni non trova alcun riscontro di realtà. Al contrario, nella maggior
parte dei casi gli sgomberi, che sono ciclici e reiterati, avvengono in assenza
di alternative abitative e senza il rispetto dei diritti fondamentali. Esemplari
sono i ripetuti sgomberi delle famiglie che ruotano attorno al quartiere
Feltre/Lambrate. Il primo, in data 19/11/2009, prevedeva di separare gli uomini
da donne e bambini, e le madri dai figli maggiori di sette anni. Le famiglie
sono rimaste in strada, sotto la pioggia, mentre alcuni bambini e anche alcune
famiglie sono stati ospitati per qualche giorno da maestre e cittadini del
quartiere. Lo stesso campo (con le stesse famiglie) è stato sgomberato a inizio
settembre 2010, a pochi giorni dall'inizio delle scuole, che la maggior parte
dei minori che vi abitavano frequentano. Dopo molte negoziazioni, alle famiglie
rom è stata proposta una soluzione temporanea, che tuttavia prevedeva di
separare gli uomini da donne e bambini. Solo una percentuale inferiore al 20%
delle madri che avevano fatto esplicitamente richiesta scritta è stata ospitata
per un breve periodo in alcune strutture pubbliche o convenzionate di
accoglienza. Queste famiglie hanno passato gli ultimi due inverni a subire
sgomberi, vivendo in strada: alcuni bambini hanno subito 20 sgomberi in un anno.
Nella stragrande maggioranza dei 170 sgomberi effettuati nel corso del 2010
nessuna alternativa è stata offerta, e sul luogo non erano presenti i servizi
sociali. Lo sgombero dei rom è un trattamento differenziale nel duplice senso
che è rivolto a una popolazione in particolare, e che aumenta e produce le
differenze.
Riteniamo di estrema importanza reagire a quanto detto affinché il Ministro
degli Interni si faccia davvero garante della buona attuazione del piano da lui
firmato, garantendo il rispetto dei diritti fondamentali di tutte le persone.
A nome del Gruppo di confronto e ricerca sulle politiche locali per i gruppi
zigani in Europa
Laura Boschetti Institut d'Etudes Politiques de Grenoble
Raffaele Mantegazza, professore associato Università degli Studi di Milano
Bicocca
Chiara Manzoni, Università degli Studi di Milano Bicocca
Oana Marcu, Università Cattolica di Milano
Greta Persico,Università degli Studi di Milano Bicocca
Andrea Rampini, Codici Agenzia di Ricerche
Alice Sophie Sarcinelli, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales
Tommaso Vitale, Sciences Po
17/02/2011 - Un gruppo di 93 Macedoni sono tornati giovedì dalla Francia,
dopo che lì era stato negato loro l'asilo, lo riporta la stazione privata TV Alsat.
Il gruppo, Macedoni di origine albanese e rom, è stato rimandato
all'aeroporto della meridionale città di Ohrid, prima di essere riportato alle
loro case, recita il rapporto.
I richiedenti asilo, intervistati dalla TV, hanno detto di aver cercato
lavoro in Francia, la maggior parte illegalmente, prima di essere deportati dopo
che la loro richiesta di asilo si era dimostrata senza basi.
Il gruppo è stato il primo di questo genere ad essere ritornato dalla
Francia.
Settimana scorsa, un gruppo di 60 persone a cui era stato negato
l'asilo in Germania, ha cercato di attaccare e prendere a male parole un gruppo
di giornalisti che seguiva il loro arrivo all'aeroporto di Skopje.
Da quando l'Unione Europea ha abolito l'obbligo di visto per Serbia,
Macedonia e Montenegro nel dicembre 2009, alcuni stati membri UE, cioè Svezia,
Belgio e Germania hanno registrato un incremento di richiedenti asilo da questi
paesi, soprattutto di etnia rom e albanese.
La Commissione Esecutiva Europea ha ammonito Serbia e Macedonia che
potrebbero perdere i privilegi di circolazione senza visto, se non fermeranno
questo afflusso.
La Germania ha anche deportato 36 persone a dicembre, quando la UE ha esteso
gli stessi diritti ad Albania e Bosnia, ma con uno stretto sistema di
monitoraggio e la possibilità di sospendere i privilegi in caso di abuso.
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