Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 30/12/2013 @ 09:01:20, in blog, visitato 1662 volte)
(post sconsigliato a vegani & similia)
Dunque, un giornale che non lo è (il link lo metto solo se mi pagano - cash),
ha uno scoop da Udine, nota città finlandese: dei Rom si sarebbero rapiti una
renna e l'avrebbero mangiata, con corna e zoccoli. Dove? All'Auchan locale.
Peccato che Udine, oltre a essere cronicamente sprovvista di renne, manca anche
di Auchan.
L'unica cosa certa (anche in MAHALLA abbiamo i nostri scoop) è che a
Udine ci sono dei Rom, sono amici mia e hanno parenti a Milano. La renna gli ha
stuzzicato l'appetito, mi chiedono se nei dintorni non gli recuperiamo qualche
animale della fauna locale: canguri, elefanti, babbi natale, un paio di liocorni, si
accontentano di tutto.
Vi assicuro: è tutto vero! Credo che ogni tanto bisognerebbe
disintossicarsi da internet, magari con un rave a base di LSD e slivo
(saluti dalla renna)
Di Fabrizio (del 29/12/2013 @ 09:04:03, in lavoro, visitato 1956 volte)
Romedia Foundation - 27 dicembre 2013
Pinze dentali, foto © The Pitt Rivers Museum, Oxford. Per scoprire il
significato dell'immagine, continua a leggere...
Dato che l'immigrazione dei Rom nell'Europa Occidentale continua a causare
panico nei media, Damian Le Bas considera la storia dei traffici romanì e
l'incredibile varietà di lavori che l'Europa e l'Asia hanno af
fidato ai propri
"zingari". Sono scrittore e regista: scrivo e faccio film per
vivere, la scrittura e i film sono ciò che mi danno da mangiare. Cosa che
potrebbe non essere particolarmente sorprendente per qualcuno, per me lo è
ancora.
Da giovane ho provato ad immaginarmi come scrittore, ma era davvero difficile
da credere. Era una vaga aspirazione, non un'ambizione tangibile. E l'ambizione
più sensata che potessi avere non era comunque "un'ambizione": era fare quello
che facevano tutti gli altri, lavorare per mettere del cibo sulla tavola.
Da bambino, "quello che facevano gli altri" significava o la vendita di
fiori, o il lavoro nelle costruzioni o sui tetti. Queste erano le scelte
ragionevoli, ed anche quelli nella mia famiglia che avevano aspirazioni dovevano
seguire strade sensate. Mio madre e mio padre erano artisti, ma l'arte non
pagava le bollette. Tuttora continuano a vendere fiori per arrivare alla fine
del mese. Così pensavo che una volta cresciuto avrei venduto fiori o fatto il
carpentiere. C'erano altre opzioni che sembravano un poco più esotiche, ma
comunque ragionevoli: vendita di cavalli, riparare motori o compravendita di
rottami; ma l'idea di vendere parole scritte da me o di film girati da me, mi
suonava realistica come quella di aprire un negozio di fiori nello spazio
infinito.
Nella cultura romanì è forte l'idea che si debba fare "il proprio lavoro",
"lavoro da zingari" o "romani buki" o comunque si voglia chiamarlo. Perché non
dovrebbe essere così? Possiamo pensare a quanto sia comune in qualsiasi cultura
stabilire un "affare di famiglia", un mestiere per cui tu e la tua Vitsa
siete conosciuti e rispettati. Ma creare un negozio proprio in un lavoro che
valorizza i tuoi punti di forza, non è lo stesso dell'avere un ruolo nel mondo
del lavoro sulla base di ciò che gli altri si aspettano da te, o perché tu non
credi di poter fare qualcosa di differente.
Fuori dalla cultura romanì, l'idea dei "lavori da zingari" probabilmente è
ancora più forte. Allora, quali lavori bisogna fare? Presumo, che possano essere
classificati in diverse maniere. Ci sono lavori che sono lavori, e sono
utili alla società; lavori che sono lavori, e non sono utili alla
società, e lavori che non sono lavori - ma attività criminali. Così,
per esempio, nel primo gruppo abbiamo i lavori agricoli (nelle fattorie), nel
secondo gruppo la chiromanzia e nel terzo il furto. C'è un ipotetico prisma
paradigmatico tripartito generato esternamente nel vedere il lavoro romanì. O,
in inglese, un outsider's way of looking al lavoro romanì.
Perché simili punti di vista continuino a prevalere, quando chiaramente hanno
un effetto negativo sull'autopercezione dei Romanì stessi e del loro potenziale
(come succederebbe a chiunque), e chiaramente non riuscendo a descrivere la
varietà di lavori che svolgiamo e, anche, che abbiamo sempre svolto? Sì, avete
letto bene: che abbiamo sempre svolto.
Nel Pitt Rivers Museum della Oxford University, mia madre incrociò il paio di
forbici dentali mostrate nell'immagine iniziale. Il cartellino che è attaccato
recita:
"Forbici dentali realizzate da ZINGARI locali. In ferro, con un lungo e
sottile manico curvo: le due piccole pinze terminano con due denti su ogni lato.
Popolo: Zingari albanesi.
Località: Scutari, Albania.
Raccolto dalla signora ME Durham, 1911.
Acquisizione: tramite lei stessa, 1933"
Informazioni importanti, ma non così tanto come successivamente ha spiegato
il professor Thomas Acton. Il popolo romanì ("Zingari albanesi") che realizzò
quelle forbici non solo aveva fabbri di talento per realizzare strumenti medici,
ma facevano anche gli odontoiatri. Questo, almeno 80 anni fa, e questi "zingari"
erano dentisti.
Questo è solo un esempio della varietà che menzionavo sopra, ma almeno è un
esempio didattico. Non riesco a spiegare completamente perché questa scoperta mi
fece sorridere così tanto, ma in parte proverò a spiegarlo. Ho sorriso - come
quando lessi per la prima volta di
Helios Gomez, artista e pensatore politico che era anche gitano - perché mi fece
capire che, provenendo da una famiglia romanì e con una buona contezza del mio
patrimonio culturale, c'era ancora moltissimo che non conoscevo, che la maggior
parte di noi non conosce, di tutta la varietà di cose che il nostro popolo ha
fatto per sopravvivere. I libri di storia hanno la cura di sottolineare una
delle ragioni per cui i Rom nel mondo islamico facevano mestieri come il
dentista: in quanto gli altri li consideravano mestieri impuri, informazione per
me del tutto secondaria. La cosa principale è che l'intraprendenza e le capacità
di questi Rom li ha portati su questa strada, e questa storie di flessibilità, e
di abilità, non sono abbastanza valutate nel discorso attuale
sull'immigrazione romanì.
L'artista gitano e pensatore politico di sinistra, Helios Gomez
C'è un altro avvertimento da tutta questa discussione, che prospera sulla
presunzione di pigrizia e irresponsabilità dei Romanì. Nella maniera più
semplice: in un gran numero di angoli di solito nascosti dagli occhi selettivi
della storia ufficiale, l'Europa si è arricchita col secolare lavoro dei Romanì,
il problema è che non sono mai stati riconosciuti, retribuiti o rispettati come
esseri umani. Grandi aziende di successo (voi sapete quali) sono nate in questo
modo e continuano a prosperare su queste radici, ed il minimo che possiamo
chiedere è che questo sia reso palese e rispettato come parte della storia del
nostro continente.
"In ogni fatica c'è profitto, ma la mera parola porta solo alla povertà"
ci dice il libro biblico dei Proverbi. E' una bella citazione con un semplicità
audace, in cui potreste ritrovarvi pure voi. Io l'ho fatto. Poi ho pensato alla
realtà, ad una in particolare: la schiavitù. E' improbabile che l'autore (o il
compilatore) del libro dei Proverbi fosse uno schiavo: gli schiavi istruiti
erano pochi e si trovavano soprattutto in Medio Oriente. Comunque, è nella
fatica della schiavitù risiede il profitto, solo che al profitto non capita di
andare verso chi fatica duramente.
By Damian Le Bas
Di Fabrizio (del 28/12/2013 @ 09:04:55, in Italia, visitato 1914 volte)
Botta - Risposta e ritorno a Mahalla
Da
Città Ideale
Siamo nelle festività, il periodo meno adatto per discutere di un tema
sociale come quello della Comunità sinti a Buccinasco. Perché sono anni che
Buccinasco ha investito sulla integrazione della Comunità . Si sono impegnati
amministratori e società civile; l'associazione Apertamente ha quale attenzione
principale, se non unica, la Comunità sinti.
Succede proprio in questi giorni che la Comunità sinti (forse non tutti di Buccinasco ma anche di persone che hanno residenza nel nostro campo sinti) sono
oggetto di cronache preoccupate per vicende truffaldine ben organizzate (VEDI
il CorrieredellaSera). Secondo Repubblica tutti i sei componenti arrestati vivono
nel campo sinti di Buccinasco; tutti, dicono i giornali con precedenti penali.
Tutti arrestati; con reati diversi. L'attività agli inquirenti appare
organizzata e condotta da persone "esperte", per cui si teme una organizzazione
più ramificata, con anziani soli truffati e danneggiati o a rischio di esserlo.
Da qui l'invito a prestare attenzione, a non fidarsi di sconosciuti (e
sconosciute) incontrati per la strada che offrono aiuti diversi per introdursi
in casa.
Questa la vicenda che parla di 22 truffati ed un "bottino" di 300mila euro. Qui
a Buccinasco qualche precisazione diventa inevitabile. Il Corriere riporta nomi
e funzioni svolte fra cui una signora che non ha residenza al campo sinti e che
nel suo appartamento di Buccinasco curava la raccolta della refurtiva e il suo
smistamento, oltre a trattare cocaina in quantità non marginale, con le dosi
pagava anche i sinti. Sembrerebbe punto di riferimento di tutto il sistema
(quello scoperto).
La signora in questione, vedova di un confinato a Buccinasco dagli anni settanta.
Lui (dai famigliari con precedenti penali ripetuti), considerato componente
della malavita organizzata nel Sud Ovest Milano. Insomma, il quadro che sembra
delinearsi è quello che vede i sinti come "manovalanza esperta" che opera a
supporto di pezzi di malavita ben più organica.
Scenario che non può e non deve lasciare indifferenti a Buccinasco. Le forze
dell'ordine certo; ma è situazione sulla quale ci si deve interrogare nella
nostra Comunità: chi stiamo aiutando con elargizioni a vario titolo? Tutte le
persone coinvolte, scrivono i giornali, risultano disoccupate e senza alcun
reddito. Vivono forse di sostegni erogati con i danari della nostra Comunità?
Il processo di integrazione vive di un modello codificato e testato? (posto che
ci sia, a Buccinasco). E' evidente che si stanno denunciando buchi
preoccupanti. Che l'impegno delle amministrazioni succedutesi sembra essersi
limitato a una sorta di carità compassionevole, per il resto affidata
all'impegno volontaristico di qualche Cittadino: certo meritevole di
apprezzamento. Il tutto però drammaticamente insufficiente, visto quanto appare
da questa vicenda.
Sarebbe facile ora l'accusa alla amministrazione per la vicenda sugli abusi
all'Enel Sole e il suo rincorrere comportamenti non leciti e cercare di
tamponarli, sminuirli, quasi di nasconderli. Si dimostra come non mai
insufficiente la motivazione di non parlarne per non rinfocolare un rifiuto dal
sapore razzista. Tenere nascoste le magagne è sbagliato: occorre che si guardino
con la necessaria responsabilità, chiarezza e serietà. Amministrare comporta dar
conto delle decisioni e della loro utilità: la compassionevole carità è cosa
altra e diversa.
Il problema è reale e merita la massima attenzione della Comunità, a cominciare
dai nostri amministratori. Convinti che la soluzione non può essere
l'allontanamento ma anche che qualsiasi insediamento stabile (come è aspirazione
programmatica del mandato Maiorano), è fuori discussione: sarebbe un ghetto.
Centro di degrado sociale e malavita, che così si radicherebbe ancora di più.
Crediamo opportuno e indifferibile un approfondimento serio sul tema sinti.
Erogare a pioggia contributi diversi senza che questi siano legati a un percorso
preciso e deciso di normalizzazione e integrazione civica, è uno spreco.
Soprattutto dannoso per i destinatari; contributi così erogati consolidano
comportamenti devianti, estranei alla società civile.
In risposta all'ennesimo articolo di Saccavini su
"CITTA' IDEALE":
Buccinasco: i sinti, l'assistenza e un progetto di integrazione
Apertamente è una Associazione di volontariato,
formata da Sinti e non, da dieci anni opera per la realizzazione di un Progetto
di "Inclusione Sociale" della locale Comunità sinta residente a Buccinasco
dall'inizio degli anni '80. Intenzione dichiarata di tale Progetto è
innanzitutto contribuire al raggiungimento del soddisfacimento di bisogni
primari come: Salute, istruzione, casa, lavoro.
Nel rispetto delle comuni leggi nazionali ed internazionali ricordando che in
caso di inosservanza delle leggi penali e civili la responsabilità è sempre
individuale: a Buccinasco, al Q.re Terradeo, come ovunque.
Per il raggiungimento di questo obiettivi Apertamente si è dovuta negli anni
confrontare con due Amministrazioni locali (Carbonera, Cereda), con il nominato
Commissario Straordinario (Iacontini) e attualmente con l'Amministrazione
Maiorano. Con le Amministrazioni Provinciali: Colli, Penati ed ora Podestà, e
ben 4 Direttori del Parco Agricolo Sud Mi (Ceriani, Ghiringhelli, Cioffi e ora a
interim De Cataldo)
Ogni volta che uno di questi interlocutori cambia, si ricomincia da capo per
quanto riguarda i contatti per la presentazione, discussione realizzazione dei
nostri Progetti.
Dall'inizio della nostra esperienza di Associazione abbiamo cercato e trovato
collaborazione con quanto si muoveva nel sociale sul territorio del comune e
comuni limitrofi (Associazioni, Caritas Decanale, le Parrocchie, le Cooperative
Sociali). Abbiamo da circa cinque anni per operare con maggior efficacia come
Apertamente, preso contatto con altre associazioni aventi finalità simili alla
nostra (Caritas, Naga, Comunità di S.Egidio, Padri Somaschi, Casa della Carità,
Opera Nomadi, Amnesty International, Avvocati per niente, ecc.) raggruppate nel
Tavolo Rom e Sinti di Milano. Inoltre collaboriamo con dipartimenti
dell'Università Bicocca e di Pavia con le quali abbiamo partecipato
all'organizzazione di eventi sui temi riguardanti queste minoranze etniche.
Recentemente abbiamo promosso a Buccinasco un pubblico evento sul tema "Crisi
economica, lavoro che manca.. alcune proposte".
Pensiamo di fare cosa utile, portare a vostra conoscenza la riflessione
riportata qui sotto (il ritorno a
Mahalla, ndr.), che interamente
condividiamo. Essa ben descrive il contesto nel quale quotidianamente ci
troviamo ad operare.
Per Associazione Apertamente di Buccinasco
Ernesto Rossi, Augusto Luisi
Buccinasco 27.12.2013
Di Fabrizio (del 27/12/2013 @ 09:05:40, in Italia, visitato 2213 volte)
...o superare l'inconciliabilita' culturale?
di Rita Mazzeo, 22-12-2013 su
Pontediferro.org
La parola "campo" ha assunto, già da alcune decine di anni, accezioni
negative: campo di concentramento o di internamento, campo di lavoro forzato,
campo rifugiati, campo profughi, sono alcuni tra gli esempi che si possono fare,
insieme ai cosiddetti "campi nomadi". Tutte, in effetti, evocano il concetto di
ghettizzazione e, del resto, il termine stesso "ghetto" ha un'origine semitica,
risalente all'ebraico-caldeo (linguaggio utilizzato da rabbini ed ebrei dopo la
dispersione) e indica "separazione" o "siepe chiusa".
I campi nomadi, negli ultimi anni, sono stati denominati in vario modo
(campi autorizzati, campi sosta, villaggi attrezzati, campi tollerati, villaggi
della solidarietà, e così via), tuttavia i diversi modelli utilizzati dalle
istituzioni per accogliere e ospitare camminanti nelle nostre città, hanno
prodotto, in differente misura, segregazione spaziale e socio-culturale, di
quelle comunità.
Anche i campi autorizzati o attrezzati, infatti, sono collocati in genere
nelle periferie, spesso non collegati dal trasporto pubblico ai centri urbani,
vicini a discariche o a grandi assi viarie, per cui le persone che vi abitano
sono emarginate e rimangono del tutto estranee alla realtà della società
cittadina.
Molte organizzazioni internazionali e della società civile hanno presentato
rapporti di denuncia nei confronti di tale politica in Italia, e delle connesse
operazioni di sgombero (Commissione per i diritti umani del Consiglio d'Europa
nel 2009 e 2011, Associazione 21 luglio nel 2010, Osservatorio Internazionale
per i diritti umani nel 2011), promuovendo il sostegno all'inserimento
abitativo. In questo senso, alcune sperimentazioni alternative al campo sono
state fatte, a livello locale. Esempi di politiche abitative, rivolte a rom e
sinti poveri, sono a Venezia, Padova e Bologna, dimostrando quanto la dignità di
un alloggio sia prerequisito necessario all'integrazione.
Nelle grandi città italiane, il modello del campo (sorto negli anni '60 in
risposta a un'emergenza e poi diffusosi ampiamente negli anni '80) è ancora oggi
prevalente, anche perché permangono pregiudizi e stereotipi nei confronti di rom
e sinti, indistintamente, come il nomadismo e l'inconciliabilità culturale. In
realtà, oggi è stanziale l'80% dei rom e dei sinti europei, in Italia gran parte
di loro sono residenti da più di un secolo e almeno 80 mila hanno cittadinanza
italiana. Circa 12 milioni sono stimati i rom europei, di cui 140 mila nel
nostro Paese. Tra loro, successi professionali ed economici, occultando però la
propria origine per paura di discriminazioni, ma anche gruppi molto poveri e
altri, provenienti dalla ex Jugoslavia, dalla Bulgaria e dalla Romania, fuggiti
dalle guerre. Tutti sono per noi "zingari", sebbene rom e sinti siano gruppi
molto differenti e con una storia europea che dura da almeno 6 secoli. In
particolare, Rom è uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua
romanes/romani, originaria dell'India del Nord. Elementi costanti nella loro
storia sono la persecuzione, la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo
sterminio.
Al loro primo apparire in Europa, il nomadismo è stato considerato come una
maledizione di Dio, la pratica di certi mestieri (come forgiatori di metalli)
ricondotta per superstizione alla magia e le arti divinatorie alla stregoneria.
Perciò, tendenzialmente, le società moderne hanno cercato di liberarsene,
anche con l'eliminazione fisica e tutti i Paesi europei hanno adottato bandi di
espulsione, fino a giungere agli estremi del genocidio dei rom, insieme a quello
degli ebrei, durante il nazismo in Germania.
In Italia, gli ultimi trent'anni di pratiche assistenziali e servizi
esclusivi, sebbene tramite operatori motivati e competenti, hanno determinato un
ampliamento della distanza fra rom e resto della società.
Si potrebbe, invece, prendere spunto da alcuni Paesi europei dove la
questione rom è stata affrontata sulla base di un principio di garanzia
dell'uguaglianza. In Spagna, ad esempio, i gitani meno abbienti vivono in case
popolari come ogni altro cittadino svantaggiato. In Germania, una legge
riconosce i rom come "minoranza nazionale", a differenza dell'Italia che con la
legge 482 del 1999, escluse i rom e i sinti dalle 12 minoranze linguistiche
riconosciute, e quindi dalle tutele che ne derivavano.
Dopo il censimento del 2008, effettuato in Italia negli insediamenti di
nomadi, il Governo Maroni ha dichiarato lo stato di emergenza nelle Regioni di
Campania, Lombardia e Lazio (prorogato poi fino al 2011) ed esteso
successivamente al Veneto ed al Piemonte. I Prefetti di Roma, Milano e Napoli
sono stati nominati commissari delegati per la realizzazione degli interventi
necessari al superamento dello stato di emergenza nei propri territori
regionali, sono assistiti dalla forza pubblica e possono collaborare con altri
soggetti pubblici e, per i profili umanitari e assistenziali, con la Croce Rossa
Italiana. Le linee guida per l'attuazione, emanate dal Ministro Maroni,
ribadivano che il fine delle ordinanze era di rimuovere le situazioni di degrado
esistenti nei campi e promuovere condizioni di vivibilità nella legalità per le
comunità nomadi, consentendo l'accesso ai servizi di carattere sociale,
assistenziale, sanitario e scolastico, soprattutto per i minori, maggiormente
esposti a rischi di abuso e di sfruttamento. I principi fondamentali e le
modalità da seguire nell'identificazione di chi risiede nei campi nomadi tengono
conto delle indicazioni e delle raccomandazioni formulate dal Garante per la
protezione dei dati personali. "Il Governo, dichiarava Maroni, "vuole la tutela
di chi vive in queste situazioni di degrado, la tutela dei minori, per toglierli
dalla clandestinità, per toglierli dall'ombra, per dare loro un futuro".
A seguito della dichiarazione di stato di emergenza, sono state stanziate
risorse straordinarie per Roma, Napoli e Milano, con la maggiore presenza di
rom, che sono state gestite in modo straordinario per identificare le
popolazioni rom, sgomberare i campi abusivi, monitorare quelli autorizzati e
costruirne nuovi, promuovendo interventi di inserimento sociale all'interno di
questi ultimi.
Finalmente, l'anno scorso, è stata adottata per la prima volta, una strategia
nazionale che sottolinea il carattere discriminatorio ed escludente dei campi
nomadi e si pone l'obiettivo del loro superamento. Nonostante tale novità e la
sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità dello
stato di emergenza avviato nel 2008, le politiche continuano ad affrontare la
questione con una logica emergenziale e di sicurezza.
Di Fabrizio (del 26/12/2013 @ 09:03:22, in Italia, visitato 1964 volte)
LeNiùs 23 Dec 2013 Nikolas Kallmorgen Immagini|
Nikolas Kallmorgen Travel
Photographer
Il 25 dicembre, insieme al Natale, si celebrerà il primo mese dallo sgombero del
maggiore campo rom di Milano, tra via Brunetti e via Montefeltro. Un campo che,
come abbiamo raccontato, era abitato da circa 900 rom fuoriusciti da altri
insediamenti sgomberati nei mesi precedenti, primo fra tutti il campo
autorizzato di via Triboniano, su cui la giunta Moratti aveva investito 800.000
euro
per renderlo "abitabile", prima di distruggerlo con le ruspe in vista dell'Expo
lasciando per strada le famiglie che vi abitavano.
La nuova giunta milanese, in particolare attraverso l'Assessore alla sicurezza e
coesione sociale Marco Granelli, ha dichiarato a più riprese di non voler
ripetere gli errori dei predecessori e di voler realizzare l'annunciato
programma di "superamento dei campi" evitando la creazione di nuovi insediamenti
analoghi. Vediamo dunque qual è la situazione oggi a Milano.
Sgombero Rom Milano, le soluzioni proposte dal Comune
Come dichiarato il 5 dicembre dallo stesso Granelli a Radio Popolare, con lo
sgombero del 25 novembre i Centri emergenziali messi a disposizione per il
"Piano Rom" si sono riempiti, ma secondo la versione ufficiale (diffusa anche
attraverso una nota sulla pagina facebook di Palazzo Marino) nessuna persona
sarebbe stata rifiutata.
Le uniche eccezioni sarebbero relative a quei casi che non rispondevano ai
"requisiti": in sostanza il Comune non ha accettato chi in passato aveva
rifiutato una struttura d'emergenza e chi ha usufruito di quella sorta di
"incentivo al rimpatrio" che la Moratti si era inventata sperando di convincere
i rom ad andarsene per sempre in cambio di una donazione una tantum.
Tralasciando la pur doverosa riflessione sull'ammissibilità di "requisiti
d'accesso" in casi d'emergenza, le testimonianze dirette raccolte dal Naga, che
lavora da anni a stretto contatto con i rom dei campi irregolari, hanno rilevato
una situazione diversa (come avevamo peraltro già intuito a 48 ore dallo
sgombero): molte famiglie, seppur in possesso dei famigerati "requisiti", sono
in realtà state rifiutate e lasciate fuori dai Centri di Emergenza.
Molte di queste hanno trovato ospitalità presso amici o parenti in altri campi,
mentre altre dormono ora sotto i ponti o si accampano di notte nei prati vicino
alla ferrovia. Come racconta il Naga, "le tende vengono poi nascoste nei
dintorni e, durante il giorno, [i rom] si muovono per la città senza una meta
precisa: non è difficile pensare in che condizioni fisiche e mentali,
considerando anche che uno di questi rom è stato sottoposto ad un intervento
chirurgico per un tumore alla testa e che deve regolarmente assumere medicinali
antiepilettici e farmaci salva vita".
Granelli, d'altra parte, continua a negare questa situazione, sostenendo che la
proposta dell'Amministrazione sarebbe stata accolta solo da 254 persone. Guarda
caso esattamente la capienza dei due centri: fortunata coincidenza, verrebbe da
pensare.
Invece un altro assessore, Pierfrancesco Majorino, responsabile per le Politiche
Sociali, presente insieme a Granelli allo sgombero del 25 novembre, si lamenta
sulla sua pagina facebook: "Con la popolazione rom facciamo una gigantesca
fatica. Molti tra loro non accettano le nostre proposte".
Resta dunque una domanda: se accettassero tutti la proposta del Comune, dove
verrebbero messi? Cosa è stato proposto, per esempio, alle famiglie sgomberate
settimana scorsa dal campo Lambro-Forlanini? E cosa verrà proposto alle restanti
2.000 persone che vivono nei campi che vorrebbero essere "superati"?
Rom Milano, i centri di emergenza
Al di là dei dubbi sui numeri, è sicuramente vero che una buona parte dei rom
rifiuta le proposte di accoglienza del Comune. Per capirne i motivi, è
sufficiente parlare con qualcuno di loro: "Alla fine qual è la differenza tra
qui e il campo? Pensano di aiutarci solo perché ci mettono un muro intorno?" è
il commento più diffuso. Alcune donne ammettono: "E' vero che qui non ci sono i
topi, ma per il resto qui non stiamo meglio, anzi: i bambini si ammalano molto
di più!".
In effetti, lo sgombero è avvenuto all'inizio del freddo invernale, che ha
portato con sé i classici malanni di stagione. Le famiglie, ammassate in grandi
stanzoni contenenti dalle 30 alle 50 persone ciascuno, hanno iniziato a passarsi
ogni raffreddore e ogni mal di gola, fino a quando hanno dovuto chiedere
l'intervento dei medici volontari del Naga. "I bambini non dormono", quelli sani
vengono svegliati dalla tosse dei malati e le maestre a scuola si sono già
accorte che i ragazzi dormono sui banchi. "Le maestre non capiscono, pensano che
ora abbiamo tutto per stare bene, non sanno che qui la nostra vita è ancora più
difficile di prima".
La vicinanza forzata è sicuramente una delle principali ragioni di disagio: per
aumentare la privacy, ogni famiglia ha inventato delle paratie di fortuna con
teli, asciugamani e coperte. Ma in questo modo non viene certo fermata la
circolazione dei virus. I quali peraltro non vengono fermati nemmeno dai medici,
la cui presenza non è prevista: i malati infatti non vengono curati, perché
all'interno delle strutture d'emergenza non c'è assistenza medica.
Inoltre non viene distribuito cibo, le docce sono fredde e la stanza prevista
per i pasti non è riscaldata. Chi riesce a procurarsi del cibo perché ha la
fortuna di avere un lavoro o perché riesce a ottenere una decina di euro per la
propria famiglia facendo l'elemosina (questa cifra è considerata un successo),
mangia seduto sul proprio letto.
Una lamentela molto diffusa riguarda poi le limitazioni d'uso per le lavatrici.
Ogni famiglia può usarle solamente durante una finestra prestabilita di 2 ore in
un'intera settimana. I rom, che non sono certo dotati di un guardaroba standard
per i canoni del milanese medio, si trovano a usare gli stessi vestiti sporchi
anche per diversi giorni. "Nel campo avevo le mie quattro pareti e la mia
bombola, scaldavo l'acqua e lavavo anche tutti i giorni: ora cosa dico ai miei
bambini che vengono presi in giro dai compagni di classe perché hanno vestiti
puzzolenti?".
Infine, una considerazione sulla divisione delle famiglie. Uno dei vanti
dell'amministrazione comunale è quello di non separare le famiglie dopo gli
sgomberi. In effetti, se ci si basa sulla famiglia ristretta, ciò è vero: i
genitori e i figli restano insieme nei centri emergenziali, mentre nonni, zii e
cugini non sono considerati parenti stretti.
Se consideriamo però la cultura rom e soprattutto la precarietà della situazione
in cui vivono, è impossibile ignorare l'importanza della famiglia allargata per
il sostegno reciproco. Al di là dell'appoggio morale, in situazioni del genere
l'aiuto di uno zio che ha trovato lavoro in cantiere o di una cugina che possa
occuparsi dei bambini durante il giorno possono valere la differenza tra avere o
meno qualcosa nel piatto alla sera.
In sostanza, il progetto di superamento dei campi con la proposta di avvio di un
percorso di integrazione a medio termine sarebbe in teoria più che valida. Ma le
modalità concrete di attuazione del piano osservate finora danno la sensazione
che l'obiettivo principale dell'azione sia in realtà quello di nascondere i rom
alla vista dei milanesi, a costo di chiuderli dietro a un muro vuoto di cemento
e di promesse.
Di Fabrizio (del 25/12/2013 @ 09:04:41, in Regole, visitato 2273 volte)
Guarda chavo, il discorso è semplice:
Non ho mai conosciuto un rom o un gagio, e neanche un cane, che si chiamasse
Erode. Il prete mi deve aver parlato di quella storia... non so se fosse una
brava persona o no.
Cosa ne penso lo puoi immaginare, che la tua gente è pazza. Quello che successe
tanto, tanto tempo fa, lo fate tutti gli altri giorni dell'anno. Lo so, che tu
non c'entri, lo so che eri con me quando c'erano le ruspe: parlo dei tuoi amici,
dei tuoi vicini, colleghi, parenti...
Pensa che un asinello l'avevo anch'io e ho dovuto venderlo. Chi l'ha comprato
aveva capito chi ero, così me l'ha pagato una miseria.
Adesso, vado a curare il fuoco, forse almeno oggi ci lasciano in pace. Se vuoi
favorire, sei il benvenuto.
Sai, mio figlio grande si arrangia a fare tante cose, potrebbe essere un bravo
falegname... Immagina che gioia sarebbe per tutti! Non avresti delle scarpe per
mio figlio piccolo?
Di Fabrizio (del 23/12/2013 @ 09:08:37, in blog, visitato 1692 volte)
Dopo il
regalo di Natale dell'anno scorso (qualcuno deve ancora scaricarlo?),
troverete qualcosa anche quest'anno.
Mediateca, non come una riserva o uno spazio-ghetto dove racchiudere file
multimediali, ma uno spazio di raccolta, in fase di sperimentazione, dove, in
maniera totalmente anarchica - confusa - personale, troverete pezzi di Mahalla
passati negli anni scorsi.
Dato il periodo, potete trovare musiche che facciano da colonna al pranzo del
25, ma potete trovare anche altre cose interessanti.
Come dicevo poco sopra, l'ordine non è il mio forte, e se volete potete aiutarmi
ad aumentare la confusione, suggerendomi voi qualcosa da postare.
Un'altra pagina interessante per i regali,
QUI, mentre i
tanti segreti di Mahalla li troverete in home
page.
PS: saluti dal bue e dall'asinello!
Di Fabrizio (del 22/12/2013 @ 09:08:00, in lavoro, visitato 2053 volte)
Una Romnì non riusciva a trovare lavoro, ora dirige un negozio suo
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Bratislava/Liptovsky' Mikulash, 18.12.2013 17:47, (ROMEA)
Romovia.sme.sk, translated by Gwendolyn Albert
Riferisce il news server Romovia.sme.sk la storia di Jana Ferencova', una Romnì che ha vissuto per anni negli ostelli della Repubblica Ceca, prima di
iniziare un'attività propria dopo essere
tornata in Slovacchia (testo in slovacco). Per il secondo anno conduce un
negozio di abiti di seconda mano nella città di Liptovsky' Hradek.
Ferencova' e suo marito hanno lavorato per tre anni nella Repubblica Ceca,
cambiando tre volte l'indirizzo del negozio, ma sempre rifiutandosi di
rinunciare al loro sogno. Racconta: "Mio marito e io volevamo una vita buona per
i nostri figli, per questo andammo in Repubblica Ceca in cerca di lavoro. Qui
[in Slovacchia] non eravamo riusciti a trovarlo."
La proprietaria, 47 anni, viene da una famiglia di nove bambini. Il padre per
dare da mangiare alla famiglia lavorava con una piccola attività in proprio.
Quando lui si ammalò, trovò lavoro nella capitale, Bratislava, per la figlia
più grande, come donna di pulizie. "Per noi i genitori erano un modello, e
abbiamo voluto essere lo stesso per i nostri figli," insiste Ferencova', che
ha solo l'istruzione primaria.
"Non è stato facile, ma ce l'abbiamo fatta," dice. Pur vivendo all'estero,
poco a poco hanno iniziato a migliorare, senza mai considerare di insediarsi lì
permanentemente.
Dice: "Tre anni fa stavamo lavorando a Praga. Mio marito là dirigeva una
squadra di costruzioni, tutti erano in proprio. Il proprietario dell'ostello
dove vivevamo nel quartiere Hloubetín mi offrì un lavoro come donna di pulizie."
Fu il punto di svolta. Lavorò all'ostello per un anno, ma nel frattempo suo
marito perse il lavoro.
Il direttore dell'ostello gli offrì un lavoro come manutentore, ma la donne,
con tre figli, non voleva più che i figli vivessero lì. "C'erano dei bambini di
10 anni che fumavano. Sigarette, lo capisco, ma la marijuana? Temevo soprattutto
per mio figlio Daribor, che allora aveva 13 anni e già abbastanza problemi di
suo," dice.
Quindi, la decisione finale era chiara - il ritorno in Slovacchia.
Riassumendo: "Una volta che ero a casa ho iniziato a spedire curriculum ovunque,
ma tutti mi tornavano indietro."
Impossibile trovare un lavoro con la sua sola istruzione primaria. "Non avevo
referenze, ma sono capace e affidabile. Molte volte c'era una richiesta di
lavoro, ma quando vedevano che ero una romanì, mi dicevano che avrebbero
richiamato."
La famiglia ha campato di lavoretti nei cantieri durante il primo anno di
ritorno a Liptovsky' Hradek. Ferencova' lavorava con gli uomini alla
betoniera, ma poi rinunciò perché lo stipendio non era abbastanza alto.
"Chiesi ai locali affaristi Cinesi se
mi aiutavano, ma non lo fecero." Disperata, la donna andava di porta in porta in
cerca di un impiego.
Ferencova' sapeva che senza un lavoro, avrebbero speso in circa due mesi
tutti i soldi guadagnati nella Repubblica Ceca. Un giorno decise che ne aveva
abbastanza.
Iniziò a comperare ogni martedì coperte e lenzuola, e rivenderle ai Romanì
del posto guadagnandoci qualcosa. Figlio e marito la accompagnava in macchina e
lei negoziava il prezzo coi clienti romanì.
In internet trovò un magazzino di vestiti a Zharnovica (regione di Banska
Bystrica) ed iniziò ad andare lì a cercare merci e contrattare prezzi e
condizioni con i fornitori. "Naturalmente, calcolavo quanto acquistare dai
fornitori e a quanto rivendere e se ne valeva la pena."
Le ci vollero tre mesi per trovare un grossista con cui venire ad un accordo.
Il leasing per il negozio era un altro problema.
Ferencova' non riusciva a trovare spazi liberi in affitto attraverso i
privati, Liptovsky' Hradek o Liptovsky' Mikulash. "Era come quando
cercavo lavoro, ovunque mi dicevano che mi avrebbero richiamato, e questo è
tutto," dice delle sue iniziali esperienze come imprenditrice.
L'ultima possibilità era il Liptovsky' Hradek Housing Office.
L'esperienza le aveva insegnato di parlare solo col responsabile, quindi andò
direttamente dal direttore.
Racconta: "Gli ho detto: direttore, non deve preoccuparsi del colore della
pelle, non deve preoccuparsi dei soldi. Se avete spazi vuoti, metteteli a
profitto dandoli a me, qual è il problema?"
La sua strategia schietta pagò. L'Housing Office le affittò uno spazio come
negozio per un periodo di prova di sei mesi e un affitto anticipato di tre mesi.
Di Fabrizio (del 21/12/2013 @ 09:09:25, in Italia, visitato 1560 volte)
Adriana Goni Mazzitelli su
comune-info | 17 dicembre 2013
Vandana Shiva è stata a Roma invitata da Terra onlus e da gruppi che si occupano
di recupero delle terre e di orti urbani. In questa occasione ha avuto modo di
fare un incontro particolare con alcune giovani ragazze e donne rom protagoniste
di un laboratorio di videonarrazione, portato avanti nella periferia est di Roma
dal Centro culturale Michele Testa (con l'aiuto dell'artista Maria Rosa Jijon e
del Laboratorio di Arti civiche dell'Università di Roma Tre). Comune era
presente all'incontro: di seguito, una parte della loro conversazione.
A cura di Adriana Goni Mazzitelli
Video Lab nasce due anni fa all'interno del Progetto SàrSan e rappresenta un
prezioso strumento per dare voce alle giovani rom. Uno spazio di
auto-narrazione, un laboratorio per ribaltare la comunicazione stereotipata che
rimbalza nelle notizie di cronaca a proposito di rom. Le ragazze che fanno parte
del progetto, vengono dai campi rom di via Salviati e di via Salone e sono fiere
di essere nate e cresciute a Roma, cosi come di aver vinto con il mini
documentario Sono solo una ragazza il Premio del Pubblico al festival
I Colori
del Mondo, promosso dal Museo di Arte Contemporanea di Roma.
Nonostante questi buoni risultati, nulla sembra cambiato nelle loro vite
quotidiane. Le grandi aspettative che avevano nel cambio dell'amministrazione di
Roma, non hanno al momento prodotto nulla: sembra che il loro destino continui
ad esser segnato dai e nei campi rom. La precarietà che si vive in queste
strutture è ancora dominata dalla logica degli sgomberi forzati, unica politica
sulla quale sembra siano tutti d'accordo. Organizzare un'intervista a Vandana
Shiva in questo contesto è stata una bella sfida e un'occasione di confronto
tra donne che lottano per il cambiamento ogni giorno.
Gli studi più attendibili dicono che i rom sono originari dell'India, alcuni
secoli dopo, donne indiane e donne rom hanno trovato un momento di confronto per
scambiare idee, storie e rafforzarsi nella comune lotta per uscire da
oppressione e impoverimento. Le ragazze di SàrSan, Brenda, Smeralda, Sheila
erano emozionate, ma si sono a lungo preparate: hanno pensato a diverse domande
e costruito questa intervista.
Le donne nel suo paese si sono organizzate per difendere la terra: come hanno
fatto?
Oggi, il primo passo per uscire della povertà è usare le mani e la testa. Uno
dei principali argomenti per tenere fuori dal sistema le comunità povere e le
donne, è dire che non producono, che sono passive, che non hanno competenze, che
non hanno conoscenze e saperi. Il primo passaggio per uscire della povertà è
allora non percepirsi come esseri poveri, essere consapevoli della ricchezza che
si ha dentro. Sapere di avere ognuno la capacità di creare, di produrre e di
costruire relazioni e comunità. Il secondo passaggio è resistere alle politiche
che creano la povertà, che sottraggono le risorse alle persone, che impediscono
alle persone di produrre quello che sono in grado di produrre. Creare e
resistere.
Cosa pensa della povertà e del trattamento inumano che l'Europa riserva a
migranti e rom?
Qualunque società che non sia capace di creare spazio, di fare spazio, per tutti
e tute, anche per i migranti che non sono nati nel paese, è una società
ingiusta. Credo che tutti i cittadini e le cittadine del mondo che stanno stanno
vivendo in altri paesi, devono essere trattati come se fossero a casa. Una
società che oggi non crea gli spazi per i rom, domani non sarà capace di creare
spazi per l'altro.
Cosa dobbiamo fare per coinvolgere altri rom e lottare per i nostri diritti?
Ci sono due modi per fare i conti con l'esclusione: uno è cercare di essere
inclusi nelle strutture che ti escludono, ma queste strutture ti metteranno
fuori perché sono costruite per farlo. Per esempio il patriarcato esclude le
donne, l'esclusione razziale esclude i migranti che non considera parte del
cerchio dominante, e il dominio del denaro, cioè il dominio che sta alla base
della crisi con cui l'Italia sta facendo i conti, esclude i poveri, sono tutte
strutture escludenti. L'altro modo per combattere l'esclusione è dire, noi
possiamo creare un mondo migliore, e includiamo noi stessi e altri al suo
interno. E' spostare l'asse, al centro ci sono tutti; le donne diventano il
centro, è per questo che dopo il crollo della Wto lo slogan dei movimenti è
diventato un altro mondo è possibile.
Dopo le prime domande è Smeralda, diciannove anni, a vincere la timidezza e a
prendere parola: dice a Vandana che è vero, in tutto il mondo le donne sono
lasciate ai margini, "si pensa che non sanno produrre, che non sono utili, ma
noi sappiamo che le donne sanno fare tante cose, noi donne rom ad esempio
facciamo di tutto. Bisogna partire dei nostri saperi, e non aspettare che
qualcuno venga a salvarci. In India come nella periferia di Roma dobbiamo
organizzarci per cambiare quello che non ci sta bene".
Anche Shila, ventidue anni, partecipa alla conversazione. In Europa i politici
pensano che controllando il flusso di persone diverse, o controllando il
brevetto dei semi, riusciranno a costruire "società omogenee che non mettano a
rischio le strutture di potere esistenti - dice Shila - Dobbiamo essere
orgogliosi delle diversità di ogni tipo, a cominciare dalla nostra diversità
rom, siamo unici ma abbiamo diritti universali. Bisogna imparare a valorizzare
la diversità, ci aspetta una lunga strada".
A salutare e ringraziare Vandana Shiva ci pensa Brenda, vent'anni appena
compiuti: "Sei una donna forte, anche noi dobbiamo esserlo. Ci hai trasmesso
forza e solo con la forza riusciremo ad arrivare lontano".
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