LeNiùs 23 Dec 2013 Nikolas Kallmorgen Immagini|
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Il 25 dicembre, insieme al Natale, si celebrerà il primo mese dallo sgombero del
maggiore campo rom di Milano, tra via Brunetti e via Montefeltro. Un campo che,
come abbiamo raccontato, era abitato da circa 900 rom fuoriusciti da altri
insediamenti sgomberati nei mesi precedenti, primo fra tutti il campo
autorizzato di via Triboniano, su cui la giunta Moratti aveva investito 800.000
euro
per renderlo "abitabile", prima di distruggerlo con le ruspe in vista dell'Expo
lasciando per strada le famiglie che vi abitavano.
La nuova giunta milanese, in particolare attraverso l'Assessore alla sicurezza e
coesione sociale Marco Granelli, ha dichiarato a più riprese di non voler
ripetere gli errori dei predecessori e di voler realizzare l'annunciato
programma di "superamento dei campi" evitando la creazione di nuovi insediamenti
analoghi. Vediamo dunque qual è la situazione oggi a Milano.
Sgombero Rom Milano, le soluzioni proposte dal Comune
Come dichiarato il 5 dicembre dallo stesso Granelli a Radio Popolare, con lo
sgombero del 25 novembre i Centri emergenziali messi a disposizione per il
"Piano Rom" si sono riempiti, ma secondo la versione ufficiale (diffusa anche
attraverso una nota sulla pagina facebook di Palazzo Marino) nessuna persona
sarebbe stata rifiutata.
Le uniche eccezioni sarebbero relative a quei casi che non rispondevano ai
"requisiti": in sostanza il Comune non ha accettato chi in passato aveva
rifiutato una struttura d'emergenza e chi ha usufruito di quella sorta di
"incentivo al rimpatrio" che la Moratti si era inventata sperando di convincere
i rom ad andarsene per sempre in cambio di una donazione una tantum.
Tralasciando la pur doverosa riflessione sull'ammissibilità di "requisiti
d'accesso" in casi d'emergenza, le testimonianze dirette raccolte dal Naga, che
lavora da anni a stretto contatto con i rom dei campi irregolari, hanno rilevato
una situazione diversa (come avevamo peraltro già intuito a 48 ore dallo
sgombero): molte famiglie, seppur in possesso dei famigerati "requisiti", sono
in realtà state rifiutate e lasciate fuori dai Centri di Emergenza.
Molte di queste hanno trovato ospitalità presso amici o parenti in altri campi,
mentre altre dormono ora sotto i ponti o si accampano di notte nei prati vicino
alla ferrovia. Come racconta il Naga, "le tende vengono poi nascoste nei
dintorni e, durante il giorno, [i rom] si muovono per la città senza una meta
precisa: non è difficile pensare in che condizioni fisiche e mentali,
considerando anche che uno di questi rom è stato sottoposto ad un intervento
chirurgico per un tumore alla testa e che deve regolarmente assumere medicinali
antiepilettici e farmaci salva vita".
Granelli, d'altra parte, continua a negare questa situazione, sostenendo che la
proposta dell'Amministrazione sarebbe stata accolta solo da 254 persone. Guarda
caso esattamente la capienza dei due centri: fortunata coincidenza, verrebbe da
pensare.
Invece un altro assessore, Pierfrancesco Majorino, responsabile per le Politiche
Sociali, presente insieme a Granelli allo sgombero del 25 novembre, si lamenta
sulla sua pagina facebook: "Con la popolazione rom facciamo una gigantesca
fatica. Molti tra loro non accettano le nostre proposte".
Resta dunque una domanda: se accettassero tutti la proposta del Comune, dove
verrebbero messi? Cosa è stato proposto, per esempio, alle famiglie sgomberate
settimana scorsa dal campo Lambro-Forlanini? E cosa verrà proposto alle restanti
2.000 persone che vivono nei campi che vorrebbero essere "superati"?
Rom Milano, i centri di emergenza
Al di là dei dubbi sui numeri, è sicuramente vero che una buona parte dei rom
rifiuta le proposte di accoglienza del Comune. Per capirne i motivi, è
sufficiente parlare con qualcuno di loro: "Alla fine qual è la differenza tra
qui e il campo? Pensano di aiutarci solo perché ci mettono un muro intorno?" è
il commento più diffuso. Alcune donne ammettono: "E' vero che qui non ci sono i
topi, ma per il resto qui non stiamo meglio, anzi: i bambini si ammalano molto
di più!".
In effetti, lo sgombero è avvenuto all'inizio del freddo invernale, che ha
portato con sé i classici malanni di stagione. Le famiglie, ammassate in grandi
stanzoni contenenti dalle 30 alle 50 persone ciascuno, hanno iniziato a passarsi
ogni raffreddore e ogni mal di gola, fino a quando hanno dovuto chiedere
l'intervento dei medici volontari del Naga. "I bambini non dormono", quelli sani
vengono svegliati dalla tosse dei malati e le maestre a scuola si sono già
accorte che i ragazzi dormono sui banchi. "Le maestre non capiscono, pensano che
ora abbiamo tutto per stare bene, non sanno che qui la nostra vita è ancora più
difficile di prima".
La vicinanza forzata è sicuramente una delle principali ragioni di disagio: per
aumentare la privacy, ogni famiglia ha inventato delle paratie di fortuna con
teli, asciugamani e coperte. Ma in questo modo non viene certo fermata la
circolazione dei virus. I quali peraltro non vengono fermati nemmeno dai medici,
la cui presenza non è prevista: i malati infatti non vengono curati, perché
all'interno delle strutture d'emergenza non c'è assistenza medica.
Inoltre non viene distribuito cibo, le docce sono fredde e la stanza prevista
per i pasti non è riscaldata. Chi riesce a procurarsi del cibo perché ha la
fortuna di avere un lavoro o perché riesce a ottenere una decina di euro per la
propria famiglia facendo l'elemosina (questa cifra è considerata un successo),
mangia seduto sul proprio letto.
Una lamentela molto diffusa riguarda poi le limitazioni d'uso per le lavatrici.
Ogni famiglia può usarle solamente durante una finestra prestabilita di 2 ore in
un'intera settimana. I rom, che non sono certo dotati di un guardaroba standard
per i canoni del milanese medio, si trovano a usare gli stessi vestiti sporchi
anche per diversi giorni. "Nel campo avevo le mie quattro pareti e la mia
bombola, scaldavo l'acqua e lavavo anche tutti i giorni: ora cosa dico ai miei
bambini che vengono presi in giro dai compagni di classe perché hanno vestiti
puzzolenti?".
Infine, una considerazione sulla divisione delle famiglie. Uno dei vanti
dell'amministrazione comunale è quello di non separare le famiglie dopo gli
sgomberi. In effetti, se ci si basa sulla famiglia ristretta, ciò è vero: i
genitori e i figli restano insieme nei centri emergenziali, mentre nonni, zii e
cugini non sono considerati parenti stretti.
Se consideriamo però la cultura rom e soprattutto la precarietà della situazione
in cui vivono, è impossibile ignorare l'importanza della famiglia allargata per
il sostegno reciproco. Al di là dell'appoggio morale, in situazioni del genere
l'aiuto di uno zio che ha trovato lavoro in cantiere o di una cugina che possa
occuparsi dei bambini durante il giorno possono valere la differenza tra avere o
meno qualcosa nel piatto alla sera.
In sostanza, il progetto di superamento dei campi con la proposta di avvio di un
percorso di integrazione a medio termine sarebbe in teoria più che valida. Ma le
modalità concrete di attuazione del piano osservate finora danno la sensazione
che l'obiettivo principale dell'azione sia in realtà quello di nascondere i rom
alla vista dei milanesi, a costo di chiuderli dietro a un muro vuoto di cemento
e di promesse.