Adriana Goni Mazzitelli su
comune-info | 17 dicembre 2013
Vandana Shiva è stata a Roma invitata da Terra onlus e da gruppi che si occupano
di recupero delle terre e di orti urbani. In questa occasione ha avuto modo di
fare un incontro particolare con alcune giovani ragazze e donne rom protagoniste
di un laboratorio di videonarrazione, portato avanti nella periferia est di Roma
dal Centro culturale Michele Testa (con l'aiuto dell'artista Maria Rosa Jijon e
del Laboratorio di Arti civiche dell'Università di Roma Tre). Comune era
presente all'incontro: di seguito, una parte della loro conversazione.
A cura di Adriana Goni Mazzitelli
Video Lab nasce due anni fa all'interno del Progetto SàrSan e rappresenta un
prezioso strumento per dare voce alle giovani rom. Uno spazio di
auto-narrazione, un laboratorio per ribaltare la comunicazione stereotipata che
rimbalza nelle notizie di cronaca a proposito di rom. Le ragazze che fanno parte
del progetto, vengono dai campi rom di via Salviati e di via Salone e sono fiere
di essere nate e cresciute a Roma, cosi come di aver vinto con il mini
documentario Sono solo una ragazza il Premio del Pubblico al festival
I Colori
del Mondo, promosso dal Museo di Arte Contemporanea di Roma.
Nonostante questi buoni risultati, nulla sembra cambiato nelle loro vite
quotidiane. Le grandi aspettative che avevano nel cambio dell'amministrazione di
Roma, non hanno al momento prodotto nulla: sembra che il loro destino continui
ad esser segnato dai e nei campi rom. La precarietà che si vive in queste
strutture è ancora dominata dalla logica degli sgomberi forzati, unica politica
sulla quale sembra siano tutti d'accordo. Organizzare un'intervista a Vandana
Shiva in questo contesto è stata una bella sfida e un'occasione di confronto
tra donne che lottano per il cambiamento ogni giorno.
Gli studi più attendibili dicono che i rom sono originari dell'India, alcuni
secoli dopo, donne indiane e donne rom hanno trovato un momento di confronto per
scambiare idee, storie e rafforzarsi nella comune lotta per uscire da
oppressione e impoverimento. Le ragazze di SàrSan, Brenda, Smeralda, Sheila
erano emozionate, ma si sono a lungo preparate: hanno pensato a diverse domande
e costruito questa intervista.
Le donne nel suo paese si sono organizzate per difendere la terra: come hanno
fatto?
Oggi, il primo passo per uscire della povertà è usare le mani e la testa. Uno
dei principali argomenti per tenere fuori dal sistema le comunità povere e le
donne, è dire che non producono, che sono passive, che non hanno competenze, che
non hanno conoscenze e saperi. Il primo passaggio per uscire della povertà è
allora non percepirsi come esseri poveri, essere consapevoli della ricchezza che
si ha dentro. Sapere di avere ognuno la capacità di creare, di produrre e di
costruire relazioni e comunità. Il secondo passaggio è resistere alle politiche
che creano la povertà, che sottraggono le risorse alle persone, che impediscono
alle persone di produrre quello che sono in grado di produrre. Creare e
resistere.
Cosa pensa della povertà e del trattamento inumano che l'Europa riserva a
migranti e rom?
Qualunque società che non sia capace di creare spazio, di fare spazio, per tutti
e tute, anche per i migranti che non sono nati nel paese, è una società
ingiusta. Credo che tutti i cittadini e le cittadine del mondo che stanno stanno
vivendo in altri paesi, devono essere trattati come se fossero a casa. Una
società che oggi non crea gli spazi per i rom, domani non sarà capace di creare
spazi per l'altro.
Cosa dobbiamo fare per coinvolgere altri rom e lottare per i nostri diritti?
Ci sono due modi per fare i conti con l'esclusione: uno è cercare di essere
inclusi nelle strutture che ti escludono, ma queste strutture ti metteranno
fuori perché sono costruite per farlo. Per esempio il patriarcato esclude le
donne, l'esclusione razziale esclude i migranti che non considera parte del
cerchio dominante, e il dominio del denaro, cioè il dominio che sta alla base
della crisi con cui l'Italia sta facendo i conti, esclude i poveri, sono tutte
strutture escludenti. L'altro modo per combattere l'esclusione è dire, noi
possiamo creare un mondo migliore, e includiamo noi stessi e altri al suo
interno. E' spostare l'asse, al centro ci sono tutti; le donne diventano il
centro, è per questo che dopo il crollo della Wto lo slogan dei movimenti è
diventato un altro mondo è possibile.
Dopo le prime domande è Smeralda, diciannove anni, a vincere la timidezza e a
prendere parola: dice a Vandana che è vero, in tutto il mondo le donne sono
lasciate ai margini, "si pensa che non sanno produrre, che non sono utili, ma
noi sappiamo che le donne sanno fare tante cose, noi donne rom ad esempio
facciamo di tutto. Bisogna partire dei nostri saperi, e non aspettare che
qualcuno venga a salvarci. In India come nella periferia di Roma dobbiamo
organizzarci per cambiare quello che non ci sta bene".
Anche Shila, ventidue anni, partecipa alla conversazione. In Europa i politici
pensano che controllando il flusso di persone diverse, o controllando il
brevetto dei semi, riusciranno a costruire "società omogenee che non mettano a
rischio le strutture di potere esistenti - dice Shila - Dobbiamo essere
orgogliosi delle diversità di ogni tipo, a cominciare dalla nostra diversità
rom, siamo unici ma abbiamo diritti universali. Bisogna imparare a valorizzare
la diversità, ci aspetta una lunga strada".
A salutare e ringraziare Vandana Shiva ci pensa Brenda, vent'anni appena
compiuti: "Sei una donna forte, anche noi dobbiamo esserlo. Ci hai trasmesso
forza e solo con la forza riusciremo ad arrivare lontano".