\\ Mahalla : Articolo : Stampa
In ogni fatica c'e' profitto
Di Fabrizio (del 29/12/2013 @ 09:04:03, in lavoro, visitato 1956 volte)

Romedia Foundation - 27 dicembre 2013

Pinze dentali, foto © The Pitt Rivers Museum, Oxford. Per scoprire il significato dell'immagine, continua a leggere...

    Dato che l'immigrazione dei Rom nell'Europa Occidentale continua a causare panico nei media, Damian Le Bas considera la storia dei traffici romanì e l'incredibile varietà di lavori che l'Europa e l'Asia hanno af fidato ai propri "zingari".

Sono scrittore e regista: scrivo e faccio film per vivere, la scrittura e i film sono ciò che mi danno da mangiare. Cosa che potrebbe non essere particolarmente sorprendente per qualcuno, per me lo è ancora.

Da giovane ho provato ad immaginarmi come scrittore, ma era davvero difficile da credere. Era una vaga aspirazione, non un'ambizione tangibile. E l'ambizione più sensata che potessi avere non era comunque "un'ambizione": era fare quello che facevano tutti gli altri, lavorare per mettere del cibo sulla tavola.

Da bambino, "quello che facevano gli altri" significava o la vendita di fiori, o il lavoro nelle costruzioni o sui tetti. Queste erano le scelte ragionevoli, ed anche quelli nella mia famiglia che avevano aspirazioni dovevano seguire strade sensate. Mio madre e mio padre erano artisti, ma l'arte non pagava le bollette. Tuttora continuano a vendere fiori per arrivare alla fine del mese. Così pensavo che una volta cresciuto avrei venduto fiori o fatto il carpentiere. C'erano altre opzioni che sembravano un poco più esotiche, ma comunque ragionevoli: vendita di cavalli, riparare motori o compravendita di rottami; ma l'idea di vendere parole scritte da me o di film girati da me, mi suonava realistica come quella di aprire un negozio di fiori nello spazio infinito.

Nella cultura romanì è forte l'idea che si debba fare "il proprio lavoro", "lavoro da zingari" o "romani buki" o comunque si voglia chiamarlo. Perché non dovrebbe essere così? Possiamo pensare a quanto sia comune in qualsiasi cultura stabilire un "affare di famiglia", un mestiere per cui tu e la tua Vitsa siete conosciuti e rispettati. Ma creare un negozio proprio in un lavoro che valorizza i tuoi punti di forza, non è lo stesso dell'avere un ruolo nel mondo del lavoro sulla base di ciò che gli altri si aspettano da te, o perché tu non credi di poter fare qualcosa di differente.

Fuori dalla cultura romanì, l'idea dei "lavori da zingari" probabilmente è ancora più forte. Allora, quali lavori bisogna fare? Presumo, che possano essere classificati in diverse maniere. Ci sono lavori che sono lavori, e sono utili alla società; lavori che sono lavori, e non sono utili alla società, e lavori che non sono lavori - ma attività criminali. Così, per esempio, nel primo gruppo abbiamo i lavori agricoli (nelle fattorie), nel secondo gruppo la chiromanzia e nel terzo il furto. C'è un ipotetico prisma paradigmatico tripartito generato esternamente nel vedere il lavoro romanì. O, in inglese, un outsider's way of looking al lavoro romanì.

Perché simili punti di vista continuino a prevalere, quando chiaramente hanno un effetto negativo sull'autopercezione dei Romanì stessi e del loro potenziale (come succederebbe a chiunque), e chiaramente non riuscendo a descrivere la varietà di lavori che svolgiamo e, anche, che abbiamo sempre svolto? Sì, avete letto bene: che abbiamo sempre svolto.

Nel Pitt Rivers Museum della Oxford University, mia madre incrociò il paio di forbici dentali mostrate nell'immagine iniziale. Il cartellino che è attaccato recita:

    "Forbici dentali realizzate da ZINGARI locali. In ferro, con un lungo e sottile manico curvo: le due piccole pinze terminano con due denti su ogni lato.
    Popolo: Zingari albanesi. Località: Scutari, Albania.
    Raccolto dalla signora ME Durham, 1911. Acquisizione: tramite lei stessa, 1933"

Informazioni importanti, ma non così tanto come successivamente ha spiegato il professor Thomas Acton. Il popolo romanì ("Zingari albanesi") che realizzò quelle forbici non solo aveva fabbri di talento per realizzare strumenti medici, ma facevano anche gli odontoiatri. Questo, almeno 80 anni fa, e questi "zingari" erano dentisti.

Questo è solo un esempio della varietà che menzionavo sopra, ma almeno è un esempio didattico. Non riesco a spiegare completamente perché questa scoperta mi fece sorridere così tanto, ma in parte proverò a spiegarlo. Ho sorriso - come quando lessi per la prima volta di Helios Gomez, artista e pensatore politico che era anche gitano - perché mi fece capire che, provenendo da una famiglia romanì e con una buona contezza del mio patrimonio culturale, c'era ancora moltissimo che non conoscevo, che la maggior parte di noi non conosce, di tutta la varietà di cose che il nostro popolo ha fatto per sopravvivere. I libri di storia hanno la cura di sottolineare una delle ragioni per cui i Rom nel mondo islamico facevano mestieri come il dentista: in quanto gli altri li consideravano mestieri impuri, informazione per me del tutto secondaria. La cosa principale è che l'intraprendenza e le capacità di questi Rom li ha portati su questa strada, e questa storie di flessibilità, e di abilità, non sono abbastanza valutate nel discorso attuale sull'immigrazione romanì.

L'artista gitano e pensatore politico di sinistra, Helios Gomez

C'è un altro avvertimento da tutta questa discussione, che prospera sulla presunzione di pigrizia e irresponsabilità dei Romanì. Nella maniera più semplice: in un gran numero di angoli di solito nascosti dagli occhi selettivi della storia ufficiale, l'Europa si è arricchita col secolare lavoro dei Romanì, il problema è che non sono mai stati riconosciuti, retribuiti o rispettati come esseri umani. Grandi aziende di successo (voi sapete quali) sono nate in questo modo e continuano a prosperare su queste radici, ed il minimo che possiamo chiedere è che questo sia reso palese e rispettato come parte della storia del nostro continente.

"In ogni fatica c'è profitto, ma la mera parola porta solo alla povertà" ci dice il libro biblico dei Proverbi. E' una bella citazione con un semplicità audace, in cui potreste ritrovarvi pure voi. Io l'ho fatto. Poi ho pensato alla realtà, ad una in particolare: la schiavitù. E' improbabile che l'autore (o il compilatore) del libro dei Proverbi fosse uno schiavo: gli schiavi istruiti erano pochi e si trovavano soprattutto in Medio Oriente. Comunque, è nella fatica della schiavitù risiede il profitto, solo che al profitto non capita di andare verso chi fatica duramente.

By Damian Le Bas