Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 14/06/2011 @ 09:20:15, in lavoro, visitato 2029 volte)
Da
Sintiitaliani.blogspot.com
Alberto Canterini, giostraio di Passo Corese (Foto: Cat. Fa.)
TevereNotizie.it
Una piccola e semplice realtà, nella complessità di un paese in via di
sviluppo
PASSO CORESE- "La più bella vita del mondo!" così esordisce Alberto
Canterini, giostraio, che vive a Passo Corese da ormai cinque anni. Alberto è
uno di quelli che generalmente chiamiamo "zingari", ma che in realtà è nato a
Rieti 46 anni fa ed è di origine marchigiana. La sua vita può davvero dirsi un
po' "zingara", perché in lui la componete nomade è presente e forte. "Esiste una
differenza tra quelli che in genere si definiscono zingari - spiega Canterini -
ci sono i rom che di norma si occupano di raccogliere ferro e lavorano il rame e
poi ci siamo noi, i sinti, quelli che fanno i mestieri, quelli che voi
considerate esercenti dello spettacolo viaggiante, giostrai". E da questo
momento si apre un mondo nuovo, un racconto di libertà ed emarginazione. Una
storia di vita, come tante altre, ma allo stesso tempo estremamente diversa.
LA SUA STORIA. Alberto Canterini, il cui vero cognome dovrebbe essere Cantarini,
è figlio e nipote di giostrai. Vive fisso a Passo Corese da qualche anno, per
amore dei suoi tre figli che così possono frequentare le scuole. Ma la sua vita
è stata per lungo tempo la vita nomade di coloro che portano divertimento alle
feste del patrono o nelle più diverse occasioni nei paesi. Con la sua famiglia
montano e smontano le loro autoscontro e i trenini, vivono di questo. Per lo
meno fino a poco tempo fa. La crisi ha toccato anche loro. Alberto si confida e
dice "Io, che sono nato libero, che ho vissuto dove il vento mi diceva di
andare, mi sono ritrovato a dover chiedere lavoro sotto padrone. Adesso faccio
il muratore. Non c'è più posto per noi con le nostre piccole giostre, adesso ci
sono i grandi parchi di divertimento. Stanno uccidendo la nostra tradizione".
Vivere alla giornata, come faceva prima di avere una famiglia a cui pensare, non
è più possibile. Anche il suo lavoro da giostraio è sempre più complesso. Le
piazze, un tempo luogo principale d'incontro non solamente durante le occasioni
festive, non ci sono più, sono state trasformate in parcheggi. Non c'è più posto
per loro, anche se la giostra è la festa, un punto di ritrovo soprattutto per i
giovani.
IL RAPPORTO CON GLI ALTRI. La vita dei nomadi non è facile, che essi siano rom o
sinti. Questo lo sappiamo; hanno la loro cultura particolare e spesso sono
protagonisti di spiacevoli episodi. Alberto lo riconosce, ma sottolinea anche
che "le mele marce sono dovunque. Noi ci troviamo bene, io ho tanti amici qui,
ma anche in tutta la Sabina, dal momento in cui ho passato la mia vita a girare
per tutti i vari paesi qui intorno. Mi conoscono, sanno che di me si possono
fidare". Ma ovviamente il pregiudizio accompagna da sempre la loro presenza. A
volte basta il fatto di vederli girare con la roulotte per far nascere il
pensiero che vivano in un ambiente sporco e promiscuo. Ma non è così. Perlomeno
in questo caso. Alberto spiega, infatti, come lui e la sua famiglia vivano in
una roulotte, ma che ognuno ha la sua camera con la porta e mantiene la propria
privacy. "Io ho anche una casa a Monterotondo, è di mia madre - racconta
Canterini - ma io sono nato in una roulotte. Questa è casa mia, l'unica che mi
dà la libertà di muovermi come e quando voglio."
L'UOMO. Alberto è un uomo segnato dalla vita intensa che ha condotto fino ad
ora, ma ha gli occhi vivi di un bambino. Sorride, ha le mani nervose. "Io vorrei
che i miei figli potessero scegliere la loro strada senza nessun ostacolo - dice
- non voglio che facciano i giostrai. Probabilmente noi siamo destinati a
sparire. Se non fosse per loro, non venderei mai la mia libertà alle regole
della società. Ma ho scelto l'amore per la mia famiglia e sto pagando con
l'omologazione ad un mondo che non mi appartiene".
di Caterina Fava
giovedì 16 giugno alle ore 21.00
ARCI BELLEZZA Via Giovanni Bellezza, 16 - 20136 Milano
VI ASPETTIAMO PER BALLARE PAZZAMENTE E FESTEGGIARE L'USCITA DEL NOSTRO NUOVO
FRIZZANTE DISCO ''TUTTI FRUTTI''
ingresso gratuito con tessera Arci
2 comunicazioni di servizio: la prima riguarda l'orario, saremo (e siate!)
puntualissimi, perché alle 23 la musica deve finire...
la seconda è che se piove salta tutto, ma tanto non pioverà
impaziente di vedervi tutti quanti, a giovedì prossimo!
Education 2.0 di Livio Sossi | del 24/05/2011 |
Non c'è il bosco incantato, non c'è il panierino con il buon cibo, non c'è la
mantellina rossa, eppure... Il progetto culturale, pedagogico, didattico "Chi ha
paura di Cappuccetto Rosso?" comprende anche un cortometraggio, un racconto
fotografico, un laboratorio di giornalismo, ed è stato proposto in molte scuole,
suscitando domande e riflessioni sulla realtà dei popoli Rom e Sinti.
Attualizzazioni in nuovi contesti storici e geografici, contaminazioni, parodie,
rovesciamento dei ruoli, modifiche degli attributi, cambiamento dei punti di
vista narrativi oggi costituiscono altrettante modalità letterarie di intervento
sull'impianto delle fiabe di tradizione orale: modalità di intervento rese
possibili dalla a-temporalità e dalla a-spazialità che contraddistinguono, come
ha rilevato lo studioso svizzero Max Luthi questo genere letterario.
A questo filone letterario si ricollega anche questo "Chi ha paura di
Cappuccetto Rosso?" di Eva Ciuk (vedi
QUI precedenti ndr), fiaba attorno alla quale si sviluppa il
progetto descritto dal libro della giornalista triestina di madrelingua slovena,
alla sua prima pubblicazione per ragazzi.
Il tema è oggi di estrema attualità. Si dice, generalizzando, che i Rom rubano,
che i Rom praticano furti e rapine. Espressioni e idee che derivano da
stereotipi culturali e che possono originare atteggiamenti xenofobi. Il libro
della Ciuk si propone di combattere questi stereotipi e ci vuole far conoscere
la realtà della cultura Rom e Sinti per affermare una cultura del dialogo e
dell'accoglienza.
Il percorso didattico proposto dal libro è originalissimo per l'impiego di
diversi linguaggi: il cinema, il teatro, la musica, la scrittura, l'immagine
animata. Diverse sono le operazioni letterarie e gli impliciti messaggi che Eva
Ciuk ha voluto condurre e trasmettere ai lettori (bambini, ma anche adulti) in
questo lavoro.
Il testo teatrale di uno spettacolo messo in scena da un ricreatorio
(doposcuola), la simulazione di un notiziario, le fotografie scattate dei
bambini Rom e Sinti, i commenti pubblicati come post sulla pagina internet di
Trool fanno parte di un più
ampio progetto culturale, artistico, pedagogico e didattico che parte dalla
visione di un cortometraggio con inserti di cartoni animati, realizzato sempre
dall'autrice, e che ha per obiettivo la conoscenza e l'integrazione del popoli
Rom e Sinti.
Eva Ciuk utilizza lo stereotipo di Cappuccetto Rosso: lo stereotipo della
bambina graziosa, capricciosa, un po' viziata e, contro l'omologazione del
personaggio e della fiaba, lo mette a confronto con un altro Cappuccetto Rosso,
quello che è stato realmente rappresentato dai bambini Rom nel campo sfollati di
Plementine nel Kosovo, territorio sconvolto dalla recente guerra tra i Serbi e
gli Albanesi, una guerra che ha coinvolto anche le comunità Rom e Ashkaelia.
Ecco allora che la Cappuccetto Rosso romanzesca indossa una tuta di ginnastica
blu e una coroncina di fiori rossi di plastica. Ecco che la nonna non abita
nella casetta al di là del bosco, ma all'interno dello stesso campo sfollati. Il
bosco non c'è, portato via dalla guerra e dall'inquinamento. La fiaba
perraultiana viene attualizzata e così diventa strumento di conoscenza e di
lettura della realtà. "Le fiabe - scrive Italo Calvino - sono vere. Sono una
spiegazione generale della vita".
Dal confronto stridente tra i due personaggi il lettore potrà ricavare molti
spunti di riflessione. Potrà interrogarsi sulla diversità culturale, potrà
chiedersi perché non si possa passeggiare nel bosco.
La scrittura, ce lo ricorda anche Francesco D'Adamo, non deve fornire delle
risposte. Deve suscitare domande e interrogativi. Ma la Cappuccetto della fiaba,
incontrando Cappuccetto Rom, venendo a contatto con un mondo, con una realtà che
non conosceva, a poco a poco cambia le sue opinioni, modifica il suo pensiero in
un processo di formazione e di crescita che le consente di superare
l'egocentrismo e di conoscere e capire l'altro.
E il lupo? Qui il lupo è metafora dell'uomo che uccide. È metafora della guerra
e delle tante paure che durante la guerra del Kosovo hanno sofferto i bambini
Rom. Il finale è naturalmente aperto. Cappuccetto Rosso vorrebbe sistemare una
volta per tutte il Lupo, ma non è così facile: il lupo è una bestiaccia molto
furba!
Il festival dei ragazzi che leggono, la manifestazione dedicata ai piccoli
appassionati di libri e letture. I partecipanti avranno la possibilità di
conoscere autori famosi e di scoprire nuove opere letterarie, il tutto
contornato da spettacoli, animazioni e dibattiti.
Evento n. 28 - Ore 16.30, Cortile della Biblioteca Gambalunga in Via Alessandro Gambalunga, 27
PRENOTA EVENTO
IL VENTO SPETTINA IL MONDO
Incontro con Alberto Melis e Pino Petruzzelli presentati da Christian
Mascheroni, scrittore e autore televisivo
Alberto Melis e Pino Petruzzelli hanno raccontato nei libri Il ricordo che non
avevo e Non chiamarmi zingaro le loro esperienze sulla discriminazione sociale e
culturale dei popoli Rom e Sinti. Il modo migliore per raccontare ai giovani che
l'unico modo per arrivare a una convivenza civile è sviluppare la conoscenza
reciproca per vincere luoghi comuni e pregiudizi. L'incontro è aperto dai
ragazzi del progetto La merenda del lettore della Scuola Media Bertola di
Rimini.
Evento sponsorizzato da Mondadori - Ingresso € 3 - Età consigliata da 13 anni
Di Fabrizio (del 12/06/2011 @ 09:10:28, in Italia, visitato 1652 volte)
Le vicende di cronaca degli ultimi giorni (vedi
QUI ndr) hanno riportato alla ribalta la "questione rom", come se la
stessa dovesse diventare una priorità assoluta per la nuova Giunta milanese.
In realtà, il fatto accaduto due giorni fa (il grave incidente in cui ha
perso la vita un automobilista milanese), non ha alcuna relazione diretta
con la situazione sociale in cui versano le comunità rom e il tema dei campi
nomadi, su cui si attorciglia in modo forsennato ogni tentativo di ragionamento.
Eppure, ancora una volta, non solo è stato il pretesto per dare il via
all'ennesima campagna volgare e denigratoria contro la generalità degli zingari
di Milano, dimenticandosi del dolore dei parenti della vittima dell'incidente
stradale e di quelli dei giovani coinvolti, ma ha messo a nudo la povertà delle
strategie politiche e culturali degli ultimi anni.
Cosa ci aspettiamo ma, soprattutto, sapremo fare di meglio per il futuro?
Avrà il coraggio e il buon senso, il nuovo Assessore, di ripartire da un
riesame di quanto accaduto durante la Giunta Moratti e di chiedersi a cosa sono
servite la costruzione delle attuali politiche pubbliche comunali ricercando una
via diversa?
Di sicuro ripartiamo da un esito fallimentare su molti fronti: la politica
degli sgomberi senza una prospettiva di miglioramento, il peggioramento delle
condizioni sociali aggravate dall'imposizione di un patto di legalità e
socialità inefficace quanto discriminatorio, la stesura di un regolamento per i
campi comunali che andrebbe rapidamente archiviato e sostituito, la richiesta di
un utilizzo proprio, e non improprio come è avvenuto finora in gran parte, dei
finanziamenti previsti dal Piano Maroni per sostenere l'accesso alla casa e il
sostegno al lavoro.
OPERA NOMADI sezione di Milano - il Vicepresidente Maurizio Pagani
Di Fabrizio (del 11/06/2011 @ 09:02:04, in lavoro, visitato 1318 volte)
clikka sull'immagine per vedere il video
Emblematico e tagliente il titolo titolo dello spettacolo di Toni Zingaro e i suoi musicisti, messo in scena presso l'Associazione di promozione sociale
Fusolab.
Di Fabrizio (del 10/06/2011 @ 12:59:37, in media, visitato 1874 volte)
Chi vuole e se la sente, legga quest'articolo su
Livecity.it. Un pezzo talmente medioevale e ignorante, che non si saprebbe
neanche dove iniziare a rispondere, se non invitando il povero autore a
togliersi le fette di prosciutto dagli occhi, e guardare alla realtà... o
magari, se la testata fosse onesta, dare la possibilità di replica ad un
Rom.
La spiegazione di tanto astio, sta nell'ultimo pezzo di quell'articolo:
all'autore non sembra vero di aver trovato un colpevole (i Rom, tanto per
cambiare) per spiegarsi il risultato delle ultime elezioni comunali, un pezzo
che non saprei se classificare colmo di comicità o disperazione.
Salverei una frase, proprio nell'ultima parte: "Proprio con delle scelte
chiare e delle regole, su cosa sia bene e cosa sia male, si può arrivare al
punto dove tutti sono fratelli..." aggiungendovi l'augurio che facevo ad
inizio mese, che finalmente tutti i cittadini (che siano Rom oppure no)
abbiano finalmente gli stessi diritti e doveri. E quindi che se un Rom commette
un delitto, non siano tutti gli altri a doverne pagare le colpe.
Di Fabrizio (del 10/06/2011 @ 09:48:11, in casa, visitato 1448 volte)
A due mesi dal blitz nell'Asi nessuno ha provveduto a risistemare la
comunità che da 30 anni vive in quei luoghi. Giugliano, dopo lo sgombero 3 nuovi
accampamenti su terreni privati. Le associazioni mettono sotto accusa il sindaco
Pianese e la prefettura - di TIZIANA COZZI
Li hanno mandati via due mesi fa dall'area industriale Asi di Giugliano, con
la promessa di sistemarli altrove. Con le ruspe hanno buttato giù le loro
baracche vecchie di trent'anni ma i nomadi sono rimasti lì. Per sessanta giorni
hanno dormito nelle automobili, nei furgoni. Sono circa 500, 466 per
l'esattezza, hanno occupato terreni e campagne private, non si sono mossi di un
millimetro dall'area dove hanno vissuto più di un trentennio: la loro casa, più
provvisoria che mai, è intorno al centro commerciale Auchan di Giugliano, una
porzione di terreno praticamente invasa dai senzatetto nomadi. Lì vivono i rom
rimasti fuori dalle assegnazioni del piccolo campo nato nell'area industriale
Asi. Una tribù di senzatetto, tra cui 275 minori (147 tra 0 e 5 anni, 128 dai
sei ai 16 anni) costretti a sopravvivere in difficili condizioni. Nessun
servizio igienico, immersi nel fango e nella sporcizia, vivono come vagabondi
accampati in mezzo alle campagne, senza un minimo di tutela. Tre gli
accampamenti di fortuna nati su aree private che adesso i proprietari legittimi
reclamano. Due intorno all'area del centro commerciale, uno nei pressi della
stazione ferroviaria.
Una situazione di emergenza più volte segnalata al Comune e al prefetto, che
però stenta a trovare una via d'uscita. Venerdì è previsto l'incontro con il
sindaco Giovanni Pianese e con il prefetto Andrea De Martino, alla presenza di
una delegazione di nomadi e di padre Alex Zanotelli.
"È una situazione davvero grave - dice Alexander Valentino del comitato "Con i
rom" - restano lì perché ci hanno vissuto trent'anni e non sanno dove andare. Ma
ogni giorno le pattuglie di polizia li controllano, ripetono di continuo che
devono andarsene. Come è possibile che non ci sia una soluzione?". Nemmeno un
mese fa, un bimbo ha perso la vita in uno dei tre accampamenti: viveva nel
furgone con i genitori. E ora, con il caldo la situazione può soltanto
peggiorare.
La soluzione ci sarebbe: un territorio confiscato alla camorra a Quarto. "Lo
abbiamo visto assieme all'Opera Nomadi e ad una delegazione di rom - racconta
Valentino - loro erano entusiasti. Ma alla fine l'accordo non c'è stato anche
perché il terreno individuato si trova proprio al centro di una zona
residenziale con villette private. Non è esattamente il posto adatto per 500
nomadi".
Nell'attesa, ognuno si arrangia come può. Chi ha lavoro e soldi ha comperato un
camper. Gli altri hanno provato a costruirsi una baracca in legno ma la polizia
gliel'ha impedito. In tanti si sono procurati vecchie roulotte, prestate da
parenti o amici. Una situazione tale non può andare avanti per molto. In due
mesi, però, nessuno ha trovato una soluzione. "Ci incontreremo con il prefetto e
i proprietari dei suoli - spiega il sindaco di Giugliano Giovanni Pianese - ma
non ci sono molte soluzioni sul tavolo. C'è l'ipotesi Quarto oppure si può
temporeggiare nell'attesa dei provvedimenti giudiziari di sgombero. I
proprietari si sono rivolti alle autorità per far liberare i loro terreni". Un
progetto forse esiste: l'ennesimo sgombero.
Di Fabrizio (del 09/06/2011 @ 09:58:25, in casa, visitato 1564 volte)
Gazzetta di Reggio
Aggiornato il regolamento comunale sulle aree di sosta Parole di fuoco, la
Zarina si scaglia contro il centrosinistra
Cambia e si aggiorna il regolamento comunale per l'allestimento e il
funzionamento delle tre aree di sosta per i nomadi, che diventano meno campi
di sosta libera e più una sorta di "campeggio" con tariffe per la sosta e le
utenze e con maggior controlli e responsabilizzazione di chi vi risiede.
Un tema che pareva destinato a scatenare una nuova polemica tra Pd e Lega, ha
visto invece le due forze politiche votare congiuntamente le proposte di
modifica approvate dal consiglio, mentre il Pdl ha votato contro.
Diverse le motivazioni che hanno portato ad una votazione congiunta su un
argomento sollevato dalla Lega. Prima fra tutte il lavoro preparatorio in
commissione, ma poi il Pd è arrivato al sì perché il regolamento, che è del
1997, andava aggiornato. «E le modifiche approvate non fanno altro - ha detto
l'assessore al Welfare Sassi - che inserire la prassi che il Comune già applica
dal 2007».
Per la Lega invece si è trattato di una iniziativa per responsabilizzare
maggiormente i nomadi, che sono portatori di diritti e di pari doveri e debbono
essere trattati al pari degli altri cittadini. Non a caso spesso il confronto
utilizzato dalla Lega è stato quello tra i residenti delle case popolari e
quelli dei campi nomadi, per evidenziare la necessità di un principio di equità
tra tutti i cittadini.
Chi invece si è chiamata fuori dal coro, è stato l'ex sindaco Antonella
Spaggiari di Città Attiva, che ha accusato la maggioranza di aver fatto in
campagna elettorale promesse che poi non ha mantenuto come la creazione delle
micro campine e sostenendo inoltre «che la gestione e la tutela delle minoranze
si fa anche per la tranquillità della maggioranza». Per cui, ha aggiunto, la
Spaggiari, occorre un progetto e risorse da destinare in primo luogo alla
scolarizzazione delle nuove generazioni di nomadi, che questa giunta non ha.
Una critica a cui l'assessore Matteo Sassi ha risposto elencando i dati
relativi alla scolarizzazione dei nomadi nel comune di Reggio e che vedono nel
corrente anno scolastico 99 bambini frequentare la scuola elementare, 73 ragazzi
(con 9 abbandoni) alla scuola media e altri 16 (con 7 abbandoni scolastici)
frequentare le scuole superiori o di formazione. A conferma di un impegno che
sta andando avanti. Il nuovo regolamento prevede che per le utenze i contratti
siano individuali, che vi sia una responsabilità personale per i danni arrecati
alle strutture, maggiori controlli da parte della polizia municipale e maggior
attenzione per la gestione dei rifiuti nelle aree di sosta.
[...]
Roberto Fontanili
Di Fabrizio (del 08/06/2011 @ 09:44:08, in media, visitato 1362 volte)
Da
Aussie_Kiwi_Roma
Romea.cz Lukáš Houdek, Zdenka Kainarová, translated by Gwendolyn Albert
Sami Mustafa è un regista della mahala rom nel villaggio di Plemetina in
Kosovo. Il suo primo incontro con la cinematografia fu attraverso un programma
gestito in loco nel 2003 dal centro ricreativo Balkan Sunflowers. Un anno dopo
iniziò a collaborare con due compagnie di produzione, Koperativa e Quawava. Ha
diretto diversi film sulla situazione del dopoguerra dei Rom in Kosovo. Il suo
documentario "Road to Home" è stato proiettato a Cannes nel 2007, unico
film in rappresentanza del Kosovo. Mustafa ha fondato la compagnia di produzione
Romawood e dal 2009 gestisce a Pristina come direttore artistico assieme a Balkan
Sunflowers il Rolling Film Festival di film rom. Vive a Pristina con la sua
ragazza, la regista francese Charlotte Bohl. Romea.cz lo ha intervistato.
VIDEO
Sami Mustafa: Road to
Home
Welcome to Plemetina (1a
parte)
Welcome to Plemetina (2a
parte)
Come ha fatto un ragazzo come te ad uscire dalla mahala ed iniziare a fare
film?
In pratica ho iniziato a primavera 2003, quando un tizio dall'Australia è
venuto a Plemetina. Lavorava come cameraman per Sky News a Sidney. Venne in
Kosovo per collaborare con enti non-profit e condurre un laboratorio per i
giovani di Plemetina che durò tre o quattro mesi.
Era un laboratorio sulla cinematografia?
Sul fare documentari. Di base era un giornalista, cosa che si rifletteva in
ciò che insegnava, ma era brillante. Il laboratorio era una delle attività del
nostro doposcuola, una delle tante, perché andavo anche dagli scout. Sotto la
sua direzione girammo "Welcome to Plemetina", che fu accolto molto positivamente
nei festival in Europa, ed anche in Kosovo e negli USA. Il film fu il lavoro
collettivo di 13 ragazzi.
Quanti anni avevi quando hai partecipato al laboratorio?
Adesso ne ho 26, saranno 27 ad agosto. Buon dio! Beh, non importa, saranno
stati 17 o 18.
Sei uno dei pochi adolescenti di Plemetina che hanno continuato con i
film. Quel film è stato il tuo esordio?
Ho preso tutto molto seriamente. Fondamentalmente tutto ciò che faccio lo
prendo seriamente. Anche quando andavo con gli scout ne ero completamente
assorbito. Poi chi aveva gestito quel progetto ne concepirono un altro simile,
relativo al lavoro con il video. Chiesero a me e ad un amico di partecipare, ed
un anno dopo era stato fatto il mio secondo film. Un anno dopo appresi di un
altro laboratorio filmico che operava col sistema "lavora ed impara".
Fondamentalmente era un lavoro pagato durante il quale imparavi nuove cose. Il
programma durava un anno. Era anche il mio ultimo anno di superiori. Poi dovetti
decidere dove focalizzarmi e cosa lasciare. Alla fine, ho mollato gli scout. Ho
anche rinunciato a medicina, che stavo studiando nel frattempo.
Volevi fare il dottore?
No, ho solo studiato alla scuola superiore di medicina. Non c'era altra
scelta, la scuola è una delle sole due a Plemetina. L'altra è la scuola di
economia, ma non l'ho considerata perché andavo male in matematica.
Quindi non hai un'istruzione filmica?
Precisamente. Nella mia vita non c'è una scuola di film. Dopo quell'anno di
tirocinio retribuito, con i soldi guadagnati comperai una telecamera ed un
computer ed iniziai a riprendere. Feci diversi film. Uno di essi comprende la
raccolta dei miei lavori recenti, "Never Back Home". Iniziai a girarlo nel 2004.
Qual è il tema centrale del tuo lavoro?
Mi concentro soprattutto sui Rom. Faccio del mio meglio, attraverso i film,
per dimostrare il fatto che la vita attuale dei Rom in Kosovo è influenzata
significativamente dalla politica. Inoltre, faccio del mio meglio per catturare
alcuni elementi della cultura rom che stanno sparendo, anche se non partecipo
attivamente alla loro preservazione. Penso sia importante registrarli almeno su
video cassette, così che la prossima generazione di Rom e le altre nazioni
possano capire alcune cose e pensarvi.
Hai scelto questo tema centrale perché sei Rom?
Assolutamente, proprio perché sono Rom. All'inizio non sapevo niente dei Rom
in generale e non sapevo dove trovare informazioni. Non capivo perché dicevano
che siamo dell'India. Naturalmente, non avevamo internet, dove ho potuto trovare
risposte alle mie domande. Quindi ho deciso di iniziare con quello che avevo
proprio di fronte al mio naso, i Rom in Kosovo. Per cercare di capire chi
diavolo fossi, perché sono qui, perché ci chiamano zingari, per andare al fondo
del perché ci odino tanto- è nascosto, ma lo percepisci nella gente - e c'è così
tanta violenza. I film che ho iniziato a girare sono tanto per i Rom che per...
Per i gagé? [Nota del traduttore: non-Rom, può essere peggiorativo]
Hmm, non mi piace quella parola. E' una di quelle cose che devo chiarirmi.
Cosa significa davvero la parola gagio? I Rom si chiamano così tra loro, perché
significa "uomo". Chiamarti gagio significa che non sei una persona.
Pensi che i Rom ti percepiscano differentemente da un regista non-Rom
quando fai i tuoi documentari?
Penso si debbano combinare entrambe gli approcci. E' giusto capire qualcosa,
ma anche non esservi troppo coinvolto emotivamente solo perché anch'io sono Rom.
Per questo l'opinione delle persone non-Rom, delle non-persone (ride) è un bene,
ed è un bene scendere a compromessi. Faccio del mio meglio per essere neutrale,
nella misura in cui è possibile, e guardare ai problemi dei Rom attraverso occhi
differenti. Faccio del mio meglio per catturare come tutti noi vediamo queste
persone. E' molto difficile comprenderli, devi inserirti in queste situazioni,
cosa che è terribilmente dolorosa e può anche influenzare l'intera riuscita.
Pensi che entrare in una comunità rom sia più semplice per te di quanto lo
sarebbe per la tua ragazza francese Charlotte? Che tu otterresti la loro fiducia
più rapidamente di lei?
Penso che sia lo stesso. Dipende molto dalle persone che stai filmando. La
maggior parte del tempo nel mio lavoro estraggo immediatamente la macchina da
presa ed inizio a filmare, ma la risposta a ciò è ogni volta differente. La
gente che vuole parlare si muove da sé verso la videocamera parlando. Poi c'è
chi inizia ad urlarvi contro di andarvene. In quel momento non importa se sono
Rom oppure no. Al contrario, penso di essere bravo quando incontro gente con un
gran potenziale coinvolgendoli a raccontare la loro storia. Sono capace di
convincerli a farlo perché sono un Rom, e so quindi come comportarmi in queste
situazioni. Pensandoci ora, è sostanzialmente un approccio molto egoista. Li
spingi a parlare perché ne hai bisogno.
Cosa speri di ottenere con i tuoi film?
E' collegato col festival che faccio. Volevo fare film così la gente avrebbe
potuto imparare cosa succedeva qui. Oltre che con i problemi, voglio che la
gente familiarizzi con la cultura rom, col modo di vita dei Rom. Volevo anche
mostrare che i film fatti da Rom esistono. Per questo praticamente ho creato il
festival. Lo scopo principale era di raccogliere film sui Rom creati dai Rom
stessi, film che non li rappresentano o colpevoli o vittime. La selezione si
deve basare soprattutto su storie di singoli.
Come funziona il festival?
Il festival nasce nel 2009. Chiunque può aderire. Stiamo facendo del nostro
meglio per raccogliere più film possibile, per vedere che tipo di film vengono
fatti sui Rom. Poi selezioniamo i film a seconda del tema predeterminato. Il
primo anno sono stati sottoposti circa 50 film. La condizione era che si
basassero su storie personali. Un criterio era che non dovessero essere
stereotipati, in senso negativo o positivo. Enfatizziamo i film che introducono
qualcosa di nuovo. Non scegliamo film che ripetono all'infinito le solite
vecchie cose polverose. Le storie individuali vanno bene perché non
generalizzano e mostrano un caso concreto in cui una certa situazione ha
lasciato il segno.
Possono esserci soltanto registi rom?
No, è un festival con film sui Rom e film di Rom.
Quindi un Rom che ha fatto un film sulla globalizzazione potrebbe
partecipare?
Esattamente. Io stesso non ho fatto soltanto film sui Rom, sono interessato
anche su altri temi. E' per questo che mi sembra importante che i registi Rom
non debbano avere necessariamente a che fare con le tematiche rom.
Come funziona il festival? Dove si tengono le proiezioni?
Facciamo del nostro meglio per fare un buon evento culturale a Pristina, che
è il luogo principale dove ha luogo il Rolling Film Festival. Scegliamo un
cinema o un teatro che sia accessibile a tutti. Non vogliamo scegliere un luogo
che sia troppo caratterizzato - proiettare solo in posti per hippie o viceversa
solo in un posto snob. Vogliamo che tutti abbiano un'esperienza piacevole, per
questo più spesso scegliamo una via di mezzo. Oltre al festival stesso, abbiamo
un programma di corollario, chiamato "Rolling On the Road".
Proiettiamo direttamente nelle mahala dei Rom.
Perché per i Rom ordinari la proiezione di documentari dovrebbe essere
essenziale?
Quando ci siamo consultati tra noi su quelli che dovevano essere gli eventi
collaterali del festival, siamo arrivati alla conclusione che sono importanti
tutti e due - presentazioni nei cinema e presentazioni sul campo. Un buon
esempio è "American Gypsy". E' un film su una famiglia rom e descrive
la vita quotidiana dei Rom in America. La storia di quella famiglia è simile a
molte altre famiglie rom nel mondo. Condividono cultura, opinioni, tradizioni,
modi di vita simili. Quando l'ho visto ero assolutamente sbalordito, perché i
Rom in Kosovo vivono nel medesimo modo, la loro percezione delle cose è la
stessa, mantengono le identiche tradizioni. Un film simile è naturalmente
importante per chi non è Rom, ma l è anche per i Rom stessi. Possono capire
effettivamente quanto è importante la vita che vivono.
Che tipo di persone visitano il festival in Kosovo?
Vogliamo raggiungere assolutamente tutti. Per esempio, invitiamo college e
scuole superiori. Abbiamo un programma speciale per le superiori dove un comico
improvvisa dei pezzi. Racconta barzellette al pubblico mentre si proiettano
alcuni film. Ad un certo punto i film vengono interrotti così ci può essere
interazione con gli spettatori più giovani sul messaggio. Riteniamo che questo
possa costringerli a riflettere su alcune differenze. Attraverso gli scherzi
cerchiamo anche di ricordare loro alcune cose importanti che possono essere
sfuggite durante la proiezione. Oltre a Pristina il programma viene presentato
anche da altre parti in Kosovo.
Perché pensi che sia importante presentare film sui Rom al pubblico più
vasto in Kosovo?
Credo sia importante mostrare tutti i film, ma c'è una ragione in più per cui
i film rom sono importanti. Qualche anno fa, la situazione dei Rom qui era molto
differente da oggi - penso a prima della guerra, quando il 90% dei Rom lavorava
a tempo pieno. Oggi è solo lo 0,3%. Sono cambiate le relazioni con la
popolazione maggioritaria. Che è influenzata da molti pregiudizi, dalla paura
delle altre etnie che è cresciuta durante la guerra. Non riguarda solo i
pregiudizi che esistono sui Rom, ma la credenza che i Rom abbiano aiutato la
lotta contro l'etnia albanese, che non è completamente vero. Dato che c'è un
dibattito alla fine di ogni film, penso che possano influenzare le opinioni di
chi li guarda.
Dove ti vedi in futuro? Cos'è importante per te?
Questi problemi con l'etnia qui ci sono sempre stati e ci saranno. Però,
credo che queste piccole azioni di lotta contro gli stereotipi, compiute da
molte altre persone oltre a noi, sono importanti perché hanno il potere di
cambiare il punto di vista di qualcuno. Di sicuro, non cambieranno l'approccio
di tutta la società, ma anche fossero 1.000, 500 oppure almeno tre persone, si
può spingerli ad iniziare a fare qualcosa da loro stessi. Cosa voglio
personalmente dalla vita? Alla fine sono solo un ragazzo che fa film e si
diverte a farli. Talvolta buoni, talvolta cattivi. Fondamentalmente sto solo
facendo del mio meglio e continuerò a farlo per aiutare queste diverse nazioni a
raggiungere un compromesso.
Quali sono le prospettive per la vita in Kosovo?
A volte è pazzesco. Quando penso all'istruzione che ho ricevuto qui, devo
dire che non è servita a niente. C'era un insegnante alla scuola di medicina che
era lì dai tempi di Tito e non era nemmeno qualificato per svolgere il suo
lavoro. Per amor di dio, sono queste le persone che dovrebbero darci il
beneficio della loro esperienza? Un giorno potremmo avere la vita di qualcuno
nelle nostre mani! Quei quattro anni sono stati solo una catastrofe. Volevo solo
laurearli, più che altro per i miei genitori. Pensandoci adesso, probabilmente
sono uno dei pochi Rom che qui sta facendo qualcosa. Soprattutto negli ultimi
tre o quattro anni h dedicato la mia vita al festival e ai film. E' quel che
voglio fare. Ecco perché per me personalmente la vita in Kosovo offre buone
prospettive. Tuttavia, anche se amo molto il Kosovo, lo odio nel contempo.
Quando avrò dei bambini, non voglio che vivano la vita che ho vissuto, in quelle
condizioni. Qui ci sono prospettive per me come individuo, ma non per il popolo
di cui mi sento responsabile.
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