Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 03/09/2011 @ 09:52:56, in media, visitato 1449 volte)
Qualche anno fa, suggerii ad un amico un
testo (che avevo a mia volta trovato in un altro blog) del keniano Binyavanga Wainaina. Per un po' di tempo avevo usato quel pezzo per descrivere la
difficoltà di interessare i lettori raccontando la realtà al posto degli
stereotipi. La stessa persona a cui l'avevo suggerito, mi segnala che la rivista
Internazionale ha provveduto a fornirne una versione in italiano. Buona
lettura.
Come scrivere d'Africa
Nel titolo, usate sempre le parole "Africa", "nero", "safari". Nel sottotitolo,
inserite termini come "Zanzibar", "masai", "zulu", "zambesi", "Congo", "Nilo",
"grande", "cielo", "ombra", "tamburi", "sole" o "antico passato". Altre parole
utili sono "guerriglia", "senza tempo", "primordiale" e "tribale".
Mai mettere in copertina (ma neanche all'interno) la foto di un africano ben
vestito e in salute, a meno che quell'africano non abbia vinto un Nobel. Usate,
piuttosto, immagini di persone a torso nudo con costole in evidenza. Se proprio
dovete ritrarre un africano, assicuratevi che indossi un abito tipico masai,
zulu o dogon.
Nel testo, descrivete l'Africa come se fosse un paese caldo, polveroso con
praterie ondulate, animali e piccoli, minuscoli esseri umani denutriti. Oppure
caldo e umido, con popolazione di bassa statura che mangia scimmie. Non
perdetevi in descrizioni accurate, l'Africa è grande: cinquantaquattro nazioni e
novecento milioni di persone troppo impegnate a soffrire la fame, morire,
combattere o emigrare per aver tempo di leggere il vostro libro.
Il continente è pieno di deserti, giungle, altipiani, savane e molti altri
paesaggi, ma questo non interessa ai vostri lettori. Fate delle descrizioni
romantiche, evocative, senza esagerare con i dettagli.
Ricordatevi di dire che gli africani hanno la musica e il ritmo nel sangue, e
che mangiano cose che nessun altro uomo è in grado di mangiare. Non citate mai
riso, carne e grano: preferite, tra i piatti tipici del continente nero,
cervello di scimmia, capra, serpente, vermi, larve e ogni sorta di selvaggina. E
ricordatevi anche di aggiungere che voi siete riusciti a mangiare questi cibi e
anzi che avete imparato a farveli piacere.
Soggetti vietati: scene di vita quotidiana, amore tra africani,
riferimenti a scrittori o intellettuali, cenni a bambini scolarizzati che non
soffrano di framboesia, Ebola o abbiano subìto mutilazioni genitali. Nel libro
adottate un tono di voce sommesso e ammiccante con il lettore e un tono triste,
alla "era esattamente quello che mi aspettavo".
Chiarite subito che il vostro progressismo è senza macchia e dite quanto amate
l'Africa e come vi sentite in armonia con quella terra e anzi, non potete
viverne lontani. L'Africa è l'unico continente che si può amare: approfittatene!
Se siete uomini, descrivete le torride foreste vergini. Se siete donne, parlate
dell'Africa come di un uomo in giubbotto multitasche che sparisce nel tramonto.
L'Africa è da compatire, adorare o dominare. Ma qualsiasi punto di vista
scegliate, assicuratevi di dare l'impressione che senza il vostro intervento
l'Africa sarebbe spacciata.
I vostri personaggi possono essere guerrieri nudi, servitori reali, indovini,
sciamani e vecchi saggi che vivono in splendidi eremi. O ancora politici
corrotti, guide turistiche incapaci e poligame o prostitute che avete
frequentato. Il servitore reale deve avere l'atteggiamento di un bambino di
sette anni, bisognoso di una guida, che teme i serpenti e vi trascina di
continuo in oscuri complotti. Il vecchio saggio discenderà sempre da una nobile
tribù, i suoi occhi saranno cisposi e lui sarà vicino al cuore della madre
terra.
L'africano d'oggi è un grassone che lavora (e ruba) all'ufficio visti e nega
permessi di lavoro agli esperti occidentali, che hanno davvero a cuore il bene
del continente. È un nemico dello sviluppo, che ostacola gli africani buoni e
competenti che vorrebbero creare organizzazioni non governative e riserve
protette. Oppure è un intellettuale che ha studiato a Oxford ed è diventato un
serial killer di politici in doppiopetto: è un cannibale a cui piace lo
champagne di marca e sua madre è una ricca maga e guaritrice.
Non dimenticatevi di inserire nel libro la donna africana denutrita che vaga
seminuda nel campo dei rifugiati aspettando la carità dell'occidente: i suoi
figli hanno le mosche sugli occhi e gli ombelichi tondi e lei ha le mammelle
vuote e cadenti. Deve sembrare bisognosa e non deve avere né un passato né una
storia (qualsiasi digressione smorzerebbe la tensione drammatica).
Si deve lamentare ma non deve spendere una parola per sé, tranne i riferimenti
alla sua sofferenza. Inserite anche una figura femminile materna e sollecita,
dalla risata forte, che si occupa di voi e del vostro bene e chiamatela
semplicemente Mama. I suoi figli saranno tutti delinquenti.
Tutti questi personaggi dovrebbero far da contorno al vostro eroe,
aiutandolo a sembrare migliore. È lui che li può istruire, lavare, sfamare. Si
occupa di moltissimi bambini e ha visto la morte. Il vostro eroe siete voi (se
si tratta di un reportage), oppure un generoso aristocratico (o vip) straniero
pieno di fascino tragico, che ormai si è dedicato ai diritti degli animali (se
il vostro libro è di narrativa).
Tra i personaggi occidentali cattivi ci devono essere i figli dei ministri
conservatori al governo, gli afrikaners, gli impiegati della Banca mondiale.
Quando parlate dello sfruttamento esercitato dagli stranieri, citate i
commercianti cinesi e indiani e, in generale, accusate l'occidente per la
situazione del continente africano.
Cercate però di non entrare troppo nello specifico. I ritratti rapidi e
approssimativi vanno benissimo. Evitate che gli africani ridano, o educhino i
loro bambini, e non ritraeteli in circostanze frivole. Fategli dire qualcosa
d'interessante sull'impegno europeo o statunitense nel continente. I personaggi
africani dovrebbero essere pittoreschi, esotici, più grandi della vita, ma vuoti
dentro, senza contrasti, conflitti e scelte nelle loro esistenze, nessuna
profondità o desideri che confondano le idee.
Descrivete nel dettaglio i seni nudi, i genitali sottoposti a mutilazione e
quelli di grosse dimensioni. E i cadaveri. O, meglio ancora, i cadaveri nudi. E
soprattutto i cadaveri nudi in putrefazione. Ricordatevi: qualsiasi opera in cui
la gente africana sembri miserevole e ripugnante sarà vista come l'Africa
"vera", ed è proprio questo che volete sulla copertina del vostro libro. Non
fatevi troppi scrupoli in proposito: state cercando di aiutare il continente
chiedendo aiuto agli occidentali.
Il massimo tabù quando si scrive di Africa è descrivere la sofferenza e
la morte di un bianco. Anche gli animali devono essere ritratti in modo
complesso e articolato. Parlano e hanno nomi, ambizioni e desideri. Sono anche
bravi genitori: "Vedete come i leoni istruiscono i figli?", gli elefanti sono
altruisti, le femmine sono vere matriarche e i maschi dei dignitosi capibranco.
E lo stesso per i gorilla: non dite mai niente di negativo sugli elefanti o sui
gorilla. Difendeteli sempre, anche quando invadono terre coltivate, distruggono
raccolti e uccidono gli uomini. Descrivete i grandi felini con enfasi. Le iene
invece sono un bersaglio consentito e devono avere un vago accento
mediorientale.
Qualunque piccolo africano che viva nella giungla o nel deserto va descritto
sempre di buon umore. Dopo gli attivisti vip e i volontari, in Africa le persone
più importanti sono quelle che si battono per la tutela dell'ambiente. Non
offendetele. Avete bisogno che v'invitino nelle loro riserve da diecimila metri
quadrati, perché è l'unico modo a vostra disposizione per incontrare e
intervistare gli attivisti vip.
Mettere in copertina l'immagine di uno (o una) che si batte per l'ambiente, con
l'aria intrepida e lo sguardo ispirato, funziona benissimo in libreria e vi farà
vendere un sacco. Chi può essere considerato così? Be', qualsiasi bianco,
abbronzato, con vestiti tinta kaki, che almeno una volta abbia accudito un
antilope o possegga un ranch è uno (o una) che sta cercando di tutelare il ricco
patrimonio naturale dell'Africa. Quando l'intervistate, non fate domande sul
denaro; non chiedete quanti soldi ne ricava. Soprattutto, evitate qualsiasi
riferimento alla paga che dà ai suoi lavoranti.
Se vi dimenticate di citare la luce africana, i vostri lettori rimarranno
stupiti. E i tramonti. Il tramonto africano è d'obbligo. È sempre grande e rosso
e il cielo è vastissimo. Gli enormi spazi aperti e gli animali da cacciare sono
i punti focali. L'Africa è la terra degli enormi spazi aperti. Quando descrivete
la flora e la fauna, ricordatevi di dire che l'Africa è sovrappopolata.
Invece, quando il vostro protagonista si trova nel deserto o nella giungla in
mezzo agli indigeni è bene avvisare il lettore che l'Africa è stata spopolata
dall'aids e dalla guerra. Vi servirà anche un nightclub chiamato Tropicana dove
s'incontrano i mercenari, i malvagi parvenu indigeni, le prostitute, i
guerriglieri e gli esuli. In ogni caso, chiudete il vostro libro con Nelson
Mandela che dice qualcosa sugli arcobaleni e sulle speranze di rinascita. Perché
voi ci tenete.
Binyavanga Wainaina uno scrittore e giornalista keniano. Ha vinto il
Caine prize for african writing.
PS:
La vendetta (ma stavolta traducetelo voi )
Di Fabrizio (del 02/09/2011 @ 11:19:06, in media, visitato 1948 volte)
Da
British_Roma
National Union of Journalists
NUJ richiede l'accesso a Dale Farm per riferire in merito agli sgomberi
01/09/2011 - NUJ ha condannato la notizia che il Consiglio della Contea dell'Essex
intende limitare l'accesso dei media durante lo sgombero di massa dei Viaggianti
presso il sito di Dale Farm a Basildon, domani venerdì 2 settembre.
Lo sgombero può iniziare in ogni momento, ma il Consiglio non intende
spiegare e giustificare la propria intenzione di bloccare gli accessi stradali
verso il sito di Dale Farm.
Michelle Stanistreet, segretario generale NUJ, ha detto: "Il mondo ha
gli occhi puntati su Dale Farm. Osservatori delle Nazioni Unite e gente romanì
da tutta Europa hanno visitato il sito nell'Essex, dove molti residenti stanno
per affrontare uno sgombero. C'è un chiaro interesse pubblico nella storia ed il
consiglio non deve reprimere e limitare l'accesso dei media. Richiamiamo con
urgenza il consiglio a riconsiderare la propria decisione."
Jess Hurd, presidente della sezione fotografi londinesi del NUJ, ha
detto: "Questa è una grave violazione della libertà di stampa, il consiglio non
ha alcun interesse a limitare l'accesso dei media a Dale Farm. Ho coperto la
lunga campagna di lotta dei Viaggianti, la battaglia legale e la vita a Dale
Farm durante gli ultimi 5 anni. Le immagini di uno sgombero forzato di massa
potrebbero fornire una cattiva immagine del consiglio, ma questo non ha
l'autorità di ostacolare la stampa ed il controllo pubblico. La copertura dello
sgombero è una questione di diritti umani di importanza internazionale ed ai
giornalisti non deve essere impedito di compiere il loro lavoro."
NdR: la
testimonianza di chi c'era.
(cliccare sull'immagine per la visione dell'anteprima.)
Documentario girato in undici Paesi europei, vincitore del Montreal World Film
Festival. Recensione su
Montrealgazzette.com (in inglese)
Di Fabrizio (del 22/08/2011 @ 09:47:38, in media, visitato 1598 volte)
Da
British_Roma (i link sono in inglese, NDR)
Ieri sera alla TV: Bogus Beggars - by Diarmuid Doyle
Martedì 16 agosto 2011 -
Ireland’s Bogus Beggars (TV3)
è tanto falso come titolo di programma, [sintomatico] di dove sia arrivata la
televisione irlandese. Un mese di indagini sull'accattonaggio organizzato in
Irlanda, focalizzate sulla comunità rom, che sembravano determinate a provare
che [il paese] fosse al centro di una truffa su larga scala, che avrebbe
coinvolto i circoli del crimine internazionale, facendo una fortuna alle spalle
degli innocenti benefattori irlandesi.
Alla fine, il giornalista
Paul Connolly ha dovuto alzare le mani e concordare che non c'era niente di
fatto - nessuna gang, nessun Mr. Big a capo di essa, e nessuna grande somma di
denaro ottenuta dal chiedere l'elemosina in Irlanda. Ha invece trovato un mondo
di "estrema povertà, disperazione ed una comunità in lotta per la
sopravvivenza."
Capita, che si mettano mesi di lavoro in una storia e non poche risorse
nell'inchiesta, e tuttavia non c'è nessuna storia. In quelle circostanze, non la si
trasmette. Ma qualcuno a TV3, molto più in alto di Paul Connolly,
sembra aver deciso che in un modo o nell'altro ci sarebbe stata un'ora di
televisione di questo lavoro.
Il risultato è stato un disastro imbarazzante, che fa vergognare TV3. Ha
promozionato il programma dicendo che si trattava di un'esposizione
sull'accattonaggio organizzato in Irlanda, ben sapendo che non era così.
"TV3 Si Infiltra Nel Sinistro Mondo Dell'Accattonaggio Organizzato in -La
Truffa Dei Mendicanti D'Irlanda-" recitava un comunicato stampa che accompagnava
il dvd con l'anteprima, uno slogan in diretta contraddizione con ciò che il
programma rivelava e che porterà sicuramente a lettere di protesta dei
telespettatori.
Connoly ha fatto del suo meglio, ma le sue fonti originali gli hanno giocato
un brutto tiro. Tutto ciò che ha trovato è che alcuni Rom mendicano in modo
aggressivo (cosa che è contro la legge), ma due minuti in O'Connell St.
avrebbero dimostrato che anche alcuni irlandesi mendicano in modo aggressivo.
Difficilmente può dirsi giornalismo investigativo.
Dove il programma ha veramente raschiato il fondo del barile, è stato nelle
intervisti ai membri dei gruppi di estrema destra anti-immigrati - l'equivalente
del
British National Party -
che descrivevano i Rom come "sanguisughe" che non avevano niente da contribuire
alla società irlandese, e che dovrebbero essere deportati tutti, nessuno
escluso.
La decisione editoriale iniziale di coinvolgere costoro nel documentario è
stata bizzarra, ma includere ciò che avevano da dire è stato imperdonabile, dopo
che l'indagine aveva stabilito che non c'era nessun circuito criminale rom ,
nessun accattonaggio organizzato e nessun enorme profitto. Dire che il programma
è stato deludente sarebbe un eufemismo. E' stato una disgrazia.
[...]
Di Fabrizio (del 14/08/2011 @ 09:46:05, in media, visitato 2030 volte)
Si ritorna su un argomento
sollevato qualche mese fa. Se permettete alla fine voglio fare un'aggiunta.
Da
Mundo_Gitano
Cari amici,
L'anno scorso l'emissione da parte di Chanel 4 della serie "Il mio grosso
grasso matrimonio zingaro", causò un vivace dibattito tra gli attivisti rom ed i
membri delle comunità rom e viaggiante, tanto in Gran Bretagna che in
Europa. La serie, che segue la preparazione di differenti famiglie di
Traveller irlandesi nei loro preparativi per la cerimonia di matrimonio, ha
sollevato grandi controversie ed è stata accusata di rafforzare gli stereotipi e
confondere la comunità rom con quella dei Traveller irlandesi. Tuttavia, la
serie ha ottenuto un grande successo mediatico, raggiungendo oltre 8 milioni di
spettatori, e nel 2011 è iniziata la seconda stagione dello spettacolo. Sulla
base delle informazioni ricevute dai nostri amici delle organizzazioni rom
britanniche, sono già iniziate le riprese della terza stagione, ed i produttori
non hanno alcuna intenzione di cambiare titolo o contenuto dello spettacolo.
Martedì 2 agosto 2011, il canale televisivo spagnolo Antena 3 ha iniziato a
trasmetterlo in versione spagnola, col titolo "Mi gran boda gitana". Il
primo episodio ha causato grande indignazione tra i membri della comunità
spagnola, che si è impegnata in numerose attività di protesta. La mobilitazione
dei Rom spagnoli contro la programmazione è stata impressionante in tutto il
paese. E' significativo, ad esempio, che il
gruppo Facebook creato come protesta contro lo show abbia raccolto oltre 800
iscritti in soli due giorni.
La Federazione delle Associazioni Rom di Catalogna (FAGIC) ha iniziato a
denunciare lo spettacolo davanti agli enti pubblici (come la Commissione
Audiovisivi e l'ufficio del Difensore Civico), considerandolo dannoso
all'immagine della comunità rom, tanto in Europa che in Spagna. Abbiamo anche
emesso una lettera di protesta ad Antena 3, perché rinunci all'emissione dello
spettacolo.
Stiamo pertanto lanciando un appello a tutte le organizzazioni rom, sinte e
viaggianti, perché si uniscano nella lotta contro la stereotipizzazione e la
stigmatizzazione delle nostre comunità. Stiamo incoraggiando le organizzazioni
ad unirsi alla nostra protesta ed ispirare un'azione pan-europea contro la
serie. Scriveteci, per domande, commenti o
per ricevere copia della lettera inviata all'ufficio del Difensore Civico
spagnolo, e per unirvi alla nostra protesta. Vorremmo sapere quali
organizzazioni sono interessate ad unirsi a noi nel scrivere una lettera
congiunta di protesta ai produttori dello spettacolo (Firecracker Films).
Opre Roma!
Cristóbal Laso
Vice president FAGIC
Annabel Carballo
Coordinadora Tècnica de Projectes
Federació d'Associacions Gitanes de Catalunya
C/Concilio de Trento, 313 9.9
08020 Barcelona
Tlf. 93 305 10 71/Fax. 93 305 42 05
Un film che ho visto parecchie volte, sempre con piacere: Gatto nero
gatto bianco, di Kusturica.
Una volta mi è toccato pure di
doverlo presentare ad un cineforum. Mi ricordo che nell'occasione dissi che
l'allora vice-sindaco milanese, il De Corato degli sgomberi senza fine e senza
soluzioni, avrebbe dovuto vederlo. Avrebbe imparato perché in quella sua lotta
contro una delle comunità più sgarruppate della terra, era destinato a perdere
(e le successive elezioni hanno dimostrato che, almeno stavolta, avevo ragione
io e non lui).
Perché, ed il film lo mostra chiaramente tra una risata e l'altra, i Rom
si possono cacciare, picchiare, fargli di tutto... e dopo ogni batosta si
rialzano per ricominciare a far casino come se non fosse successo niente.
Ma allora dimenticai un particolare...
Vi chiedo, se conoscete il film, di far mente locale sulle scene girate
nell'ospedale, quando il nonno viene dimesso; che sono divertenti e ricche di
musica...
Apro una parentesi: qualche anno fa, passavo le notti a chattare con alcuni Rom in
Nord America. Molto più "integrati" dei loro cugini europei; cioè, il
razzismo, si sa, c'è anche lì (e la serie televisiva di cui
si parlava mesi fa è
solo uno dei tanti esempi), ma per loro è più facile passare inosservati.
Discorrevo spesso con una coppia di questi Rom: vivevano in Florida, lei
infermiera, lui capocantiere; per loro (come per molti americani) vivere in un
motorhome, magari grande come casa mia, non è una cosa scandalosa come in
Italia. Una sola volta mi sono preoccupato veramente: quando sulla Florida s'è
scatenato un uragano, e mi immaginavo il loro camper come un fuscello in balia
della natura.
Fine della parentesi. Lei una volta mi raccontava di un episodio trasmesso
in un canale televisivo: era ambientato in un ospedale (ricordatevi che è
un'infermiera) e narrava dell'amante di un capo zingaro lì ricoverata. Questa
mia amica mi descriveva scandalizzata le scene dove si vedevano moltitudini di
gente malmessa che correva su e giù per i corridoi dove "naturalmente" sparivano
borsette e portafogli, il parcheggio dell'ospedale trasformato in un campo sosta
"all'europea" con i fuochi accesi, i balli, il bere, i panni stesi... E poi la
mia amica sbottava: "Ma cosa credono, che viviamo come in un film di Kusturica?!?!"
A me quei film continuano a piacere ma, se permettete, volevo mettervi
in guardia: attenzione che il razzismo e i pregiudizi non sempre viaggiano sulle
tinte forti e becere. A volte possono far capolino anche dietro le migliori
intenzioni o le menti più brillanti.
Di Fabrizio (del 10/08/2011 @ 09:50:04, in media, visitato 1285 volte)
Vol spécial: un documentario contro le politiche di Blocher
Segnalazione di Silvana Calvo
Ticino
Libero
Una triste realtà che suscita seri dubbi sulla purezza svizzera in materia di
diritti umani, un documentario che denuncia le politiche gli effetti delle
politiche restrittive in materia di rifugiati
Vol spécial è un documentario di denuncia girato in Svizzera da Fernand Melgar,
regista approdato al festival già diversi anni fa con La vallée de la jeunesse
(2005), dimostratosi anche in passato attento alle problematiche concernenti gli
individui extracomunitari: alle tematiche di quest'opera possiamo accostare
Classe d'Acqueil (1998), Remue-ménage (2002) e Exit,le droit de morir (2005),
anch'essi documentari a sfondo sociale.
Il connubio con la Climage, associazione a favore di un cinema impegnato di cui
lo stesso regista è membro, si dimostrò vincente proprio a Locarno con La
fortesse (2008), indagine sulle difficoltà dei profughi in Svizzera, che vinse
il Pardo d'oro Cineasti e rappresentò per il regista l'incipit di una
riflessione sociale che continua in Vol spécial.
La produzione ha proposto la proiezione come anteprima mondiale a Locarno,
associandosi alla speranza del regista di toccare con maggior forza il pubblico:
Fernand Melgar in un'intervista afferma infatti che la presenza al festival di
Locarno rappresenta un opportunità per comprendere il grido d'aiuto dei 150 mila
richiedenti d'asilo presenti in Svizzera.
Melgar nella conferenza stampa tenutasi dopo la proiezione ha aspramente
criticato la "politica xenofoba" dell'UDC e la propoganda di forte impatto
visivo: ne sono un palese esempio i recenti cartelloni anti-immigrazione, citati
dallo stesso regista.
Le riprese di Vol spécial, concentrate sulla dimensione intima dei personaggi,
si prefiggono lo scopo di denunciare il trattamento disumano al quale vengono
sottoposti gli stranieri scoperti senza permesso di soggiorno, e si svolgono
quasi interamente all'interno della prigione di Frambois, edificio situato a
Ginevra e adibito alla reclusione di coloro che risiedono illegalmente sul suolo
elvetico.
All'interno di questo carcere non vivono criminali, ma perlopiù uomini
legalmente immacolati che non hanno più il diritto di risiedere dentro i confini
del territorio elvetico: Frambois è solo la tappa di un percorso che, per la
maggior parte dei detenuti, si concluderà con un rimpatrio forzato.
Il documentario racconta le storie e la quotidianità di queste persone senza
risparmiare niente: paure ed angoscie vengono mostrate in tutta la loro
crudezza, offrendoci una visione coerente della realtà.
La reclusione dei prigionieri viene in parte alleviata dalla solidarietà
reciproca e dal sostegno morale di coloro che dirigono e gestiscono il carcere,
ma questi nulla possono contro l'imperante burocrazia e di conseguenza la loro
sincera umanità non è sufficiente: per la legge sono prigionieri alla stregua di
veri e propri criminali.
La prospettiva di poter venire cacciati dalla Svizzera in qualsiasi momento
getta questi uomini in una frustazione continua: costretti ad abbandonare lavoro
e famiglia per ripartire da zero in paesi dove la possibilità di costruirsi un
futuro è scarsa, senza contare che potrebbero non essere ben accetti di rientro
nel loro paese natio.
Solo la morte di un detenuto, deceduto a causa del brutale trattamento operato
dalla polizia durante il trasporto per il rimpatrio, riesce a scuotere la
situazione: vengono promessi cambiamenti, ma ormai non ci crede più nessuno.
Senza dubbio angosciante, Vol spécial fa leva sulla sofferenza emotiva per
divulgare una realtà sconosciuta a molti. Documentario crudo e senza fronzoli,
riesce a coinvolgere emotivamente il pubblico grazie all'approccio adottato dal
regista: la naturalezza dei detenuti è stata ottenuta grazie al legame intimo
ch'egli ha voluto instaurare con loro già mesi prima dell'inizio delle riprese.
Melgar è convinto e convince, ma sopratutto emoziona: le persone presenti nel
documentario vengono presentate per quello che sono, e di conseguenza i loro
sentimenti sono di una concretezza disarmante, che permette di staccarsi
dall'ottica puramente cinematografica a fronte di una riflessione intima.
Importante anche il ruolo dei secondini, la cui rassegnazione alla legge voluta
proprio dal loro popolo si contrappone in modo molto forte con l'umanità che
essi trasmettono, che, come afferma il regista, rende Frambois un posto in
completa antitesi con il carcere di Zurigo.
Il messaggio di burocrazia fredda e stupida viene trasmesso in modo drammatico:
i secondini sono consapevoli dei risvolti decisamente negativi del rimpatrio
forzato, ma sono costretti ad essere falsamente ottimisti, vergognandosi e
deludendo i detenuti.
Seppur intensi, i dialoghi non sono numerosi, ma vengono ampiamente compensati
dall' importanza che il documentarista ha voluto imprimere alle scene ed alle
espressioni di muta sofferenza dei carcerati.
Un'ampio spazio viene inoltre dato alla vita quotidiana della prigione:
solidarietà e speranza emergono nel corso di tutto il documentario ma si
alternano con una rabbia nei confronti di un paese che, come afferma tristemente
ironico uno dei reclusi, tutela meglio un cane rispetto ad uno straniero.
Questo documentario non va capito, va semplicemente visto: il messaggio traspare
in ogni scena ed esplode nella canzone di uno dei detenuti, che incita con la
musica raggae a riporre fiducia in ogni uomo ed a restare uniti per resistere ad
una burocrazia sempre più impersonale.
Secondo molti addetti ai lavori questo film merita, se non di vincere,
almeno di essere visto. Anche Giancarlo Zappoli, durante la conferenza
stampa di Castellinaria di stamane, l'ha citato elogiandolo. Sicuramente è
un documentario con una visione intimistica, che punta sulle emozioni, ma
fortemente politico. Nel momento in cui a Locarno, così come nel resto del
Ticino e della Svizzera, stanno apparendo i cartelloni pubblicitari
dell'UDC, che incitano a fermare l'immigrazione di massa, al concorso
internazionale è presente questo documentario che vuole denunciare gli
effetti disumani delle politiche "anti-rifugiati" del partito di Blocher.
Siamo più o meno certi che il tribuno di Zurigo non apprezzerà questo
documentario, e non è escluso che i democentristi polemizzino contro "Vol
spécial", che di fatto è una delle opere cinematografiche che più di altri
ha saputo denunciare la regressione della politica d'asilo svizzera.
alce
Di Fabrizio (del 09/08/2011 @ 09:52:49, in media, visitato 1325 volte)
Rainews - Boicottaggio sul web [...]
Diego Abatantuono in "Cose dell'altro mondo"
Roma, 04-08-2011 "Conviviamo con i fondamentalisti islamici, gli zingari, i
fancazzisti albanesi: prendete il cammello e andate a casa" urla Diego
Abatantuono dallo studio della sua tv locale di un paese del Nord Est, da dove
predica un mondo senza extracomunitari.
E quando quel giorno paradossalmente arriva, chiudono i bar, le aziende non
vanno avanti, le case sono sporche e sembra ci sia una guerra in corso. La
situazione si fa cosi' pesante che Abatantuono non puo' che pregare: "falli
tornare indietro tutti". E' il trailer di Cose dell'altro mondo di Francesco
Patierno, atteso a Controcampo italiano alla Mostra del cinema di Venezia (31
agosto - 10 settembre), in sala da Medusa il 3 settembre.
Ma i veneti, alcuni di loro s'intende, si scatenano sul web. "Boicottate questo
film diffamatorio e razzista" scrive un utente. Frasi come "Voi italiani non
siete stato in grado di integrarvi con i Veneti perche' non riuscite a
comprenderli, perche' troppo diversi culturalmente da voi" oppure "Abatantuono
attore da quattro soldi" o "film finanziato con 1,3 milioni di euro dallo Stato
e hanno anche il coraggio di deridere i Veneti che li finanziano
(involontariamente)" si leggono nei post su YouTube dove lo stesso trailer di
Cose dell'altro mondo raccoglie piu' 'non mi piace' di 'mi piace'. E anche sulla
stampa locale, da giorni, c'e' "attenzione" sul film.
Prima delle riprese, per il film che vede protagonista l'inedita coppia
Abatantuono-Valerio Mastandrea, con Valentina Lodovini, c'erano stati problemi.
"All'ultimo momento il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo della Lega Nord aveva
negato i permessi per girare li', fortunatamente concessi dal sindaco di Bassano
del Grappa Stefano Cimatti", ricorda all'ANSA il regista Patierno che aggiunge:
"non vedo l'ora che il film venga visto".
"Ironia e cinismo sono le caratteristiche di questa commedia 'cattiva' -
aggiunge Patierno - ma se prima ancora di vedere il film c'e' tutto questo
rumore, evidentemente ci sono dei nervi scoperti e non e' certo colpa mia". Al
centro della storia, sceneggiata dallo stesso Patierno con Diego De Silva e
Giovanna Koch, liberamente ispirata al film A day without a mexican di Sergio
Arau e Yareli Arizmendi, "c'e' una riflessione, a volte piu' che ironica, sul
concetto di integrazione. Che io l'abbia ambientata in Veneto si spiega: e' la
regione con piu' alta percentuale di immigrati con permesso di soggiorno".
Per Patierno, che rivendica di essere per meta' veneto, "queste polemiche
preventive sono strumentali. A monte c'e' che in questo paese c'e' sempre troppa
ideologia e vorrei che una volta visto il film si potesse cambiare idea. Cose
dell'altro mondo e' molto trasversale e non e' classificabile politicamente,
parla di una storia di fantasia, ma che non guarda in faccia a nessuno su un
argomento serio, come l'integrazione, raccontato in modo non serioso. Non a caso
- conclude Patierno - la coppia protagonista, Abatantuono e Mastandrea, e' di
quelle che fanno ridere ma capaci anche di passare un secondo dopo dalla
commedia al dramma". Prodotto da Marco Poccioni e Marco Valsania per Rodeo Drive
(in collaborazione con Medusa e Sky Cinema), ha avuto anche il riconoscimento di
film di interesse culturale nazionale dal ministero per i Beni culturali.
Di Fabrizio (del 06/08/2011 @ 09:41:05, in media, visitato 3508 volte)
Altro articolo illuminante del
Giornale. Non solo per il razzismo sparso a piene mani (ho il sospetto che sia un loro marchio di fabbrica):
"Dormono dove capita. Mangiano sui marciapiedi. Trasformano le strade
in discariche a cielo aperto. Di giorno, fanno la spola tra la stazione
Garibaldi e i semafori che smistano le auto di passaggio davanti al cimitero
Monumentale: chiedono la carità, indispettiscono i più spruzzando
una brodaglia grigiastra con l’intento di lavare i vetri, fanno sparire
velocemente i portafogli dalle tasche dei pendolari in attesa che arrivi la
metropolitana, mandano i più piccoli a tampinare gli anziani che escono dal
supermercato. Di notte, invece, prendono possesso degli angoli dimenticati
dall'amministrazione comunale: si ubriacano di birra, pretendono l’obolo da
chi cerca un parcheggio prima di andare in discoteca, davanti allo storico
Radetzky Café le donne trascinano i figli svogliati nel tentativo di
impietosire chi, tra uno spritz e l'altro, fa l'aperitivo. Milano come Rio
de Janeiro. È questa la favela in salsa meneghina, dimenticata dal
neosindaco Giuliano Pisapia e che spaventa sempre più i residenti."
Ma soprattutto per alcune ragioni, che sfuggono a chi non sia milanese:
- quella che l'autore chiama "la zona più «fashion» della città",
altro non è che la principale piazza di spaccio cittadina, dove una
malintesa "movida" rende invivibile la notte ai residenti. Solo che è a due
passi dal centro direzionale, non in qualche malfamata periferia, ed allora
è meglio star zitti. Tanto più che i locali notturni sono cresciuti come
funghi, grazie alla compiacenza (e probabilmente l'interessamento) di noti
politici locali e nazionali della passata maggioranza.
- ignoro l'età dell'autore (QUI
il suo profilo Facebook), ma ricordo, 20/15 anni fa, che proprio in quella
zona c'erano diversi micro accampamenti dei primi Rom rumeni. Anche allora
c'erano cantieri e luoghi abbandonati. La speculazione edilizia li allontanò
e si sparsero in giro per la città. Allora c'era il centro-destra al governo
cittadino, che sia un'amnesia voluta?
- i comportamenti dei Rom di allora erano (purtroppo) simili a quelli
descritti oggi, non mi piace la facile demagogia. La differenza è che allora
a "pagare la vicinanza" erano semplici cittadini in odore di sfratto, ora
sono i fighetti cocainomani di corso Como. Che sia questa la ragione di
tanta rabbia?
- Pisapia può piacere o meno, ma cosa c'entri in una situazione che, a
causa della politica degli sgomberi, si ripresenta ciclicamente, non riesco
a capirlo. O no?
Ieri: il dovuto
CONTRAPPASSO!
Di Fabrizio (del 29/07/2011 @ 14:19:11, in media, visitato 1973 volte)
sabato 30 luglio · 7.30 - 8.30 RAI 3 e in replica su raitv nei 6 giorni
successivi
SCIARA Film Production/Media Design presenta
IMMAGINARIO ROM: ARTISTI CONTRO
un documentario di Domenico Distilo, produzione SCIARA
Alcuni artisti contemporanei Rom a Budapest, utilizzano l’arte come strumento
per sottoporre a critica e ribaltare l’immagine che la cultura maggioritaria e i
media europei hanno costruito intorno alla minoranza Rom. L’arte contemporanea
Rom in Ungheria diviene pertanto uno strumento di lotta politica in un contesto
razzista, connotato dalla presenza minacciosa di gruppi paramilitari xenofobi
legati a movimenti di estrema destra.
Trailer "Immaginario Rom, artisti contro"
Sciara Film Production/Media Design
stampa@sciara.net
Di Fabrizio (del 26/07/2011 @ 09:35:49, in media, visitato 1501 volte)
Capisco che la mia domanda può sembrare retorica, ma ieri l'altro, con
l'incendio della stazione Tiburtina ancora in corso, i media hanno prima
ventilato che la responsabilità dipendesse da un attentato dei NOTAV e a sera
davano la colpa ad un furto di rame da parte (naturalmente!) di Rom. Per
stavolta si sono dimenticati degli estremisti islamici...
Il tutto mentre l'attentato di Oslo viene comunemente attribuito al gesto di
"un pazzo". E non mi è chiaro perché, se fossero stati musulmani sarebbe stata
strategia del terrore con collegamenti internazionali, se l'attentatore è
cristiano lui debba essere l'unico responsabile, e pure fuori di testa.
La domanda è, quindi, vi fidate ancora di questo mondo dell'informazione?
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