Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località
Di Fabrizio (del 10/08/2011 @ 09:50:04, in media, visitato 1285 volte)
Vol spécial: un documentario contro le politiche di Blocher
Segnalazione di Silvana Calvo
Ticino
Libero Una triste realtà che suscita seri dubbi sulla purezza svizzera in materia di
diritti umani, un documentario che denuncia le politiche gli effetti delle
politiche restrittive in materia di rifugiati
Vol spécial è un documentario di denuncia girato in Svizzera da Fernand Melgar,
regista approdato al festival già diversi anni fa con La vallée de la jeunesse
(2005), dimostratosi anche in passato attento alle problematiche concernenti gli
individui extracomunitari: alle tematiche di quest'opera possiamo accostare
Classe d'Acqueil (1998), Remue-ménage (2002) e Exit,le droit de morir (2005),
anch'essi documentari a sfondo sociale.
Il connubio con la Climage, associazione a favore di un cinema impegnato di cui
lo stesso regista è membro, si dimostrò vincente proprio a Locarno con La
fortesse (2008), indagine sulle difficoltà dei profughi in Svizzera, che vinse
il Pardo d'oro Cineasti e rappresentò per il regista l'incipit di una
riflessione sociale che continua in Vol spécial.
La produzione ha proposto la proiezione come anteprima mondiale a Locarno,
associandosi alla speranza del regista di toccare con maggior forza il pubblico:
Fernand Melgar in un'intervista afferma infatti che la presenza al festival di
Locarno rappresenta un opportunità per comprendere il grido d'aiuto dei 150 mila
richiedenti d'asilo presenti in Svizzera.
Melgar nella conferenza stampa tenutasi dopo la proiezione ha aspramente
criticato la "politica xenofoba" dell'UDC e la propoganda di forte impatto
visivo: ne sono un palese esempio i recenti cartelloni anti-immigrazione, citati
dallo stesso regista.
Le riprese di Vol spécial, concentrate sulla dimensione intima dei personaggi,
si prefiggono lo scopo di denunciare il trattamento disumano al quale vengono
sottoposti gli stranieri scoperti senza permesso di soggiorno, e si svolgono
quasi interamente all'interno della prigione di Frambois, edificio situato a
Ginevra e adibito alla reclusione di coloro che risiedono illegalmente sul suolo
elvetico.
All'interno di questo carcere non vivono criminali, ma perlopiù uomini
legalmente immacolati che non hanno più il diritto di risiedere dentro i confini
del territorio elvetico: Frambois è solo la tappa di un percorso che, per la
maggior parte dei detenuti, si concluderà con un rimpatrio forzato.
Il documentario racconta le storie e la quotidianità di queste persone senza
risparmiare niente: paure ed angoscie vengono mostrate in tutta la loro
crudezza, offrendoci una visione coerente della realtà.
La reclusione dei prigionieri viene in parte alleviata dalla solidarietà
reciproca e dal sostegno morale di coloro che dirigono e gestiscono il carcere,
ma questi nulla possono contro l'imperante burocrazia e di conseguenza la loro
sincera umanità non è sufficiente: per la legge sono prigionieri alla stregua di
veri e propri criminali.
La prospettiva di poter venire cacciati dalla Svizzera in qualsiasi momento
getta questi uomini in una frustazione continua: costretti ad abbandonare lavoro
e famiglia per ripartire da zero in paesi dove la possibilità di costruirsi un
futuro è scarsa, senza contare che potrebbero non essere ben accetti di rientro
nel loro paese natio.
Solo la morte di un detenuto, deceduto a causa del brutale trattamento operato
dalla polizia durante il trasporto per il rimpatrio, riesce a scuotere la
situazione: vengono promessi cambiamenti, ma ormai non ci crede più nessuno.
Senza dubbio angosciante, Vol spécial fa leva sulla sofferenza emotiva per
divulgare una realtà sconosciuta a molti. Documentario crudo e senza fronzoli,
riesce a coinvolgere emotivamente il pubblico grazie all'approccio adottato dal
regista: la naturalezza dei detenuti è stata ottenuta grazie al legame intimo
ch'egli ha voluto instaurare con loro già mesi prima dell'inizio delle riprese.
Melgar è convinto e convince, ma sopratutto emoziona: le persone presenti nel
documentario vengono presentate per quello che sono, e di conseguenza i loro
sentimenti sono di una concretezza disarmante, che permette di staccarsi
dall'ottica puramente cinematografica a fronte di una riflessione intima.
Importante anche il ruolo dei secondini, la cui rassegnazione alla legge voluta
proprio dal loro popolo si contrappone in modo molto forte con l'umanità che
essi trasmettono, che, come afferma il regista, rende Frambois un posto in
completa antitesi con il carcere di Zurigo.
Il messaggio di burocrazia fredda e stupida viene trasmesso in modo drammatico:
i secondini sono consapevoli dei risvolti decisamente negativi del rimpatrio
forzato, ma sono costretti ad essere falsamente ottimisti, vergognandosi e
deludendo i detenuti.
Seppur intensi, i dialoghi non sono numerosi, ma vengono ampiamente compensati
dall' importanza che il documentarista ha voluto imprimere alle scene ed alle
espressioni di muta sofferenza dei carcerati.
Un'ampio spazio viene inoltre dato alla vita quotidiana della prigione:
solidarietà e speranza emergono nel corso di tutto il documentario ma si
alternano con una rabbia nei confronti di un paese che, come afferma tristemente
ironico uno dei reclusi, tutela meglio un cane rispetto ad uno straniero.
Questo documentario non va capito, va semplicemente visto: il messaggio traspare
in ogni scena ed esplode nella canzone di uno dei detenuti, che incita con la
musica raggae a riporre fiducia in ogni uomo ed a restare uniti per resistere ad
una burocrazia sempre più impersonale.
Secondo molti addetti ai lavori questo film merita, se non di vincere,
almeno di essere visto. Anche Giancarlo Zappoli, durante la conferenza
stampa di Castellinaria di stamane, l'ha citato elogiandolo. Sicuramente è
un documentario con una visione intimistica, che punta sulle emozioni, ma
fortemente politico. Nel momento in cui a Locarno, così come nel resto del
Ticino e della Svizzera, stanno apparendo i cartelloni pubblicitari
dell'UDC, che incitano a fermare l'immigrazione di massa, al concorso
internazionale è presente questo documentario che vuole denunciare gli
effetti disumani delle politiche "anti-rifugiati" del partito di Blocher.
Siamo più o meno certi che il tribuno di Zurigo non apprezzerà questo
documentario, e non è escluso che i democentristi polemizzino contro "Vol
spécial", che di fatto è una delle opere cinematografiche che più di altri
ha saputo denunciare la regressione della politica d'asilo svizzera.
Roma, 04-08-2011 "Conviviamo con i fondamentalisti islamici, gli zingari, i
fancazzisti albanesi: prendete il cammello e andate a casa" urla Diego
Abatantuono dallo studio della sua tv locale di un paese del Nord Est, da dove
predica un mondo senza extracomunitari.
E quando quel giorno paradossalmente arriva, chiudono i bar, le aziende non
vanno avanti, le case sono sporche e sembra ci sia una guerra in corso. La
situazione si fa cosi' pesante che Abatantuono non puo' che pregare: "falli
tornare indietro tutti". E' il trailer di Cose dell'altro mondo di Francesco
Patierno, atteso a Controcampo italiano alla Mostra del cinema di Venezia (31
agosto - 10 settembre), in sala da Medusa il 3 settembre.
Ma i veneti, alcuni di loro s'intende, si scatenano sul web. "Boicottate questo
film diffamatorio e razzista" scrive un utente. Frasi come "Voi italiani non
siete stato in grado di integrarvi con i Veneti perche' non riuscite a
comprenderli, perche' troppo diversi culturalmente da voi" oppure "Abatantuono
attore da quattro soldi" o "film finanziato con 1,3 milioni di euro dallo Stato
e hanno anche il coraggio di deridere i Veneti che li finanziano
(involontariamente)" si leggono nei post su YouTube dove lo stesso trailer di
Cose dell'altro mondo raccoglie piu' 'non mi piace' di 'mi piace'. E anche sulla
stampa locale, da giorni, c'e' "attenzione" sul film.
Prima delle riprese, per il film che vede protagonista l'inedita coppia
Abatantuono-Valerio Mastandrea, con Valentina Lodovini, c'erano stati problemi.
"All'ultimo momento il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo della Lega Nord aveva
negato i permessi per girare li', fortunatamente concessi dal sindaco di Bassano
del Grappa Stefano Cimatti", ricorda all'ANSA il regista Patierno che aggiunge:
"non vedo l'ora che il film venga visto".
"Ironia e cinismo sono le caratteristiche di questa commedia 'cattiva' -
aggiunge Patierno - ma se prima ancora di vedere il film c'e' tutto questo
rumore, evidentemente ci sono dei nervi scoperti e non e' certo colpa mia". Al
centro della storia, sceneggiata dallo stesso Patierno con Diego De Silva e
Giovanna Koch, liberamente ispirata al film A day without a mexican di Sergio
Arau e Yareli Arizmendi, "c'e' una riflessione, a volte piu' che ironica, sul
concetto di integrazione. Che io l'abbia ambientata in Veneto si spiega: e' la
regione con piu' alta percentuale di immigrati con permesso di soggiorno".
Per Patierno, che rivendica di essere per meta' veneto, "queste polemiche
preventive sono strumentali. A monte c'e' che in questo paese c'e' sempre troppa
ideologia e vorrei che una volta visto il film si potesse cambiare idea. Cose
dell'altro mondo e' molto trasversale e non e' classificabile politicamente,
parla di una storia di fantasia, ma che non guarda in faccia a nessuno su un
argomento serio, come l'integrazione, raccontato in modo non serioso. Non a caso
- conclude Patierno - la coppia protagonista, Abatantuono e Mastandrea, e' di
quelle che fanno ridere ma capaci anche di passare un secondo dopo dalla
commedia al dramma". Prodotto da Marco Poccioni e Marco Valsania per Rodeo Drive
(in collaborazione con Medusa e Sky Cinema), ha avuto anche il riconoscimento di
film di interesse culturale nazionale dal ministero per i Beni culturali.
Lettera aperta di
Paul Polanskyin risposta alla dichiarazione dell'ambasciatore Ian Kelly,
Missione USA c/o l'OCSE, riguardo al genocidio dei Rom [...] (QUI
la dichiarazione in inglese dell'ambasciatore, ndr)
31 luglio 2011, Spettabile Ambasciatore Kelly,
Mi congratulo per i suoi sforzi di portare l'attenzione sulla difficile
situazione degli zingari europei (Rom, Sinti, Kalè, Sinkali, Askali ed Egizi)
nel suo discorso commemorativo al Consiglio OCSE di Vienna lo scorso 28
luglio. Non dovrà mai essere dimenticato cosa accadde ai 2.897 Rom e Sinti
quella notte tra il 2 e il 3 agosto ad Auschwitz, e sempre dovrà essere
commemorato.
Tuttavia, enfatizzare cosa accadde agli zingari europei durante la II guerra
mondiale, come lei ha fatto durante il suo discorso, distrae dall'attuale
situazione. Nella maggior parte dell'Europa durante la II guerra mondiale gli
zingari non vennero sistematicamente messi all'indice come gli Ebrei (almeno,
non sul campo), per quanto non ci siano dubbi che la maggior parte degli zingari
soffrì aspre persecuzioni.
Così ho raccolto, filmato e pubblicato molte storie orali dai sopravvissuti
zingari della II guerra mondiale, che altri studiosi hanno messo insieme. Dalle
registrazioni dei censimenti prima e dopo della guerra, e soprattutto dalle
testimonianze dei sopravvissuti, risulta che il 90% degli zingari europei scampò
alla II guerra mondiale.
Ovviamente, lei non è il solo a dichiarare che centinaia di migliaia di
zingari furono liquidati durante la II guerra mondiale. Uno studioso romanì ha
addirittura pubblicato che oltre 3.000.000 di Rom (sic) furono uccisi tra il
1939 e il 1945. Censimenti, registrazioni locali e della polizia dimostrano che
non c'erano così tanti zingari in Europa prima della guerra. E la demografia
dimostra che non potrebbero esserci oggi in Europa tra i 10 e i 12 milioni di
zingari, se centinaia di migliaia fossero stati liquidati come lei ed altre
persone uniformate (ma in buona fede) suggerite.
Ho intervistati sopravvissuti zingari alla II guerra mondiale in 17 paesi,
inclusi sopravvissuti ad Auschwitz, Jasenovac, Lety, e tutti i campi di
concentramento nei Balcani. Non ci sono dubbi che alcune comunità zingare,
specialmente nell'Europa orientale, furono completamente sterminate (soprattutto
dai fascisti locali le cui comunità continuano oggi ad impegnarsi in attacchi
razzisti). Ma la maggior parte degli zingari sopravvisse alla II guerra
mondiale, mentre nessuno dei loro vicini ebrei ritornò.
Per esempio, prima della II guerra mondiale la città di Bitola aveva le più
grandi comunità ebree e zingare della Macedonia. Durante la guerra tutti gli
ebrei vennero uccisi, mentre nessuno zingaro perse la sua vita per mano degli
occupanti.
A Nish, Serbia, dove i tedeschi costruirono il loro primo campo di
concentramento nei Balcani, tutti gli ebrei eccetto uno vennero ammazzati
durante la guerra. Dopo la guerra, c'erano ancora circa 4.500 zingari su di una
popolazione pre-bellica di circa 5.000.
Ciò che successe a Nish è tipico di cosa accadde in tutta l'Europa orientale
(eccetto alcune tragiche eccezioni). Ai giovani idonei al lavoro venne chiesto
di lavorare volontariamente nelle fabbriche in Germania, quanti rifiutarono
vennero in seguito trasportati nei campi di lavoro forzato, dove molti
sopravvissero alla guerra. I più anziani, considerati non abili al lavoro,
vennero trattenuti come ostaggi (assieme ai locali serbi), e fucilati 100 alla
volta quando un soldato tedesco veniva ucciso dalla resistenza del posto. Dato
che nei quartieri zingari erano rimasti pochi uomini adulti, i soldati tedeschi
ubriachi spesso vi si avventuravano di notte in cerca di donne da violentare. Le
storie su come le donne zingare salvarono se stesse e protessero le loro figlie,
rivelano come le comunità zingare sopravvissero contro ogni previsione.
Prima della guerra, specialmente nei Balcani, molte case di ebrei avevano
almeno una donna zingara che vi lavorava come domestica a tempo pieno. Molte
donne zingare si trovavano in case ebree quando i tedeschi vennero a
rastrellarli. Devo ancora sentire da qualche sopravvissuto che una donne delle
pulizie, una cuoca o una lavandaia zingare fossero state portate via assieme
alle loro famiglie ebree.
Gli studiosi che hanno seriamente indagato sull'"Olocausto zingaro" della II
guerra mondiale non riescono a provare oltre 125.000 morti. Naturalmente, le
cifre non significano niente di fronte alle tragedie e persecuzioni patite dagli
zingari.
Nelle mie interviste sulla storia orale, ho sempre chiesto ai sopravvissuti
quando avessero sofferto di più durante la loro vita: prima o dopo la guerra, o
sotto il comunismo? Quasi senza eccezione i sopravvissuti alla II guerra
mondiale hanno dichiarato che il peggior periodo della loro vita è adesso. E che
con ciò non intendono solo per loro, ma anche per figli e nipoti.
Questa è la vera tragedia. Dopo 66 anni la più grande minoranza europea si
sente ancora perseguitata con poche speranze di un futuro migliore.
Ambasciatore Kelly, è molto ironico (almeno per me) che lei abbia dato il suo
discorso commemorativo davanti all'OCSE, che così spesso ha chiuso gli occhi
sulle sofferenze degli zingari nell'Europa dell'est. All'OCSE piace far
rimbombare dai tamburi della propaganda, che loro stanno insegnando tolleranza e
cittadinanza agli zingari (si suppone per salvarli dalla loro situazione) e
stanno tenendo conferenze su di loro. Ma in verità, spesso l'OCSE demonizza gli
zingari (almeno in Kosovo).
Non è un caso che il nuovo segretario generale dell'OCSE, Lamberto Zannier,
ex governatore ONU del Kosovo (vedi
QUI, ndr) rifiutò di ascoltare gli appelli dall'OMS, Human Rights Watch
ed innumerevoli altre organizzazioni internazionali di evacuare e curare
immediatamente centinaia di Rom e Askali nei campi rom costruiti su terreni
contaminati, dove ogni bimbo nasceva con danni irreversibili al cervello? Anche
se la stampa (BBC compresa) riportava che questi bambini Rom/Askali avevano i
più alti livelli di piombo nella storia della letteratura medica, Zannier ancora
rifiutò di evacuare, per quanto ci fossero precedenti in Kosovo quando l'ONU
rimosse forzatamente Albanesi e Serbi dalle loro case, visto che si supponeva
che le loro vite fossero a rischio a causa di circostanze pericolose.
Dal 1999 sino ad oggi, l'OCSE in Kosovo ha rimproverato agli zingari di
essere colpevoli per la loro situazione, nonostante l'evidenza del contrario.
Thomas Hammarberg, commissario del consiglio d'Europa per i Diritti Umani, ha
pubblicamente dichiarato che quella dei Rom e gli Askali del Kosovo nei campi a
Mitrovica nord, è stata la peggior tragedia dei diritti umani in Europa
dell'ultimo decennio. L'OCSE pubblicamente è rimasta in silenzio su questa
tragedia. In privato, continuano a rimproverare i Rom della loro tragedia.
Come ambasciatore americano presso l'OCSE, spero che sarà parte della sua
missione instillare in quell'organizzazione il rispetto per i diritti umani, che
tutti gli americano hanno tanto caro. E che lei farà in modo che l'OCSE ed il
mondo sappiano cosa sta succedendo alla più grande minoranza d'Europa, invece di
nascondere le loro sofferenze e persecuzioni con la nebbia della II guerra
mondiale.
Di Fabrizio (del 08/08/2011 @ 09:36:10, in casa, visitato 1840 volte)
Italia: ennesimo corto circuito informativo. Per
qualche strano caso (no, vabbè, non è così strano a pensarci bene ) ne
sappiamo di più su un muro che si vuole costruire in Romania nella città di Baia Mare per dividere Rom da
gagé (circa
101.000 risultati su Google), rispetto ad un identico progetto in Campania
(circa
37.100 risultati, sempre Google). Visto che in passato
se n'è già scritto, torniamo sull'argomento con uno degli ultimi articoli
usciti su internet, che riporto senza ulteriori commenti.
Il LevanteGIOVEDÌ 04 AGOSTO 2011 14:39 DI LILIA LOMBARDO
L'idea è quella di dividere e proteggere la zona industriale Asi di Giugliano
dai campi rom confinanti: è per questo che gli industriali hanno progettato un
muro alto 3 metri e lungo 450, inaugurato ieri presso la sede del Cig
(consorzio che raggruppa gli imprenditori di Giugliano), che comprende in tutto
45 aziende dei settori elettronica, farmaceutica ed abbigliamento. Alla
cerimonia di presentazione erano presenti rappresentanti delle istituzioni e il
presidente degli imprenditori giuglianesi, Dott. Angelo Punzi.
Gli stessi industriali tengono a precisare che non si tratta di una forma di
razzismo, ma rappresenta una sorta di protezione dai furti di acqua, cavi della
rete elettrica, la manomissione delle cabine elettriche e la distruzione delle
varie linee telefoniche per rubare il rame, che per anni si sono verificati
senza che nessuno se ne preoccupasse o prendesse provvedimenti.
Lo stesso Punzi ha tra l'altro precisato che con questa creazione non si auspica
la completa risoluzione dei problemi derivanti da una convivenza obbligata, né
si vuole far credere che tutti gli atti di vandalismo siano attribuibili ai soli
rom (perchè ci sarà certamente chi si fa scudo con questo alibi), ma che tale
iniziativa serve principalmente a rilanciare un'area industriale degradata.
<>, ha affermato il
presidente.
Da anni ormai la situazione era questa: industria da una parte, rifiuti di ogni
tipo dall'altra, ed in mezzo decine e decine di rom accampati. Dopo
l'abbattimento della baraccopoli di Giugliano alcuni gruppi ( si parla di 120
persone su 600), sono stati trasferiti per iniziativa del Comune in alloggi
vicini alla suddetta area ed infatti da quel momento si sono ridotti, insieme ai
rom, anche gli spiacevoli episodi, che non sono tuttavia spariti del tutto.
Ad essere invece sempre presente è l'immondizia e gli sversamenti di rifiuti che
la creazione del muro di propone di fronteggiare.
Non sono certo mancate le polemiche intorno a questa decisione: l'associazione
"Opera Nomadi" ha infatti affermato: << Li segregano per stare tranquilli, è
una cosa vergognosa>>, e non è la sola a dirsi indignata; anche altre
associazioni di Giugliano non hanno visto di buon occhio questo progetto
ritenendolo <>.
Di Fabrizio (del 08/08/2011 @ 09:32:39, in sport, visitato 2196 volte)
Esiste un'antica tradizione di campioni di boxe tra i
Romanichals. E purtroppo, come nella letteratura di genere, un lungo elenco di
"vite bruciate"... (per chi fosse interessato, Tyson Fury è anche su
Facebook)
The Indipendent domenica, 17 luglio 2011 By Alan Hubbard, Boxing
CorrespondentBoxe: La Furia Zingara è pronta al trono Suo padre combatteva a mani nude e lo chiamò Tyson. Il peso massimo
britannico non vuole limitarsi a tirare pugni, aspira ad essere il primo campione mondiale romanì
"Sono orgoglioso di quel che sono, cioè un Traveller," dice Tyson Fury. "Vi
dirò quello che fa di te un Traveller: è come nascere neri" - GETTY IMAGES
Max Clifford si è fatto un nome, muovendosi come pochi sanno fare,
salvando la reputazione di qualcuno e creandone di nuove. Gli piace dire che
lavora nel campo della promozione e della protezione. Non che il suo ultimo
pupillo ne avesse bisogno. Alto 6 piedi e nove e pesante 18 stone (oltre 2
metri e 10 per oltre 114 Kg. ndr), Tyson Fury è abbastanza grosso per
prendersi cura di sé come evoca il suo soprannome, soprattutto dato che è un
peso massimo che aspira a diventare il primo campione mondiale romanì.
Anche così. fa comodo avere Clifford al proprio angolo quando è il momento
delle celebrità, come quando Fury sfiderà sabato a Wembley il londinese Dereck Chisora
per il titolo britannico e del Commonwealth e una borsa di £185.000 (incontro
vinto ai punti lo scorso 23 luglio ndr). Oltre a garantire al gigante zingaro di
tenergli pulito il naso, mentre fa sanguinare quello degli avversari, cosa vede
in lui Clifford? Fury può contare sul fattore Max, ma avrà il fattore X?
"Mi piace pensare che Tyson sia il prossimo grande nella boxe - di sicuro è
alto abbastanza," dice il guru PR che in passato ha lavorato con Muhammad Ali ed
è stato lui stesso un pugile dilettante da giovane. "E' un bravo ragazzo, va
regolarmente in chiesa, e naturalmente ha un grande valore. Il suo retroterra
romanì significa che è un personaggio pittoresco, con un grande seguito. E' un
ragazzo orgoglioso e molto modesto. Dato che è un buon combattente, il tempo
dirà dove può arrivare."
Intendiamoci, Clifford deve rivolgergli una forte ammonizione: in seguito ad
un'esplosione di cattivo gusto, Fury ha minacciato di "uccidere" Chisora sul
rimg, chiamandolo "un piccolo cazzo arrogante" e "cesso"; cosa che ha spinto il
manager di Chisora, Frank Warren, a denunciarlo al Consiglio di Controllo.
Difficile immaginare che i progetti di Clifford lo prevedessero.
Tyson Fury non è solo un nome da osservare, ma da evocare. Proviene da una
stirpe di combattenti che risale al XIX secolo. Suo padre, 48 anni - conosciuto
come Gypsy John, ha combattuto a lungo a mani nude , ma fu anche concorrente per
il titolo dei pesi massimi britannici, perdendo nel 1991 contro Henry
Akinwande. Fury senior chiamò Tyson suo figlio, quasi 23 anni fa, in onore di Iron
Mike.
Come un'altra giovane stella nascente, l'olimpionico Billy Joe Saunders (vedi
QUI ndr), Fury è intriso del folklore dei combattenti romanì, un
discendente dei pugili a mani nude che si esibivano negli accampamenti e nelle
fiere. Travellers/Viaggianti può essere una definizione impropria, dato
che entrambi vivono in siti permanenti sin dall'infanzia - Fury ha la sua casa a
Styal, un elegante villaggio del Cheshire - ma rimangono immensamente leali alle
loro radici romanì.
"Sono orgoglioso di quello che sono, cioè un Traveller," dice Fury. "Sono
irlandese d'origine, nato a Manchester, ma non sono Irlandese o Inglese, sono
uno zingaro. Vi dirò cosa rende Traveller: è come nascere neri. Per me è
irrilevante dove vivere: in una casa, un caravan o una tenda."
Fury è sposato e ha due figli. Con rito zingaro, ma non un grande grasso
matrimonio (serie televisiva GB ndr). Gli piace vivere tranquillo e, come
dice Clifford, non è un cattivo ragazzo, anche se probabilmente ne conoscerà
almeno un paio. Suo padre sta scontando una lunga prigionia per aver causato la
perdita di un occhio ad un uomo, dopo una lite in un auto mercato. "Sono
distrutto, è stata autodifesa," dice Fury junior.
Nato ad agosto 1988, prematuro di otto settimane e solo un chilo e mezzo di
peso, Fury è diventato una delle più emozionanti promesse del pugilato, vincendo
30 dei 34 incontri da dilettante, 26 per KO e, come Chisora, tutti e 14 i match
da professionista. Nonostante il nome di Tyson, non è questi l'ispirazione
pugilistica di Fury: "Guardo piuttosto a Lennox Lewis e Larry Holmes."
Chisora avrebbe dovuto combattere contro Wladimir Klitschko, saltatogli in
match contro Haye, e se vincesse si farà l'incontro. Chisora, 27 anni - nato in
Zimbabwe, è più basso di 20 cm. e ha tendenze più "tysonesche" di Fury in
altezza, stile e temperamento. L'anno scorso venne sospeso cinque mesi per aver
morso l'orecchio di
Paul Butlin. "M'ero scocciato," disse.
Tyson Fury onorerà il suo nome? O è solo un'altra meteora, piena di rumore e,
ehm, furia? Lo scopriremo contro Chisora, che è il favorito. Credo che "Del Boy"
(soprannome di Chisora ndr) vorrà buttarla in rissa, ma in ogni modo
intravedo un verdetto ai punti e possibilmente controverso.
[...]
Re zingari sul Ring
Gypsy Jack Cooper
Conosciuto come il miglior combattente zingaro. La leggenda romanì combatté
contro Iron
Arm Cabbage nel 1823 per oltre 30 round. Fu uno dei più selvaggi incontri a mani
nude della storia.
Bartley Gorman
Il più noto tra i moderni combattenti a mani nude, supremo nel mondo della
boxe illegale, nelle cave, alle fiere di cavalli, in accampamenti ed una volta
in una miniera. Morì nel 2002 a 57 anni.
Johnny Frankham
Nel 1975 vinse e poi perse il titolo dei massimi-leggeri britannici contro Chris Finnegan.
Ora ha 62 anni, è in prigione per frode.
Billy Joe Saunders
Ex olimpionico a Pechino, conosciuto come "The Caravan Kid", imbattuto dopo
sei incontri da professionista nella categoria dei pesi medi. 22 anni, è
pronipote del famoso campione zingaro di boxe a mani nude Absolom Beeney. Anche
suo padre Tom ammette di essere coinvolto nella boxe a mani nude perché "è il
modo di risolvere le cose alla maniera della comunità viaggiante".
Osman Kaplan, che appartiene alla seconda generazione di migranti arrivati
con lo scambio di popolazione Turchia-Grecia, è anche conosciuto come Osman
Pescatore o Kurdo Osman. Da molto tempo ha smesso col bere. Ora prega, anche
troppo. Era mezzogiorno. Stava pregando. Una persona senza tatto gli si
avvicinò:
Che Allah accetti la tua preghiera, Osman.
Che Dio ti benedica.
C'è Murat İzmirian tra i vostri (Romanì). Gli ho affittato la casa, e
ora voglio mandarlo via. Ma lui non accetta di andarsene.
Osman era così arrabbiato. Era pronto ad esplodere. Ma si ricordò di essere
in una moschea.
Dio non separò l'umanità in vostri e ai nostri. Possa Dio donare la
pazienza ai nostri e vostri.
***
Stavo parlando coi miei amici. Birol disse improvvisamente:
Siete zingari, siete umani a metà.
In quel momento mi sentii malissimo. Era la stessa persona con cui avevo
diviso il mio pane? Non riuscii a controllarmi ed iniziai a rispondergli
violentemente. Da quella volta non ho più parlato con lui.
***
Un giorno un uomo stava riempiendo il suo accendino col gas. Pagò dieci lire.
Roman Ertan, che riempiva gli accendini, si preparava a dargli il resto. L'uomo
chiese:
Cos'è questa? Mi stai dando soldi zingari?
Ertan andò fuori di testa. Spense la macchina per riempire gli accendini.
Guarda, c'è scritto "Lira Turca" su quella che hai chiamato moneta
zingara. Non ne posso più delle espressioni con cui ci umiliate. "Prestito
zingaro: furto"."Campo zingaro: luogo sporco". Si usano ancora espressioni
simili e si discrimina la società rom con queste parole.
Le persone con questa mentalità discriminatoria non saranno di successo.
Anche noi siamo cittadini turchi come gli altri. Chi si ritiene superiore agli
altri farà fatica a capire la realtà degli zingari liberi. Siamo elementi
fondanti di questo paese anche se ci ignorate.
E' un peccato che i gagé, anche quelli che si credono più sinceri degli
altri, ci siano ostili...
Di Fabrizio (del 07/08/2011 @ 09:06:34, in casa, visitato 1668 volte)
Facendo ogni sorta di scongiuri, leggevo qualche giorno fa questa notizia su
Repubblica.
Riflettevo sulla sottile differenza che passa tra un campo "tollerato" come
quello e i campi cosiddetti "regolari".
Succede al campo "regolare" di via Idro a Milano, che
vigili e polizia si presentino in forze e "...una ruspa ha demolito
la cabina elettrica che serviva tutto il campo, a causa di alcuni allacciamenti
non regolari; col risultato che ora tutto il campo è senza elettricità (anche
chi aveva un regolare contatore)" così "Ora tutte le famiglie hanno
allacci elettrici volanti, e naturalmente abusivi."
(leggi QUI, ndr).
Non si tratta di un caso isolato. Per il momento è estate, ma con l'arrivo della
brutta stagione la situazione potrebbe diventare davvero pericolosa. Inutilmente
i Rom che vi abitano (e sanno cosa significhi abitare in un campo), stanno
tentando di far capire che tra tutti gli interventi che si vorrebbero fare,
quello sarebbe il più urgente.
Nel contempo, quando il Comune attrezzò il campo, decise di installare per
ogni piazzola sulla medesima colonnina tanto l'allaccio dell'acqua che l'attacco
della corrente elettrica. Per qualche miracolo, ancora nessuno è rimasto
folgorato. Nel frattempo i più prudenti, sempre in maniera abusiva per la legge,
hanno provveduto a farsi allacci propri. Una delegazione di Amnesty
International in visita in via Idro, ci raccontava che in alcuni campi a Roma
aveva visto la stessa situazione.
Forse sarebbe il caso che i vari gestori, associazioni dal grande cuore,
tavoli e consulte rom, oltre a discutere dei massimi sistemi, prevedessero che
chi abiti in un campo venga consultato anche nella fase di progettazione. Lo
dico senza alcuna malizia verso questo o quello. La democrazia si costruisce
soprattutto sulle piccole cose, "al limite" si sarà evitata un'altra piccola stupida morte.
Di Fabrizio (del 06/08/2011 @ 09:54:55, in casa, visitato 1405 volte)
Storia estiva di una periferia senza buoni ed eroi
Al confine dell'area che dovrebbe attrarre milioni di visitatori c'è l'Ecoltecnica,
uno dei più grandi impianti di smaltimento del Nord Italia, che tratta
"materiale pericoloso, contaminante, esplosivo". Di fronte, un insediamento di
nomadi impregnato di veleni. Ma il Comune di Milano forse ha usato vecchie mappe
catastali e non se n'è accorto. Intanto spunta Bonifichexpo, un gruppo di
aziende del settore che ha fiutato l'affare.
Sono pronti a incatenarsi alle
rispettive proprietà. Imprenditore e nomadi, tutti allertati per impedire alle
ruspe di cancellare ogni cosa in nome dell'Expo. Per una volta sullo stesso
piano, il titolare di una grande azienda che smaltisce rifiuti tossici e i rom
che vivono d'espedienti su terreni ancor più inquinati. A rovinare questa
originale fusione d'interessi per "contaminazione chimica" ci si mettono i
signori delle bonifiche, pronti a fare lobby e a entrare in azione al primo
segno di cedimento. Sono già qui, alle porte dell'area che nel 2015 ospiterà
milioni di visitatori da tutto il mondo. Sulla carta si presentano con il volto
benevolo di un'associazione "senza fini di lucro", in realtà hanno l'appetito di
chi ha una torta davanti che non ha mai visto.
Tutto questo succede sui terreni dell'Expo ma la città di Milano è distratta. Li
ha comprati a peso d'oro e deve pensare a un ritorno economico. Non sogna più
Parigi, il Bie, la valle degli orti della biodiversità ma va avanti a testa
bassa, tiene il capo chino sui conti. Non guarda neppure davanti, non vede per
terra. Ma è proprio lì, lungo il perimetro di tre campi, che sono già impressi
tutti i segni premonitori di nuovi, funestissimi, guai. Lo sa bene
l'imprenditore che difende con le unghie la sua fabbrica macina-veleni che i
tecnici del Comune non hanno notato ma sta lì, lungo il muro perimetrale del
futuro villaggio residenziale Expo dal 1985. E oggi la signora Marelli,
esasperata, minaccia apertamente il Comune: "Sono pronta a incatenarmi ai
cancelli e a ricorrere in tutte le sedi. Se chiudiamo mettano in conto altri 30
milioni".
Là dove c'era l'erba
Si chiama Adele Marelli ed è il presidente di uno dei quattro impianti di
smaltimento di rifiuti tossici più grandi del nord Italia, la prima ed unica ad
aver adottato la recente normativa Seveso imposta dall'Europa. L'azienda fattura
30 milioni di euro l'anno e toglie le grane a mezza Italia raccogliendone le
scorie e gli scarti industriali per trattarli e portarli all'estero, dove
vengono smaltiti. Quando ha visto le cartografie del progetto Expo, la signora
quasi cadeva dalla sedia. La sua fabbrica prima non c'era, a causa di un errore
dei tecnici che hanno fatto il masterplan usando vecchi rilievi fotografici non
aggiornati. "Gli risultava un'area a verde agricolo nonostante la fabbrica sia
qui da molti anni e i dati catastali fossero correttamente aggiornati". Una
superficialità che non promette nulla di buono. Infatti il primo progetto su
carta di Expo, una volta scoperta l'esistenza dell'impianto, ne prevedeva lo
smembramento in due. "Una cosa impossibile per qualsiasi industria, figuriamoci
per chi tratta materiale pericoloso, contaminante, tossico ed esplosivo".
Tanti incontri con i tecnici, mai un'udienza dalla Moratti. "Tutti gentili ma
abbiamo capito che a Palazzo Marino sfuggiva il problema. La fabbrica esiste e
non si può ignorare, non puoi pianificare un villaggio residenziale a pochi
metri dall'impianto di trattamento dell'amianto, non puoi progettare l'area
"Lake Arena" per giochi d'acqua e fuochi d'artificio lungo il muro perimetrale
dei depositi gassosi a rischio esplosivo". La titolare a un certo punto ha perso
la pazienza e ha opzionato un'area alternativa dove fosse possibile il
trasferimento. Ma spostare impianti, sistemi di sicurezza e licenze è un'impresa
costosissima.
Così non resta che calare l'asso della vendita. La Ecoltecnica, mettendo insieme
stato patrimoniale e tutto il resto, sulla carta vale 30 milioni di euro che il
Comune rischia di dover aggiungere ai 120 che ancora fatica a trovare per
onorare l'impegno con i proprietari delle aree. "A questo punto noi abbiamo
manifestato ogni disponibilità. Abbiamo detto che le due attività, antropica e
industriale, sono incompatibili e che lo si vede anche dalle ipotesi di variante
che di fatto bloccherebbe per sei mesi l'accesso all'area da parte dei camion
con un danno di 15 milioni di euro. Ha anche proposto al Comune di vendere solo
gli immobili al valore grezzo per dieci milioni, ma niente. O sei un Cabassi o
niente. Così il destino di questa impresa che occupa 43 dipendenti e smaltisce
le tossicità nazionali finisce per essere i bilico proprio come quello dei
dirimpettai.
Campo rom sui veleni
Sono i rom jugoslavi, montenegrini, che hanno eretto un campo abusivo con le
caratteristiche del villaggio, con casette quasi lussuose ricche di elementi
ornamentali, box e così via. La Milano2 degli zingari. Sono lì dal 1994 quando i
titolari di una cava - la famiglia Ronchi - hanno preferito liberarsi dei
terreni che hanno usato come sversatoio a pagamento per tutte industrie chimiche
della zona dagli anni Cinquanta in poi. Processi, ricorsi al Tar. Niente. I
titolari ne escono puliti, i terreni sono peggio che sporchi. Sono una bomba
ecologica con la miccia sempre accesa e pronta esplodere. Nessuno ci vivrebbe,
forse gli zingari che non vanno troppo per il sottile e per due lire si comprano
un ettaro di terra contaminata.
Sarebbe tutto da bonificare ma quelli di Expo non hanno soldi. Già hanno
problemi con le infiltrazioni di trielina nelle aree di sedime dell'evento,
figuriamoci appena fuori che cosa c'è, in quell'ambito industriale mai risanato
che con un tratto di penna si rende area residenziale. I rom, puoi scommetterci,
sono più preoccupati di vedersi sgomberare che delle condizioni del terreno su
cui dormono. Ma le ruspe non avranno gioco facile. Al limite gru e caterpillar
potranno abbattere le costruzioni che risulteranno abusive. Loro hanno un
contratto in mano e sono pronti a farlo valere in sede legale. "Che la comprino
ai prezzi che hanno fatto ai ricchi proprietari del campo di fronte", dice uno
di loro con tono ironico.
Non ci sono altre forme di vita parlanti lungo il perimetro del triangolo d'oro
dell'expo, oltre all'imprenditrice milionaria e ai rom dirimpettai che
elemosinano un lavoro in edilizia o stanno ai semafori. Di qui è passato durante
la sua campagna elettorale l'attuale presidente della Provincia Guido Podestà.
"Si è rifugiato da me dopo che la sua auto blu è stata presa a sassate dai bimbi
rom", racconta lo sfasciacarrozze che sta proprio al centro del villaggio
abusivo e dicono stia più a San Vittore che al lavoro. "Scende e mi dice che era
venuto a fare un sopralluogo. Io gli spiego come stanno le cose e lui giura che
se sarà eletto entro tre mesi procederà a sgombero e bonifica". Podestà siederà
sulla poltrona di presidente mentre dopo due anni villette abusive e inquinanti
sono ancora lì ad aspettarlo.
I lobbisti delle bonifiche
In questo silenzio fa più rumore l'iniziativa di 14 grandi aziende del ramo
bonifiche che pochi giorni fa hanno indetto una conferenza stampa in Provincia
per presentare alcune proposte di intervento sul tema del recupero ambientale.
Le aziende della filiera si presentano come associazione senza fini di lucro. Il
nome di "Bonifichexpo" richiama l'evento del 2015 ma fin da subito
l'associazione chiarisce che non guarda a quella piccola area ma ragiona su
scala quanto meno provinciale, dove ci sono 10 milioni di mq da bonificare con
un business che vale 11 miliardi. Il ragionamento è semplice: il pubblico
dovrebbe provvedere ai costi di bonifica ma non fa partire neppure progetti e
gare per mancanza di soldi. Così i terreni restano contaminati o dismessi e i
signori delle bonifiche si devono accontentare delle briciole anziché del piatto
forte.
Tutto fila finché non si nota quanto poco spessa sia la vernice da benefattori
data all'associazione: curiosamente ha sede nella stessa società di
ingegnerizzazione che ha fatto la Valutazione ambientale strategica (Vas) e il
vicepresidente di Bonifichexpo ne è addirittura presidente. Il discorso
bonifiche è di per sé scottante, ma diventa insidioso se a promuoverlo è un
pezzo da novanta della politica locale come Gianpiero Borghini, oggi nei panni
del presidente di Bonifichexpo e solo ieri direttore generale del Comune di
Milano (e prima ancora sindaco e consigliere regionale).
Che non si tratti di non profit lo certifica anche il fatto che l'associazione
abbia commissionato all'università Bocconi uno studio di sostenibilità economica
delle bonifiche in provincia di Milano che è costato circa 200mila euro. Non c'è
una mappa inedita delle aree, un censimento o altro d'utile allo scopo ma una
raffinata disamina dei modelli di sostenibilità finanziaria. E che dice la
Bocconi? Che prima di tutto si tratta di affari ad alto rischio. Chi ci entra
deve avere alti capitali e prevedere ritorni incerti e lontani nel tempo. Si
parla di venture capital, project financing, ma la strada del pubblico rispunta
fuori. Perché parlare di queste cose in Provincia? Perché è azionista della
società di gestione Expo2015 ma soprattutto perché il suo presidente Podestà ha
una poltrona strategica nella Cassa Depositi e Prestiti.
Mica dietrologia, Borghini parla chiaro: "Sarebbe utile un interessamento per
verificare la possibilità per parte pubblica di accedere a mutui a lungo termine
così da poter aprire i cantieri, con la ritrovata edificabilità dei terreni
recuperati l'operazione potrebbe prefigurare un rientro positivo". Insomma, il
pubblico dovrebbe indebitarsi fino al collo per spianare la strada alle ruspe
dei signori della bonifica. Per fare cosa? La Bocconi prospetta tre soluzioni di
riuso: creare residenze per anziani, residenze per universitari, alberghi low
cost. Insomma, niente di più speculativo sotto il sole. E tutto, ancora una
volta, all'ombra di Expo.
Di Fabrizio (del 06/08/2011 @ 09:41:05, in media, visitato 3508 volte)
Altro articolo illuminante del
Giornale. Non solo per il razzismo sparso a piene mani (ho il sospetto che sia un loro marchio di fabbrica):
"Dormono dove capita. Mangiano sui marciapiedi. Trasformano le strade
in discariche a cielo aperto. Di giorno, fanno la spola tra la stazione
Garibaldi e i semafori che smistano le auto di passaggio davanti al cimitero
Monumentale: chiedono la carità, indispettiscono i più spruzzando
una brodaglia grigiastra con l’intento di lavare i vetri, fanno sparire
velocemente i portafogli dalle tasche dei pendolari in attesa che arrivi la
metropolitana, mandano i più piccoli a tampinare gli anziani che escono dal
supermercato. Di notte, invece, prendono possesso degli angoli dimenticati
dall'amministrazione comunale: si ubriacano di birra, pretendono l’obolo da
chi cerca un parcheggio prima di andare in discoteca, davanti allo storico
Radetzky Café le donne trascinano i figli svogliati nel tentativo di
impietosire chi, tra uno spritz e l'altro, fa l'aperitivo. Milano come Rio
de Janeiro. È questa la favela in salsa meneghina, dimenticata dal
neosindaco Giuliano Pisapia e che spaventa sempre più i residenti."
Ma soprattutto per alcune ragioni, che sfuggono a chi non sia milanese:
quella che l'autore chiama "la zona più «fashion» della città",
altro non è che la principale piazza di spaccio cittadina, dove una
malintesa "movida" rende invivibile la notte ai residenti. Solo che è a due
passi dal centro direzionale, non in qualche malfamata periferia, ed allora
è meglio star zitti. Tanto più che i locali notturni sono cresciuti come
funghi, grazie alla compiacenza (e probabilmente l'interessamento) di noti
politici locali e nazionali della passata maggioranza.
ignoro l'età dell'autore (QUI
il suo profilo Facebook), ma ricordo, 20/15 anni fa, che proprio in quella
zona c'erano diversi micro accampamenti dei primi Rom rumeni. Anche allora
c'erano cantieri e luoghi abbandonati. La speculazione edilizia li allontanò
e si sparsero in giro per la città. Allora c'era il centro-destra al governo
cittadino, che sia un'amnesia voluta?
i comportamenti dei Rom di allora erano (purtroppo) simili a quelli
descritti oggi, non mi piace la facile demagogia. La differenza è che allora
a "pagare la vicinanza" erano semplici cittadini in odore di sfratto, ora
sono i fighetti cocainomani di corso Como. Che sia questa la ragione di
tanta rabbia?
Pisapia può piacere o meno, ma cosa c'entri in una situazione che, a
causa della politica degli sgomberi, si ripresenta ciclicamente, non riesco
a capirlo. O no?
La Provence.comI Gipsy Kings tornano sulla scena dopo vent'anni -
Publié le mardi 26 juillet 2011 à 17H19
Ambasciatori d'Arles attraverso il mondo, ritrovano la Francia con un
concerto a Palavas
I Gipsy King, eredi dello stile di Manitas de Plata, suonano stasera a les
arènes de Palavas. Un concerto che sarebbe stato bello ci fosse stato ad
Arles, città natale dei fratelli Reyes - Photos Edouard Coulot
Da quasi trent'anni i Gipsy King vagano per il pianeta e la loro musica non è
invecchiata. Certo, i capelli si sono fatti bianchi sulle teste dei cugini Reyes
e Baliardo, ma lo spirito gitano che caratterizza le canzoni degli otto
musicisti è sempre là.
Questa rumba catalana, miscela di flamenco e di rumba, che ha fatto il
successo di Bamboleo o di Volare, questo motivo che imballa, che
fa danzare le folle ed elettrizza le generazioni, si trasforma nelle più grandi
sale di concerto, ma in Francia non si ascolta più da vent'anni.
Un paradosso che i Gipsy King rifiutano e di cui si rammaricano, ma che si
concluderà stasera, dove si ritroveranno alle arènes de
Palavas-les-Flots (34), per un concerto unico in Francia.Accessibili ed
universali come la loro musica, Nicolas, André, Tonino, Paco, Canut, Diego e
Patchaï erano ieri a Palavas per ispezionare il luogo. Seduti alla terrazza del
bar degli aficionados davanti all'arena, discutevano con i passanti ricordando i
vecchi tempi, in tutta semplicità e sincerità.
"Non sempre siamo accolti a braccia aperte"
"Abbiamo voluto ritrovarci dopo tanto tempo e fare un concerto per la
famiglia e gli amici", glissa Tonino Baliardo. "Ma non sempre siamo
accolti a bracci aperte si dispiace Nicolas Reyes. Non è stato facile".
E se al figlio del grande José Reyes sarebbe piaciuto suonare ad Arles, la
lorocittà natale, alla fine è all'Hérault che si esibiranno stasera, nella terra
natale dei loro cugini, i Baliardo.
"Sei anni fa, ho contattato la città (d'Arles ndr) per suonare
nelle arene, ma non c'erano mai date disponibili", prosegue il cantante del
gruppo. Fatto difficile da gestire per questi autentici gitani che, tra due
concerti all'estero, tornano sempre a posare le loro valigie nella loro città
natale e si ritrovano in famiglie alle Saintes.
I veri Gipsy
"Gli imitatori ci hanno fatto molto male. Bisogna sempre giustificarsi di
essere i veri Gipsy!" riconosce Nicolas. E suo fratello André evoca
pudicamente il caso di Chico Bouchiki, il compagno d'infanzia che lasciò il
gruppo nel 1991 per crearne uno in proprio. "Lo biasimo per questa
confusione", perché comunque la si veda, "Djobi, Djoba", la ripresa di
"Hotel California" o ancora "Bamboleo" sono diventati loro titoli.
Un nuovo album
Quello degli eredi dei re Reyes e di Manitas, questi musicisti appassionati
che suonano la musica col cuore, mantengono lo spirito di festa, senza aver mai
imparato a leggere una partitura. Per il momento senza rancori, i "veri" Gipsy
King tornano in Francia con un furioso desiderio di riconquista."Abbiamo
registrato un nuovo album a Parigi, ne canteremo alcuni pezzi al concerto,"
commenta Nicolas.
"Samba, Samba", una cover di "Stranger in the night", in totale una
dozzina di titoli dovrebbero essere contenuti nell'albun che i cugini stanno
preparando, e che dovrebbe essere pronto per la fine dell'anno. Canzoni che
ricordano i loro esordi con, secondo Tonino, un tocco "più personale".
Assieme a questo nuovo album, ci saranno tournée all'estero ed i nuovi progetti,
tra i quali il sogno di creare un appuntamento annuale, a casa loro, in
Camargue. Perché nonostante l'assenza, non dimenticano le loro radici arlesiane.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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