Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località
Di Sucar Drom (del 19/04/2013 @ 09:04:42, in Italia, visitato 1629 volte)
Le associazioni rom e sinte UPRE ROMA, SUCAR DROM e
NEVO DROM
hanno deciso di avviare un'azione penale e civile contro l'eurodeputato Mario
Borghezio per istigazione all'odio razziale e accuse infamanti alla minoranza
rom e sinta e a singoli loro esponenti.
La puntata de "La zanzara" di Radio 24 dell'8 aprile 2013 in occasione della
Giornata internazionale del popolo rom riconosciuta dall'ONU sin dal 1979 ha
ospitato un "esperto" del tema, appunto l'eurodeputato Mario Borghezio.
Riferendosi all'incontro che si è avuto in questa occasione di una delegazione
di giovani rom con la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini,
Mario Borghezio l'ha definita la "giornata del fancazzismo con contorno del
festival dei ladri", aggiungendo poi altri insulti e volgarità.
Questo signore, passato dalle camicie nere di Ordine Nuovo a quelle verdi della
Lega Nord, pagato con i soldi dei contribuenti, quindi anche dei rom e dei sinti
che lavorano e pagano le tasse, non è nuovo a exploit del genere (difficile
dimenticare la sua lezione ai fascisti francesi su come ci si infiltra nello
Stato, il suo coinvolgimento in pestaggi e roghi di immigrati a Torino, gli
insulti al nero Obama appena eletto, le volgarità contro i musulmani, per
finire, trascurando i suoi prediletti "zingari", con l'insulto alla
neopresidente della Camera definita la "Boldrini fancazzista"). Purtroppo per
noi questa persona ricopre cariche pubbliche e come tale non rappresenta solo i
suoi sfortunati elettori ma l'istituzione nella quale è stato eletto e questo
rende le sue parole cariche di una responsabilità diversa da quelle stesse dette
in una qualche osteria di allegri ubriaconi.
All'offesa alle istituzioni si somma l'offesa e l'istigazione all'odio contro
una comunità da sempre vittima di pregiudizi, discriminazioni e persecuzioni e
il danno personale dei giovani rom e sinti presenti all'incontro, tra i quali
nostri associati.
Stanchi di tollerare questi atti e il silenzio che li accompagna le sottoscritte
organizzazioni rom e sinte hanno dato incarico all'avvocato Gilberto Pagani di
procedere in tutte le sedi necessarie per ottenere la condanna dell'azione
odiosa e il risarcimento dei danni perché si considerino Rom e Sinti cittadini
come tutti gli altri.
Il "caso Alicata" riapre una vecchia questione: lottare contro omofobia e
discriminazioni immunizza dal razzismo? Si può essere razzisti e democratici?
A Roma, nessuno avrebbe mai pensato di associare il nome di Cristiana Alicata a
un episodio di razzismo, vero o presunto. Dirigente Pd di osservanza "renziana", Alicata è nota per le sue battaglie a favore delle comunità gay, lesbiche e Lgbt.
Ma pochi giorni fa una sua dichiarazione sui rom ha fatto il giro della rete. E
ha provocato un terremoto.
Riassumiamo ad uso dei distratti. Domenica scorsa gli elettori del Pd erano
chiamati a scegliere, nelle elezioni primarie, il loro candidato sindaco. Ne è
uscito vincitore Ignazio Marino, che ha battuto il principale avversario, David
Sassoli. Commentando l'esito del voto, Cristiana Alicata ha accusato il
vincitore di brogli: "Le solite file di rom", ha scritto su Facebook, "che
quando ci sono le primarie si scoprono appassionati di politica...".
Parole forti, che non sono piaciute al gruppo dirigente del Pd. E che hanno
sollevato accuse esplicite di razzismo. Alla fine, Alicata ha rassegnato le
dimissioni da tutti gli incarichi di partito, ma ha voluto anche precisare la
sua posizione: "Dare a me, donna e lesbica, della razzista mi sembra un
paradosso", ha dichiarato all'Huffington Post, "capisco che, così come l'ho
scritto, il mio post può sembrare brutale, ma ho registrato quello che stava
succedendo. Non c'entra niente col razzismo".
Una donna, lesbica, attivista contro le discriminazioni, non può pronunciare
frasi razziste. Sarebbe una contraddizione in termini. Questa la tesi della
Alicata. Noi di Corriere Immigrazione, al di là dell'episodio di cronaca,
abbiamo deciso di soffermarci proprio su questo punto. E abbiamo provato a
rifletterne assieme a due esperti, entrambi romani: Marco Brazzoduro, docente
universitario (in pensione) di Politiche Sociali, e Ulderico Daniele,
ricercatore dell'Osservatorio Razzismo e Diversità dell'Ateneo di Roma Tre, e
dirigente della ong "Osservazione".
Razzisti e democratici: Quando leggiamo a voce alta le parole della Alicata,
Marco Brazzoduro si inalbera. E alza la voce. "È una sciocchezza questa", dice,
"l'antiziganismo, cioè la forma specifica di razzismo che si rivolge contro i
rom, è diffuso ben al di là degli ambienti di destra. Purtroppo abbiamo fior di
esempi, proprio qui a Roma, di antiziganismo "democratico"".
Chiediamo qualche spiegazione, e Brazzoduro non si fa pregare. "In Italia la
forma più odiosa di discriminazione sono i "campi nomadi"", spiega. "Sono veri e
propri ghetti. E i campi, a Roma, li hanno costruiti Rutelli e Veltroni, ben
prima di Alemanno. O sbaglio?".
Brazzoduro si sofferma anche sugli sgomberi: "Smantellare un insediamento senza
dare soluzioni alternative è una cosa gravissima, perché priva intere comunità –
uomini, donne e bambini – del diritto ad un'abitazione. Guardiamo cosa è
successo a Roma: gli sgomberi li ha fatti Alemanno, ma prima li hanno fatti
Veltroni e Rutelli. O no?".
Una forma specifica di razzismo? D'accordo, essere "democratici" e magari
"di
sinistra" non è una garanzia. Ma forse il discorso di Cristiana Alicata era più
complesso. La dirigente del Pd non si riferiva all'appartenenza ad uno
schieramento politico, ma ad un impegno personale e diretto contro le
discriminazioni. Forse un sindaco di centro-sinistra può essere razzista, ma
come può esserlo una che vive sulla propria pelle i pregiudizi contro le persone
omosessuali?
Marco Brazzoduro si ferma un attimo. "Le modalità con cui il razzismo si esprime
possono essere diverse", spiega. "C'è un razzismo più rozzo, quello che dice che
i rom sono ladri e delinquenti, sfruttano i bambini, rubano nelle case e così
via. E poi esiste un razzismo "rispettabile", democratico... è il razzismo dei
distinguo, di quelli che dicono "io non ce l'ho con i rom, però anche loro...". Il
razzismo di chi magari vuole lo sgombero "per il loro bene", "perché non è
giusto che vivano in condizioni inumane". Come se buttare le persone in mezzo a
una strada fosse una soluzione...".
Esiste insomma, dice Brazzoduro, un pregiudizio più difficile da decifrare, e
per questo più diffuso anche in ambienti "insospettabili". "Per esempio esiste
il razzismo del merito", spiega, "quello che dice "io ai rom voglio dare la
casa, ma loro se la devono meritare". Non ci si accorge che anche questa è una
forma di discriminazione. Se un italiano non-rom commette un reato, nessuno si
sogna di levargli la casa: subirà un processo, andrà in carcere, ma poi quando
esce tornerà a casa sua. Per i rom invece si prevede una doppia pena, vai in
galera e nel frattempo ti revoco l'assegnazione della piazzola al campo...".
Lo stereotipo della vittima: "Razzismo democratico", "razzismo del merito".
"Sgomberiamoli per il loro bene". Stereotipi "gentili", pronunciati da persone
che usano il termine "rom" per evitare gli epiteti più offensivi ("zingari", "nomadi"). Ulderico Daniele condivide questa analisi, e aggiunge un altro
elemento: "nel caso specifico della Alicata mi sembra che sia all'opera anche un
altro meccanismo, quello che definirei lo "stereotipo della vittima"".
Daniele si ferma un attimo per raccogliere le idee. Poi prosegue: "il razzismo
non è fatto solo di toni offensivi e brutali. Al contrario. I pregiudizi si
nutrono spesso di parole accoglienti, protettive. Il colonialismo europeo, per
esempio, ha sempre affermato la necessità di "aiutare" i popoli considerati meno
evoluti: non date il pesce, si diceva, insegnate loro a pescare. Il sottinteso
era che i "primitivi" non sapessero pescare da soli, cioè non fossero capaci di
vivere autonomamente, di fare le loro scelte".
"Questo in fondo", prosegue Daniele, "era il sottinteso delle parole pronunciate
dalla Alicata: se i rom vanno ai seggi per le primarie non è per una loro scelta
autonoma, che ovviamente può essere giusta o sbagliata, condivisibile o non
condivisibile, ma perché sono manipolati da altri. Sono vittime di macchinazioni
esterne, non esseri umani che scelgono, partecipano, dicono la loro, elaborano
le proprie strategie. I rom sarebbero soggetti passivi, capaci solo di
subire...".
Se i rom non possono avere un conto in banca "Voglio farvi un esempio", prosegue
Daniele. "Qui a Roma sono state fatte delle indagini patrimoniali, da cui è
emerso che alcuni rom dei campi possedevano proprie ricchezze: conti in banca,
proprietà immobiliari, risparmi nascosti sotto il materasso... Apriti cielo! Si è
scatenata la solita canea dei rom con la Mercedes, che fingono di essere poveri
per elemosinare un po' di aiuti al Comune...".
Ma cosa c'entrano le Mercedes con il razzismo democratico? "C'entrano", spiega
Ulderico Daniele, "per vari motivi. Anzitutto, per questo modo di vedere i rom
come un'entità unica e monolitica. Il mondo dei rom e dei sinti è fatto di
migliaia di persone: che tra di loro ci siano anche delinquenti, truffatori e
"furbi" di vario tipo non dovrebbe stupire. E invece l'approccio è sempre il
solito: i rom devono essere per forza tutti ladri o tutti santi. Se uno di loro
viene sorpreso a rubare, se ne deduce che sono tutti ladri. Se si scopre che una
famiglia è ricca, tutti i rom diventano proprietari di Mercedes...".
Ma il punto, per Ulderico Daniele, non è solo questo. "Non si è fatta nessuna
distinzione tra le famiglie che erano effettivamente ricche, e quelle che invece
avevano accumulato qualche risparmio. Avere un piccolo conto in banca, magari
per far fronte a spese impreviste, o per aiutare un familiare in difficoltà, è
cosa diversa dall'essere ricchi sfondati. L'accumulazione di risparmi è da
sempre una strategia di sopravvivenza dei ceti sociali più poveri: si pensi a
quel che facevano gli emigranti italiani qualche decennio fa, alle rimesse che
inviavano ai familiari rimasti in patria... e loro mica erano ricchi".
"Ecco", conclude Daniele, "qui vediamo all'opera lo stereotipo della vittima. I
rom devono essere per forza tutti indifesi, inermi, passivi. L'idea che possano
elaborare proprie strategie per resistere a condizioni di segregazione, non
passa per la mente a nessuno: così, quando si scopre che una famiglia ha un
piccolo conto in banca, non si pensa a persone che faticosamente, mese dopo
mese, hanno messo da parte qualche risparmio per i periodi peggiori. Si pensa
subito allo zingaro con la Mercedes. E non si fanno distinzioni".
Il razzismo, ci dicono insomma i nostri interlocutori, è un fenomeno complesso e
multiforme. Non assume sempre i toni dell'aggressione verbale o fisica, ma è più
spesso un insieme di associazioni mentali, di presupposti dati per scontati, di
generalizzazioni arbitrarie che appaiono plausibili e ovvie. Che possono
albergare anche negli spiriti più "tolleranti".
Di Fabrizio (del 12/04/2013 @ 09:09:50, in Italia, visitato 1943 volte)
Io, la festa di un popolo, l'ho sempre sognata come quella dei francesi il 14
luglio:
che si saranno tagliate anche le teste, ci saranno state le guerre, ma alla fine
"...una folla allegra e sorridente si riversa nelle strade, ai bambini si
concede tutto, i bar possono allargare quasi al limite i loro dehors, si balla e
si fa festa, si fanno pic nic sugli enormi prati tra la Tour Eiffel e l'Ecole
Militaire e ci si emoziona a guardare i grandiosi fuochi d'artificio sugli
Champs de Mars." [testo e immagine da
MAGAZINE FOTOGRAFIA]
Mi piacerebbe che questo giorno di pazzia tranquilla e contagiosa fosse:
un momento comune, da tutti condiviso;
fosse concesso ANCHE ai Rom e ai Sinti, e che la loro
giornata diventasse un'invasione pacifica delle nostre strade e
delle nostre piazze.
"Fosse concesso", per la semplice ragione che Rom e Sinti non sono animali o
fenomeni da baraccone (e neanche spaventapasseri da agitare in periodo
elettorale): a festeggiare, a ricordare le loro storie - belle o brutte che
siano - sono capacissimi da soli, nei loro tuguri isolati dal nostro mondo, ma
vorrei che, magari un giorno all'anno, ci concedessimo NOI il lusso della loro
compagnia.
8 aprile:
GIORNATA INTERNAZIONALE DEL POPOLO ROM. La vigilia ero al
Teatro Valle Occupato di Roma, a festeggiare il ROMANO DIVES con
amici vecchi e nuovi da tutta Italia e anche dall'estero. E musica, balli, vino,
poesia e teatro (persino una giornata di sole dopo mesi e mesi di pioggia!)...
Che io fossi Rom oppure no, sono uscito dal teatro e mi pareva di camminare ad
un metro da terra.
In città, in quelle stesse ore, si stava svolgendo un'altra festa, più laica
e compassata ma altrettanto importante: le PRIMARIE per scegliere il candidato
del centro-sinistra a sindaco di Roma. Non ho capito bene come (è un classico
del nostro tempo: le notizie girano ma non le capiamo), la festa civile e
democratica che doveva essere la conclusione delle primarie, si è tramutata in
una bassa polemica sui Rom richiamati alle urne da qualche prebenda.
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: ma neanche il giorno
della propria festa si può rimanere in pace?? O dite che la cosa è
stata fatta apposta?
Io non lo so, chi ha lanciato il sasso, pronta, ha ritirato la mano: "Non è
razzismo!" si è subito giustificata. Così qualche ora dopo (mi aspettavo una
reazione sincronica del PDL, lo ammetto), è il Movimento 5 Stelle, anzi il suo
candidato a sindaco di Roma, che riprende la palla con la foto riportata sotto.
Devo dirlo, la tristezza è triplicata:
perché così si sono rovinate due feste lo stesso giorno, e
chi non sa godersi l'atmosfera della festa, non sarà (credo)
qualcuno di cui fidarmi;
Cristiana Alicata e Marcello De Vito non sono residuati bellici,
sono invece quella politica che avremo di fronte in un futuro
prossimo, sono quello si dice "IL NUOVO". Un nuovo, che non
riesco a distinguere dal resto del vecchiume.
Termino, ricordando una bella pagina:
Laura Boldrini, la Presidente della Camera, che riceve una delegazione di
giovani (ancora, il futuro che ritorna) rom e sinti proprio l'8 aprile. Qualcosa
si è rotto nel silenzio dei media, e così la notizia gira su diverse testate. Ne
parla anche
il Giornale, con un articolo che non condivido, ma mi è piaciuto perché
rispettoso, anche se critico.
Quello che nuovamente mi ha rattristato sono i commenti, beceri, di chi fa di
tutto per dimostrare che punti di contatto non ne vuole, non ne cerca, neanche
un giorno all'anno.
Non sono rom, questo almeno lo so, ma quel che è peggio è che in momenti
simili, credo di non essere più nemmeno italiano. Forse, è giusto così.
Di Fabrizio (del 08/04/2013 @ 09:03:34, in Italia, visitato 1665 volte)
Intervista a Dolores Barbetta - Laura Eduati,
L'Huffington Post | Pubblicato: 07/04/2013 13:04 CEST
Al liceo i compagni di classe si stupivano che non portasse le gonne lunghe
delle zingare e che vivesse in una casa con quattro mura e un bagno. D'altronde
suo padre, operaio Fiat a Melfi, quando era piccola le ripeteva che avrebbe
sempre incontrato persone ottuse e ignoranti. Glielo diceva in romanés, la
lingua dei rom, la stessa con la quale ora Dolores Barbetta si rivolge alle
nomadi che chiedono l'elemosina in metropolitana: lontane anni luce dalla sua
esperienza di vita ma vicine nella tradizione culturale.
"Non sono mai entrata in un campo rom", confessa questa ragazza di 27 anni,
laureata in lettere e residente a Roma, che lunedì varcherà il portone di
Montecitorio per incontrare la presidente Laura Boldrini in occasione della
Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. Con lei un gruppo di ragazzi rom
dell'Associazione 21 luglio: una vittima degli sgomberi forzati, uno studente di
Milano, una madre residente in un campo rom romano e un apolide. Dolores dice
che in quel momento, mentre entrerà alla Camera, si sentirà "una mosca bianca":
"So che la mia vita, la mia realtà, le mie giornate sono completamente diverse e
molto più fortunate della stragrande maggioranza dei rom che vivono in Italia".
Dolores sta frequentando un corso di ripresa e montaggio: vorrebbe girare presto docu-film. Legge con passione i romanzi di Irène Némirovski e Haruki Murakami.
Come moltissimi suoi coetanei, teme di dovere fare le valigie e andare
all'estero per trovare un lavoro. E sulla crisi politica dice: "Grillo era una
grande speranza e invece sta facendo il despota".
Cosa dirà a Laura Boldrini?
Dirò che i rom hanno bisogno di integrazione e gli apolidi, nati in Italia da
profughi della ex Jugoslavia, hanno bisogno della cittadinanza italiana. I
bambini che vivono segregati in questi ghetti vengono portati a scuola da
autobus con una R sulla fiancata, vivono molto lontani dai centri abitati e non
possono giocare e fare i compiti con i loro compagni
come succedeva a me, a
Melfi.
A Melfi esiste una nutrita comunità rom. La sua famiglia ha subito
discriminazioni?
I rom vivono a Melfi dal 1600. Viviamo tutti negli appartamenti, siamo italiani
e abbiamo naturalmente la cittadinanza. Eppure i gagé (i non-rom, ndr) ancora
oggi ci guardano con diffidenza. Per esempio i miei nonni materni non volevano
che mia madre sposasse "uno zingaro" ma poi il matrimonio si è celebrato
ugualmente. E quando si gioca a calcio e arriva una squadra da un'altra città
allora partono i cori dei tifosi contro gli zingari. Da piccola mi vergognavo di
essere rom ma poco a poco ho capito che questa è la mia cultura di appartenenza
e ne sono orgogliosa: i miei bisnonni erano realmente nomadi e giravano la
Puglia in carovana, mio nonno lavorava con i cavalli, le mie zie hanno molti
figli, una addirittura 13. Io invece sono figlia unica. Ma sogno di avere almeno
tre o quattro bambini. Per noi la famiglia è importante, un rifugio che ripara
anche dalla diffidenza ma che può ostacolare l'integrazione.
Fatica a dire che è rom agli estranei?
No. Lo dico con orgoglio, non mi nascondo. Per fortuna ho amici che mi vogliono
bene e raramente ho incontrato persone razziste. L'episodio che mi ha fatto
soffrire maggiormente è capitato a quattordici anni, quando un ragazzino che si
era invaghito mi scrisse un messaggio per invitarmi a uscire. Gli risposi che
non mi andava, e allora si sfogò: "Sei solo una brutta zingara, perché te la
tiri tanto?". I miei genitori mi hanno sempre parlato delle discriminazioni che
avrei potuto subire.
Perché non ha mai visitato un campo rom?
Lo farò presto. Sto frequentando un corso di montaggio e regia, la mia passione,
ma potrei cominciare a lavorare come mediatrice culturale perché conosco il
romanés. E quando incontro una nomade che chiede l'elemosina non riesco a
sopprimere la mia curiosità, mi avvicino e comincio a parlare con lei per
sentire parlare la nostra lingua. È il legame che unisce le comunità rom,
un'eredità che non riuscirò a trasmettere ai miei figli: la capisco bene ma la
parlo male. E non c'è modo di recuperarla, perché è una lingua non scritta, non
esiste una grammatica.
Come si sente quando i rom vengono definiti ladri e criminali?
È una strumentalizzazione politica. Lo so che i rom non sono tutti santi, ma è
come se dicessimo che tutti gli ebrei sono ricchi. Penso che se i rom finalmente
potessero vivere nelle case, se gli italiani capissero che un rom può laurearsi
e vestirsi come tutti gli altri, allora le cose cambierebbero.
Vive a Roma da molti anni, sarà per sempre?
Roma è una grande città del Sud, una mamma che ti vizia troppo e ti culla.
Questo mi fa felice. Ma è anche una città immobile, i romani stanno sempre in
macchina, pigri e arrabbiati. Potrei andare a vivere a Milano oppure a Berlino.
Se non troverò un lavoro dovrò andarmene, come tanti. Ho votato a sinistra e
pensavo che Grillo fosse una speranza ma si sta rivelando un despota. L'Italia
ha bisogno di cambiare in fretta.
(Claudio Stasolla, il presidente dell'associazione 21 luglio che ha
organizzato l'incontro dei rom con Laura Boldrini, suggerisce a giornalisti e
lettori di sostituire durante la lettura dell'articolo la parola "ebreo" alla
parola "rom". Soltanto così, dice, è possibile comprendere l'abisso di
discriminazione subita dai cosiddetti nomadi).
Il Consiglio direttivo dell'associazione Sucar Drom, ieri e questa mattina,
ha avuto dei contatti informali con il Sindaco del Comune di Mantova, Nicola
Sodano. I colloqui avvenuti con una delegazione del Consiglio direttivo hanno
aperto un confronto che riteniamo serio e costruttivo, capace di superare
l'attuale grave momento, maturato dopo il blitz del 26 marzo 2013 che ha
coinvolto alcune famiglie mantovane, appartenenti alla minoranza linguistica
sinta.
Il Consiglio direttivo ribadisce le azioni legali già preannunciate contro le
modalità del blitz e contro il Consigliere comunale Luca De Marchi. Inoltre, si
preannuncia che sarà organizzata per venerdì 12 aprile 2013 un'assemblea
pubblica a cui si chiederà al Sindaco di Mantova, a tutte le forze politiche e a
tutta la Società civile di partecipare, in cui verranno spiegate le
problematiche abitative vissute dalle famiglie mantovane, appartenenti alla
minoranza linguistica sinta.
Altresì il Consiglio direttivo ritiene di accogliere l'invito del Sindaco di
Mantova ad un incontro istituzionale e pubblico il giorno mercoledì 10 aprile
2013, presso la sede comunale di via Roma. Di conseguenza, sentita anche la
Federazione Rom Sinti Insieme, viene revocata la manifestazione "IA CHER PAR
KROLL - UNA CASA PER TUTTI".
Il Consiglio direttivo, congiuntamente all'intera Comunità Sinta Mantovana,
chiede che venga al più presto riattivato il Tavolo Abitare, convocato dal
Comune di Mantova, all'interno della Strategia locale "Men Sinti". Inoltre, il
Consiglio direttivo auspica che tutti i componenti della Strategia "Men Sinti"
si adoperino per trovare nel più breve tempo possibile soluzioni partecipate e
condivise per le problematiche presenti.
Il Consiglio direttivo ringrazia tutte le persone, le associazioni e le forze
politiche che in questi giorni hanno voluto essere vicine alla Comunità Sinta
Mantovana.
Di Fabrizio (del 20/03/2013 @ 09:04:38, in Italia, visitato 1773 volte)
Relazione consegnata il 16 marzo scorso a Daniela Benelli
(Assessore milanese all'Area metropolitana, Decentramento e municipalità,
Servizi civici), durante il convegno Oltre via Padova
Premesse
Quella di via Idro è una comunità rom storica della zona 2, per niente
incline al nomadismo visto che nell'arco di oltre 40 anni si è spostata di soli
2 km. (in accordo con l'Amministrazione Comunale).
La sua partecipazione alla vita di zona non è una novità degli ultimi anni,
ma risale ad almeno 30 anni fa. I primi tentativi di scolarizzazione risalgono
alla metà degli anni '80. Già con il trasferimento nell'attuale campo di via
Idro, partecipavano alle sedute del Consiglio di Zona (allora in via Padova), a
iniziative in quartiere, organizzandone loro stessi al campo.
Il nostro gruppo è composito e assolutamente non gerarchizzato, con una
caratteristica che lo distingue da esperienze precedenti di lavoro con i rom:
siamo persone impegnate a vari livelli nell'attivismo di zona, e quindi la
"questione rom" non è un ghetto mentale in cui ritagliare il nostro spazio, ma
una delle molte tematiche che riguardano le periferie, da affrontare
congiuntamente alle altre.
Primi contatti e iniziative
L'insediamento per lungo tempo è stato indicato come "un campo modello per la
realtà milanese", nonostante ci siano sempre stati problemi di vario tipo. La
situazione inizia a deteriorarsi dal 2000, in parte per la caduta di sbocchi
lavorativi della
cooperativa LACI BUTI, fondata dagli stessi rom all'inizio
degli anni '90, in parte
perché i rapporti con le istituzioni comunali, che sono continuati anche con le
prime amministrazioni di centro-destra, vanno via via diradandosi. Il rapporto
col mondo esterno continua quasi esclusivamente tramite la scuola, non a caso la
prima istituzione che li ha accolti.
Occorre dire che nello stesso tempo anche per gli altri insediamenti (comunali e
non) inizia una stagione travagliata, che dipende in parte dal passaggio di
competenze dall'amministrazione centrale ad associazioni esterne, in parte dal
fatto che nello stesso periodo si inizia a mettere in discussione l'esistenza
stessa dei campi sosta, anche se con segnali contraddittori (vedi l'istituzione
dei campi di Triboniano e via Novara).
Attorno al 2006, un primo nucleo di volontari riprende il contatto con gli
abitanti di via Idro. A farlo, inizialmente, sono alcuni membri del comitato
Vivere in Zona 2, già impegnato su altre tematiche del mondo di via Padova e
dintorni. Dopo le prime diffidenze reciproche, il clima si fa più disteso e si
prendono le prime iniziative comuni:
L'altro scopo di iniziative simili è creare un ponte con quanto si va
risvegliando attorno a via Padova, e di creare i presupposti per un lavoro
condiviso.
Questi sforzi rischiano di interrompersi bruscamente nel
settembre 2010, quando al campo arrivano una ventina di lettere di sfratto
che coinvolgono un centinaio di persone, quasi la totalità degli abitanti.
In questa situazione di crisi effettiva, al nucleo iniziale del gruppo si
aggiungono (continueranno a farlo in seguito) associazioni, volontari,
cittadini, anche esponenti di partito. Il gruppo non perde la sua caratteristica
di informalità e continua a essere composito e non gerarchizzato.
Altri punti caratterizzanti l'esperienza del gruppo sono:
l'attenzione al diritto ad abitare, coniugata con il NO unitario al paventato
campo di transito;
il coinvolgimento attivo della comunità rom, o quantomeno di chi è disposto a
farsi coinvolgere, e l'attenzione alla sua autodeterminazione (come gruppo
discutiamo di continuo con gli abitanti del campo e sosteniamo le loro scelte,
ma in caso di divergenze non imponiamo la nostra volontà);
la rivalutazione dell'insediamento esistente;
l'attenzione al nesso tra abitare, lavoro e sostenibilità delle soluzioni
individuate;
il contrasto alle politiche anti-rom;
il contatto con analoghe esperienze cittadine;
infine, un rapporto stretto col Consiglio di Zona e con il quartiere.
Su queste basi, seguono altre iniziative pubbliche:
febbraio 2010: l'incontro pubblico
"Oltre la paura. Dare cittadinanza alla
questione rom", molto partecipato, che non si limita ai problemi della zona, ma
offre un momento di confronto con varie realtà milanesi;
marzo 2011:
denuncia degli sgomberi immotivati, che ottiene una discreta
risonanza mediatica;
maggio 2011: festa pubblica al campo (la prima dopo quasi una quindicina
d'anni), che diventa una specie di evento d'apertura della festa "Via Padova è
meglio di Milano" e vede una partecipazione inaspettata da parte degli abitanti
della zona.
Un sommario bilancio di questo primo periodo possiamo illustrarlo in questo
modo, evidenziando i risultati ottenuti e i limiti del nostro intervento:
Pregi
Iniziative pubbliche;
sinergie col lavoro su via Padova;
coinvolgimento attivo di parte del campo;
ampia discussione in mailing list e presenza sul web.
Limiti
scarsa attenzione da parte dell'amministrazione centrale;
carenza di unitarietà tra i temi sollevati;
incapacità di coinvolgere nel dialogo tutti gli abitanti del campo.
Un nuovo quadro
Le votazioni di maggio 2011 vedono protagonisti anche i rom dell'insediamento di
via Idro (chi ha detto che i rom non votano?), complici anche le dichiarazioni
del sindaco Moratti e del vicesindaco De Corato, che per tutta la campagna
elettorale ripetono che il campo è destinato a chiudere, dimenticandosi di
precisare come, quando e soprattutto perché.
È da precisare che gli abitanti dell'insediamento sono tutti cittadini italiani,
e questo pone difficoltà alle autorità nell'adoperare gli strumenti classici
dello sgombero e del rimpatrio; quindi la tattica adottata è quella del "non ti
mando via, ma ti rendo la vita impossibile".
Nel contempo, da questa lettera nasce nella primavera del 2012 un
progetto partecipato tra abitanti
del campo e un decina di associazioni,
che pone le basi per il mantenimento e la riorganizzazione dell'insediamento, a
cavallo tra la città e il costituendo Parco della Media Valle del Lambro.
A maggio 2012 il campo si propone come un vero e proprio polo della festa "Via
Padova è meglio di Milano", con una due giorni di balli, spettacoli per
bambini, cinema, musica, presentazioni di libri.
Dopo quest'esperienza, il campo presenta una propria programmazione estiva per i
concittadini, dove alle attività "culturali"
si affiancano momenti conviviali. Il conoscersi, la coesione sociale, si realizza quindi
non solo attraverso la cultura come la intendiamo noi, ma mangiando e
chiacchierando assieme (la cultura come la intendono i rom).
Infine, parte agli inizi del 2013 il progetto Social Rom-cittadinanza attiva,
con l'obiettivo di stimolare i giovani a diventare "cittadini attivi",
protagonisti del cambiamento della società, e anche a sviluppare una mentalità
interculturale attraverso un lavoro di gruppo. Il progetto prevede la
partecipazione di giovani italiani, rom harvati, figli di immigrati a tre
laboratori creativi:
workshop artistico-performativo;
workshop fotografico;
workshop narrativo.
Prospettive
Come gruppo, non solo abbiamo agito per praticare quella "coesione sociale" che
auspichiamo, ma ci siamo accollati anche, forse sbagliando, compiti spettanti
all'amministrazione pubblica e ai gestori. Il ruolo di un sano volontariato
dovrebbe essere quello di stimolo verso le istituzioni e la politica, e non
quello di un delegato a costo zero. Riteniamo che questo sia un argomento
portante non solo per la nostra piccola ridotta di via Idro, ma riguardi più in
generale tutto ciò che si sta muovendo attorno a via Padova.
Purtroppo, le aspettative sollevate dal cambio di giunta non sono state
soddisfatte e non uno dei punti sollevati nella lettera inviata dalla comunità
quasi due anni fa è stato affrontato. Nel frattempo sono intervenute nuove
emergenze. Non staremo a ripetere l'elenco degli interventi necessari e di
quelli richiesti, perché gli assessorati competenti sono stati puntualmente
informati, da noi, dal Consiglio di Zona, dagli abitanti stessi ogni volta che
si è presentata l'occasione.
I problemi che d'ora in avanti si pongono, tanto all'amministrazione che al
prosieguo della nostra attività sono:
i fondi: ci sono problemi ineludibili, nel senso che la situazione ambientale al
campo va deteriorandosi, e sono possibili incidenti anche gravi. La
responsabilità penale è del comune. A gennaio è stata evitata per poco il
rischio di emergenza sanitaria, che si sarebbe propagata anche nell'abitato
attorno. Il prossimo rischio è che la situazione di emergenza attuale, legata
anche a questioni di sicurezza, travalichi i confini del campo;
dopo quasi due anni, la fiducia degli abitanti è nuovamente ai minimi termini e
si stanno deteriorando anche i rapporti tra i gruppi familiari. È così diventato
un ostacolo anche per noi persone esterne al campo avere un rapporto propositivo
con i suoi abitanti. Inutile nascondersi che questa situazione è stato favorita
dall'inerzia dell'Amministrazione, che, vogliamo ricordarlo, ha preso precisi
impegni nel corso della campagna elettorale ed è la prima responsabile della
situazione del campo, che è regolare e si trova su un terreno comunale;
il terzo punto è la sintesi degli altri due. Se il linguaggio adottato da questa
amministrazione verso i rom è, fortunatamente, cambiato in meglio, nel
quotidiano rimane la stessa sensazione di distanza provata negli anni scorsi.
Non solo per gli impegni assunti pubblicamente e rinviati sine die, ma anche
riguardo alle possibilità di dialogo. Da un anno e mezzo si parla di colloqui
individuali con le famiglie per verificarne stato e aspettative, che però non
sono mai iniziati. Per capire quale possa essere il livello attuale di fiducia,
si consideri che la stessa promessa era stata fatta quasi otto anni fa
dall'allora assessore Moioli, con il medesimo risultato.
"Sporchi. Ladri. Criminali. Sempre pronti a portarci via i nostri bambini,
nascondendoli sotto una lunga gonna di stracci, non appena distogliamo lo
sguardo. Non serve neanche esplicitare il soggetto, perché questi pregiudizi
rimandano senza esitazione all'idea comune dello zingaro."
Così recitava il volantino di invito all'incontro sull'antiziganismo tenuto dal
docente di antropologia culturale Leonardo Piasere al primo piano
dell'Università di Verona.
In un'aula piccola ma gremita i ragazzi del collettivo Studiare con lentezza,
promotori dell'incontro, hanno fatto riferimento alle problematiche dell'Aula
Zero, un'aula autogestita aperta a tutti gli studenti. Lo spazio rischia infatti
di essere chiuso dopo i fatti del 12 febbraio, quando in occasione di un
incontro sulle foibe i ragazzi del collettivo hanno subito un'aggressione da
parte di formazioni neofasciste veronesi.
Il tema"antiziganismo" molto articolato e complesso è stato affrontato in modo
dialettico, rispondendo alle domande piuttosto che con l'uso del monologo.
Il concetto dell'identità nelle diverse realtà rom, la storia dei movimenti
migratori dei più grandi gruppi come i sinti, i calderas, etc e il ruolo della
tradizione sono elementi chiave per comprendere il razzismo condiviso nei loro
confronti. Elementi comuni ma anche di diversità come il tema dell'omosessualità
all'interno di tali comunità, tenendo sempre presente che non si può
generalizzare: le popolazioni romanì in Europa sono composte da 11 milioni di
persone. Questo vuol dire che se fossero la popolazione di uno Stato ufficiale
sarebbe il 12esimo all'interno dell'UE per numero di abitanti, e avrebbe diritto
a 22 rappresentanti nel Parlamento comunitario. Tanti quanti l'Olanda.
Il relatore, che ha vissuto a lungo all'interno di comunità rom, ha discusso dei
problemi con cui questa convive. Uno su tutti è lo stato di invisibilità totale
in cui vivono molte persone, in condizioni di apolidi di fatto, senza nemmeno il
riconoscimento di apolidia. Ma come gli zingari vedono le popolazioni che li
circondano?
La figura dello zingaro è estremamente stereotipata ed è colma di luoghi comuni
che circondano queste popolazioni. L'alone romantico di mistero esotico che
circondava lo zingaro ha fatto in modo che non troppi decenni fa nella bassa
veronese i bambini "stregati" venissero fatti allattare da balie gitane. Oggi è
totalmente svanito.
Gli zingari lasciano segni segreti sui cancelli, sulle porte: per malocchio o
per segnalare ai complici di una possibilità di furto. Questa è una leggenda
metropolitana nata da un racconto di un autore tedesco risalente agli inizi del
XIX secolo, che tra l'altro parlava di una singola donna che praticava
quest'usanza a scopi mnemonici e non di una comunità.
Nato invece da una commedia veneziana è un altro mito razzista: gli zingari
rapiscono i bambini.
Leonardo Piasere fa chiarezza: quando uno zingaro rapisce un bambino della
comunità locale è rapimento mentre quando lo Stato sottrae alla comunità rom i
suoi bambini è "difesa dell'infanzia". In tale ottica lo studioso ha esaminato
tutti i casi di presunti rapimenti di bambini degli ultimi vent'anni, scoprendo
che in tutti i casi la storia si sgonfiava, tranne in due in cui si è arrivato a
giudizio e ci sono state due condanne, secondo il relatore inconcepibili stando
agli atti.
Nello stesso lasso di tempo lo Stato Italiano ha dichiarato adottabili 300
bambini rom. La probabilità che un bambino rom sia dichiarato adottabile è 17
volte maggiore rispetto a un bambino "comunitario".
In Italia non esiste una politica nazionale in questo ambito, ma solo qualche
regolamento regionale.
Ironico è anche il fatto che per la comunità europea le priorità sono in
quest'ordine l'educazione, il lavoro, la salute e l'alloggio. Per le comunità
romanì l'ordine è specularmene invertito.
La storia del rapporto dell'Italia con queste comunità non è dei più felici. Ci
sono stati campi di concentramento istituiti esclusivamente per gli zingari,
all'interno di un piano studiato a partire dal '36. Un atteggiamento ostile che
non ha mai smesso di perpetuarsi, e che vede la sua massima espressione nei
partiti di estrema destra e nella Lega Nord. Quando Roberto Maroni è stato per
seconda volta ministro dell'Interno sotto Berlusconi ha istituito 5 commissari
straordinari per supervisionare gli zingari, provvedimento bocciato dal
Consiglio di Stato che ha accolto i ricorsi dell'associazione
European Roma
Rights Centre Foundation.
Zoomando ancora di più sul locale, Flavio Tosi sindaco di Verona è stato
condannato nel 2009 in via definitiva per propaganda razzista per una raccolta
firme nel 2001. Insieme a lui la sorella Barbara Tosi (consigliere comunale),
Matteo Bragantini (Commissario Federale della Lega Nord Südtirol e componente
del Direttivo Nazionale Veneto della Lega Nord), Enrico Corsi (assessore), Luca
Coletto (assessore) e Maurizio Filippi (altro esponente del partito).
I leghisti avevano avviato una pesante campagna mediatica per la raccolta di
firme per cacciare gli zingari dalla città, in particolare nei confronti di un
gruppo di famiglie sinti che tra l'altro avevano residenza a Verona, ed erano
quindi incacciabili.
Di Sucar Drom (del 18/03/2013 @ 19:23:03, in Italia, visitato 1465 volte)
A Mantova, Giovedì 21 marzo 2013, per la GIORNATA MONDIALE CONTRO IL RAZZISMO,
dalle ore 17.00, sarà presentato il 5° Rapporto annuale di Articolo 3
Osservatorio sulle discriminazioni.
In concomitanza sarà presentato il Rapporto ENAR sul razzismo in Italia e sarà
aperto un dibattito sul futuro dell'antidiscriminazione in Lombardia con i neo
eletti in Consiglio regionale.
A tutti i presenti all'evento sarà donata copia del Rapporto 2012
Nel lato oscuro dei grandi eventi che modificano il volto delle città ricade
anche la finanziarizzazione dei rom. Ne parla Alessia Candito nel suo libro Chi
comanda a Milano.
Chi comanda a Milano è un'inchiesta vecchio stile che si snoda attorno agli
aspetti visibili, gli intrecci opachi o letteralmente mafiosi e criminali che
gravitano attorno a Expo 2015. Nel libro, edito da Castelvecchi, Candito
ricostruisce sette anni di azione politica, si fanno nomi e cognomi dei
personaggi che sono stati e sono parte di speculazioni immobiliari, progetti di
cementificazione, devastazione ambientale e urbanistica. Ma in queste pagine si
parla anche dell'utilizzo cinico di rom e migranti.
Cos'è la finanziarizzazione dei rom cui dedica un capitolo del libro?
"La fortunata espressione non è mia, ma di Mario De Gaspari, ex sindaco di
Pioltello e voce critica della sinistra milanese. È stato lui per primo a
denunciare come per trasformare terreni agricoli o vincolati in edificabili
siano stati utilizzati anche gruppi di rom, volutamente tenuti nel degrado più
assoluto e trasformati in bomba sociale per rendere possibile la trasformazione
di destinazione d'uso di un'area o la “ristrutturazione” o “riqualificazione di
una struttura”. Queste paroline magiche devono sempre mettere sull'avviso: nella
maggior parte dei casi nascondono sempre grandi speculazioni a beneficio dei
soliti noti. In più, in omaggio, il centrodestra meneghino otteneva anche
consenso alimentato dalla paura, indotta e relativa al presunto allarme rom".
A suo avviso, c'è un legame strutturale fra la demonizzazione dei rom, che si è
fatta a Milano e in altre città, e le speculazioni edilizie?
"Non ho dati per affermarlo, ma non mi stupirebbe scoprirlo. Del resto, si
tratta di un metodo collaudato. E i grandi costruttori italiani non si sono mai
dimostrati schizzinosi al momento di fare affari: soci improbabili, metodi
ingiustificabili e devastazioni ambientali sono una costante".
Oltre che contro i rom, per anni a Milano sono state emesse ordinanze che
avevano come obiettivo gli immigrati in base a un'idea securitaria della città.
Cosa ne pensa?
"E' paradossale che Letizia Moratti e il suo vicesindaco Riccardo De Corato per
anni abbiano declinato la parabola sicurezza a forza di ordinanze anti kebabbari,
coprifuoco e sgomberi, proprio negli anni in cui più palesemente Milano si è
riscoperta totalmente infiltrata, o meglio colonizzata dalla criminalità
organizzata, in particolare dalla 'ndrangheta. Gli uomini delle 'ndrine – e lo
dicono la cronaca e le inchieste – non solo sono radicati da decenni a Milano e
in Lombardia, ma sono ospiti fissi di salotti buoni e grandi appalti. Del resto,
sono gli unici oggi che abbiano liquidità cash. E per questo risultano molto
graditi".
Oltre alla questione rom, lei accenna al fatto che in molti cantieri si utilizza
manodopera irregolare spesso immigrata. Hai esempi concreti di tale
sfruttamento?
"Ci sono diversi esempi di cui accenno, sono troppe le storie in proposito su
cui vale la pena continuare a indagare, ma non è un'esclusiva milanese. Basta
entrare in un qualsiasi cantiere da Canicattì a Bolzano per vedere come sono
sempre i lavoratori migranti, volutamente tenuti in condizioni di clandestinità,
a doversi sobbarcare i lavori più onerosi per paghe da fame. È in fondo il senso
della Bossi-Fini: creare una manodopera a basso costo, prona ed estremamente
ricattabile".
Che ruolo gioca in tale contesto la presenza delle grandi organizzazioni
criminali?
"Il radicamento delle organizzazioni criminali e della 'ndrangheta, in
particolare a Milano, non è recente, sono più di 40 anni che attraverso
l'istituto del soggiorno obbligato, numerose famiglie si sono stabilite in
Lombardia e in tutto il nord. Hanno avuto a disposizione numerosa liquidità e
sono entrate nell'economia come attori economici, come Mani Pulite insegna.
Molte persone più preparate di me hanno scritto testi molto validi e argomentati
in proposito. Su un dato credo si possa essere tutti concordi. In questo sistema
politico ed economico le 'ndrine giocano un ruolo da protagonista che solo
mettendo in discussione il sistema si potrà modificare".
Cosa è cambiato con la giunta Pisapia?
"Nonostante le elevatissime aspettative, la situazione è cambiata poco o nulla.
Le operazioni cosmetiche non possono bastare".
Di Fabrizio (del 11/03/2013 @ 09:04:16, in Italia, visitato 1632 volte)
OPERA NOMADI
DI REGGIO CALABRIA -
COMUNICATO STAMPA
Luigi, un uomo di 46 anni padre di sette figli, lunedì scorso si è tolto la
vita.
Era una persona dal carattere mite che ha sempre lavorato . Da ragazzo ha
imparato il mestiere del carpentiere edile e del muratore e d'allora ha lavorato
in questo settore. Le ditte che l'hanno conosciuto sapevano che si trattava di
un lavoratore serio e capace.
Molto giovane si sposa e forma la sua famiglia dalla quale nascono tre figli.
Dopo qualche anno arriva la separazione, ma i rapporti restano sempre buoni.
Luigi continua a lavorare e a prendersi cura dei suoi figli anche a distanza. Si
rifà una famiglia con una nuova compagna dalla quale avrà quattro figli.
Luigi dà il massimo per la nuova famiglia, ma anche per i figli del primo
matrimonio. Non perde una giornata di lavoro. Durante i giorni di festa o quando
ha qualche giorno libero fa piccole riparazioni per proprio conto per integrare
il salario.
Con il sacrificio del suo lavoro riesce a far fronte alle esigenze di tutti i
figli, ristruttura, un po' alla volta, la sua abitazione e compra qualche mobile
per renderla ancora più bella. Con il suo lavoro non fa mancare nulla a casa.
Ma da qualche mese, con l'acuirsi della crisi economica , comincia a lavorare
di meno. Quello che guadagna non è più sufficiente per provvedere ai bisogni
della sua famiglia, come ha sempre fatto. La crisi è veramente molto dura e
nell'edilizia ha colpito molto forte.
Il fatto di abitare nel ghetto di Ciccarello palazzine, dove gli svantaggi
sociali si sommano e non si riesce ad ottenere alcun aiuto economico, ha
sicuramente peggiorato la situazione.
Negli ultimi giorni era molto triste. Il suo dolore silenzioso lo ha portato
alla tragica decisione di porre fine alla sua esistenza. Lo ha fatto con una
corda al collo e lasciando un biglietto con il quale si è scusato con i suoi
familiari.
Luigi era un uomo onesto e laborioso della nostra città e un membro della
comunità rom. Era uno dei tanti rom che lavorano duramente per portare il pane a
casa con il sudore della propria fronte. Apparteneva a quella maggioranza onesta
di cittadini rom di cui nessun parla.
Quella maggioranza costituita da uomini e donne che lavorano e che, come tutti
gli altri cittadini, soffrono per la crisi attuale. La loro sofferenza è però
più forte, perché sono costretti, come altre persone escluse, ad affrontare la
crisi dallo stato di emarginazione in cui sono stati "relegati".
Il gesto drammatico di Luigi va letto, anche, come una richiesta di aiuto, alla
quale è necessario dare una risposta. Prima di tutto bisogna pensare alla sua
famiglia , la moglie e i figli, soprattutto i più piccoli. Non devono essere
lasciati soli di fronte a questo dramma umano.
Va fatta, poi, una seria riflessione sulla necessità di togliere dai ghetti
questi nostri cittadini.
Reggio Calabria, 9 marzo 2013 Il presidenteMarino Giacomo
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