"Ci sono tanti stereotipi da dovere abbattere, molta mitologia e la tendenza dei
non-gitani europei a considerarsi l'unico modello, le uniche libertà. Le nostre
dinamiche sono diverse, vogliamo emanciparci a modo nostro. Perché non può
esistere la diversità?" Rosa Jimenez, direttore dell'associazione Romi Sinti.
A tutti costa molto sapere chi si è. Cos'è essere gitani? Spagnoli? Europei?
Cos'è essere donna? O uomo? L'identità è qualcosa sulla quale tutt* devono
lavorare, riflette Araceli Cañadas, dottoranda presso l'Università di Alcalá,
dove insegna "Gitani di Spagna, storia e cultura". "La differenza tra
l'identità Romì e le altre, è che se tu volessi approfondire la tua identità
non-gitana, trovi argomenti, libri, documenti, professori, ecc, ma se voi
voleste approfondire la vostra identità gitana, manchereste di un corpus
bibliografico o documentale, manchereste di una tradizione accademica... Per ora,
devi riferirti a questi schemi fissi e stereotipati, o questo o nulla.
L' ultimo rapporto della Fundación Secretariado Gitano in collaborazione con il
Centro Nacional de Innovación e Investigación Educativa (CNIIE), dà alcuni dati
scoraggianti: "Solo il 62,7% ha completato al massimo istruzione primaria, il
24,8% ha conseguito la licenza della scuola secondaria obbligatoria (ESO) e solo
il 7,4 % ha raggiunto l'istruzione secondaria superiore completa (liceo e
formazione professionale)".
Il primo documento finora conosciuto, in cui si parla dell'arrivo dei gitani in
Spagna, risale al 1425 - cioè, stiamo parlando del XV secolo - spiega Canadas."
Stiamo forse dicendo che, in sei secoli, la comunità gitana, si è dedicata solo
a leggere la mano e a delinquere? E' assurdo. Ci sarà stata una parte della
popolazione gitana, che è stata all'università, però i gitani sono invisibili,
perché non si vuole mostrare questa realtà".
"Ho visto in alcune classi come i /le professor* trattano i bambini e le
bambine gitane, dicendo che dormono, che non leggono... perché questa è l'immagine
che si ha del popolo gitano. Come se fossero sempre la causa dei problemi in
classe, quando in realtà non è così," dice Gina, una studentessa di Lavoro
Sociale.
"Questo è chiamato effetto Pigmalione", dice Patricia Caro, studente di
psicologia e membro dell'Associazione femminista per la diversità zingara.
"E' fascismo. Al sistema è utile che i gitani siano una frangia sociale dalla
quale non si può uscire - afferma Pepi Fernandez, lavoratrice sociale.
Soraya Giménez, che lavora presso l'Istituto di Cultura Gitana, rileva
l'importanza di apprezzare e lavorare quanto è stato realizzato: "Se i media ci stereotipizzano e ridono di noi [...] realizziamo mezzi di comunicazione gitani e
lottiamo. E' davvero un problema di autostima".
Isabel Jiménez, Responsabile territoriale FSG in Aragona, sottolinea: "I
programmi televisivi ci hanno recato molto danno. Mostrano la parte più folclorica e lontana dalla realtà
",osserva inoltre che "gli atti come nozze e
rituali che insegna la televisione, hanno fatto il loro tempo per la maggior
parte delle famiglie, che preferiscono come tutte le altre, qualcosa di più
discreto".
Celia Gabarri, tecnica nella FSG, è la quinta di sei figli e l'unica che ha
deciso di studiare. "Una è libera se può scegliere. Non si può dire che si
sceglie liberamente, se si conosce un solo percorso e la formazione è la strada
per le pari opportunità". "Il cammino tradizionale, era sposarsi a 16 anni,
diventando donna, senza un processo di maturazione emotiva. Adesso, questo è
cambiato. Le madri vogliono che le loro figlie scelgano, vedano il mondo e
studino".
... "Ho udito un professore dire a una bambina: "Ma tu, perché sei qui, se puoi
vendere al mercato? Non sprecare tempo", se si demoralizza una bambina, ciò si
unisce alle sue paure di essere diversa tra i non-gitani" afferma Rosa Jiménez,
direttora dell'associazione Sinti Romí.
Uno dei temi ricorrenti quando si parla di sessismo nella comunità romì è il
fazzoletto: un simbolo che raffigura la verginità della sposa il giorno delle
nozze. Soraya Motos, anch'essa dell'associazione sostiene che è una questione
culturale. "Anche le cattoliche si vestono di bianco per andare all'altare,
simbolo della purezza. Non c'è molta differenza. Le cose sono molto più evolute
e modernizzate rispetto a ciò che tutti pensano Preserviamo le cose buone che ha
la nostra cultura e lasciamo alle spalle quelle che non ci piacciono, che erano
negative e limitavano le libertà".
Jiménez si lamenta delle "scemenze" che si dicono sulle gitane. "C'è bisogno di
contestualizzare. Il machismo è ovunque, non solo tra il popolo zingaro. Quello
che accade è che esso è più stereotipato nella nostra cultura. Ci vedono girare
in pantofole a casa e ci assegnano l'emarginazione in alcuni o molti casi può
anche essere, ma è anche vero che non si rendono visibili altre forme di essere
gitane".
"Ci seguono nei negozi, al momento di affittarci un appartamento, danno per
scontato che lo distruggerai, se vai a cercarti un lavoro, ti guardano in
cagnesco, se chiediamo una sovvenzione, siamo indicati come migranti... racconta
ridendo. "Quando sento gli stereotipi, mi chiedo dov'è il rispetto della
differenza, perché non si può essere diversi, perché per integrarmi, devo
diventare te, Nonostante abbia studiato, conquistato spazi, sia uscita da casa,
partecipo alla vita pubblica. Non voglio smettere di essere gitana, perché sono
orgogliosa di esserlo".
"Siamo sempre più visibili, vedono i nostri volti l'8 marzo, lottiamo mano
nella mano con le altre donne. "Ci sono tanti stereotipi da dovere abbattere,
molta mitologia e la tendenza dei non -gitani europei a considerarsi l'unico
modello, le uniche libertà. Le nostre dinamiche sono diverse, vogliamo
emanciparci a modo nostro. Perché non può esistere la diversità?"
"Vogliamo che capiscano la formazione delle donne come qualcosa di buono per la
famiglia e la comunità. Vogliamo che gli uomini ci accompagnino in questo
percorso di lotta. Andiamo lentamente, ma arriveremo" (Nelle nostre
dinamiche) prevale la collettività sull'individualismo. Intendiamo la libertà in
modo diverso".
"E ' un patrimonio impressionante che non si apprezza, che non è valorizzato. E'
bello il fatto dell'identità, la famiglia, i riti sui defunti, il rispetto tra i
gruppi di età, l'amore per i bambini. Ci sono tantissime cose importanti",
afferma Ana Giménez Adelantado, gitana kalé e Dottora in Antropologia.- . "Un
essere umano è in primo luogo, la sua cultura e le sue esperienze. Probabilmente
l'antropologia mi aiuta a capire meglio il mio mondo gitano, in cui io vivo e
posso analizzare la famiglia, i bambini, la scuola, le relazioni o la quotidiana
realtà. Essere, però, una zingara è una condizione assolutamente differente.
Viviamo in una società pluralistica e multiculturale in molti sensi. A questo
proposito, l'astrazione che facciamo della donna zingara è falsa, è teorica,
perché non ha nulla a che fare con la vita quotidiana di molte donne. C'è da
fare quest'astrazione, ma deve essere spiegata attraverso le esperienze di
differenti donne e permettere che esse la spieghino".
Il parroco di Caivano: "400 persone, tra cui tanti bambini, costretti a
respirare da mattina a sera i miasmi puzzolentissimi e velenosi che si
sprigionano da quei terreni avvelenati"
Don Maurizio Patriciello torna a fare un appello per la gente che vive nel cuore
della Terra dei Fuochi, questa volta il parroco "anti-roghi tossici" di Caivano
chiede un aiuto anche per le circa 400 persone che abitano il campo Rom di Giugliano, quello che insiste proprio accanto alla ex discarica Resit.
In una lettera indirizzata a Marco Tarquinio, direttore del quotidiano
"Avvenire" (e pubblicata anche su facebook), Don Maurizio scrive: "Il
Commissario della Resit, il dottor Mario De Biase, ebbe modo di affermare pochi
mesi or sono che lo scempio è tale da non farlo dormire di notte e che – secondo
lui – la situazione è paragonabile solo al disastro di Chernobyl. La cosa più
grave, di cui si parla tanto poco e tanto male, è che a ridosso della Resit
sorge un campo rom con una popolazione di circa 400 persone di cui la maggior
parte bambini, adolescenti o giovani mamme.
È qualcosa di inconcepibile, credimi. Queste persone sono costrette a respirare
da mattina a sera i miasmi puzzolentissimi e velenosi che si sprigionano da quei
terreni avvelenati. Noi, gente amante della vita, abbiamo il dovere di liberare
questo popolo e di aiutarlo a trovare una sistemazione più dignitosa e sicura".
Asgi, Fondazione Romanì e Associazione 21 Luglio lanciano
"Out of Limbo", una campagna per i diritti dei rom privi di cittadinanza
"Apolide" è colui che nessun paese del mondo riconosce come proprio cittadino.
Provate per un istante a immaginare cosa vuol dire. Significa, per esempio, non
poter avere mai documenti di identità: i documenti vengono rilasciati per
definizione dagli Stati di appartenenza, e gli apolidi - appunto - non
"appartengono" a nessun paese. Significa non avere un passaporto, che è
condizione necessaria per ottenere, all'estero, un permesso di soggiorno.
Significa non poter accedere a molti servizi essenziali, che di norma vengono
garantiti ai cittadini (o, al più, agli stranieri regolari).
L'apolide è, potremmo dire, un "fantasma giuridico". I primi a sperimentare
questa condizione di annullamento furono gli ebrei, ai quali il Terzo Reich
revocò la cittadinanza tedesca: un vero e proprio atto di persecuzione
propedeutico allo sterminio. Anche a seguito di quella tragica vicenda, la
Comunità Internazionale adottò nel 1954 la
Convenzione di New York, che
garantiva protezione agli apolidi. Oggi, lo straniero che sia riconosciuto privo
di cittadinanza ha diritto ad avere un permesso di soggiorno nello Stato
ospitante.
Il riconoscimento dell'apolidia
Fate caso alle parole. Si è detto che, ai sensi della Convenzione di New York,
ha diritto alla protezione chiunque sia riconosciuto come apolide. Ma come si fa
ad essere riconosciuti, cioè ad ottenere lo status di apolide?
Qui, come si suol dire, casca l'asino. Perché, certo, in Italia gli apolidi
godono di pieni diritti, hanno un regolare permesso di soggiorno, e quando vanno
in Questura si vedono rilasciare persino una specie di passaporto. Ma tutto
questo accade, appunto, agli apolidi riconosciuti come tali. Il problema vero è
come si diventa apolidi, cioè come si fa a dimostrare la propria condizione di
"persona senza cittadinanza".
La procedura di accesso allo status è disciplinata da un vecchio regolamento di
attuazione sulla cittadinanza (il DPR 572/93, per essere precisi). All'art. 17,
questo decreto prevede che l'aspirante apolide esibisca un certificato di
regolare residenza in Italia. Ora per avere la residenza bisogna avere un
permesso di soggiorno, e per avere un permesso di soggiorno bisogna munirsi di
un passaporto: solo che, come abbiamo visto, il passaporto si richiede al
proprio paese, e gli apolidi non hanno un "proprio paese"…
Siamo di fronte, insomma, a un "circolo vizioso" infernale: per essere
riconosciuti come apolidi bisogna produrre dei documenti che un apolide non può
avere, se non in casi molto rari. E' anche grazie a questa vera e propria
diavoleria burocratica che, in Italia, i titolari dello status sono pochissimi:
meno di mille, secondo alcune stime recenti (ne abbiamo parlato qui).
I rom e l'apolidia
Anche se non esistono dati precisi, è noto che molti apolidi provengono dalle
minoranze rom della ex-Jugoslavia. E proprio tra i rom esiste anche un esteso
fenomeno di "apolidia sommersa": sono cioè molte le persone che non hanno alcuna
cittadinanza, e che tuttavia non riescono a farsi riconoscere lo "status" in
modo ufficiale. Secondo una
recente stima dell'Associazione 21 Luglio, vi
sarebbero almeno 15.000 bambini rom senza cittadinanza, o comunque esposti alla
perdita della nazionalità originaria.
I motivi di questa situazione sono vari. In primo luogo, molti rom nascono in
Italia, e spesso i genitori hanno difficoltà a registrarli al paese di origine.
In secondo luogo, le norme in materia di cittadinanza nei paesi balcanici sono
complicate e restrittive: può così accadere che un bambino nato in Italia non
riesca a ottenere né la cittadinanza dei genitori, né quella italiana (come
noto, nel nostro paese vige un sistema di jus sanguinis, e la nascita sul
territorio nazionale non dà diritto ad essere cittadini).
Di fronte a queste difficoltà, i rom si rivolgono agli avvocati: ma, di solito,
un legale conosce solo la legge italiana, mentre qui bisogna districarsi tra le
norme di paesi differenti.
Fuori dal limbo
E' proprio per affrontare questi nodi che ha preso forma in questi giorni il
progetto "Out of Limbo", promosso da Associazione 21 Luglio, Asgi e Fondazione
Romanì, e finanziato da Open Society Foundations. La scorsa settimana si è
tenuta la prima giornata del corso di formazione che dà il via al progetto.
"Obiettivo del corso", dicono i promotori, "è quello di rafforzare le competenze
legali degli operatori che lavorano con le comunità rom, in modo che possano
svolgere il ruolo di "paralegali di comunità" e promuovere l'accesso allo status
delle persone rom senza documenti e apolidi".
I partecipanti, tra cui figurano anche 14 attivisti rom e sinti, dovranno
individuare tre casi di migranti rom privi di documenti, e dovranno assisterli
nel loro accesso a uno status legale. L'obiettivo finale del progetto è quello
di promuovere vere e proprie vertenze: "i casi individuati di particolare
rilevanza", proseguono i promotori dell'iniziativa, "daranno luogo ad azioni
legali strategiche portate avanti dagli operatori legali di ASGI e Associazione
21 luglio". L'obiettivo, insomma, è quello di trasformare gli "apolidi sommersi"
in "apolidi riconosciuti". E magari anche quello di cambiare le leggi italiane,
con i loro assurdi "circoli viziosi"
Di Fabrizio (del 15/02/2014 @ 09:05:07, in Italia, visitato 1834 volte)
PREMESSA NECESSARIA: Di fondi, progetti e politiche rivolte a Rom e Sinti ne sento
parlare almeno da 20 anni. Il mese scorso stavo rileggendo la "Strategia
nazionale di inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti", elaborata
dall'allora governo Monti a inizio giugno 2011. Date le esperienze precedenti,
non mi aspetto dopo tre anni che vi siano dei risultati, ma ritengo che sia un
periodo sufficiente per un bilancio.
Ovviamente da parte di molti dei soggetti coinvolti ci
sono le consuete lamentele sull'applicazione del piano, così ho
voluto chiedere loro un breve parere (10-20 righe) su quale
fosse lo "stato dell'arte" rispetto ai TAVOLI DI CONSULTAZIONE
municipali (vedi
GIUGNO SCORSO), di cui si parla nella strategia. Ho lasciato
loro un tempo ragionevole per rispondermi. Il risultato è qui
sotto.
Il mio blog (volente o nolente) viene considerato una
fonte attendibile. Quasi quotidianamente corrispondo con
attivisti o espertoni, che magari mi fanno i complimenti, o più
semplicemente cercano informazioni. Quindi, mi ero rivolto a
loro. Il desolante risultato che leggerete mi da l'impressione
che nei 15 anni in cui mi occupo di questo tipo di informazione,
non sia cambiato molto a livello di pressapochismo e chiusura
nel proprio microcosmo. Comunque, sono molto occupati dalle loro
strategie... o da se stessi.
Ovviamente, scarsa fiducia su dove possano portare
simili tavoli: le amministrazioni hanno le loro colpe, ma
chi è seduto dall'altra parte non è migliore.
Scusate lo sfogo.
RISULTATI
- da Bologna, Dimitri Argiropoulos - In Emilia -
Romagna non esiste un coordinamento ufficializzato relativo alle questione della
Legge Regionale 47/88 sul nomadismo Hanno istituito un tavolo per il
"monitoraggio" della Strategia nazionale (nota bene ho messo fra virgolette il
termine monitoraggio. In questo coordinamento trovano spazio le coop sociali di
Gaggè che gestiscono i campi "nomadi" con un certo "successo" di bilancio... e
ritrovo anche l'Opera Nomadi... particolarmente impegnata da questa parti a fare
la conta dei rubinetti rotti nei campi. (NOTA: Mi ha pure inviato 5
allegati, con l'aggiunta di usarli con "prudenza" in quanto "ufficiali")
- da Roma - prima risposta: "Qui a Roma non è mai
esistito alcun Tavolo rom." Chiesto qualcosa di più articolato, non
pervenuto
Di Fabrizio (del 14/02/2014 @ 09:07:59, in media, visitato 1454 volte)
Posted on Feb 6, 2014
Questa è la posizione di Valery Novoselsky, direttore esecutivo di uno
dei più grandi network dedicato a pubblicare informazioni sulle questioni rom.
Le notizie pubblicate non sono solo per un pubblico rom, ma anche per i non-Rom,
soprattutto quanti sostengono le comunità romanì e che lavorano per e con loro.
C'è dibattito sulle questioni rom?
Sì, in modo regolare, ma non intensivo, sui link relativi a Roma Buzz
Monitor, che è una parte del Roma Virtual Network. Da aprile 2010 una volta alla
settimana io o qualcuno degli abbonati ai canali del Roma Virtual Network
poniamo domande su questioni riguardanti la situazione attuale dei Rom. Prima
del giugno scorso erano postate su
http://debatewise.org ma da
allora appaiono regolarmente su
http://romadebates.wordpress.com
e una dozzina di liste di Roma Virtual Network e gruppi rom su Facebook. I
dibattiti si svolgono soprattutto su Facebook, in alcuni casi sono davvero
"caldi", soprattutto riguardo le deportazioni dei Rom da Francia, Italia e
Germania. Controllo comunque che non diventino offensivi o provocatori.
Ci sono stati alcuni cambiamenti a seguito di questi dibattiti?
Ha detto la parola esatta: "alcuni". Sì, ci sono cambiamenti, quando la gente
nel corso della discussione diventa più istruita. Più fatti e mente più aperta
modificano il punto di vista di gente dal carattere molto radicale. Così si
rendono conto che dovrebbero conoscere i fatti e individuare i veri co-pensatori
prima di lanciare campagne sociali.
Quanto sono importanti le informazioni sulle questioni rom?
Per i Rom sono sicuramente importanti sotto tutti gli aspetti. Non soltanto
musica o aiuto sociale, anche possibilità di iscrizione ai programmi MA e PhD, o
sul supporto logistico alle imprese, sulla Roma Police Union, ecc. Tutte queste
notizie sono importanti anche per i non-rom, che hanno un buon rapporto con i
Rom, quanti lavorano con loro nei medesimi progetti, o semplicemente chi è
preoccupato per il benessere e la tolleranza della società civile. Informazioni
attentamente selezionate e moderate su varie questioni rom sono postate su
diversi nodi elettronici del Roma Virtual Network dal luglio 1999, aiutano
tuttora migliaia di persone nell'apprendere sulle questioni rom, sulle
opportunità offerte ai Rom e agli eventi legati alla storia, alla cultura e al
miglioramento della situazione dei Rom in tutto il globo.
Qual è il tuo gruppo-target? Come arrivano le informazioni alle
comunità rom? E, viceversa - alle istituzioni e ai decisori politici?
In breve: a Rom e pro-Rom. Indipendentemente dalla collocazione geografica o
anagrafica. A quanti sono interessati alla politica, alla letteratura, alla
difesa dei diritti umani, alla lingua, alla storia, alla prevenzione dei crimini
di odio razziale, al business e ai progetti educativi. Molti Rom già accedono a
Internet e Roma Virtual
Network è già presente in diversi social network. Non soltanto su Yahoo e nelle
sue mailing list, dove conta oltre 11.000 abbonati (singoli o associazioni). Ci
sono anche 7.000 contatti su Facebook e 1.300 connessioni dirette su Linkedin. E
un account su Twitter aggiornato regolarmente.
In termini tecnici anche le istituzioni e i decisori politici sono collegate a Roma
Virtual Network. C'è il principio di uguaglianza nella raccolta delle
informazioni pubblicate dalle varie fonti informative. Io col comitato di
redazione del RVN rispettiamo quel principio. Facciamo del nostro meglio per far
circolare le informazioni più accurate sugli eventi e le notizie relative alle
comunità rom, a livello locale, nazionale e internazionale. L'accuratezza è più
importante della velocità e spesso lo è anche del diritto d'informazione.
Ci sforziamo di essere onesti e di mentalità aperta, di riflettere tutte le
dichiarazioni significative di opinioni differenti, esplorando la gamma e il
conflitto delle opinioni. Forniamo anche ugualmente notizie e opinioni dalle
diverse sezioni delle comunità rom. RVN è aperto alle critiche costruttive e ai
contributi che possano portare a un migliore servizio per Rom e non-Rom, a chi
vuole imparare di più sulle questioni rom e contribuire al processo
dell'emancipazione e dell'integrazione romanì nel mondo contemporaneo.
Di Fabrizio (del 13/02/2014 @ 09:05:50, in lavoro, visitato 1976 volte)
08 febbraio 2014 -
La relazione dell'Occhio del Riciclone da il punto sulla situazione dei rom
nelle città italiane, in merito alle attività lavorative collegate al settore:
"Occorre combinare opportunità di formazione e di reddito, creando centri di
riuso e riparazione, aree di libero scambio e sportelli municipali"
ROMA - Il rapporto nazionale sul riutilizzo 2013, presentato dalla rete
nazionale di operatori dell'usato e realizzato dal centro di ricerca economica
e sociale "Occhio del riciclone", con il patrocinio del ministero dell'Ambiente,
fa il punto sulla situazione dei rom, nelle città italiane, in merito alle
pratiche e attività lavorative collegate al settore. "Siamo di fronte ad un vero
e proprio know-how", racconta Gianfranco Bongiovanni, responsabile sociale del
lavoro per l'organizzazione "Occhio del riciclone"- "si deve trovare il modo per
formalizzare soluzioni concrete, combinando opportunità di formazione e di
reddito, basterebbe seguire alcuni semplici passi, creare centri di riuso e
riparazione per la raccolta e selezione dei beni usati, istituire aree di libero
scambio, aprire sportelli municipali per le fasce deboli, far emergere le
microimprese e costituire cooperative sociali".
Come ha fatto il comune di Torino, "che dal 2010 ha creato un'area di libero
scambio dove si ritrovano Rom, comunità straniere, ex-operai, cassaintegrati.
Sono due le zone in questione e una di queste è all'interno dello storico
mercato del Balan, nel quartiere Borgo Dora, ed è un'area gestita
dall'associazione omonima (Balan), l'altra in piazza della Repubblica, ed è
l'associazione Bazar project che se ne occupa".
Riguardo a questa tematica, negli ultimi anni, "Roma ha fatto invece passi
indietro nell'opportunità di includere le economie informali, all'interno di una
gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti e nell'inclusione sociale di queste
attività". "Il comparto dell'usato è un ammortizzatore sociale naturale, poiché
chi ha mancanza di capitali la prima cosa che fa è vendere ciò che possiede
oppure gli oggetti non utilizzati della propria rete di conoscenze, questi beni
costituiscono una risorsa economica per il sostentamento del proprio nucleo
familiare", dice Bongiovanni. Con il tempo, questi mercati, dove lavoravano i
Rom, sono stati chiusi, creando così fenomeni di caporalato e taglieggiamento a
operatori Rom, spingendoli tra l'altro a portare le loro mercanzie in aree non
autorizzate, quindi esponendoli ancora di più al rischio di infrazioni e di
ritiro della merce".
Realizzare un area legale di libero scambio in territorio romano potrebbe essere
una maniera interessante per consentire una formalizzazione graduale di questo
tipo di attività. "Nel rapporto sul riutilizzo 2013 ci sono delle indicazioni
che possono aiutare gli amministratori locali a intraprendere dei percorsi per
l'istituzione locale alla creazione di questi spazi anche con una certa celerità
perché le esigenze dovute anche alla crisi economico-sociale sono sempre più
pressanti", racconta Dongiovanni. "Intorno al riutilizzo stanno nascendo realtà
interessanti come quelle della riconversione di spazi lavorativi, come le ex
officine per la manutenzione dei treni di Roma o l'ex Maflow di Milano. Sono
tante le persone che insieme ai figli, attraverso l'attività di rivendita
dell'usato, riescono a mandare avanti la famiglia, come persone che volevano
intraprendere una loro attività, ma che non sono riuscite a emergere a causa
delle difficoltà della normativa attuale". "Senza dubbio, conclude Bongiovanni,
il problema è la mancanza di spazi autorizzati dove commercializzare beni usati,
al fine di poter rendere questa attività un vero e proprio progetto di vita".
Ecco fatto. C'è stato persino
un
sondaggio e il risultato non lasciava dubbi.
Mi fanno ancora male i polpastrelli, ma è stato divertente.
MAHALLA EU è online..
Numero zero per due ragioni:
s'è fatto avanti un finanziatore, appena definiti gli
accordi si inizierà con uscite regolari;
nel frattempo, che parliate inglese o meno, dategli un
occhio e segnalate errori, bug, suggerimenti e tutto quanto
serva per passare dalla VERSIONE BETA ad una definitiva e
perfettamente funzionante.
A quel punto si procederà con un aggiornamento settimanale.
Sappiate che stiamo cercando traduttori dall'italiano all'inglese. Per
chiarimenti e contatti, inviare un'email.
Lo Spirito nomade: viaggio nella religiosità dei rom e dei sinti
Con Giorgio Bezzecchi, Graziano Halilovic, Daniele Degli Innocenti, Lucia La
Santina e Viola Della Santa Casa
Ancora uno sguardo di Uomini e Profeti fissato su ciò che è minoritario,
laterale, recessivo nella scala di valori della cultura ufficiale e dei grandi
dibattiti. Nella puntata di oggi ci incamminiamo lungo le strade percorse dallo
Spirito nomade, per entrare nella religiosità che abita i margini, quelli lungo
i quali si spostano e si soffermano le carovane dei rom e dei sinti. Una
religiosità permeabile che accoglie ciò che incontra e lo assorbe, facendone una
devozione semplice e forte, che non ha nulla di esotico, proprio come i campi
nomadi in cui viene vissuta, o per dirla in modo più politicamente corretto, le
microaree. Le microaree come quella dei sinti evangelici del quartiere di San
Basilio, nella periferia di Roma, dove abbiamo incontrato il pastore evangelico
Daniele Degli Innocenti, Lucia La Santina e Viola Della Santa Casa, che parlano
con discrezione e consapevolezza della loro fede, del loro risveglio, della loro
chiesa costruita con le proprie mani, nella quale ci siamo seduti a parlare,
mentre i rumori del vicino raccordo anulare e un pauroso nubifragio rendeva la
periferia romana ancora più livida.
Con gli ospiti in studio, Giorgio Bezzecchi, Graziano Halilovic rom khorakhanè,
ovvero musulmano, arricchiremo di ulteriori tessere il mosaico di
un'appartenenza religiosa mutevole come le terre che attraversa.
Suggerimenti di lettura
L. Narciso, La maschera e il pregiudizio. Storia degli zingari, Melusina 1996
L. Piasere, Un mondo di mondi. Antropologia delle culture rom, L'Ancora del
Mediterraneo 1999
L. Piasere, Italia Romanì, vol I, II, III, Cisu edizioni, 1996, 1999, 2002
A. Luciani, Un popolo senza territorio e senza nazionalismi: gli zingari
dell'Europa orientale, in A. Roccucci, Chiese e culture nell'Est europeo, Ed.
Paoline 2007, pp.275-326
Stojka Ceija, Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, Giuntina
2007
Parole Cvava sero po tute
i kerava jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta vasu ti baro nebo
avi ker kon ovla so mutavia kon ovla ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava palan bura ot croiuti
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali Versi in lingua romanés tratti da Khorakhanè, di Fabrizio De André e Giorgio
Bezzecchi
Musica Minor swing- Django Reinhardt (1910-1953), chitarrista di origine sinti,
ideatore e maggiore esponente storico del Jazz Manouche (Dal cd Retrospective et.
SAGA/038 164-2)
PESCARA. E' un pescarese di origine rom la nuova promessa della Formula Renault.
Loris Boggi Spinelli, campione del mondo di karting nel 2011, vuole ripercorrere
le orme di Trulli e Liuzzi ed entrare nel circo internazionale della Formula 1.
Le qualità di guida sembrano esserci tutte, ma per coronare il sogno occorre il
sostegno economico di qualche sponsor. Intanto disputerà questo campionato
europeo di Formula Renault nella quale i piloti possono imparare i segreti prima
di passare a formule superiori, come la Formula 3, la GP2 e la Formula 1.
Classe 1995 nativo di Atri e residente a Città Sant'Angelo, ha iniziato a
praticare attività sportiva ad appena quattro anni, quando il padre Adriano lo
ha portato per la prima volta in un circuito a Moscufo e, quando si è trattato
di scegliere tra auto e moto, Loris non ha avuto dubbi preferendo le quattro
ruote.
A 10 anni subito i primi risultati con il prestigioso successo nel campionato
italiano a squadre di minikart categoria 60, sulla pista della Val Vibrata. E
poi, uno dietro l'altro, altri importanti traguardi come la vittoria al torneo
di Primavera sul circuito di Desenzano del Garda e il quinto posto al campionato
internazionale WSK del 2009.
"La soddisfazione più bella", racconta Loris, maggiorenne da poco più di un
mese, "me la sono presa nel 2011 quando ho vinto il mondiale a Sarno davanti al
danese Sorensen. L'anno prima, per colpa di un contatto nella gara decisiva, non
ero andato al di là del sesto posto ma fortunatamente mi sono preso la
rivincita. Nel 2012 sono passato alla categoria 125 e ho ottenuto due podi nelle
gare di campionato italiano Csai.
L'anno scorso, invece, ho avuto l'occasione di partecipare ad una gara di
Formula Abarth dove mi sono piazzato terzo. Adesso c'è questa nuova opportunità
della Formula Renault con il team Jenzer che spero di sfruttare al meglio per
crescere".
Coraggio e freddezza sono le sue migliori qualità di guida, mentre come stile al
volante ricorda più Liuzzi che Trulli. "Purtroppo per emergere non basta la
bravura ma ci vuole anche fortuna", conclude Loris Boggi Spinelli, cugino del
campione di mini moto Nicholas Spinelli. "I primi test a Valencia sono andati
bene e spero di essere pronto per la prima prova stagionale che ci sarà a Monza
a metà aprile"
Milano e Roma, ma anche città piccole come Pisa: le amministrazioni comunali
tornano a sgomberare i campi rom. Come se non fosse cambiato nulla in questi
anni
Violano i diritti umani e alimentano l'emarginazione dei rom e dei sinti.
Costano cifre astronomiche (pagate dai contribuenti) e non producono risultati
apprezzabili. Sono vietati dalle norme internazionali sul diritto all'alloggio,
e di recente sono stati "messi al bando" anche dall'Unione Europea. Le nuove
politiche del governo italiano, sintetizzate nella "Strategia Nazionale di
Inclusione delle popolazioni rom", suggeriscono di evitarli, e propongono strade
alternative.
Insomma, gli sgomberi dei campi rom sono - per usare un eufemismo - "vivamente
sconsigliati". E per la verità sembravano anche passati di moda, dopo l'uscita
di scena dei loro principali sostenitori nei "palazzi che contano": Gianni
Alemanno al Campidoglio, Letizia Moratti a Palazzo Marino e Roberto Maroni al
Viminale. E invece, da qualche settimana la moda sembra tornata. In grande
stile.
Roma e il "metodo del rigore"
Le ultime notizie vengono dalla Capitale. Mercoledì scorso, alle prime luci
dell'alba, è iniziato lo sgombero forzato nel campo di Via Belmonte Castello,
alla periferia est della città: 20 famiglie rom, tra cui 40 bambini tra 0 e 12
anni, sono state allontanate con la forza dall'area. Secondo la
denuncia di
Associazione 21 Luglio e Popica Onlus, l'intervento rappresenta "una grave
violazione dei diritti umani".
"L'azione", spiegano le due associazioni, "non è stata accompagnata da una
genuina consultazione con gli interessati né dalla valutazione di adeguate
alternative allo sgombero. Non si è proceduto a dare un preavviso congruo e
ragionevole alle persone coinvolte. A causa dello sgombero, inoltre, i bambini
interrompono il loro percorso scolastico e le famiglie rom vengono rese ancora
più vulnerabili".
A dir la verità, la Giunta Marino non è nuova a queste imprese. Già nel
Settembre scorso il Campidoglio aveva fatto eseguire quello che era stato
definito "il primo sgombero della nuova amministrazione": 35 nuclei familiari
erano stati allontanati dal campo di Via Salviati. Da allora si sono registrati
diversi sgomberi, nei campi di Colle Oppio, Casal Bertone, Cesarina...
A sentire il primo cittadino, la sequenza di azioni "muscolari" si deve al
nuovissimo metodo partorito dalla sua Giunta: il "metodo del rigore". "Non
possiamo tollerare situazioni di insediamenti abusivi", ha spiegato lo stesso
Marino il 24 Gennaio scorso, durante una trasmissione radiofonica, "nei prossimi
mesi useremo un metodo di rigore. Useremo tutti gli strumenti legittimi per
allontanare i rom".
Cosa ci sia di nuovo, nel "metodo del rigore", rimane un mistero: il "pugno di
ferro" contro i rom era una vera e propria mania di Gianni Alemanno, il
predecessore di Ignazio Marino. E difatti l'Associazione 21 Luglio non esita a
parlare di vera e propria "continuità" con la passata amministrazione.
Sgomberi a Milano
Anche a Milano gli sgomberi non sembrano passati di moda. La scorsa settimana,
tra Martedì e Mercoledì, un'azione congiunta delle forze dell'ordine -
Carabinieri, Polizia e vigili urbani - ha definitivamente chiuso il campo di Via
Selvanesco. L'area era già stata sgomberata nel Novembre scorso, il Comune aveva
chiuso tutti gli accessi ma due gruppi di rom (una quarantina tra romeni e
bosniaci) continuavano a dormire di nascosto al campo. Tra l'altro il terreno
era di proprietà degli stessi rom: lo sgombero non era stato motivato
dall'occupazione "abusiva" dello spazio, ma da ragioni igienico-sanitarie e
dalla presenza di manufatti (baracche, roulotte ecc.) in violazione delle norme
urbanistiche.
Nel capoluogo lombardo, peraltro, la Giunta Pisapia non ha mai smesso di
sgomberare. Marco Granelli, assessore alla Sicurezza e Coesione Sociale,
va
dicendo da tempo che le cose sono cambiate rispetto all'era Moratti, che - certo
- gli sgomberi ci sono, ma che il Comune garantisce ai rom delle soluzioni
alternative dignitose. Le associazioni, però, sono di tutt'altro avviso. E negli
ultimi mesi hanno lanciato accuse pesantissime contro l'operato di Palazzo
Marino.
Alla fine di Novembre, ad esempio, la chiusura del campo di Via Montefeltro ha
suscitato le
proteste del Naga, storica associazione milanese, e anche
quelle
dell'European Roma Rights Center (Errc), una Ong internazionale con sede a
Budapest. "Si è proceduto ad uno sgombero di più di 700 persone", accusava il
Naga, "sapendo già che gran parte di queste non potranno accedere ad alcun
alloggio: i posti messi a disposizione dall'amministrazione comunale sono
infatti appena 200".
Grandi e piccole città: il caso di Pisa
Gli sgomberi non avvengono solo nelle grandi città: per restare ai fatti della
scorsa settimana, c'è da segnalare anche l'ordinanza emanata dal Sindaco di Pisa
Marco Filippeschi. Negli anni passati, gli sgomberi erano una prassi quotidiana
all'ombra della Torre Pendente: ma da qualche tempo le ambizioni "muscolari"
della Giunta targata Pd si erano un po' ridimensionate.
Nei giorni scorsi, il primo cittadino è tornato all'attacco, e stavolta ha preso
di mira il campo di Coltano. Si tratta, per la verità, dell'unico insediamento
autorizzato della città, che in tempi recenti era stato trasformato in un
"villaggio": al posto delle baracche e delle roulotte, il Comune aveva fatto
costruire delle "casette", in modo da rendere più dignitoso lo spazio. Come
spesso accade in questi casi, non tutti i rom erano stati autorizzati a entrare
nella nuova area attrezzata, e alcune famiglie si erano sistemate nei terreni
circostanti: così, accanto al "villaggio" era sorto il "campo", ovviamente non
autorizzato.
Da tempo si discuteva di una possibile soluzione per tutte le famiglie, e dunque
dell'inserimento abitativo dei nuclei confinati nel "campo". Ma la Giunta
comunale ha scelto la strada consueta: quella dell'allontanamento forzato.
"Quattro nuclei verranno sgomberati",
accusano Africa Insieme e Rebeldia, due
sigle da sempre impegnate a fianco dei rom, "ma solo a due di questi è stata
proposta una dignitosa soluzione abitativa. Le altre famiglie - nelle quali vi
sono anche bambini - dovranno allontanarsi".
Peraltro, le associazioni accusano il Comune di non aver voluto trovare
soluzioni: "La Regione Toscana", dicono, "ha creato tavoli di lavoro con gli
enti locali per scongiurare gli sgomberi forzati. Vi sono fondi europei
stanziati per progetti validi e innovativi, e già alcune città toscane hanno
avuto accesso a questi fondi. Il Comune di Pisa non ha presentato alcun progetto
ed è oggi il fanalino di coda delle politiche sociali sui rom, sia a livello
regionale che nazionale".
Il gioco dell'oca
Sono passati due anni da quando il Governo italiano ha varato la "Strategia
Nazionale di Inclusione", che chiedeva di superare il binomio segregazione nei
campi / allontanamenti forzati, e che sembrava aprire una nuova stagione nelle
politiche in materia di rom e sinti. Eppure, a vederla "dal basso" - da quel che
accade nelle grandi e piccole città, nei territori, nelle amministrazioni locali
- sembra davvero di essere tornati al punto di partenza. Come in un assurdo
gioco dell'oca.
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