12 febbraio 2014 -
Corriere delle migrazioni
Asgi, Fondazione Romanì e Associazione 21 Luglio lanciano
"Out of Limbo", una campagna per i diritti dei rom privi di cittadinanza
"Apolide" è colui che nessun paese del mondo riconosce come proprio cittadino.
Provate per un istante a immaginare cosa vuol dire. Significa, per esempio, non
poter avere mai documenti di identità: i documenti vengono rilasciati per
definizione dagli Stati di appartenenza, e gli apolidi - appunto - non
"appartengono" a nessun paese. Significa non avere un passaporto, che è
condizione necessaria per ottenere, all'estero, un permesso di soggiorno.
Significa non poter accedere a molti servizi essenziali, che di norma vengono
garantiti ai cittadini (o, al più, agli stranieri regolari).
L'apolide è, potremmo dire, un "fantasma giuridico". I primi a sperimentare
questa condizione di annullamento furono gli ebrei, ai quali il Terzo Reich
revocò la cittadinanza tedesca: un vero e proprio atto di persecuzione
propedeutico allo sterminio. Anche a seguito di quella tragica vicenda, la
Comunità Internazionale adottò nel 1954 la
Convenzione di New York, che
garantiva protezione agli apolidi. Oggi, lo straniero che sia riconosciuto privo
di cittadinanza ha diritto ad avere un permesso di soggiorno nello Stato
ospitante.
Il riconoscimento dell'apolidia
Fate caso alle parole. Si è detto che, ai sensi della Convenzione di New York,
ha diritto alla protezione chiunque sia riconosciuto come apolide. Ma come si fa
ad essere riconosciuti, cioè ad ottenere lo status di apolide?
Qui, come si suol dire, casca l'asino. Perché, certo, in Italia gli apolidi
godono di pieni diritti, hanno un regolare permesso di soggiorno, e quando vanno
in Questura si vedono rilasciare persino una specie di passaporto. Ma tutto
questo accade, appunto, agli apolidi riconosciuti come tali. Il problema vero è
come si diventa apolidi, cioè come si fa a dimostrare la propria condizione di
"persona senza cittadinanza".
La procedura di accesso allo status è disciplinata da un vecchio regolamento di
attuazione sulla cittadinanza (il DPR 572/93, per essere precisi). All'art. 17,
questo decreto prevede che l'aspirante apolide esibisca un certificato di
regolare residenza in Italia. Ora per avere la residenza bisogna avere un
permesso di soggiorno, e per avere un permesso di soggiorno bisogna munirsi di
un passaporto: solo che, come abbiamo visto, il passaporto si richiede al
proprio paese, e gli apolidi non hanno un "proprio paese"…
Siamo di fronte, insomma, a un "circolo vizioso" infernale: per essere
riconosciuti come apolidi bisogna produrre dei documenti che un apolide non può
avere, se non in casi molto rari. E' anche grazie a questa vera e propria
diavoleria burocratica che, in Italia, i titolari dello status sono pochissimi:
meno di mille, secondo alcune stime recenti (ne abbiamo parlato qui).
I rom e l'apolidia
Anche se non esistono dati precisi, è noto che molti apolidi provengono dalle
minoranze rom della ex-Jugoslavia. E proprio tra i rom esiste anche un esteso
fenomeno di "apolidia sommersa": sono cioè molte le persone che non hanno alcuna
cittadinanza, e che tuttavia non riescono a farsi riconoscere lo "status" in
modo ufficiale. Secondo una
recente stima dell'Associazione 21 Luglio, vi
sarebbero almeno 15.000 bambini rom senza cittadinanza, o comunque esposti alla
perdita della nazionalità originaria.
I motivi di questa situazione sono vari. In primo luogo, molti rom nascono in
Italia, e spesso i genitori hanno difficoltà a registrarli al paese di origine.
In secondo luogo, le norme in materia di cittadinanza nei paesi balcanici sono
complicate e restrittive: può così accadere che un bambino nato in Italia non
riesca a ottenere né la cittadinanza dei genitori, né quella italiana (come
noto, nel nostro paese vige un sistema di jus sanguinis, e la nascita sul
territorio nazionale non dà diritto ad essere cittadini).
Di fronte a queste difficoltà, i rom si rivolgono agli avvocati: ma, di solito,
un legale conosce solo la legge italiana, mentre qui bisogna districarsi tra le
norme di paesi differenti.
Fuori dal limbo
E' proprio per affrontare questi nodi che ha preso forma in questi giorni il
progetto "Out of Limbo", promosso da Associazione 21 Luglio, Asgi e Fondazione
Romanì, e finanziato da Open Society Foundations. La scorsa settimana si è
tenuta la prima giornata del corso di formazione che dà il via al progetto.
"Obiettivo del corso", dicono i promotori, "è quello di rafforzare le competenze
legali degli operatori che lavorano con le comunità rom, in modo che possano
svolgere il ruolo di "paralegali di comunità" e promuovere l'accesso allo status
delle persone rom senza documenti e apolidi".
I partecipanti, tra cui figurano anche 14 attivisti rom e sinti, dovranno
individuare tre casi di migranti rom privi di documenti, e dovranno assisterli
nel loro accesso a uno status legale. L'obiettivo finale del progetto è quello
di promuovere vere e proprie vertenze: "i casi individuati di particolare
rilevanza", proseguono i promotori dell'iniziativa, "daranno luogo ad azioni
legali strategiche portate avanti dagli operatori legali di ASGI e Associazione
21 luglio". L'obiettivo, insomma, è quello di trasformare gli "apolidi sommersi"
in "apolidi riconosciuti". E magari anche quello di cambiare le leggi italiane,
con i loro assurdi "circoli viziosi"