Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Premessa: 6 aprile 2004, Il Washington Post riportava della completa rasa al suolo di un villaggio di zingari (Dom presumo) nell'Iraq meridionale, ad opera delle milizie sciite, dopo un intenso scontro a fuoco tra gli abitanti e la milizia stessa. Non si conosce la sorte e il numero dei superstiti. Sempre secondo l'articolo, Hamid Abed Zeid, uno dei comandanti della milizia, ha giustificato l'azione con queste parole: "Sappiamo cosa succedeva lì - attività illegali, droga, crimini, rapimenti. Queste sono attività contrarie agli insegnamenti islamici".
Foto e notizie su: Washington Post (ma il link non è più disponibile senza abbonamento) con le dovute precauzioni, visto il ruolo di occupanti degli statunitensi e i loro rapporti (allora) molto tesi con gli sciiti dell'Iraq del sud. Questa settimana Reuters e Washington Post sono ritornati su quelle storie (vedi sotto).
Qui invece un altro articolo del giugno 2005.
Per conoscere i Dom, diffusi in Medio Oriente e Africa Settentrionale
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By Deepa Babington
HADID, Iraq (Reuters) – Tra i tre milioni di Iracheni impoveriti, Jameel Mahmoud Hassan ha il non invidiabile titolo di essere tra il più povero di tutti.
Parte di un gruppo di Zingari iracheni che ha girato per anni nei fetidi terreni di un villaggio a nord di Baghdad, ha passato la sua vita nello squallore, e ora nella paura.
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La casa non è niente di più di una tenda che a fatica si tiene con i sui bastoni, e un tappeto strappato circondato da sacchetti di plastica, barattoli arrugginiti e bottiglie rotte.
Una pila di bombole di cherosene con del fango sulla parte superiore, serve da forno improvvisato. Le mosche turbinano dappertutto - sull'immondizia, sui bambini che ridono senza motivo, su un cane legato ad un albero.
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Dentro la tenda, sua moglie e cinque figli, i vestiti impastati dal fango, avvolti in una maglia e un tappeto. La lampada a cherosene è l'unica fonte di calore in questa gelida mattina invernale.
Patate, cocomeri e fagioli sono il piatto tipico a colazione, pranzo e cena. La carne è un lusso che appare forse ogni due settimane.
Recentemente, la milizia si è presentata da Hassan per obbligarlo a sgomberare.
“Non abbiamo niente” dice. “Siamo poveri. Cerchiamo solo un posto sicuro per nasconderci”
Disprezzati dai religiosi musulmani e a fatica tollerati dal resto della società, gli Zingari iracheni vivono un'esistenza precaria. Mancando di istruzione e professionalità, formano il gradino più basso del sistema sociale.
Ancora, gli Zingari del villaggio di Hadid, vicino a Baquba (65 km, a nordest di Baghdad), possono essere tra i più fortunati in Iraq. Le altre tribù sono state cacciate e attaccate dalle rampanti milizie islamiche, che li vedono come una macchia sulla società.
Sotto Saddam Hussein, gli Zingari erano al sicuro dalle persecuzioni – favore che ricambiavano occupandosi di danza, alcool e prostituzione, dicono gli Iracheni. La loro sicurezza scomparve con la destituzione di Hussein, lasciando aperta la porta alle milizie religiose.
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ZINGARI IRACHENI — Una famiglia condivide un modesto pasto nella tenda che serve loro da casa nella città di Diwaniya, nell'Iraq Meridionale [...]
To match feature IRAQ-GYPSIES. REUTERS/Imad Al-Khozai/Files (SIN25D)
Photo shot: 1/04/2006 5:10 AM Photo arrived: 1/04/2006 12:13 AM
immagine dal Washington Post
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VILLAGGI ATTACCATI
Una tribù di circa 250 famiglie zingare che viveva in un villaggio vicino alla meridionale città di Diwaniya fu tra quanti scoprirono sulla propria pelle la furia dei gruppi religiosi.
Il capodanno dell'anno scorso colpi di mortaio caddero sulle capanne di fango e canne, uccidendo una donna e ferendone altre tre.
Convinti di essere stati attaccati dal potente esercito di Moqtada al-Sadr, abbandonarono il villaggio, senza chiedere aiuto ai leaders religiosi. In seguito la più alta autorità sciita in Iraq, il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, promise loro che non sarebbero più stati molestati. Fecero ritorno al villaggio, che nel frattempo era stato saccheggiato.
La scuola elementare e la clinica costruite dal governo di Saddam erano state rese inagibili, le loro case danneggiate. La povertà che credevano di essersi lasciati alle spalle era tornata.
“[Gli esponenti dei] partiti religiosi ci hanno torturato,” racconta Bizai al- Baroodi, lo sceicco della tribù. “Avevamo raggiunto un livello decente di vita, ma dopo gli ultimi attacchi, ci siamo ritrovati al punto di partenza.”
La paura di quella notte attanaglia ancora Maiyada al-Tamimi, una Zingara di 20 anni. Un colpo di mortaio colpì la sua casa, uccidendole la madre e fratturandole il braccio, che dice dev'essere ancora curato. Dice: “Se avessi un lavoro pulito e onesto, non esiterei a lasciare questa tomba e vivere come qualsiasi altra ragazza della mia età”.
Come molti Zingari iracheni, molti della sua tribù sono arrabbiati per essere costretti a vivere come fuggiaschi nella loro stessa terra. Dicono che le loro radici si trovano in Spagna e fecero dell'Iraq la loro patria oltre 150 anni fa. Molti sono originari dell'India, altri arrivano da altri paesi del Medio Oriente.
Anche se parlano arabo e si professano islamici, le loro facce più scure ed affilate le tradiscono e ne fanno oggetto di persecuzione razziale:
“Siamo musulmani ed esseri umani, cittadini iracheni,” dice al-Baroodi. “Vogliamo soltanto vivere in pace”. © Reuters 2006. All Rights Reserved.
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Di Fabrizio (del 08/01/2006 @ 17:46:18, in Europa, visitato 1939 volte)
Ricevo e porto a conoscenza:
Dichiarazione al New York Times sottoscritta da otto sopravissuti omosessuali ai campi di sterminio: sono passati 10 anni da allora ma il velo di silenzio permane nella maggior parte dei media borghesi.
50 anni fa venimmo liberati dalle truppe alleate, dai campi di concentramento e di prigionia nazionalsocialisti. Ma il mondo che avevamo sperato non si avverò. Dovemmo perciò nasconderci e ci esponemmo a nuove persecuzioni. Il paragrafo 175 del 1935, antiomosessuale, rimase valido fino al 1969; le retate non erano una rarità. Alcuni di noi – liberati dai campi – furono condannati di nuovo a lunghe pene detentive.
Sebbene alcuni sopravvissuti tentassero di sostenere fino alla Corte federale il nostro riconoscimento come perseguitati dal regime nazista, non fummo però riconosciuti come tali e venimmo esclusi dal risarcimento economico a favore delle vittime del nazionalsocialismo. E il sostegno nazionale e la solidarietà dell’opinione pubblica non esistevano per noi. Nessun nazista delle SS è mai stato ritenuto responsabile in tribunale per l’omocidio di un omosessuale. Ma i primi appartenenti alle SS ricevono oggi per il loro “lavoro” una pensione, mentre a noi non vengono riconosciuti gli anni dei campi e così non vengono calcolati per la pensione.
Ora siamo troppi vecchi e stanchi per lottare per il riconoscimento del torto che ci è stato inflitto. Molti di noi non osano parlare di ciò. Molti di noi sono morti soltanto con ricordi pieni di tormento. Abbiamo inteso a lungo ma invano un chiaro gesto politico ed economico del governo tedesco e della Corte federale.
La nostra persecuzione è appena oggi menzionata nelle scuole e nelle università. Anche nei musei e nei luoghi di commemorazione qualche volta non veniamo neppure nominati come gruppo perseguitato.
Oggi, cinquant’anni dopo, ci rivolgiamo alla giovane generazione e a tutti coloro che non si vogliono fare guidare dall’odio e dai pregiudizi. Ci diano una mano a difenderci da una memoria della persecuzione degli omosessuali da parte dei nazisti ancor sempre incompleta e viziata da pregiudizi. Non fateci mai dimenticare, così come agli ebrei, zingari, testimoni di Geova, massoni, disabili, prigionieri di guerra russi e polacchi, omosessuali e a molti altri, i torti subiti. Fate che noi si impari dalla Storia e la generazione più giovane di donne e uomini omosessuali sostenga così le ragazze e i ragazzi a condurre la loro vita, con dignità e rispetto, insieme ai loro partner, amici e famiglie. Senza memoria non c’è futuro
(tratto da “Le ragioni di un silenzio”, a cura del Circolo Pink, Ombre corte)
Ecumenici
Leonhard Ragaz
http://ecumenici.altervista.org/html/
Un giorno il Lagerfuehrer mi chiese: “Senti frocio d’un kapò, sei già stato castrato?”
“No signor Lagerfuehrer”
“E non vuoi provvedere?”
“Signor Lagerfuehrer, voglio uscire di qui come come quando sono entrato”.
“Tu e tutta questa marmaglia di froci non tornerete mai a casa”, disse con tono stizzito.
Di Heinz Heger “Gli uomini col triangolo rosa”, edizioni Sonda, Torino
Invito
VENERDI 13 GENNAIO 2006- ore 16-19
SALA DEL CARROCCIO
(Palazzo Senatorio- CAMPIDOGLIO)
L’Assessore all’Ambiente del Comune di Roma
On. Dario ESPOSITO
PRESENTA
il libro di Giorgio Giannini
IL GIORNO DELLA MEMORIA
Edizioni Associate-Roma 2005
Intervengono :
- Prof. Antonello BIAGINI, Direttore del Dipartimento di Storia Contemporanea della Facoltà di LETTERE dell’Università “La Sapienza” di Roma;
- Massimo CONSOLI, giornalista e scrittore, autore del libro “Homocaust”, Kaos Edizioni, Milano 1991;
- Dott. Massimo CONVERSO, Presidente dell’OPERA NOMADI
Sarà presente l’Editore
Recensione di Homocaust
IL RUOLO DELL'IGNORANZA NELLA TRAGEDIA GAY
DURANTE IL NAZISMO
di Teresio Zaninetti
"Homocaust" - che porta debitamente scritto, come sottotitolo, "il nazismo e la persecuzione degli omosessuali" - è il libro con cui l'autore, Massimo Consoli, attivista e fondatore del movimento gay in Italia, con un'indagine accurata e documenti di prim'ordine, quanto mai precisi anche nei minimi dettagli, mette finalmente a fuoco ciò che è stato per troppi anni volutamente ignorato, eclissato, o anche soltanto mantenuto a debita distanza (in modo, forse, da non alterare i già compromessi equilibri del dopo-tragedia) su quanto sia stato enorme il ruolo dell'ignoranza - ma soprattutto quanto abbia potuto influire e pesare il pregiudizio a favore dell'ipocrisia- in merito alle tendenze omosessuali di Hitler e di quasi tutta la più alta gerarchia nazista. Ignoranza, pregiudizio, ipocrisia - pilastri, appunto, che hanno permesso ai nazisti di ascendere in una parabola pressoché unica nella storia -, i quali hanno infatti reso possibile lo sterminio non soltanto nel popolo ebreo, nei campi di concentramento appositamente creati allo scopo di punire o "rieducare" il diverso, ma anche da una grande massa di gay, cioè di centinaia di migliaia di "triangoli rosa" perseguitati e spogliati d'ogni forza psicologica e fisica fino alla morte esiziale - quando non venivano prima castrati, in rispetto delle cosiddette "cure" rieducative himmleriane - nei vari lager che furono addirittura l'orgoglio della coatta quanto stupida ferocia nazista.
Consoli costruisce in effetti il suo libro passando, punto per punto, i momenti essenziali dell'ascesa del Terzo Reich con il dito puntato sugli eventi cruciali, i quali si susseguirono senza sosta in un drammatico incalzare degno d'un thrilling né totalmente classico, né totalmente kitsch.
I quindici capitoli del volume che è suddiviso in tre parti e contiene una notevole appendice fotografica (da pag. 225 a pag. 275, con le foto di von Schirach, Ernst Röhm, Karl Ernst, Hitler, Göring, Hedmund Heines, Albert Forster, Gerhard Rossbach, Erich Ludendoff, il poeta omosessuale Stefan George, Heinrich Müller, Werner von Fritsch, Rudolph Hess e quella, fra le altre, del monumento di Berlino alle vittime omosessuali del nazismo) si snodano secondo un itinerario che si avverte preordinato con puntigliosa e anche scrupolosa attenzione. I titoli dei capitoli sono emblematici e, in un certo senso, didascalici, di modo che nulla possa essere abbandonato al caso ma, anzi, venga costantemente sottolineato e collocato in una ideale quanto esatta posizione cronologica: "Dagli zar ai bolscevichi", "La "Sturm Abteilungen", "Uccelli Migratori", "La gaiezza hitleriana' "L'iniziale tolleranza", "L'acqua Santa e il Diavolo", per la prima parte; "L'Articolo 175", "Omosessualità come arma di lotta politica", "Il Macellaio di Hannover", "L'ondata repressiva", "Il caso von Fritsch ", "La 'Notte dei Cristalli", per la seconda parte. Sostanziosa e nutrita, in particolare, la parte bibliografica, anch'essa testimonianza evidente di una ricerca fondamentalmente precisa e rigorosa.
Cio' che tuttavia emerge con maggiore spessore, prendendo corpo man mano che si procede nella lettura e nella conoscenza dei fatti specifici, è proprio, come s'era accennato, il valore che il ruolo dell'ignoranza, dell'ipocrisia e del pregiudizio ha avuto nel formarsi e nel trascinarsi del destino tragico e brutale del Terzo Reich. Senza alcuna ombra di dubbio, c'è una parte del libro che dà l'impressione di riassumere in se tutte quante le caratteristiche dell'ideologia nazista e del suo costante delirio.
Basterebbe infatti dare, per questo, una sia pur rapida lettura al discorso "segreto" di Heinrich Himmler, che egli tenne il 17-18 febbraio 1937 ai generali delle SS circa i "pericoli razziali e biologici dell'omosessualità"
- "Cari generali.." è il titolo di una delle tre appendici ("Hess, l'omosessualità e il Terzo Reich", "Zoroastro, Vecchio e Nuovo Testamento" sono i titoli delle altre due) del volume di Consoli , pubblicata a pagina 191 e comprensiva di una nota che subito mette l'accento sulle incongruità del discorso stesso: "Com'era costume di Himmler - scrive l'autore del libro -, questo suo sermone era infarcito di bugie, errori, falsi storici, ignoranza e grettezza. Già all'inizio c'era la prima menzogna ("Nel 1933, quando abbiamo preso il potere, abbiamo scoperto l'esistenza delle associazioni omosessuali": così in effetti, ha inizio il testo himmleriano in questione, n.d.r.): il Partito Nazista conosceva talmente bene le associazioni omosessuali tedesche - prosegue Consoli - che fin dalla sua nascita, attraverso il 'Völkischer Beobachter', seguiva costantemente Magnus Hirschfeld (direttore dell'Istituto per le Scienze Sessuali di Berlino interamente bruciato dai nazisti, e fondatore del Comitato Scientifico Umanitario, n.d.r.) per poterlo attaccare e additare al pubblico disprezzo" -. Basterebbe, si diceva, una solo, anche veloce lettura di questo suo testo per accorgersi immediatamente della falsa ingenuità e della pseudo-cultura con cui tutta quanta la stessa "cultura" nazista, se così vogliamo chiamarla, veniva via via infarcendosi ed impregnandosi. "Se ammetto - dichiarava Himmler ad un certo punto del suo discorso - che ci sono da uno a due milioni di omosessuali, vuol dire che il 7 oppure l'8 o addirittura il 10 per cento degli uomini sono omosessuali. E se la situazione non cambia, il nostro popolo sarà annientato da questa malattia contagiosa. A lungo termine nessun popolo potrebbe resistere a un tale sconvolgimento della propria vita e del proprio equilibrio sessuale". In primo luogo: se "addirittura" i1 10 per cento degli uomini "sono omosessuali" come è possibile parlare di una "malattia contagiosa"? In secondo luogo - si ha modo di vederlo con chiarezza, questo, nel capitolo quattordicesimo, che ha inizio a pagina 171 - le stesse cosiddette "cure" himmleriane per guarire gli omosessuali, effettuate da vari medici in vari campi di concentramento, oltre che rivelarsi del tutto inefficienti allo scopo, hanno avuto effetti disastrosi e quasi tutti mortali: segno che la strada era non solo sbagliata, ma addirittura assurda se non, più propriamente ridicola. Ma tant'è. Con ostinazione e pervicacia, Himmler proseguiva: "...non è solo la loro vita privata: il dominio sessuale può essere sinonimo di vita o di morte per un popolo, di egemonia mondiale o di riduzione della nostra importanza ai livelli della Svizzera". D'altra parte Hitler stesso non si preoccupava chi in misura irrilevante, e solo se necessario, di questo aspetto sociale, preso com'era dai suoi disegni di egemonia mondiale del nazismo. Himmler, imperterrito, conduce la propria battaglia senza tentennamenti, ben sicuro che una cosa può avvenire soltanto debellando l'altra, oppure portandosi appresso e la stessa cancrena e lo stesso problema irrisolto. E quindi ancora, e quindi ancora maggiormente esemplificativo della fermentante ipocrisia di cui egli si fa massimo interprete, accusa: "Il consigliere ministeriale "X" è omosessuale e cerca tra i suoi assessori un consigliere governativo. Però lui non segue il principio del rendimento. Non sceglierà il miglior giurista. Non dirà nemmeno: "L'assessore tal dei tali non è certamente il giurista migliore però ha buone votazioni, ha pratica e, quello che più conta, sembra essere di buona razza e avere una giusta concezione del mondo". No. Non sceglie un assessore qualificato, né di bella presenza. Sceglie quello che é anche omosessuale. Questa gente è capace di riconoscersi da un angolo all'altro della stanza. (...) Se voi trovate un uomo che ha questa inclinazione in qualunque posto e con un potere di decisione potete essere sicuri di trovare intorno a lui tre, quattro, otto, dieci persone o addirittura di più, tutte con la stessa inclinazione. (...) Quindi l'omosessualità fa fallire ogni rendimento, ogni .sistema basato sul rendimento; essa distrugge lo Stato nelle sue fondamenta". Parole sacrosante le sue, bisogna ammetterlo, poiché espresse senza dubbio con piena cognizione di causa.
Tant'è vero che, nella nota relativa redatta da Consoli , troviamo quest'altra significativa ed esauriente spiegazione: "La teoria himmleriana relativa agli omosessuali che fanno carriera grazie alle loro inclinazioni, e non ai meriti acquisiti, ampiamente esposta in questo discorso e in numerose altre occasioni sia prima che dopo il febbraio 1937, sembra piuttosto riflettere una problematica personale dello stesso Himmler, il quale era fisicamente ripugnante. I tratti del suo volto erano l'antitesi della tanto decantata "bellezza ariana", il che induce a ipotizzare che non sia mai stato richiesto quale partner sessuale da alcuno dei capi omosessuali delle SA o del NSDAP. Himmler era nazi apertamente detestato da personaggi quali Röhm, Heines e Ernst i quali - almeno secondo lo stesso Himmler - erano circondati da giovani dei quali favorivano la carriera grazie alle loro prestazioni erotiche. Himmler si considerava uno dei pochi, se non il solo tra i gerarchi nazisti, che doveva la sua posizione esclusivamente ai propri meriti e alle proprie capacità".
La "problematica" himmleriana e, d'altra parte, sicuramente "personale" in quanto nient'affatto in sintonia neppure con le più manifeste dichiarazioni hitleriane.
Ma questi, almeno privatamente, sapeva di potersi servire degli omosessuali in maniera quasi del tutto sicura; consapevole della loro arguzia e intelligenza, egli sapeva volgere a proprio favore qualsiasi circostanza - anche dietro opportuno suggerimento altrui - e sfruttare il momento opportuno per asservire un gay, o qualcuno con essi compromesso, oppure per liberarsi di lui - dopo averne sfruttato i servizi - senza alcuna remora o tanto meno scrupolo.
Gli stessi avvenimenti, che nel libro di Consoli sono assai più che eloquenti, rivelano pienamente questo aspetto strategico della personalità di Hitler il quale, molto presto, aveva d'altro canto imparato a conoscere la realtà omosessuale - il dottor Edward Bloch, medico di famiglia, rivelerà il "peccato sessuale" del dodicenne Adolf e l'amico d'infanzia August Kubizek pubblicherà, molto più in là con gli anni, un libro sui suoi rapporti omosessuali con il futuro Führer- fino a farla divenire una costante nel suo muoversi all'interno del Potere. L'ignoranza di Himmler, che è similare a quella stessa della gerarchia nazista, viene fuori tutta intera proprio da questo suo esemplare discorso, anche là dove, per fare un paio di esempi, il suo riferimento all'"Urningo" risulta storicamente inesatto e là dove all'omosessuale contrappone il "puro" animale - sappiamo ormai che persino il moscerino ha rapporti omosessuali e che tutta la specie animale ne ha. Né appare pedagogicamente, né psicologicamente adeguato ciò che egli viene quindi affermando a proposito dei metodi di "cura" dell'omosessualità. "Non ci dobbiamo illudere - egli afferma - Trascinare gli omosessuali davanti a un tribunale e farli internare, non risolve il problema. Quando esce dal carcere, l'omosessuale è tanto omosessuale quanto lo era prima. Quindi il problema rimane invariato. E' risolto, invece, nella misura in cui questo vizio viene stigmatizzato, mentre prima non lo era. Prima, durante e dopo la guerra, c'erano delle leggi su questo fatto, ma non succedeva niente".
Egli viene perciò elaborando, e mettendo e facendo mettere in pratica un modo alquanto perverso e degenere, in grado, anziché di debellarlo, di far pervertire e degenerare, attraverso la fobia e la persecuzione - un metodo che ricorda, fra l'altro, il celebre caso Schreber -, ciò che è in realtà un istinto innato e perciò naturale. Al punto che lui stesso, nelle circonvoluzioni del suo pensiero, arriva, e diremmo inevitabilmente, a dichiarare: "Noi mascolinizziamo le donne in tal modo che, a lungo andare, la differenza sessuale, le polarità, spariscono. Da questo momento in poi, non è molto lontana la via che conduce all'omosessualità. (...) noi mascolinizziamo troppo tutta la nostra vita. E mascolinizziamo troppo anche la nostra gioventù (...). E' catastrofico per un Paese che i ragazzi si vergognino delle loro madri o delle loro sorelle, oppure che siano costretti ad avere vergogna delle donne".
L'arguzia himmleriana - che peraltro è pari alla sua intrinseca perversione e degenerazione - è tuttavia, qui, innegabile; sebbene appaia lastricata di paradossali e grottesche contraddizioni che, come abbiamo fatto notare più sopra, sono peraltro inevitabili trattandosi, appunto, di dover discutere contemporaneamente su vari livelli che sono, di per se stessi, sì intraprendenti ma anche, spesso, inconciliabili con l'ottica ufficiale e ufficializzata del Potere nazista. Paradossale appare anche quest'altra successiva affermazione: "Conosco molto bene la storia del Cristianesimo a Roma, e ciò mi permette di giustificare la mia opinione. Sono convinto che gli imperatori romani, che hanno sterminato i primi cristiani, hanno agito esattamente come noi con i comunisti. A quell'epoca - egli prosegue - i cristiani erano la peggior feccia delle grandi città, i peggiori ebrei, i peggiori bolscevichi che vi possiate immaginare".
Appare del tutto scontato che, di questo passo e di conseguenza, la donna e il matrimonio non fossero, per essi, nient'altro che un "mezzo per sfuggire alla fornicazione", mentre i bambini non erano altro che un "male necessario". Una concezione davvero assai... aperta, cioè, nei riguardi della problematica sessuale, della mascolinizzazione o della femminilizzazione di cui lui stesso si lamenta e, infine, a proposito dell'etica riguardante gli aspetti più esistenziali del vivere. Le teorie di Himmler rimangono comunque, nella propria logica perversa, un caposaldo con la propria assurda, quanto stupida "concezione del mondo".
Si è ritenuto opportuno indugiare sul discorso di Himmler proprio perché in esso ci sembra sia contenuto il meglio della concezione nazista sul mondo e sul modo di governare e dirigere un popolo. In Himmler - che è, in effetti, una figura-prototipo del potere nazista- convergono e si assommano insieme tutte le degenerazioni, le incongruenze, le falsità, le ipocrisie e le ferocie che, con l'ignoranza, ne costituiscono l'ossatura portante. Il libro di Consoli - "Homocaust" - ci mette al corrente di questi piccoli-grandi fatti, che erano per cosi dire all'ordine del giorno, attraverso capitoli esaustivi ed inoppugnabili, tanto vengono a rivelarsi densi di documentazioni e di oculatezza critica anche nel porgere i fatti che sembrerebbero di minor rilievo.
La disamina di Massimo Consoli si basa, sostanzialmente, proprio sulla vastissima mole di documenti che egli si ritrova, disponibili fra le mani - Consoli , non si dimentichi, oltre ad essere giornalista e scrittore, ha organizzato il, più "esteso e prestigioso archivio di storia dell'omosessualità". La premessa, l'introduzione, la parte propriamente cronologica che permette di assimilare i singoli fatti con l'evolversi del potere nazista - "Adolf Hitler e il Terzo Reich" è, appunto, un ulteriore introduzione che precede la prima parte di "Homocaust" -, il concatenato succedersi dei successivi capitoli dimostrano la coordinazione di una struttura saggistica di tutto rispetto. Tesa a far parlare i fatti anche attraverso le cifre e le tabelle e, più in particolare, attraverso gli stessi personaggi che li costellano in qualità di protagonisti, maggiori o minori che siano, in una delle pagine più roventi della storia di tutti i tempi.
Massimo Consoli: "Homocaust", Ed. Kaos, Milano 1991, pp. 280
Per gentile segnalazione di Massimo Consoli (tratto da Jeronimus, Fuori del Sole Nero - Logos, N° 7, Maggio-Agosto 1996)
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Di Fabrizio (del 09/01/2006 @ 01:18:56, in Italia, visitato 2006 volte)
Da un paio di giorni, rimbalzano in
internet notizie su un intervento di Francesco Rutelli sul
quotidiano Europa. Io quel pezzo non l'ho letto, anche se
un'idea me la son fatta con la dose quotidiana di
Padania.
Se le cose stanno così, c'è chi (Paniscus,
ad esempio) ha risposto intelligentemente, io non mi azzardo neanche,
a ripetere cose che avrò già scritto non so quante
volte, e che ormai mi vengono a noia.
Però, mettete insieme un campione
del dico-e-non-dico, come il politico romano bipartisan, e la
caterva di avvoltoi
che puntualmente si alzano in volo quando si sente la parola
“ZINGARO”, per prevedere la canea che durerà una
settimana (forse).
Non è un discorso di destra o
sinistra, è solo uno spuntino elettorale, con qualche promessa
(o minaccia, a seconda dei casi) ma trovatemi un elemento
concreto, se ci riuscite, che aiuti ad uscire dai problemi.
E mentre lo spuntino è in corso, e
i commensali parlano di scuola, famiglia e giustizia, che quasi quasi
mi sembra di vederli a brindare dicendo “E' colpa loro! Di
TUTTI loro!”, queste sono le storie che nessuno (tranne
l'archivio di Romano
Lil) racconta. Storie di, appunto, scuola, famiglia e
giustizia.
Da Informagagio, periodico polesano
di Rom/Sinti e gagé. A cura di Rovigo opera Nomadi.
Settembre 2005. Fatima Seferovic è scappata dalla
guerra dell’ex Jugoslavia per arrivare in Italia nel 1991. Ora
senza permesso di soggiorno e senza aiuti è ridotta alla
disperazione e può essere espulsa in qualsiasi momento dal
suolo nazionale assieme ai figli due dei quali nati in Italia.
IL
PONTE DI MOSTAR Veniva Uliano Lucas, di luglio 1993 a Rovigo,
a mostrare le foto del ponte di Mostar, cittadina della Jugoslavia,
simbolo del dialogo fra culture e popoli, storica arcata - ma quanto
squisita ed ornata!, ad unire sponde differenti nel vero senso di
connessione, di relazione. Un ponte che fu bombardato e distrutto in
quei giorni delle separazioni e dell’odio verso le differenze:
prima quelle economiche, nazionalistiche, poi quelle religiose, di
genere… “I giardini di Mostar sono seminati a tombe”,
scriveva Erri de Luca nel maggio1995. Poi il ponte fu ricostruito in
un tentativo anche simbolico di riconciliazione ma i suoi tronconi,
segni di una rottura tragica con chi sta dall’”altra
parte”, si ergono in altre terre, in altri mondi...anche in
Polesine.
FATIMA DA MOSTAR I tronconi distrutti del
ponte di Mostar sono conficcati ed incisi nelle carni di Fatima
Seferovic che da quella guerra scappò col marito e quattro
figli per arrivare in Italia nel 1991. Nei primi tempi i profughi
parevano “sistemati”, col lavoro e con la casa, la
ragazza più grande sposata ad un Sinto, ma ultimamente la
situazione è diventata disperata. Vivono in un casolare di
proprietà sperduto nelle campagna polesana nei dintorni di
Baruchella (Ro). Suzan, è stato ucciso da un'automobile sullo
stradone di casa a 17 anni di età -due anni fa, Angela ha
quasi 18 anni, Anita 15, Stella e Susan, nati in Italia, hanno
rispettivamente 12 e 10 anni. Il marito, Serif, dopo più di
dieci anni di regolare lavoro, ha perso il permesso di soggiorno per
un tumore incurabile che gli impedisce di lavorare, ha bisogno di
assistenza continua e fa fatica anche a guidare il camioncino.
L’abitazione, il casolare, è lontana tre chilometri dal
più vicino centro abitato e Fatima spera che Angela fra sei
mesi (al compimento del 18° anno) possa prendere la patente per
aiutare la famiglia, ma non sarà possibile perché non è
in regola, anzi con la maggior età diventa espellibile. Tra le
altre avversità Angela e Stella avrebbero bisogno di
un’operazione per uno strabismo agli occhi ma la “card”
regionale per gli irregolari non permette questo tipo di
intervento.
“VOGLIO ANDARE VIA DI QUI” Mancano
cibo, vestiti, assistenza sociale e morale, soldi per la bolletta
della luce e per pagare l’assicurazione del camioncino: “Non
ce la faccio più, voglio andare via di qui”, esclama
Fatima. Il marito ha ancora pochi mesi di vita ed è “perso”,
crea anche difficoltà alla moglie ed ai ragazzi e quando lui
entra in casa loro ne escono. C’è un clima di
abbattimento generale. “I miei figli hanno perso la voglia di
vivere” esclama Fatima disperata, “voglio andare via di
qui, qualcuno mi aiuti!”
NEGLI OCCHI DI SUSAN Anita
ha conseguito la licenza di scuola media e starà a casa.
Stella è stata bocciata in prima, Susan è stato
respinto in seconda elementare (dovrebbe fare la quarta) a causa
delle assenze perché non ce la faceva più a salire in
pulmino coi ragazzi che lo prendevano in giro dandogli dello
“zingaro”. “Chi sa vedere guardi” e si faccia
osservare, magari da dietro lo schermo del computer, da questo
ragazzo che sta morendo di abbandono di desuetudine, di vita. Ma non
era finita la guerra?
“PER QUANTO VOI VI SENTIATE
ASSOLTI” E’ in atto una persecuzione sociale ed
istituzionale, senza esclusione di colpi verso i minori, contro
questa ed altre famiglie del territorio in cui viviamo, che ci vede
tutti complici seppur a diversi livelli. Ma un giorno, ci auguriamo
che gli ufficiali di questa guerra infinita saranno imputati al
tribunale per i Diritti dei Popoli: il Prefetto Landolfi, i sedicenti
assessori alla Pace e Diritti Umani di Provincia e Comune, Virgili e
Saccardin, il direttore della Caritas Bellinati, la responsabile
Croce Rossa Monesi, tutti quei soldatini istituzionali che, ligi al
dovere e facendo finta di non sapere, continuano a scavare trincee di
esclusione sociale ed i “civili” che restano sordi di
fronte alle numerose invocazioni di “umanità” di
Fatima e famiglia.
Di Fabrizio (del 09/01/2006 @ 09:08:14, in Regole, visitato 2133 volte)
Conclusione di una vicenda giudiziaria che si trascinava da quasi 8 anni:
Globe & Mail, Nov 8, 2004 - Un sabato pomeriggio del 1997, 25 skinheads bloccarono il traffico in un'affollata strada di Scarborough (Ontario), per protesta contro l'immigrazione dall'Est Europa. Inalberavano cartelli come: "Il Canada non è una pattumiera" o "Su..
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Le proteste portarono ad una revisione del processo:
La Corte Suprema del Canada ha richiesto un nuovo processo contro gli skineheads che avevano manifestato contro un gruppo di immigrati. Un sabato pomeriggio del 1997, 25 skinheads bloccarono il traffico in un'affollata strada di Scarborough (Ontario), per protesta contro l'immigrazio...
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Leggo ora Roma_in_Americas:
Jan 06, 2006 - CJCONT, La comunità Rom soddisfatta per la risoluzione del caso
FOR IMMEDIATE RELEASE
TORONTO – Il Congresso Ebraico Canadese dell'Ontario (CJCONT) e il Roma Community Centre sono soddisfatti per la soluzione di ieri che ha riconosciuto colpevoli due dei sei accusati.
Nel 1997, i membri di un gruppo neonazista di suprematisti bianchi, tennero una manifestazione davanti al Motel Lido di Toronto, dove le autorità avevano alloggiato alcuni Rom rifugiati, di recente arrivo dalla Repubblica Ceca. I promotori della manifestazione vennero accusati di promuovere odio razziale verso i Rom. Sei accusati vennero processati nel marzo 2000 e prosciolti per un cavillo tecnico: la corte accettò la tesi della difesa che i manifestanti avevano lanciato slogan contro gli Zingari e non contro i Rom. Il caso finì alla Corte Suprema, che si aggiornò a febbraio 2005 con un nuovo processo.
Settimana scorsa, il Tribunale dell'Ontario ha riconosciuto colpevoli due dei sei accusati, quelli che sono stati maggiormente coinvolti negli incidenti. Uno ha ottenuto la condizionale, e un altro la sospensione della pena. A tutti, come parte della sentenza, è stato richiesto di scrivere una lettera di scuse alla comunità rom. Gli altri imputati sono andati assolti.
La giudice ha voluto anche chiarire che, seppure questo non ha influito sulla sentenza, nessuno dei condannati è stato più coinvolto in disordini o attività del movimento dei suprematisti bianchi.
“Siamo soddisfatti del risultato” ha detto Joel Richler, presidente del CJCONT, “La conclusione di questo caso chiarisce senza dubbi a tutti i Canadesi che questo tipo di azioni non possono essere tollerate in una società civile”. “Dopo otto anni, giustizia è fatta” aggiunge Bernie M. Farber del CJC. “Non abbiamo mai smesso di credere di aver fatto la cosa giusta”.
“E' come svegliarsi da un brutto sogno” dice Paul St. Clair, direttore esecutivo del Roma Community Centre. “ Questa decisione soddisfa la comunità Rom, grazie agli sforzi costanti del CJC e della polizia di Toronto”.
“L'incitamento all'odio è un crimine altamente dannoso per una comunità recente come la nostra, specialmente per chi fugge dalle persecuzioni” ha aggiunto Constantin Anghel, presidente del Roma Community Centre. I Canadesi hanno mostrato di non tollerare azioni crudeli ed odiose dai gruppi estremisti. L'incitamento all'odio razziale dev'essere affrontato seriamente dai media e dagli educatori, perché non si sviluppi in futuro”
CJC e la comunità Rom hanno poi lodato i consulenti legali coinvolti nel caso come pure la polizia. “Hanno rifiutato di far cadere questo caso, vedendolo per quel che era – un attacco ai valori canadesi” ha detto poi Richler.
Representing the Jewish communities of Ontario
For more information contact:
Wendy Lampert - National Director of Communications - Canadian Jewish Congress
416-631-5844
wlampert@on.cjc.ca
www.cjc.ca
Di Fabrizio (del 09/01/2006 @ 13:50:49, in Italia, visitato 1839 volte)
Ricevo e porto a conoscenza: COMUNICATO STAMPA
SCANTINATI, CONTAINER E CORRIDOI PER GLI SGOMBERATI DI VIA LECCOECCO LA SOLUZIONE DI ALBERTINIDichiarazione di Luciano Muhlbauer (Consigliere Regionale Prc) Il Comune di Milano aveva motivato lo sgombero di natale degli oltre 200 rifugiati di via Lecco con il fatto di aver trovato delle soluzioni alternative. Secondo l'assessore Maiolo, queste sono da considerarsi addirittura "definitive" per i prossimi sei mesi. Insomma, tutto risolto e quanti continuano a criticare il comportamento degli amministratori milanesi, compreso il presidente della Provincia, Penati, sarebbero semplicemente dei sobillatori. Oggi, su invito delle associazioni che sono sempre state vicine al dramma umano dei profughi, ho visitato tali "soluzioni definitive", situate in via Pucci, via di Breme, via Ortles e via Anfossi. Da sottolineare che, su indicazione diretta dell'assessore Maiolo, come lei stessa mi ha confermato, mi è stato impedito fisicamente di accedere a tre luoghi su quattro, nonostante si trattasse di spazi di proprietà pubblica e gli stessi rifugiati ospiti mi invitassero ad entrare. Insomma, un consigliere regionale può visitare un carcere o un Cpt, ma non le strutture di accoglienza del Comune di Milano. La ragione di tale ostinata e apparentemente incomprensibile segregazione, denunciata già da giornalisti di diverse testate, si sarebbe presto scoperta. In via Pucci, unico luogo che ho potuto visitare a fondo, una sessantina circa di rifugiati, uomini e donne, sono sistemati in una serie di container, in ognuno dei quali dormono tre o quattro persone. Ma la cosa più impressionante -anche dal punto di vista della sicurezza- è che questi container sono stati montati nello scantinato delle docce pubbliche! In via de Breme, i 22 container che ospitano una settantina di rifugiati sono stati invece montati in un desolato spazio all'aperto, delimitato da un muretto e da un portone chiuso a chiave. Secondo quanto raccontato da alcuni ospiti, nel container adibito a mensa c'è anche un televisore, ma a loro viene permesso di vederlo soltanto durante di pasti. Un po' meglio va ai 67 rifugiati di via Ortles, poiché si tratta di un dormitorio comunale e dunque di uno spazio pensato e organizzato per ospitare essere umani. Ma ora arriviamo a via Anfossi, dove la situazione riesce ad essere persino peggiore di quella di via Pucci. Si tratta di uno spazio comunale utilizzato nei mesi invernali per l'emergenza freddo, ma la cinquantina di rifugiati che vi si trovano sono stati stipati su una fila di brande nel corridoio davanti ai bagni e alle docce! Definire questa situazione una "soluzione definitiva" non è soltanto cinismo, ma sfida il più elementare buon senso. Come si pensa che degli esseri umani possano vivere in queste condizioni per almeno sei mesi? E, soprattutto, che fine a ha fatto il milione di euro stanziato dal governo per l'accoglienza dei profughi? E' servito per montare container negli scantinati e per sistemare brande nei corridoi? Il Comune di Milano si sta comportando come un affittacamere abusivo e ogni giorno che passa alzo un po' di più il livello della polemica politica. E questo lascia francamente sconcertati e pone degli interrogativi seri fino a dove vuole spingere questo scontro sulla pelle di uomini e donne che altro non hanno fatto che scappare dalla guerra. Invece, soluzioni umane e possibili ci sarebbero. La Provincia, che non ha mai ricevuto fondi dal governo, ha avanzato delle proposte concrete e il Prefetto si è detto disponibile a convocare un tavolo interistituzionale, ma mancano all'appello gli amministratori milanesi, evidentemente accecati da una campagna elettorale senza quartiere. Milano, 3 gennaio 2006
Da aggiungere una dichiarazione stampa che il sindaco ha rilasciato alla stampa qualche giorno dopo. Che è assolutamente inconciliabile con quanto scritto da Muhlbauer:
(AGI) - Milano, 7 gen. - "Tutto cio' che e' avvenuto e' frutto della vena sobillatrice dei centri sociali, di alcuni candidati e, mi duole dirlo, anche di una istituzione". Gabriele Albertini, sindaco di Milano, torna sulla vicenda dei rifugiati di via Lecco a Milano, e accusa i centri sociali di "sobillazione". "Il presidente dell'organizzazione dell'Onu per i rifugiati politici - ha proseguito Albertini - ha lodato la nostra iniziativa, perche' e' una sistemazione soddisfacente, condivisa con tutti gli interessati, ma non dai sobillatori, che hanno agito con un cinismo spietato, perche' non si puo' promettere cio' che non si puo' dare, ossia anteporre quindici rifugiati e duecentotrentuno immigrati clandestini con un permesso di soggiorno umanitario a chi aspetta da anni, con titoli giuridici, una casa popolare. Abbiamo offerto cinquecento posti non in container, ma in case prefabbricate, dove sono stati per tanti anni migliaia di italiani nelle zone colpite da fenomeni sismici". Sulla polemica con la provincia di Milano, Albertini si limita a dire: "Se poi la Provincia, come per i campi nomadi, ha spazi suoi, li offra pure, meglio se in un territorio non del Comune di Milano, visto che e' composta da 188 comuni". Red/Noc/Van 070802 GEN 06 COPYRIGHTS 2002-2005 AGI S.p.A.
Insomma, uno dei due è un bugiardo... Lascio a voi scegliere
Di Fabrizio (del 09/01/2006 @ 22:12:26, in scuola, visitato 2287 volte)
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Pubblicato su “il Nostro tempo”, Domenica 28 Marzo ’04, n.12, p.3 – intervista di Silvio Mengotto. A quasi due anni di distanza, facciamo il punto della situazione:
Dal 1983 Licia Brunello lavora in classe con i ragazzi e incontra le famiglie al campo nomadi di via Idro. Però la riforma farà sparire la facilitatrice culturale
Lungo il Naviglio Martesana, all’incrocio con il fiume Lambro, termina via Idro dove dal 1990 c’è uno dei sette campi nomadi autorizzati dal Comune. Siamo al confine di Crescenzago a Milano. Il campo di via Idro ha un contesto campagnolo, confina con un vasto prato dove, specie in estate, pascolano cavalli, caprette, qualche mucca e maialini allevati dai Rom stanziali di etnia Harvati. I Rom sono da 35 anni nel quartiere. Harvati è il nome della regione dell’ex Jugoslavia da dove provengono. Nel campo la popolazione stimata è di circa 150 persone e 24 famiglie. Più della metà sono giovani e bambini ( da 0 a 18 anni ). La peculiarità del campo di via Idro è quella di avere, tra gli altri campi nomadi, il più alto tasso di scolarità. Un risultato che premia l’impegno di integrazione svolto dalla scuola elementare Eleonora Pimmentel ( via F. Russo ) che ospita i bambini Rom in età scolastica dagli anni ’80, grazie anche ai pontieri di questa integrazione non scontata e che porta il nome di Licia Brunello, insegnante di ruolo dall’86. Da quella data Licia Brunello ha iniziato la doppia avventura: scolastica e con i bambini Rom. Le abbiamo rivolto alcune domande.
Come è nata questa avventura scolastica con i bambini Rom?
“ Nasce all’inizio della mia carriera scolastica per puro caso. Essendo l’ultima arrivata fui prescelta dalla scuola con questo incarico di scolarizzazione dei bambini Rom di via Idro. Assunsi il ruolo di facilitatrice culturale. E’ dall’inizio della mia attività scolastica che mi sono occupata aspettando una nuova insegnante che potesse innamorarsi di questa situazione e passare il testimone. Cosa che, in parte, è avvenuta con Angela Sacco ora insegnante all’Università”.
Quali le tappe di questa scolarizzazione dei bambini Rom ?
“Quando incominciai mi resi conto che c’erano problemi oggettivi ai quali bisognava dare risposte concrete e immediate: quaderni, libri, penne, abiti. I soli supporti didattici non bastavano. I bambini Rom non parlavano l’italiano e avevano una cultura, schemi e regole completamente diversi dalle nostre. Dovevamo fornire loro anche una serie di servizi: colazione, docce, guardaroba, raccolta abiti, una stanza con lavatrice per governare tutto questo e fornire loro dei ricambi. La situazione nel corso degli anni è migliorata tantissimo anche perché sono migliorate le stesse condizioni e relazioni al campo e con le famiglie. All’inizio grande fatica e auto-selezione. Una prerogativa della comunità Rom è l’esistenza di una identità precisa del clan familiare. Questo significa che esistono famiglie aperte alla collaborazione e altre più diffidenti o chiuse con i “gagi”, come definiscono tutti coloro che non sono Rom. Da questo dipende il successo della scolarizzazione. Ancora oggi al campo la scolarizzazione è abbastanza capillare. Quest’anno sono 17 gli iscritti e 14 i frequentanti. Sette alle medie e 3 alle superiori. Per noi un successo. La scolarizzazione si è allargata non solo a tutta la comunità, ma anche in termini di cicli scolastici. Oggi frequentano anche la materna. Un fatto impensabile solo qualche anno fa”.
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I bambini Rom denotano un particolare comportamento in classe?
“Tolti i primi giorni di inserimento nell’intera classe i bambini Rom hanno un atteggiamento come tutti gli altri. Ho notato, ma questa è una sensibilità personale, che i bambini Rom nei confronti dell’insegnante, dell’autorità, assomigliano ai bambini di una volta. Mi sembrano più attenti, aperti, curiosi e rispettosi. Più genuini e diretti. Con loro è fondamentale instaurare un rapporto empatico forte. Al di là del ruolo è essenziale avere una relazione e che si sentano amati. Di fronte a questo lasciano cadere qualsiasi difesa e, in parte, questo si verifica anche per gli adulti. In questi anni abbiamo creato eventi e promosso attività che potessero realizzare un collegamento tra scuola e il campo. Le occasioni sono state le più svariate: il Natale, fine anno scolastico. Con le classi abbiamo fatto uscite didattiche al campo. Ora stiamo lavorando ad un progetto esclusivo per i bambini Rom: un laboratorio teatrale, nel quale dovranno creare una storia di loro invenzione, dove vengono rappresentate le loro tradizioni e la loro cultura. Spettacolo che rappresenteremo a scuola e al campo a fine anno scolastico.
Hai frequentato il campo di via Idro?
“All’inizio i Rom sostavano in via Agordat. Un campo dove le condizioni igieniche erano spaventose. Un centinaio di persone con una sola fontanella. Fosse biologiche inesistenti. Avevano costruito latrine a cielo aperto con caduta libera nel naviglio Martesana. Abiti usati sino all’indecenza per poi bruciarli nell’impossibilità di lavarli. Dopo lo spostamento le cose sono migliorate. Il campo di via Idro è attrezzato di bagni e servizi. Molte famiglie hanno costruito delle piccole case di legno, probabilmente abusive, ma questo ha migliorato le loro condizioni di salute e li ha obbligati ad avere più cura delle loro abitazioni. In questo modo si sono sentiti in una situazione più stabile e protetta. Ho frequentato il campo per molti anni e per alcune famiglie sono diventata amica. Per loro non sono solo la maestra. Questa lunga frequentazione si è trasformata, nel tempo, in una relazione significativa che ha permesso di ottenere risultati che difficilmente una scuola, una pur brava maestra, avrebbe potuto ottenere. Il rapporto individuale con i Rom è molto importante ! Ho conosciuto famiglie Rom che ora abitano nelle case popolari, ho notato che hanno perso molto di quella cultura che, in un certo senso, li proteggeva dall’ideologia malavitosa delle città. Entrando in contatto con la malavita ne sono rimasti contaminati. Per esempio la droga in via Idro non poteva entrare perchè gli anziani proteggevano i giovani e il campo attraverso la trasmissione di insegnamenti della loro cultura”.
Qual è il futuro per questi bambini?
“La nuova riforma scolastica non prevede più la mia figura di facilitatrice culturale. Temo che questo anno scolastico sarà l’ultimo con questo ruolo. Ciò che mi preoccupa non sono solo i tagli al personale, ma soprattutto l’eliminazione di tutti i momenti di collegialità e compresenza, che sono sempre stati il punto cardine della nostra scuola al fine di riuscire a organizzare gli interventi un po’ speciali, come quello con i bambini Rom, ma che permettevano di dare risposte mirate all’integrazione culturale. Quest’anno abbiamo subìto nuovi tagli. Avevamo cinque distacchi per l’integrazione dei bambini stranieri e Rom, ne è rimasta una sola. E’ un anno difficile perché devo tentare di dare delle risposte che siano efficaci e passare la mia esperienza alle insegnati che avranno questi bambini”.
11 marzo 2004 - Silvio Mengotto
Cambiamenti a gennaio 2006:
Ho ritelefonato all'insegnante:
“La situazione praticamente non è cambiata. Abbiamo anche manifestato, incontrato il Provveditore, alla fine quest'anno ci sono 12 ore in più. Abbiamo sfruttato le sinergie del laboratorio linguistico per studenti stranieri. Nel frattempo, c'è stata almeno la soddisfazione del riconoscimento di questoo lavoro da parte della Provincia. Attualmente, il Consiglio di Zona ha erogato un contributo per il recupero scolastico anche al campo. Non molti soldi, abbiamo preparato il progetto, e affrontato man mano le difficoltà che nascevano di volta in volta:
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la sostituzione dell'insegnante che doveva lavorare sul posto
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i lavori di manutenzione nel campo, per cui nelle aule dove si sarebbero tenuti i corsi ora non c'è illuminazione.
In qualche modo speriamo di iniziare a metà gennaio. Aggiornamenti a presto.”
Di Fabrizio (del 10/01/2006 @ 09:31:54, in Europa, visitato 1976 volte)
Leggo su Romano_Liloro:
Il Primo Incontro Plenario del Forum
Europeo dei Rom e dei Travellers è stato ospitato a
Strasburgo dal 13 al 15 dicembre 2005. L'evento ha riunito
rappresentanti da tutti gli stati del Consiglio d'Europa, e si è
focalizzato sulla difficile situazione dei 10-12 milioni di Rom e
Travellers in Europa.
Ora le immagini sono disponibili sul sito del fotografo Nigel
Dickinson. 1. All photographs you were sent of the 'Roma Travellers Forum'
are copyright © Nigel Dickinson and are not to be used by anyone
in any way whatsoever, on websites, internet, published or otherwise,
without the strict written permission of the author and
copyrightholder.
2. All photographs should always be credited to the Nigel
Dickinson
3. Nigel Dickinson has been photographing Roma across Europe for
15 years.
4. His work is available to be seen free of charge on his website:
www.nigeldickinson.com
Roma Gypsies across Europe:
http://nigeldickinson.com/gallery/Gypsies
Di Fabrizio (del 10/01/2006 @ 09:32:15, in Italia, visitato 1941 volte)
Immagino che in molti conoscano Wikipedia, l'enciclopedia (libera e multilingue) che viene continuamente creata e rinnovata dal contributo volontario di migliaia di utenti internet. Segnalo agli interessati, una recente discussione sui campi di concentramento e di sterminio in Italia durante la II guerra mondiale, e sulle diverse casistiche e locazioni per quanti (Rom e Sinti compresi) vennero perseguitati dal fascismo. Cambiando argomento: per il lettore che non si accontenta, sempre da Wikipedia, (stavolta in inglese)
Di Fabrizio (del 10/01/2006 @ 16:39:57, in Italia, visitato 1684 volte)
Da Romano LilA dieci giorni dalla denuncia dell’Opera Nomadi sulle condizioni di disagio in cui vivono i rom Xoraxanè del campo “attrezzato” di via Parisi, nulla è stato fatto. Solo due cassonetti sono apparsi. Come preannunciato è cominciata la protesta del presidente dell’O.N. che trascorre le sua giornate ospite dei rom in attesa di una risposta per la fornitura idrica, revocata dal commissario prefettizio di Capua. Persistono le condizioni di disagio in cui vivono le dieci famiglie residenti dal 24 dicembre: manca l’acqua, che impedisce di utilizzare i bagni e le docce, l’energia elettrica non è a norma, una roulotte ha preso fuoco, manca un medico che visiti gli ospiti e, inoltre, alcune ragazze sono molestate ai semafori.
S. Maria C.V. (Caserta) 9-01-2006. Campo nomadi di via Parisi. I pericoli incombono. Il bagno di una roulotte ha preso fuoco a causa della caduta di una candela, mentre due bambini dormivano. Solo il pronto intervento della sorella quindicenne, con l’utilizzo di un secchio d’acqua, ha evitato, sul nascere, la tragedia. Purtroppo i pericoli incombono anche in strada. Un maniaco sessuale adesca le bambine ai semafori di via Galatina. L’O.N. chiede alle Forze dell’Ordine di indagare e di sorvegliare la zona. Secondo la descrizione delle bambine, il maniaco offre 30 euro, si denuda e le invita a salire nella sua auto avanzando richieste oscene. Secondo la descrizione potrebbe avere una trentina d’anni, i capelli mossi, neri, statura media, robusta corporatura. Sostiene di chiamarsi Michele. Si sta tentando di risalire alla targa dell’autovettura per sporgere denuncia. L’O.N. ribadisce l’urgente richiesta di un pulmino per il trasporto scolastico per evitare la dispersione scolastica e l’adescamento dei male intenzionati ai semafori. L’O.N. chiede che al campo sia realizzato un impianto elettrico in piena sicurezza. A dieci giorni dalla denuncia dell’Opera Nomadi sulle condizioni di disagio in cui vivono i rom Xoraxanè del campo attrezzato di via Parisi nulla è stato fatto. Solo due cassonetti sono apparsi come per magia. E’ cominciata la protesta del presidente dell’O.N. che trascorre le sua giornate ospite dei rom in attesa di una risposta per la fornitura idrica, revocata, dal commissario prefettizio di Capua. Chiede che l’Enel sia pagata dal Comune di S. Maria C.V. come accade ovunque. Chiede alla Protezione civile, presieduta dal comandante De Rosa, di sostituire le roulotte fuori uso. Chiede che un medico dell’Asl Ce2 visiti il campo per prescrivere medicinali. Si fa presente che il medico assegnato, Claudio Tafuri, non visita la comunità da molti mesi (come segnalato ai vertici dall’O.N.) e si rifiuta di fare prescrizioni sostenendo di non poterle effettuare, essendo solo un dermatologo. Gli accordi con il direttore del distretto Bruno Di Benedetto (ora sostituito da Angela Bonavolontà) erano che lui fungesse da ‘medico di base’ per tutte le prescrizioni. L’O.N., auspicando che i fondi esistenti non siano perduti o spesi con schizofrenia, come avvenuto finora, ricorda che i rom Xoraxanè sono stanziali da venti anni nel territorio di Caserta.
Opera Nomadi Sezione di Caserta: via Galatina S. Maria C.V. Presidenza: Nadia Marino tel. 3334951447. Segreteria: Sara Monfregola 3477590304. Indirizzo di posta elettronica: marinonad@libero.it Nella foto, Nadia Marino con due ospiti del campo
Di Daniele (del 10/01/2006 @ 17:26:18, in Italia, visitato 2243 volte)
Data 5/1/2006 Servizio: redazione
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La Cgil: “Favoriamo l’integrazione dei Rom a Perugia” Bravi incontra rappresentanti della comunità e chiede un confronto con Comune e Prefettura
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da: Umbrialive.it
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PERUGIA – La Cgil perugina si adopera per l’integrazione dei Rom. Si è svolto martedì 3 scorso l’incontro tra Camera del Lavoro di Perugia, coordinamento immigrati Cgil e alcuni rappresentanti della comunità Rom cittadina.
Sono stati oggetto di discussione diversi argomenti, in particolare il problema della ricerca di un lavoro, la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno e l’opportunità di dare una adeguata istruzione ai bambini della comunità.
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Alcuni rappresentanti dei Rom sono intervenuti spiegando la situazione di disagio data dal clima ostile che spesso devono affrontare, che si riflette in pratica sulla difficoltà nella ricerca di un lavoro e sulla possibilità di ottenere il permesso di soggiorno.
Per migliorare questa situazione, e sottolineando la loro disponibilità a cambiare modo di vivere, chiedono di avere un confronto su questi argomenti con il Comune o altre istituzioni.
“La prossima settimana – ha detto Mario Bravi, segretario provinciale della Camera del Lavoro di Perugia – chiederemo due incontri. Uno con la Prefettura per chiarire le possibilità e le condizioni per ottenere il permesso di soggiorno per coloro che ancora non lo hanno o che lo hanno provvisorio: l’altro con l’amministrazione comunale di Perugia per trovare una soluzione concordata tra le parti al fine di assicurare ai bambini della comunità Rom il diritto di accedere all’istruzione e per aiutarli ad uscire da una condizione difficile”.
PS: Cafebabel è tornato a scrivere sui Rom in Europa. A chi l'avesse perso allora, segnalo anche l'articolo dello scorso aprile.
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