Da un paio di giorni, rimbalzano in
internet notizie su un intervento di Francesco Rutelli sul
quotidiano Europa. Io quel pezzo non l'ho letto, anche se
un'idea me la son fatta con la dose quotidiana di
Padania.
Se le cose stanno così, c'è chi (Paniscus,
ad esempio) ha risposto intelligentemente, io non mi azzardo neanche,
a ripetere cose che avrò già scritto non so quante
volte, e che ormai mi vengono a noia.
Però, mettete insieme un campione
del dico-e-non-dico, come il politico romano bipartisan, e la
caterva di avvoltoi
che puntualmente si alzano in volo quando si sente la parola
“ZINGARO”, per prevedere la canea che durerà una
settimana (forse).
Non è un discorso di destra o
sinistra, è solo uno spuntino elettorale, con qualche promessa
(o minaccia, a seconda dei casi) ma trovatemi un elemento
concreto, se ci riuscite, che aiuti ad uscire dai problemi.
E mentre lo spuntino è in corso, e
i commensali parlano di scuola, famiglia e giustizia, che quasi quasi
mi sembra di vederli a brindare dicendo “E' colpa loro! Di
TUTTI loro!”, queste sono le storie che nessuno (tranne
l'archivio di Romano
Lil) racconta. Storie di, appunto, scuola, famiglia e
giustizia.
Da Informagagio, periodico polesano
di Rom/Sinti e gagé.
A cura di Rovigo opera Nomadi.
Settembre 2005.
Fatima Seferovic è scappata dalla
guerra dell’ex Jugoslavia per arrivare in Italia nel 1991. Ora
senza permesso di soggiorno e senza aiuti è ridotta alla
disperazione e può essere espulsa in qualsiasi momento dal
suolo nazionale assieme ai figli due dei quali nati in Italia.
IL
PONTE DI MOSTAR
Veniva Uliano Lucas, di luglio 1993 a Rovigo,
a mostrare le foto del ponte di Mostar, cittadina della Jugoslavia,
simbolo del dialogo fra culture e popoli, storica arcata - ma quanto
squisita ed ornata!, ad unire sponde differenti nel vero senso di
connessione, di relazione. Un ponte che fu bombardato e distrutto in
quei giorni delle separazioni e dell’odio verso le differenze:
prima quelle economiche, nazionalistiche, poi quelle religiose, di
genere… “I giardini di Mostar sono seminati a tombe”,
scriveva Erri de Luca nel maggio1995. Poi il ponte fu ricostruito in
un tentativo anche simbolico di riconciliazione ma i suoi tronconi,
segni di una rottura tragica con chi sta dall’”altra
parte”, si ergono in altre terre, in altri mondi...anche in
Polesine.
FATIMA DA MOSTAR
I tronconi distrutti del
ponte di Mostar sono conficcati ed incisi nelle carni di Fatima
Seferovic che da quella guerra scappò col marito e quattro
figli per arrivare in Italia nel 1991. Nei primi tempi i profughi
parevano “sistemati”, col lavoro e con la casa, la
ragazza più grande sposata ad un Sinto, ma ultimamente la
situazione è diventata disperata. Vivono in un casolare di
proprietà sperduto nelle campagna polesana nei dintorni di
Baruchella (Ro). Suzan, è stato ucciso da un'automobile sullo
stradone di casa a 17 anni di età -due anni fa, Angela ha
quasi 18 anni, Anita 15, Stella e Susan, nati in Italia, hanno
rispettivamente 12 e 10 anni. Il marito, Serif, dopo più di
dieci anni di regolare lavoro, ha perso il permesso di soggiorno per
un tumore incurabile che gli impedisce di lavorare, ha bisogno di
assistenza continua e fa fatica anche a guidare il camioncino.
L’abitazione, il casolare, è lontana tre chilometri dal
più vicino centro abitato e Fatima spera che Angela fra sei
mesi (al compimento del 18° anno) possa prendere la patente per
aiutare la famiglia, ma non sarà possibile perché non è
in regola, anzi con la maggior età diventa espellibile. Tra le
altre avversità Angela e Stella avrebbero bisogno di
un’operazione per uno strabismo agli occhi ma la “card”
regionale per gli irregolari non permette questo tipo di
intervento.
“VOGLIO ANDARE VIA DI QUI”
Mancano
cibo, vestiti, assistenza sociale e morale, soldi per la bolletta
della luce e per pagare l’assicurazione del camioncino: “Non
ce la faccio più, voglio andare via di qui”, esclama
Fatima. Il marito ha ancora pochi mesi di vita ed è “perso”,
crea anche difficoltà alla moglie ed ai ragazzi e quando lui
entra in casa loro ne escono. C’è un clima di
abbattimento generale. “I miei figli hanno perso la voglia di
vivere” esclama Fatima disperata, “voglio andare via di
qui, qualcuno mi aiuti!”
NEGLI OCCHI DI SUSAN
Anita
ha conseguito la licenza di scuola media e starà a casa.
Stella è stata bocciata in prima, Susan è stato
respinto in seconda elementare (dovrebbe fare la quarta) a causa
delle assenze perché non ce la faceva più a salire in
pulmino coi ragazzi che lo prendevano in giro dandogli dello
“zingaro”. “Chi sa vedere guardi” e si faccia
osservare, magari da dietro lo schermo del computer, da questo
ragazzo che sta morendo di abbandono di desuetudine, di vita. Ma non
era finita la guerra?
“PER QUANTO VOI VI SENTIATE
ASSOLTI”
E’ in atto una persecuzione sociale ed
istituzionale, senza esclusione di colpi verso i minori, contro
questa ed altre famiglie del territorio in cui viviamo, che ci vede
tutti complici seppur a diversi livelli. Ma un giorno, ci auguriamo
che gli ufficiali di questa guerra infinita saranno imputati al
tribunale per i Diritti dei Popoli: il Prefetto Landolfi, i sedicenti
assessori alla Pace e Diritti Umani di Provincia e Comune, Virgili e
Saccardin, il direttore della Caritas Bellinati, la responsabile
Croce Rossa Monesi, tutti quei soldatini istituzionali che, ligi al
dovere e facendo finta di non sapere, continuano a scavare trincee di
esclusione sociale ed i “civili” che restano sordi di
fronte alle numerose invocazioni di “umanità” di
Fatima e famiglia.