Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 07/01/2013 @ 09:08:55, in media, visitato 1625 volte)

APERTURA - ANNA CURCIO

Il libro collettivo "La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti" Un'analisi comparata su come cinema, fumetti e letteratura veicolano il razzismo in Italia e negli Usa
Portare la razza al centro del dibattito italiano su razzismo e antirazzismo. Questo il meritorio obiettivo di Parlare di razza. La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti a cura di Tatiana Petrovich Njegosh e Anna Scacchi (ombre corte, pp. 318, euro 25), volume che si inserisce in un filone di studi, ancora relativamente giovane in Italia, rivolto soprattutto a sfatare il tabù della razza.

Dismessa dal dibattito politico e dal linguaggio di tutti i giorni da quello che è stato definito "il paradigma antirazzista dell'Unesco" che negli anni Cinquanta del Novecento reinterpretava il razzismo alla luce della violenza nazifascista e riconduceva i conflitti razziali a nozioni scientificamente false proliferate nell'ignoranza, la razza come categoria scientifica e analitica per leggere il razzismo ha solo di recente trovato nuova legittimità in Italia e nell'Europa continentale. In particolare grazie all'iniziativa di editori sensibili - tra questi senz'altro ombre corte - e il contributo di studiosi e studiose che, riprendendo gli insegnamenti di Frantz Fanon e delle correnti più radicali del movimento per i diritti civili americano, hanno assunto nello studio del razzismo una dimensione di attivismo volta al cambiamento.

In questo senso la razza, finalmente dismessa la sua supposta connotazione biologico-naturalista è stata assunta come costruzione sociale capace di ridefinirsi al mutare delle congiunture storico-politiche. È una categoria sociale "simbolica" ricorda Petrovich Njegosh, che mostra al contempo indiscutibili ricadute materiali pesando sulla vita dei soggetti in termini di opportunità, condizioni di vita e aspettative. Stabilisce cioè privilegi e forme di subordinazione che investono l'intero corpo sociale. Sebbene, dunque, socialmente costruita, la razza si presenta come concreto dato di realtà che occorre "nominare" per svelarne il potenziale di violenza. Così facendo diventa possibile rovesciare l'idea ancora oggi dominate del razzismo come vizio ideologico o patologia sociale legata all'ignoranza, da "curare" attraverso l'istruzione e l'educazione.

Il volume, all'interno di un approccio teorico eterogeneo complessivamente riconducibile all'americanistica, riflette sulle significazioni del termine razza tra Italia e Stati Uniti. Più precisamente, all'interno di una dimensione comparata assume la traduzione tra sistemi linguistici e culturali differenti come punto d'osservazione privilegiato per cogliere i punti di contatto tra un paese storicamente attraversato dal razzismo come gli Stati Uniti e l'Italia che dietro la vulgata di un "colonialismo minore" e degli "italiani brava gente" ha per lungo tempo rimosso dalla narrazione nazionale il passato colonial-razzista.

I saggi - che si occupino di letteratura, fumetti, cinema, poesia, linguaggio romanzesco o più complessivamente della cultura di massa - si concentrano sulla funzione svolta dal linguaggio nella strutturazione delle relazioni sociali e dell'identità razziale in Italia. In questo senso, mostrano la razza in traduzione come strumento di mediazione culturale, come dispositivo di addomesticamento che riporta personaggi, linguaggi e modi di fare all'interno di stereotipi riconoscibili nel nostro paese (è il caso di alcune traduzioni di poesia afroamericana, del doppiaggio cinematografico o della reazione italiana al fenomeno Obama che ha dato origine al volume). Nello stesso tempo vengono evidenziati esempi storici che testimoniano una continuità nella costruzione del racial thinking tra Italia e Stati Uniti. Il Dictionary of Race or People che per tutta la prima metà del Novecento ha orientato le scelte statunitensi in materia di immigrazione e naturalizzazione, sulla base di una precisa differenziazione razziale che insisteva sull'inferiorità degli europei meridionali e orientali, trovava fondamento "scientifico" nella teoria delle "due Italie" di Alfredo Niceforo e negli studi della scuola italiana di antropologia positivista da Sergi a Lombroso.

L'intera storia italiana e la costruzione della sua identità nazionale, sin dagli anni immediatamente successivi all'unificazione, è dunque opportunamente reinterpretata in relazione alla categoria di razza, intesa precisamente come supremazia "inalienabile" della bianchezza assunta quale principio dell'ordine sociale. È "Il capitalismo razziale moderno", per riprendere l'efficace definizione di Cedric Robinson che, dentro la più complessiva costituzione coloniale della modernità capitalistica e della costruzione degli stati nazionali, funziona, anche in Italia, come dispositivo strutturante della narrazione nazionale.

Peccato che il volume trascuri quasi del tutto questo aspetto. La costruzione dell'italianità e i connessi processi di "sbiancamento" non vengono infatti qui legati al piano più complessivo dei rapporti sociali e produttivi, cosicchè la razza è assunta esclusivamente "come rappresentazione culturale, linguistica e identitaria". Viene cioè perso di vista il nesso inscindibile tra classe e razza che connette il razzismo e i processi di razzializzazione con i rapporti di produzione e le loro trasformazioni storiche. E non si tratta, in questo senso, di assumere un punto di vista economicista, né di rimandare a un approccio deterministico; al contrario tale sguardo permette di ripensare i rapporti di produzione a partire dal processo di razzializzazione insistendo sulla loro inevitabile "articolazione" o "surdeterminazione" nel contesto sociale capitalistico. Si tratta, seguendo Marx, di analizzare il capitale come rapporto sociale e fare della lotta al razzismo un progetto complessivo contro lo sfruttamento e dunque di liberazione.

È la costruzione di un comune terreno di lotta fra coloro che sono "razzialmente neri" e la più ampia composizione del lavoro vivo contemporaneo. E fare, riprendendo l'insegnamento delle lotte anticoloniali e di quelle antirazziste in America, degli studi su razza e razzismo, non un progetto di educazione universale, ma un terreno di militanza politica per la trasformazione radicale.

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Di Fabrizio (del 08/01/2013 @ 09:09:09, in musica e parole, visitato 1549 volte)

DIRITTI GLOBALI FONTE: ANDREA TARQUINI - LA REPUBBLICA | 02 GENNAIO 2013

Sul podio il maestro Sahiti, profugo dal Kosovo

BERLINO. Sono tutti bravi, strappano sempre grandi applausi e standing ovation. E sono tutti Rom. "Suoniamo soprattutto per mostrare che non è vero che se sei un Rom sei un criminale", è il loro motto. Girano di continuo l'Europa in tournée, sfidando anche pericoli in situazioni come quella ungherese, dove gli ultrà di destra e le loro milizie tipo Magyar Garda hanno le violenze razziste anti-Rom come attività quotidiana. Di orchestre sinfoniche ce ne sono tante ma questa è la storia di un'orchestra unica al mondo. Si chiama Frankfurter Philharmonische Verein der Sinti und Roma. Esiste da dieci anni, fondata dal musicista rom nato in Kossovo Riccardo Sahiti, oggi cinquantunenne. A Francoforte, nella metropoli finanziaria della democrazia tedesca, ha base sicura ma viaggia di continuo per portare in musica il suo messaggio antirazzista.

"L'idea mi venne perché all'inizio, io fuggito dal Kosovo in guerra e con una robusta formazione musicale sulle spalle, avevo difficoltà a farmi accettare nelle orchestre", ha spiegato Riccardo Sahiti alla Sueddeutsche Zeitung, l'autorevole quotidiano liberal di Monaco che all'orchestra sinfonica rom ha dedicato un reportage a tutta pagina. "Ho cercato e contattato colleghi ovunque, sapevo che musicisti sinti o rom erano attivi in orchestre importanti, dalla Wiener Staatsoper, all'Orchestra sinfonica della MDR (la tv pubblica dell'est tedesco) a Lipsia, all'orchestra nazionale romena".

Così nacque il progetto, nel novembre 2002 a Francoforte. Adesso a Praga hanno appena incassato il tutto esaurito suonando, tra l'altro, il Requiem per Auschwitz, composto da Roger Moreno, sinto di origine svizzera. "Nel maggio scorso", narra Moreno, "lo abbiamo eseguito ad Amsterdam e la regina Beatrice ci ha poi invitati a un caffè a palazzo reale per dare l'esempio contro i razzisti".

Non è facile farsi avanti, neanche nell'arte, se appartieni a una minoranza mal vista un po' ovunque. Sahiti è di buona famiglia, i genitori spesero tutto per il suo talento musicale, gli regalarono un pianoforte, riuscirono a mandarlo a studiare a Belgrado e poi a Mosca. Poi vennero le guerre volute dal dittatore serbo Slobodan Milosevic, i massacri etnici e gli stupri etnici di massa della sua soldataglia, asili e ospedali bombardati dai suoi Mig. Sahiti fuggì, appunto. E nel 2002, appena costituita, l'orchestra sinfonica Rom tenne proprio a Francoforte, gran pienone, il suo primo concerto.

"Aver creato l'orchestra vuol dire non perdersi di vista" spiega il violinista Johann Spiegelberg. "Ognuno di noi o quasi ha nella memoria brutte esperienze. Io una volta ero in una grossa città dell'est tedesco, alla fine d'un concerto, ancora in frac, arrivai a una pompa di benzina per fare il pieno con la mia vecchia Mercedes. Due giovinastri mi si sono avvicinati, mi hanno detto “eccolo là, il kanak (termine razzista per straniero usato dai neonazisti ma anche da gente comune nell'ex Ddr, dove tre generazioni vissero prima sotto Hitler poi sotto lo stalinismo, senza cultura democratica e quasi senza ribellarsi fino all'ultimo al contrario di polacchi o cecoslovacchi o ungheresi, ndr).

Ecco un altro kanak, bè kanak che ne dici, è sempre comodo per voi vivere bene qui a spese nostre e a casa nostra, no?”. Io non mi lasciai provocare".
"Ogni tournée è come un'allegra gita scolastica, eppure ce la mettiamo tutta". Musica sinfonica, classica, non folklore. E naturalmente anche musiche di opere ispirate al mondo Rom, da Carmenal Gobbo di Notre-Dame.

"Quella per noi è una nostra eredità culturale da tramandare". Il rischio, dice Jitkà Jurkovà, attivista dei gruppi antirazzisti cèchi che li aiuta a organizzare concerti, è che vengano visti come spettacolo esotico, e che il messaggio politico non sia capito appieno. Ma è un rischio che per il maestro Sahiti e i suoi orchestrali val la pena correre. Tanto da suonare il Requiem per Auschwitz anche in Germania.

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Di Fabrizio (del 09/01/2013 @ 09:08:40, in sport, visitato 1322 volte)

Most, 3.1.2013 15:58, (ROMEA) Tifosi cechi spargono voci su sussidi al calcio dei Rom - ryz, Mostecky' deni'k, translated by Gwendolyn Albert

--ilustrachni' foto--

Il giornale Mostecky' deni'k riporta che diversi tifosi dell'Accademia Calcistica di Most hanno lanciato accuse contro la locale associazione romanì, che secondo loro beneficerebbe ingiustamente dei contributi comunali. L'associazione civica Aver Roma (Jini' Romové - Altri Rom), che per il secondo anno sta prendendosi cura dei giovani nella residenza di Cha'nov che abbiano talento calcistico, respinge l'accusa che il municipio stia "buttando un sacco di soldi" in questo lavoro.

"E' una sciocchezza. Non riceviamo questi importi mozzafiato. Come gli altri club sportivi, non otteniamo una singola corona più di quanto non ci sia dovuta," dice Petr Badzo di Aver Roma.

L'associazione ha ricevuto 27.500 corone (1.089 euro) nel 2011, anno in cui iniziò a lavorare con 80 bambini, per finanziare le sue attività e comprare le divise. Badzo dice che è stato il maggior contributo ricevuto, a cui sono seguiti contributi del tutto ordinari per coprire le spese di trasporto.

Scrive il giornale che la squadra di Cha'nov ha terminato terza in classifica lo scorso campionato. Gli è stata anche conferito il titolo di "squadra più corretta". Ai bambini viene permesso di giocare a calcio purché siano soddisfatti i loro obblighi scolastici.

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Di Fabrizio (del 10/01/2013 @ 09:00:35, in Europa, visitato 1474 volte)

immagine da metteteviscomodi.it

PREMESSA: Una decina di anni fa, le elites intellettuali romanì si resero conto di rappresentare un popolo senza stato, ma che era sparso in tutta Europa, diviso ma forte della consistenza di 10-12 milioni di persone (praticamente, corrispondente alla popolazione di Belgio, o Ungheria, o Austria o Danimarca). L'Unione Europea e l'abbattimento delle frontiere sembravano un'opportunità politica da sfruttare per l'integrazione socio-economica ed il riconoscimento dei loro diritti. Si ragionava allora in sede comunitaria dell'allargamento a Est, e una delle richieste ai nuovi stati membri era proprio quella del riconoscimento dei diritti dei Rom.

Dieci anni dopo, la scommessa di allora sembra persa. L'allargamento a Est non ha fermato le discriminazioni, ma solo generato aumento dei prezzi, tagli del lavoro e dei servizi sociali. Cose che stiamo sperimentando da tempo anche in tutto il ricco occidente. Ma nel contempo, questo ha rinvigorito flussi migratori che c'erano già da tempo. Ed i migranti hanno scoperto così che l'occidente in crisi non era la terra promessa che si aspettavano: i diritti erano sulla carta, le discriminazioni simili e il lavoro una spietata concorrenza con chi c'era già prima.

I FATTI: I Rom rimangono la più grande minoranza europea, e visto che come occidentali ci riteniamo ancora superiori ai nuovi arrivati, i sacri principi europei devono essere fatti salvi. Applicandoli? Questo sarebbe difficile... ci basta incolpare gli altri di non farlo.

Assisto ad un fenomeno curioso: mentre i media italiani diffondono notizie su persecuzioni in Romania, Bulgaria, Slovacchia ecc. la stampa di quei paesi ci ricambia il favore, illustrando spesso le terribili condizioni di vita dei Rom scappati in occidente.

La cronaca recente ripete questo gioco delle parti: in Ungheria un giornalista vicino al partito di governo ha definito i Rom come "animali". In neanche un giorno, la notizia si diffonde a macchia d'olio: gruppi mediatici, ANSA, Giornalettismo, blog.

CONSIDERAZIONI: Cos'avrebbe detto quel giornalista di così dirompente da scandalizzarci? Qualcosa che in Italia abbiamo letto (se non pensato, magari vergognandocene) chissà quante volte.

Però, l'Ungheria è un paese che era già povero di suo, è stato illuso da un boom economico terminato prima che altrove, e si trova in una macroregione europea dove i Rom costituiscono dal 7 al 10% della popolazione (e sono naturalmente i più colpiti dall'attuale crisi). In occidente costituiscono l'1-2 per mille della popolazione, e ci lamentiamo che sono troppi! Aggiungo che la crisi ungherese ha portato al governo un partito di centrodestra, il FIDESZ, che politicamente sente la concorrenza di una destra estrema, a tratti violenta, nazionalista e antisemita come lo JOBBIK (quasi il 17% dei voti). Mi sembra abbastanza logico che in questa situazione, il partito di governo si aggrappi anche ad artifizi retorici di questo genere, come lo farebbe qualsiasi politico nostrano.

Perché ci scandalizziamo, ripeto? Cattiva coscienza, mi rispondo.

Faccio un altro esempio: la Serbia, che ultimamente è diventata un paese sotto l'occhio di Amnesty International e dell'onnipresente galassia Soros. Hanno ragione a battersi per i diritti dei Rom, ne sono convinto. Ma la nostra lettura dovrebbe comprendere anche altri parametri. Ad esempio, in Serbia e nella ex Jugoslavia i Rom hanno storicamente visto riconosciuti più diritti che in tante altre nazioni. Ma se quel paese si ritrova a dover vivere alla giornata, dopo 10 anni di guerra, quasi altrettanto di sanzioni, un territorio più che dimezzato e profughi (Rom e no) che sono arrivati da ogni dove, ha un problema pratico - prima che politico: con le buone dichiarazioni non si mangia.

CATTIVA COSCIENZA: E' colpevole la Serbia se i rifugiati vivono in baraccopoli schifose, sgomberate senza alternative? Certo! Ma possiamo noi rimproverarglielo, quando nel pratico (Italia, Francia) siamo noi i maestri che hanno esportato (ed esportiamo) queste politiche? Se la Serbia, con le sue pezze al culo, non sa più dove mettere i rifugiati, dal 2008 gli stati più ricchi d'Europa (Svezia e Germania), rimandano forzatamente in Serbia e Kosovo i rifugiati dell'allora ex Jugoslavia che provenivano da lì. Senza assistenza, senza diritti, senza domande sul loro futuro.

IL COLPEVOLE: Lo so chi è, non lo dico e ognuno si risponda per sé. La realtà (quella ci interessa tutti) è che chi rimandiamo indietro, tornerà ancora, nonostante muri, leggi, divieti e montagne di parole. Volevamo braccia, sono arrivate persone? Le persone non sono pacchi postali.

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Di Fabrizio (del 11/01/2013 @ 09:04:06, in Europa, visitato 1747 volte)

IL VOSTRO PORTAFOGLIO AI RAGGI X
Ogni settimana (o quasi), Eco Rue89 apre un report grazie ad alcuni volontari in materia di entrate e spese...

Rue89Eco - Le nouvel Observator par Camille Polloni Dragomir, Rom, 25 anni, da 0 a 70 euro al giorno in una bidonville
Puntata speciale: un raid della polizia ha interrotto la nostra intervista a Dragomir.

Dragomir davanti al suo rifugio, nella baraccopoli di Ris-Orangis (Camille Polloni/Rue89)

Nel fango denso di questa baraccopoli a Ris-Orangis (Essonne), gli agenti in uniforme scivolano a piccoli passi nel viale principale tra le baracche. Dalla sua finestra della sua capanna in pallets, Dragomir li vede avanzare.

"Vuoi che andiamo a vedere?", gli chiedo. "No, verranno loro."

Serein, giovane rom di 25 anni, ci ha fatto l'abitudine. Già la settimana scorsa, la polizia nazionale era passata a controllare i documenti. "Hanno spaccato porte e finestre."

Non se ne parla neanche di lasciare di propria volontà il calore della stufa. Non si muove, nonostante l'ordine di uscire, intimato ad alta voce.

Nella baracca (Camille Polloni/Rue89)

Dalla finestra si sporgono una mano ed un volto per scrutare all'interno, poi la porta si apre. Un po' sorpreso di trovare un visitatore, il poliziotto annuncia che dovranno "procedere ad un censimento" delle baracche e degli abitanti, e ripete: tutti davanti alle baracche.

Cinque minuti dopo, senza che nessuno abbia capito bene a cosa serva questo approssimativo censimento, le uniformi ripartono con un derisorio "buon Natale e felice anno nuovo". Sempre flemmatico, Dragomir riprende il suo posto accanto alla stufa.

"Bruciare la miseria"

Un po' più tardi, sono i pompieri dell'Essonne a sbarcare, allertati da un grosso rogo di spazzatura nel campo. Spiegano i Rom: stanno bruciando "la miseria", cioè i r5ifiuti accumulati in un enorme tumulo di cui il sindaco non vuole sbarazzarli.

Nel mucchio, c'è della plastica. Fa parecchio fumo, sopra la vicina statale. La pompa serpeggia nella bidonville per spegnere il fuoco.

"Capisco perfettamente le loro buone intenzioni, ma non posso tollerare questa puzza," taglia corto il direttore dell'ufficio del sindaco di Ris, venuto assieme all'assistente alla sicurezza.

Bandiera europea capovolta e posata come tetto su una catapecchia (Camille Polloni/Rue89)

Sciarpa annodata al collo, giacca impeccabile e jeans, il direttore rimane arroccato su una roccia all'ingresso del campo, per non coprirsi di fango le eleganti scarpe nere. Dragomir rimira la scena con un bambino:

    "Manderò un lustrascarpe, perché le calzature del direttore dell'ufficio siano ben lucidate."

Due vigili vanno a controllare se il fuoco s'è spento, sotto l'occhio divertito delle famiglie. E' sette mesi che sono accampati su questo terreno comunale, addossato ad uno stadio in costruzione.

E' Sébastien Thiéry, dell'associazione PEROU, a guidarci da Parigi a Ris-Orangis. Ci va una, due, tre volte a settimana, quando ha tempo. Ci presenta Dragomir.

Tre bambini a scuola

Rom di nazionalità rumena, Dragomir è arrivato in Francia nel 2004. Sa costruire una casa in tre ore, "se ho il materiale": pallets, tavole, lamiere, moquette per il pavimento. Ha vissuto in diverse baraccopoli e luoghi di fortuna a Parigi,, Villemomble (Seine-Saint-Denis) e diverse città dell'Essonne.

Al massimo, un'occupazione è durata due anni, presso la gendarmerie abbandonata di Viry-Châtillon, sgomberata a gennaio. I suo figli, 5 e 6 anni, e la figlia della sua compagna, 12 anni, vanno ancora alla scuola di quel comune.

Dragomir parla un buon francese, a differenza dei suoi vicini, tutti provenienti dallo stesso villaggio in Romania. Per lui è più facile parlare con i giornalisti, le associazioni ed i poteri pubblici.

Entrate: tra 0 e 70 euro al giorno

I ricavi di Dragomir provengono esclusivamente dall'economia informale: riciclo, lavoro in nero ed accattonaggio. Sono irregolari ed imprevedibili, per questo è impossibile fare una media.

Per ora, la circolare che ha abolito l'imposta applicata all'impiego di Rumeni e Bulgari non ha avuto alcun impatto sulla sua situazione. In questo momento, non sta guadagnando niente. E' la moglie che racimola un po' di soldi.

  • Ferraglia: massimo 30 euro al giorno

Dragomir ha un furgone del 1986, acquistato con 400 euro su LeBonCoin.fr (in stazione si può usufruire di Internet da un telefono pubblico).

Con suo fratello minore raccoglie metalli nei cantieri per venderli ad un rottamaio:

    "A volte ce li lasciano nei cantieri, oppure li raccogliamo per strada, nelle discariche, quello che la gente abbandona."

Tutto mischiato, il rottame è valutato 15 centesimi al chilo. Escluso il rame, che vale 5 euro a chilo, "ma non se ne trova molto". In sostanza, con la ferraglia si possono fare "dai 100 ai 200 euro a settimana".

    "Da cui vanno tolti cibo, sigarette e il gasolio per il furgone."

Ma da un mese, il vecchio camion ha reso l'anima. Si tratta della cinghia della trasmissione, e Dragomir ha poche speranze di riuscire a ripararla. Da allora ha lasciato perdere i rottami.

  • Vendita di giornali: 1,5 euro al numero

Prima dei rottami, Dragomir vendeva il giornale "Sans abri" (Senzatetto, ndr.). Lo si acquista in anticipo a 50 centesimi a numero, prima di rivenderlo a 2 euro.

    "Ne acquistavo circa 50 al mese. Non è facile venderli tutti, ma d'altro canto ci sono Francesi che danno i soldi senza prendere il giornale."
  • Lavoro in nero: da 60 a 70 euro la giornata
    "Sui cantieri, i padroni vogliono operai in regola, coi documenti. Per noi non è possibile. Ma se trovo privatamente in n ero, posso guadagnare dai 60 ai 70 euro al giorno. Così sono riuscito a lavorare 14 giorni in tutto."
  • Mendicando: tra 15 e 20 euro al giorno
    "Non è un suo compito. Aveva paura di essere arrestato e di non poter andare a prendere i figli a scuola. Ma sua moglie mendica di tanto in tanto. Si possono rimediare dai 15 ai 20 euro al giorno, meno di quelli che suonano."
  • Al mercato: da 30 a 40 euro al giorno
    "Anche lì, se ne occupa la moglie di Dragomir, una o due volte la settimana. Spiega lui: "Nel frattempo, bado ai bambini."

Vende scarpe e vestiti rimediati nella spazzatura, al "mercato della miseria" alla porta di Clignancourt, a nord di Parigi, dove si reca col RER (espresso metropolitano. ndr.).

  • Assegni familiari: una volta nel 2007, 800 euro
    "Nel 2007, per tre mesi mi hanno dato gli assegni familiari. In tutto saranno stati 800 euro. Dopo la CAF (l'assistenza reddituale francese, ndr.) m'ha detto che s'era sbagliata, perche non avevo i documenti."

Dragomir e la sua famiglia non hanno diritto alle prestazioni sociali: né disoccupazione, né RSA (sussidi all'impiego, ndr.), né indennità familiari.

Beneficiano solo dell'assistenza medica statale (AME) che "da il diritto alla presa in carico del 100% delle cure mediche e di ricoveri ospedalieri, in caso di malattia o maternità, nei limiti delle tariffe della sicurezza sociale, senza ulteriori oneri".

La famiglia vi ha fatto ricorso una sola volta, quando la moglie di Dragomir ha dovuto essere ricoverata per una gravidanza difficile.

Costi: da 75 a 725 euro al mese

  • Alloggio: 0 euro

Tutti i materiali e i tappeti adoperati per la costruzione della baracca sono stati recuperati. Dragomir vive in circa 15 mq. con sua moglie e tre bambini, su un terreno che può essere sgomberato in qualsiasi momento.

In totale, sono un centinaio a vivere in questa baraccopoli al lato della strada, in una quarantina di casupole. Se necessario, Dragomir può prestare denaro a suo fratello, e viceversa.

  • Carburante: 20 euro al giorno, finché il furgone ce l'ha fatta

Sino al mese scorso, Dragomir metteva ogni giorno 20 euro di carburante nel camion. Si occupava lui stesso delle riparazioni.

  • Elettricità: 15 euro al mese

Le associazioni che aiutano i Rom di Ris-Orangis, hanno installato un  gruppo elettrogeno per tutta la bidonville. Funziona a benzina, circa 15 euro al giorno, pagati a turno tra tutti gli abitanti.

Sébastien Thiéry, dell'associazione PEROU, lo ritiene un notevole progresso:

    "Prima avevano generatori individuali, che potevano costare sino a 250 euro al mese ad ogni famiglia".
  • Vestiti e cibo: forniti dalle associazioni

Per cibo e vestiti Dragomir spesso fa ricorso al Secours populaire ed a Restos du cœur. Quando può, compera al mercato i vestiti per i suoi bambini.

    "A volte i bambini chiedono quaderni, zaini di scuola o scarpe da ginnastica, ma non posso offrirgliele. Fanno sport come sono vestiti normalmente.
    Non mi parlano quasi mai di soldi. A volte vedono che non ho i soldi per le sigarette o niente da mangiare per me. Ma loro, sicuro, hanno sempre da mangiare. E' la priorità."
  • Spesa: da 60 a 100 euro al mese
    "Compriamo da mangiare una volta al mese, quando è possibile. Diciamo che sono in media da 60 a 100 euro al mese."
  • Mensa: 0 euro

Il pranzo dei bambini a scuola è gratis, grazie all'intervento di un assistente sociale.

  • Telefono: 10 euro al mese

Dragomir ha un telefono portatile, con la ricarica. Quando non ci sono più soldi, non c'è più il telefono.

  • Trasporti: 0 euro

Dragomir e sua moglie prendono il bus e la RER senza pagare.

  • Invio di soldi in Romania: variabile
    "A volte mando dei soldi alla mia famiglia rimasta in Romania: mio padre, mia madre, mio fratello. Dipende da quanto mi resta e da quanto hanno bisogno. Per esempio, invio se sono malati."
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Di Fabrizio (del 12/01/2013 @ 09:04:46, in casa, visitato 1436 volte)

BBC news A Leicester i siti per i Traveller dovrebbero essere vicino alla casa del sindaco

Jubilee Square viene proposta come sito per traveller e zingari

[...] I risultati del sondaggio sono stati resi pubblici mentre la città si interroga sulla costruzione di ulteriori siti autorizzati e sulla rimozione di quelli illegali.

Il sindaco Peter Soulsby ha detto di non pensare che siano suggerimenti "seri".

In 100 questionari, gli intervistati hanno suggerito che i siti dovrebbero essere anche vicino alle abitazioni dei consiglieri, edifici comunali o spazi pubblici.

"Posso capire che la gente non voglia questi siti vicino a casa propria, ma non penso di cover intendere seriamente questi suggerimenti," ha detto Soulsby.

"Il fatto è che questo è un problema dove non siamo in grado di trovare una soluzione che soddisfi il 100%"

La consultazione pubblica è stata fatta per esaminare tre siti - Greengate Lane, Beaumont Way e Red Hill Way - scelti dai consiglieri su una rosa di otto, a seguito di una iniziale valutazione ufficiale di circa 350 proprietà comunali.


    Tipologie
    Siti permanenti offrono ai residenti una residenza stabile in modo simile alle case popolari. I residenti sono tenuti a versare le imposte per l'affitto, l'acqua, l'elettricità e quelle comunali.

    Siti di transito possono essere aperti tutto l'anno, ma forniscono solo alloggio temporaneo ai loro residenti, di solito non più di tre mesi. Hanno strutture più basiche. I residenti sono responsabili per il pagamento di affitto, acqua ed elettricità.

    Aree temporanee di sosta sono di solito utilizzate per un periodo inferiore ai 28 giorni, di solito nei periodi in cui c'è molta richiesta, ad esempio quando hanno luogo fiere ed eventi culturali.

"Ulteriori indagini"

Nelle risposte al questionario sono stati suggeriti oltre 50 siti alternativi

Secondo la relazione c'erano 100 suggerimenti di situarli al "New Walk Centre, piazza del Municipio, Jubilee Square o presso le case dei consiglieri o del sindaco".

Al New Walk Centre attualmente ci sono gli uffici comunali. Town Hall Square è accanto al municipio e Jubilee Square è un dovrebbe diventare uno spazio pubblico da 4 milioni di sterline, vicino agli uffici della BBC di Leicester.

La relazione raccomanda altri due suggerimenti - Hoods Close e Braunstone Lane East - che vantano "potenziale e sono degni di ulteriore approfondimento e consultazione, se fossero richiesti ulteriori si ti di transito / sosta temporanea."

Il rapporto consiglia Red Hill Way e Greengate Lane come entrambe adatti a siti "permanenti" o "di transito", per un massimo di piazzole ciascuno.

Il gruppo d'azione LE4 ha presentato a luglio una petizione a Peter Soulsby

Beaumont Way è "potenzialmente adatto" per un sito di transito di sei piazzole, questo viene dichiarato.

Peter Soulsby ha detto che considererà il rapporto prima di prendere una decisione.

"Abbiamo un problema maggiore con gli accampamenti dei traveller illegali e non autorizzati," ha detto.

"Bisogna fare qualcosa a riguardo, e l'unica cosa fattibile è di installare alcuni accampamenti legali e assicurarsi che i traveller li usino."

Terry McGreal, del gruppo d'azione LE4, ha detto di accettare la richiesta del consiglio di identificare spazi per zingari e traveller, ma che le località scelte sono inappropriate.

Dice che andrebbero invece scelte aree brulle e dismesse.


Secondo voi è un articolo "serio" o no? Mi ricordo che qualcosa di simile accadde un po' di anni fa proprio a Milano, ad uno dei padri nobili della Mahalla. Il tutto finì in maniera inaspettata ; - )

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Di Fabrizio (del 13/01/2013 @ 09:06:47, in conflitti, visitato 1296 volte)

Giovedì 17/01 a Torino

E' passato poco più di un anno da quando, a fine 2011, la bugia di una ragazza, che aveva raccontato di essere stata violentata da due Rom, è diventata la scusa per trasformare la Continassa di Torino in un vero e proprio Pogrom. Pochi giorni dopo Sandra ritrattò, spiegando di aver avuto paura, ma da allora i riflettori continuano ad accendersi e spegnersi ai margini dei margini del capoluogo torinese, sullo sfondo di uno Juventus Stadium che ha una parte nella storia di intolleranze e di razzismi molto simile a quella di altre città italiane.

Una storia complessa e articolata, perfettamente raccontata da due tra le migliori esperte della materia: Carla Osella, sociologa, pedagogista e scrittrice, appartenente alla Comunità delle Figlie di S. Angela Merici e membro del Comitato Nazionale di Servizio di RnS, che cammina accanto a rom e sinti da oltre 40 anni, attraverso l'AIZO, Associazione Italiana Zingari Oggi, e Mara Francese, docente di Antropologia Culturale nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Torino, in cui svolge anche attività di ricerca sui movimenti migratori e sull'identità, nonché consigliere circoscrizionale proprio alla Continassa.

Il risultato di questo fortunato incontro è il Pogrom della Continassa, nuova uscita della collana TRACCE di sabbiarossa ED, in distribuzione in questi giorni, che verrà presentato in anteprima nazionale il prossimo giovedì, 17 gennaio, alla libreria Coop di piazza Castello 113 a Torino, ore 18. Nelle 152 pagine, corredate da tavole a colori per esaminare la percezione dei bambini torinesi nei confronti del popolo Rom, sarebbe stato facile transigere ad accuse o denunce. La scelta delle autrici, invece, è stata quella di far parlare i fatti e le persone, lasciando ai lettori la possibilità di stabilire da che parte stanno torto e ragione. Il volume, rilegato con cucitura a mano, in filo refe, con bandelle laterali, è impreziosito dall'immagine originale di copertina, realizzata, come ogni cover di sabbiarossa EDIZIONI, dall'artista torinese Caterina Luciano, che ha scelto, per la collana TRACCE, la tecnica dei diorama. Sarà presente anche lei, con gli editori, al battesimo ufficiale del libro che inaugura il 2013.

Nel blog Il Pogrom della Continassa, si legge, tra i tanti contributi, quello di Marius: «Vorrei sognare come tutti e svegliarmi al mattino in una casa riscaldata, poter prendere il caffè seduto su una sedia comoda. Vorrei che i miei figli potessero frequentare ogni giorno la scuola, avere un lavoro bello e importante, in cui impegnarsi. Vorrei aver studiato da bambino ed essere capace di leggere e scrivere, vorrei poter sognare come i miei coetanei, che vedo passare per le strade, ma non posso sognare.
Perché? Io non posso svegliarmi al mattino al caldo, perché abito in una baracca alla periferia di una grande città, se voglio che sia riscaldata sono obbligato ad alzarmi ed accendere il fuoco, e se non ho messo la legna sotto una tettoia, l'umidità della notte la bagna. Se voglio fare il caffè, devo avere acceso il fuoco, se mi siedo devo fare attenzione che la sedia, raccolta di recupero, non si rompa sotto il mio peso»
.

Ulteriori approfondimenti sul sito della casa editrice, www.sabbiarossa.it

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Di Fabrizio (del 14/01/2013 @ 09:06:47, in casa, visitato 1102 volte)

Opera Nomadi di Padova

IN MERITO ALLA SITUAZIONE DEL VILLAGGIO MONOETNICO ROM DI VIA LONGHIN A PADOVA

I recenti fatti di cronaca che riguardano alcuni residenti del villaggio monoetnico di via Longhin a Padova stanno riproponendo all'attenzione pubblica il tema delle politiche di integrazione delle comunità rom. In particolare si sta dibattendo circa l'efficacia di un investimento di ingente portata per un proficuo inserimento di queste famiglie nella società padovana.

L'Opera Nomadi di Padova ripete da anni che il progetto di riqualificazione del campo di via Lungargine San Lazzaro non serve a migliorare l'integrazione nel territorio delle famiglie che vi abitano. L'iniziativa era già in partenza fallimentare; per questo la nostra Associazione ha rifiutato la gestione dell'area: i soldi dei contribuenti vanno investiti bene!

L'alternativa proposta era semplice: individuare alcuni terreni dislocati sul territorio dove le famiglie avrebbero vissuto gestendo autonomamente la loro esistenza. In questo modo sarebbe stato davvero possibile favorire una reale integrazione, smascherando chi non vuole cambiare, come è successo per molti che già vivono nelle microaree.

Il progetto comunale attuato presso il campo nomadi di via Lungargine San Lazzaro non ha le caratteristiche integrative del progetto del Villaggio della Speranza, dove si sono ottenuti risultati tanto positivi che l'Amministrazione comunale stessa ha ritenuto di non dover più spendere un euro in progetti di accompagnamento sociale o di integrazione lavorativa.

L'iniziativa del laboratorio di sartoria per le donne rom sembra l'ultimo disperato tentativo di rimettere a posto le cose. Insegnando alle donne un mestiere che già in parte conoscono e che non ha sbocchi di alcun tipo nel mercato del lavoro di oggi, si ritiene davvero di poter migliorare qualcosa? Le proposte della nostra Associazione sono rimaste sempre inascoltate: l'inserimento lavorativo passa attraverso la valorizzazione dei mestieri tradizionali, come il supporto alla creazione di cooperative di raccolta e riciclo di materiale ferroso, e attraverso un aiuto nell'ingresso in circuiti di lavoro “normali”, come le cooperative di pulizie o di sgomberi, dove sinti e rom serbi sono assunti con successo. Queste iniziative possono essere messe in pratica solo se gli utenti motivati escono da una situazione abitativa ghettizzante come quella di un campo nomadi, noto ad aziende e cooperative per i numerosi fatti di cronaca. Se attuate senza una razionale politica di integrazione abitativa, risultano un inutile spreco di denaro pubblico.

Opera Nomadi di Padova - Onlus

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Di Sucar Drom (del 14/01/2013 @ 09:09:53, in blog, visitato 1272 volte)

Sucar Drom: il consiglio comunale ci costringe a restare ghettizzati a vita nel "campo nomadi" del Migliaretto
Il primo attacco frontale al Piano di governo del territorio, recentemente approvato dal consiglio comunale, potrebbe partire dall'associazione Sucar Drom. "Il ricorso al Tar è una delle opzioni che abbiamo sul tavolo" afferma Carlo Berini, vice presidente dimissionario della onlus che si occupa della salvaguardia della cultura e delle tradizioni sinte oltre che della gestione del campo nomadi di via Guerra...

Reggio Calabria, arriva la Campagna Dosta!
Dopo l'avvio di luglio a Catania, DOSTA, la campagna europea contro i pregiudizi verso le minoranze rom, sinte e camminanti attraversa lo Stretto e si ferma a Reggio Calabria per incontrare associazioni giovani e cittadini...

Mantova, borse di studio per studenti parlanti le lingue sinte e romanes
L'Associazione Sucar Drom, quale organizzazione a tutela delle lingue sinte e romanès e delle culture sinte e rom, ha ottenuto un finanziamento dalla Fondazione Marcegaglia, dalla Fondazione Cariplo e dalla Caritas Mantovana per istituire nella Provincia di Mantova...

Lombardia, chi avrà il coraggio di votare Lega Nord?
E' una domanda che mi viene spontanea dopo i continui scandali che scuotono la Regione Lombardia e in particolare quella forza politica, la Lega Nord, che utilizza la band...

La Tautologia della Paura: Rom e Gagè
In questi giorni, riflettevo sulla natura del pregiudizio e sulla sua diabolica capacità di asservire a sé l'animo della gente. I rom rapiscono i bambini e sono sporchi, i tunisini spacciano, le nigeriane si prostituiscono e i...

2013 Anno europeo dei cittadini, partecipa anche tu!
Il 2013 e' stato ufficialmente proclamato "Anno europeo dei cittadini". A vent'anni dall'introduzione della cittadinanza europea, che garantisce la liberta' di circolazione e di soggiorno di ogni cittadino europeo nel territorio di uno Stato membro...

U Velto 2.0
U Velto 2.0 è tutto nuovo. Come avrete visto da alcune settimane abbiamo fatto diversi cambiamenti a questa pagina web. Tante le novità: dalla nuova veste grafica, al nuovo banner, alla nascita de laSTRISCIA. Twitter in primo piano...

UNAR, Marco De Giorgi: l'antidiscriminazione è un lusso!
Nel nuovo numero di NEAR il neo direttore dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ed Etniche, Marco De Giorgi, si presenta con editoriale a suo firma delineando la sua idea di UNAR. Un'idea, lo dico subito, che si discosta di molto...

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Di Fabrizio (del 15/01/2013 @ 09:06:14, in musica e parole, visitato 1798 volte)

Da Czech_Roma

Prague, 26.12.2012 23:31, (Romano vod'i) - Inka Jurková, translated by Gwendolyn Albert
--ilustrační foto--

Roger Moreno Rathgeb è autodidatta, come molti musicisti rom, ma poco a poco ha iniziato ad usare la partitura musicale e a comporre. Diversi anni fa decise di comporre un requiem per le vittime del campo di sterminio di Auschwitz, ma il suo lavoro fu interrotto da una visita che lo  influenzò fortemente, bloccando per diversi anni le sue capacità creative. L'impulso a completare il lavoro arrivò sotto forma di richiesta da Albert Siebelink, che gli suggerì di presentare il  "Requiem for Auschwitz" all'International Gipsy Festival di Tilburg e poi in altre città europee.

Compositore e polistrumentista (suona fisarmonica, violino, contrabbasso, chitarra, piano e percussioni), Rathgeb è a Praga per la prima volta il suo lavoro sinora più vasto, "Requiem per Auschwitz" (ulteriori notizie su questo eccezionale evento su Romea.cz). Abbiamo parlato assieme nel foyer del Rudolfinum durante le prove generali, che potevamo udire dall'altra parte della parete. E' stato molto bello.

Sei nato in Svizzera nel 1956, cioè 11 anni dopo la guerra. Anche se la Svizzera era neutrale, hai patito le conseguenze della guerra?

In effetti in Svizzera non c'era la guerra, ma c'erano altri problemi. Ad esempio, proprio in quel periodo una specifica organizzazione svizzera (la Pro Juventute, ndr.) stava lavorando per sottrarre i bambini dalle famiglie romanì subito dopo la nascita, per darli a coppie non-romanì che erano sterili. E' durato sino al 1979. Si può dire che anche questa era una guerra, solo un po' diversa.

Da dove provenivano i tuoi genitori?

Mio padre non era Rom, era uno Svizzero tedesco. Mia madre era Rom - precisamente, era Sinti - ma anche lei era nata in Svizzera. All'epoca non crebbi nell'ambiente romanì tradizionale.  Con mia sorella frequentammo la scuola normalmente. Sino ai 12 o 13 anni nemmeno seppi che mia madre era sinti. Non solo a casa non parlavamo romanés, ma nemmeno sull'essere rom. Di fatto non so come si conobbero i miei genitori. Mio nonno (cioè il padre di mia madre) morì quando lei aveva sei anni, così de facto non conosceva la propria cultura.

Però parli il romanés. L'hai imparato dopo?

Sicuro. Nel 1980 con la mia band eravamo in tour in Olanda, dove incontrai parecchie famiglie di musicisti sinti. La band mi lasciò solo con loro [ride]. Parlavano solamente il sinto ed in mezzo a loro mi sentii subito a casa.

Quando eri con loro, sapevi già di essere un Sinto?

Sì. Da bambini i compagni di scuola ridevano di me e dicevano che ero uno "zingaro", accusa da cui mi difendevo perché davvero non sapevo niente delle mie origini. Dovevano aqverlo saputo in qualche modo. Una volta tornai a casa e mi lamentai con mia madre, così lei mi rivelò che ero un Rom. Non fu facile per lei dirmelo, si vergognava un po'. Poi, per molti anni, ho avuto problemi con la mia identità. Dopo tutto, sono cresciuto solo come un "normale" Svizzero, proprio come un gagio.

Oggi ti identifichi come Rom-Sinto?

Ho sempre avuto la sensazione di non essere come gli altri Svizzeri. Ero un ribelle. Contestavo le leggi, la società svizzera, protestavo contro tutto. Gli Svizzeri hanno una mentalità completamente differente. Sospettavo di non essere uno svizzero, che non fosse vero. Doveva esserci qualcos'altro.

Quando hai deciso di dedicarti professionalmente alla musica? Cosa ti ha portato a ciò?

Quando compii 10 anni, mia nonna (lato materno) mi regalò una chitarra. Avevo scoperto che avevo talento musicale, anche se sono il solo in famiglia che si è dedicato alla musica. In famiglia d'altra parte nessun altro ha mai avuto questa passione.

Qual è la musica che ti piace di più? Sei qui a Praga per un concerto di musica classica, o anche per la musica rom tradizionale?

Sì, la musica rom è sicuramente quella che mi piace di più. La strada per la musica classica per me è stata davvero lunga, perché per molto tempo non riuscivo nemmeno a leggere la musica.

Dove hai imparato la teoria musicale, che è così necessaria per comporre un requiem?

Incontrai le prime scale musicali quando avevo 35 anni. Prendevo lezioni di violino ed il mio insegnante era un Rom ungherese che suonava nell'orchestra sinfonica di Maastricht. Fu il primo a mostrarmi la notazione musicale e così facendo mi aprì un mondo intero davanti.

Oltre alla musica rom e a quella classica, che musica ascolti?

Di base amo tutta la musica. Una volta ho anche suonato la batteria in una rock'n'roll band e sino ad oggi ho avuto belle sensazioni su questo stile musicale, mi piace!

Tu hai collaborato con molti gruppi - di quali hai i ricordi migliori e quali hanno più impattato sulla tua vita?

Direi la famiglia sinti con cui iniziai a suonare dopo il trasferimento in Olanda [la Zigeunerorkest Nello Basily - nda]. Interpretavano la musica tradizionale dei Rom di Ungheria, Romania e Russia. Imparai da loro, in particolare dal suonatore di cimbalom, come distinguere le armonie ungheresi. Sono i migliori per apprendere l'accompagnamento, perché sono in costante evoluzione, e ciò rende più facile accompagnare anche canzoni che non si conoscono. Sono giunto alla più grande profondità di comprensione con quel gruppo.

Perché hai deciso di emigrare in Olanda?

Nel 1980 con la band eravamo in tour in Olanda, e la mentalità delle gente di quel paese mi coinvolse da subito. Gli Olandesi sono liberi pensatori, a differenza degli Svizzeri che sono terribilmente conservatori. La verità è che agli Svizzeri i Rom non piacciono. Gli Olandesi sono aperti e tolleranti ed hanno un paese meraviglioso. Fu una decisione molto rapida.

Hai scritto sceneggiature per diversi spettacoli teatrali - di che si tratta?

Con la band abbiamo creato degli spettacoli teatrali. Il primo si chiamava "Il Lungo Viaggio" e raccontava la storia della migrazione del popolo romanì dall'India in Europa. Il secondo l'abbiamo chiamato "La Vita" e lì ritraevamo la vita di ogni giorno dei musicisti rom. Sono pastiches di musica, poesia e narrativa. Ci sedevamo attorno a un fuoco, suonavamo i nostri strumenti e facevamo del nostro meglio per creare l'atmosfera di un campo rom. I gagé non conoscono molto del popolo rom e spesso mi chiedono della nostra storia e cultura. Volevamo in qualche modo avvicinarli alla nostra "Romanipé", perché la discriminazione deriva soprattutto dall'ignoranza.

Quanta gente veniva a sentirvi - erano soprattutto Rom oppure no?

Abbiamo recitato nei teatri di Belgio, Germania e Olanda, e il pubblico era soprattutto di gagé. E' triste - i Rom non sono interessati in queste cose, non so il perché.

Sei a Praga con tua moglie. E' musicista anche lei?

Sì, anche sul palco siamo assieme, è il nostro modo di vivere. E' buffo, che le mie composizioni siano suonate in tutta Europa, ma che che ancora io non ci abbia guadagnato, ed in qualche maniera si deve pur vivere. Suoniamo nei concerti, ai festival, nei teatri, ai matrimoni e nelle varie feste.

Sei uno degli interpreti principali del film "Musicians for Life", creato da Bob Entrop. Cosa puoi dirci del film?

E' una delle ragioni per cui sono a Praga. Albert Siebelink, il direttore del festival romanì di Tilburg, l'ha visto, e c'è un'intervista in cui parlo di "Requiem for Auschwitz". Dopo aver visto il film, Albert mi chiese se lo avessi completato, ma non era ancora pronto. Mi promise che se l'avessi completato, si sarebbe dato da fare per la sua esecuzione. Iniziai nuovamente a lavorarci nuovamente, ma lo stesso mi ci sono voluti altri tre anni.

"Musicians for Life" non è il solo film con cui ho collaborato con Bob Entrop.  C'è anche il documentario "A Hole in the Sky", sui sopravissuti alla II guerra mondiale.

Quando hai iniziato a lavorare a "Requiem"?

La prima volta ho visitato Auschwitz nel 1998 e subito ho avuto l'idea di scrivere un requiem. Iniziai a lavorarci, ma dopo qualche tempo tutta la mia ispirazione scomparve. Pensai che tornando ad Auschwitz avrei saputo come continuare - ma successe il contrario. Ero soltanto distrutto, è un posto molto macabro. Ho messo il lavoro da parte e non sono tornato al "Requiem" che otto anni dopo.

Ti definiresti un attivista rom o sinto?

Probabilmente, no - sono solo un musicista. Però, se la gente vede un messaggio nella mia musica, va benissimo.

Per un certo periodo hai collaborato con la cantante lirica Carla Schroyen. Di che progetto si trattava? E' iniziata da lì la tua idea di creare una grande opera musicale come "Requiem for Auschwitz"?

Carla Schroyen ha scritte diverse arie "zingare" per opera ed operetta e l'ho accompagnata alla fisarmonica, ma questo non ha influenzato la mia composizione. Già da prima mi ero dedicato alla musica classica.

Qual è stata la tua prima composizione classica?

Nel 1995 decisi di provare a scrivere un balletto per un ensemble di danza amatoriale a Maastricht. Tuttavia, alla fine, si trasformò in un lavoro sinfonico-poetico.

In "Requiem for Auschwitz" hai provato ad incorporare elementi della musica romanì?

Un poco, ci sono diversi motivi che tornano di continuo, però "Requiem" non è dedicato solo alle vittime romanì, ma a chiunque abbia sofferto e sia perito ad Auschwitz. Prima di scriverlo non avevo ascoltato altri requiem, così non sarei stato influenzato da altri lavori. Nel "Requiem" ci sono io, nessun altro, è per questo che lì si trovano alcuni motivi romanì.

Vedi qualche differenza tra il genocidio del popolo ebreo e quello del popolo rom?

E' del tutto la stessa cosa. I numeri differiscono un po', ma non è questo l'essenziale.

Tu hai suonato come apertura per Chuck Berry, per la famiglia reale olandese, e "Requiem for Auschwitz" è stato suonato nelle più celebri sale da concerto europeo. Quale consideri il tuo più grande successo, sinora? Hai altri piani o sogni?

Sto lavorando su un oratorio riguardo la migrazione dei Rom dall'India all'Europa. Penso che sarà un lavoro più ampio di "Requiem". Vorrei anche scrivere un'opera sui bambini rom portati via dalle loro famiglie e collocati in famiglie non-Rom in Svizzera. Come vedi, ho abbastanza piani! [ride]

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