APERTURA - ANNA CURCIO
Il libro collettivo "La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti" Un'analisi
comparata su come cinema, fumetti e letteratura veicolano il razzismo in Italia
e negli Usa
Portare la razza al centro del dibattito italiano su razzismo e antirazzismo.
Questo il meritorio obiettivo di Parlare di razza. La lingua del colore tra
Italia e Stati Uniti a cura di Tatiana Petrovich Njegosh e Anna Scacchi (ombre
corte, pp. 318, euro 25), volume che si inserisce in un filone di studi,
ancora relativamente giovane in Italia, rivolto soprattutto a sfatare il tabù
della razza.
Dismessa dal dibattito politico e dal linguaggio di tutti i giorni da quello
che è stato definito "il paradigma antirazzista dell'Unesco" che negli anni
Cinquanta del Novecento reinterpretava il razzismo alla luce della violenza
nazifascista e riconduceva i conflitti razziali a nozioni scientificamente false
proliferate nell'ignoranza, la razza come categoria scientifica e analitica per
leggere il razzismo ha solo di recente trovato nuova legittimità in Italia e
nell'Europa continentale. In particolare grazie all'iniziativa di editori
sensibili - tra questi senz'altro ombre corte - e il contributo di studiosi e
studiose che, riprendendo gli insegnamenti di Frantz Fanon e delle correnti più
radicali del movimento per i diritti civili americano, hanno assunto nello
studio del razzismo una dimensione di attivismo volta al cambiamento.
In questo senso la razza, finalmente dismessa la sua supposta connotazione
biologico-naturalista è stata assunta come costruzione sociale capace di
ridefinirsi al mutare delle congiunture storico-politiche. È una categoria
sociale "simbolica" ricorda Petrovich Njegosh, che mostra al contempo
indiscutibili ricadute materiali pesando sulla vita dei soggetti in termini di
opportunità, condizioni di vita e aspettative. Stabilisce cioè privilegi e forme
di subordinazione che investono l'intero corpo sociale. Sebbene, dunque,
socialmente costruita, la razza si presenta come concreto dato di realtà che
occorre "nominare" per svelarne il potenziale di violenza. Così facendo diventa
possibile rovesciare l'idea ancora oggi dominate del razzismo come vizio
ideologico o patologia sociale legata all'ignoranza, da "curare" attraverso
l'istruzione e l'educazione.
Il volume, all'interno di un approccio teorico eterogeneo complessivamente
riconducibile all'americanistica, riflette sulle significazioni del termine
razza tra Italia e Stati Uniti. Più precisamente, all'interno di una dimensione
comparata assume la traduzione tra sistemi linguistici e culturali differenti
come punto d'osservazione privilegiato per cogliere i punti di contatto tra un
paese storicamente attraversato dal razzismo come gli Stati Uniti e l'Italia che
dietro la vulgata di un "colonialismo minore" e degli "italiani brava gente" ha
per lungo tempo rimosso dalla narrazione nazionale il passato colonial-razzista.
I saggi - che si occupino di letteratura, fumetti, cinema, poesia, linguaggio
romanzesco o più complessivamente della cultura di massa - si concentrano sulla
funzione svolta dal linguaggio nella strutturazione delle relazioni sociali e
dell'identità razziale in Italia. In questo senso, mostrano la razza in
traduzione come strumento di mediazione culturale, come dispositivo di
addomesticamento che riporta personaggi, linguaggi e modi di fare all'interno di
stereotipi riconoscibili nel nostro paese (è il caso di alcune traduzioni di
poesia afroamericana, del doppiaggio cinematografico o della reazione italiana
al fenomeno Obama che ha dato origine al volume). Nello stesso tempo vengono
evidenziati esempi storici che testimoniano una continuità nella costruzione del
racial thinking tra Italia e Stati Uniti. Il Dictionary of Race or People che
per tutta la prima metà del Novecento ha orientato le scelte statunitensi in
materia di immigrazione e naturalizzazione, sulla base di una precisa
differenziazione razziale che insisteva sull'inferiorità degli europei
meridionali e orientali, trovava fondamento "scientifico" nella teoria delle
"due Italie" di Alfredo Niceforo e negli studi della scuola italiana di
antropologia positivista da Sergi a Lombroso.
L'intera storia italiana e la costruzione della sua identità nazionale, sin
dagli anni immediatamente successivi all'unificazione, è dunque opportunamente
reinterpretata in relazione alla categoria di razza, intesa precisamente come
supremazia "inalienabile" della bianchezza assunta quale principio dell'ordine
sociale. È "Il capitalismo razziale moderno", per riprendere l'efficace
definizione di Cedric Robinson che, dentro la più complessiva costituzione
coloniale della modernità capitalistica e della costruzione degli stati
nazionali, funziona, anche in Italia, come dispositivo strutturante della
narrazione nazionale.
Peccato che il volume trascuri quasi del tutto questo aspetto. La costruzione
dell'italianità e i connessi processi di "sbiancamento" non vengono infatti qui
legati al piano più complessivo dei rapporti sociali e produttivi, cosicchè la
razza è assunta esclusivamente "come rappresentazione culturale, linguistica e
identitaria". Viene cioè perso di vista il nesso inscindibile tra classe e razza
che connette il razzismo e i processi di razzializzazione con i rapporti di
produzione e le loro trasformazioni storiche. E non si tratta, in questo senso,
di assumere un punto di vista economicista, né di rimandare a un approccio
deterministico; al contrario tale sguardo permette di ripensare i rapporti di
produzione a partire dal processo di razzializzazione insistendo sulla loro
inevitabile "articolazione" o "surdeterminazione" nel contesto sociale
capitalistico. Si tratta, seguendo Marx, di analizzare il capitale come rapporto
sociale e fare della lotta al razzismo un progetto complessivo contro lo
sfruttamento e dunque di liberazione.
È la costruzione di un comune terreno di lotta fra coloro che sono "razzialmente
neri" e la più ampia composizione del lavoro vivo contemporaneo. E fare,
riprendendo l'insegnamento delle lotte anticoloniali e di quelle antirazziste in
America, degli studi su razza e razzismo, non un progetto di educazione
universale, ma un terreno di militanza politica per la trasformazione radicale.