Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L'Associazione Sucar Drom e l'Istituto di Cultura Sinta augurano BUONE FESTE
promuovendo l'immagine della nostra Cooperativa di lavoro (labatarpe, in lingua
sinta).
Il Consiglio direttivo della Sucar Drom / I.C.S. e i Soci della Coop. Labatarpe
Di Fabrizio (del 26/12/2011 @ 09:00:06, in lavoro, visitato 2294 volte)
L'anno scorso postai una
favola natalizia per i più piccoli. Quest'anno è il turno di quelli un po'
più grandicelli. Lo spunto viene da un commento
su un altro blog.
Immagine da
cavallomagazine.quotidiano.net
Discutevo il mese scorso con amici, che mi raccontavano di aver visto in
Turchia, a Creta ed in Macedonia fiere di cavalli gestite da Rom e si vantavano di averle riscoperte
andando tanto lontano.
Rispondevo che sino a 10 anni fa, esisteva qualcosa di molto simile in un posto
niente affatto esotico, in centro a Monza, proprio accanto alle mura del carcere
vecchio (non ci siamo mai fatti mancare niente!).
A vederlo non era niente di particolare, soprattutto da vuoto: un vasto piazzale cintato e coperto da tettoie. I miei
figli quando erano piccoli marinavano la scuola (adesso sono cresciuti e posso
dirlo) per andarci con me il giovedì mattina.
E lì incontravano con stupore un vecchio rom malmesso e semianalfabeta, che avevano conosciuto al
campo sottocasa, che da una vita faceva l'allevatore di cavalli, che trattava alla pari con commercianti e nobili amanti dei cavalli. La
trattativa terminava immancabilmente nell'osteria vicina, a vino e salamelle.
Fuori dal recinto, un piccolo mercato con oche, galline e conigli, coltelli a
serramanico (la passione di qualsiasi ragazzino), borracce, ed il vecchio che ci spiegava la differenza tra una sella
inglese e una americana.
Il mercato dei cavalli ha chiuso, ha chiuso anche l'osteria delle salamelle,
anche il tabaccaio. Nessuno di loro era ricco, ma si campava e ci si conosceva
(ci si rispettava) tutti: rom, nobili, gagé, bambini... anche se non escludo che
lontani dalla fiera riemergessero vecchie discriminazioni.
Presto arriverà un centro commerciale, che strozzerà i negozi
superstiti.
Il vecchio vive tuttora in un campo regolare, ai margini di quello che potrebbe
diventare un vasto parco urbano. I suoi parenti sono diplomati operatori del
verde, ma la loro cooperativa da anni non ha commesse, anche se il lavoro
sarebbe sotto casa.
Cinque anni fa presentammo un progetto al comune, perché in questo parco, al
posto di un'altra speculazione edilizia, si potesse installare una stalla a norma,
con maneggio annesso, per organizzarvi visite scolastiche e gite a cavallo nel
costituendo parco. Avevamo a disposizione le persone più esperte nel ramo in
città, avremmo potuto persino dare lavoro a qualcuno che non fosse rom.
Nessuno si occupò di questo progetto, in compenso il comune vuole chiudere il
campo. Il vecchio, con figli e nipoti, ha trovato una cascina nel pavese dove
sistemarsi e credo che per loro sia la soluzione meno dolorosa.
A me spiace non solo per dover perdere dei vecchi amici che hanno insegnato ai
miei figli ad amare tutti gli animali.
Spiace perché quando si parla di cultura e di possibilità di esprimersi, pensiamo alla musica, alla poesia, ma
lo è anche una vita di lavoro passata ad allevare cavalli. Era uno scambio, come
lo è la cultura, come lo è il lavoro, perché è lo SCAMBIO che permette alle
tradizioni di rimanere vitali e rinnovarsi. E pure di accrescere tutti quanti
operino questo scambio.
Dicono che la mia città sia inclusiva, che da sempre dia attenzione al lavoro
e al soldo. Se davvero fosse così, come l'ho conosciuta da quando ci sono nato,
non mi dispiacerebbe, neanche con la sua nebbia e le sue durezze.
Sarebbe un esempio europeo, come Monaco di Baviera, dove i Turchi che ho
conosciuto spazzini 30 anni fa, oggi dirigono supermercati ed agenzie viaggi.
Come Marsiglia, che ha lasciato una palude schifosa come la Camargue ai gitani,
che l'hanno resa una meta turistica internazionale.
E mentre noi gagè sogniamo la Turchia o la Camargue, spendiamo i soldi per
andarci ed essere parte (anche solo per un attimo) di questi paradisi perduti,
facciamo in modo che chi potrebbe ricreare da noi quelle atmosfere sia obbligato ad andarsene.
Di Fabrizio (del 27/12/2011 @ 09:36:28, in casa, visitato 1704 volte)
Segnalazione di Stojanovic Vojislav
Lameziaterme.net Venerdì 23 Dicembre 2011 10:22
L'Aterp ha annunciato che le case popolari di Carrà per i Rom saranno presto
completate.
IO NON CI CREDO, ed è difficile trovare opinioni diverse.
Gli ultimi 25 anni di politiche pubbliche sull'edilizia popolare promosse dall'Aterp,
autentico carrozzone, si sono risolte in un plateale ed insopportabile
fallimento per la ns Città.
Basta guardare le strutture a torre, esteticamente orribili, per oltre un
centinaio di alloggi che stanno marcendo a Savutano; un cantiere aperto (solo la
palizzata) circa dieci anni or sono in via dei Bizantini, immediatamente
bloccato, mai più ripreso; l'opera incompleta sui terreni confiscati alla mafia
in contrada Carrà; la manutenzione precaria ed inefficiente dei fabbricati e
degli alloggi.
Sono la plastica rappresentazione di un ente improduttivo, antieconomico ed
indifferente alle necessità sociali, che, se avesse svolto con diligenza appena
infantile la propria missione, avrebbe contribuito a risolvere, gradualmente,
l'emergenza abitativa non solo dei Rom, ma di altri cittadini bisognosi.
E' molto più utile, visti i precedenti, che i soldi destinati al completamento
dei 20 alloggi Rom siano affidati direttamente all'Amministrazione Comunale che,
proprio in questi giorni, si accinge a consegnare 12 alloggi popolari in via
Cianflone, realizzati da essa in meno di tre anni. Non sono tempi del tutto
brevi, ma rispetto a quelli dell'Aterp appaiono fulminei.
Per il completamento delle altre strutture, vista la cronica inerzia dell'Aterp
che incide negativamente su servizi essenziali connessi a diritti fondamentali
come quello alla casa, occorre pensare, una volta per tutte, ai liberi
"interventi sostitutivi" del Comune previsti dall'art 14 legge regionale
n.15/2006, del tutto ignorata dalla politica, ma che rappresenta uno dei
rarissimi casi in cui il legislatore regionale ha assunto il ruolo di
riformatore al servizio della collettività.
consigliere avv. Antonello Sdanganelli
Finalmente qualcosa di positivo per la federazione rom e sinti insieme
Dopo quasi più di due anni di frenetica attività per cambiare le regole per
iscrivere nuove imprese all'albo degli autotrasportatori
OGGI LA FEDERAZIONE ROM E SINTI INSIEME
con un immensa gioia può finalmente far sapere ai suoi lettori che qualcosa di
positivo e successo, l'Italia a finalmente preso in considerazione il
regolamento Europeo.
Queste sono le nuove procedure per iscriversi all'Albo degli autotrasportatori.
La circolare n.4/2011 del Ministero Infrastrutture e Trasporti detta
disposizioni e modalità operative.
Sono cambiate le regole da seguire per iscrivere nuove imprese all'Albo degli
autotrasportatori e per mettere in circolazione nuovi veicoli.
Al più presto faremmo sapere come fare per iscriversi, per adesso per saperne di
più basta cliccare e aprire
QUESTO LINK.
Presidente Radames Gabrielli
Da
Roma_Francais
Le Parisien I mercati popolari della miseria si sviluppano di notte
Nei quartieri popolari di Parigi, le vendite direttamente al suolo si
moltiplicano, in notturno, il week-end. Cianfrusaglie proposte per alcuni euro,
dopo che gli straccivendoli sono andati via. CÉCILE BEAULIEU et ANNA LECERF
Porte Montmartre (XVIII), all'inizio di dicembre. Ogni venerdì sera
da un mese,
mercanti per la gran parte rom, cvendono
vestiti e oggetti di qualsiasi tipo dopo la partenza degli straccivendoli. (LP/jean-baptiste
quentin.)
Al calare della notte, decine di sagome curvate sotto il peso di enormi balle
ricolme di oggetti eterocliti, convergono in direzione della Porte Montmartre
(XVIII).
Là sotto il ponte della periferica, allo stesso posto che occupano gli
straccivendoli il week-end e il lunedì, mercanti della notte s'installano ogni
venerdì sera da ormai un mese. Un mercato della miseria notturna, animato da
mercanti di fortuna originari delle popolazioni rom, che offrono direttamente al
suolo, scarpe sparigliate, piccoli casalinghi usati, scatolami, stoffe,
abbigliamento, lenzuola o tovaglie per alcuni euro.
I poveri vendono a poveri più poveri ancora di loro, all'ombra dei
professionisti dello straccio, loro stessi molto svantaggiati. Ma i venditori
notturni hanno anche un'altra clientela: gli straccivendoli che vengono a
comprare all'ingrosso lotti interi di merce. Acquistata per 50 euro, sarà
rivenduta il doppio il giorno dopo, alla luce del sole...
I venditori si spostano a secondo dei "pericoli".
Di questi mercati notturni, Parigi ne conta sempre più, soprattutto nei
quartieri popolari. La Porte Montmartre, i quartieri di Belleville e
Ménilmontant, ma anche le Porte di Bagnolet e di Montreuil, accolgono così da un
po' di tempo questi visitatori della sera, rom o asiatici. In un'atmosfera
tranquilla, al limite dello studioso, gli oggetti passano da una mano all'altra
nella quasi penombra. Furtivamente, in quanto che sia venditori che compratori
sanno che i minuti sono contati: non sono al riparo di un intervento della
polizia.
"Questi mercati notturni sono tenuti dai più poveri, coloro che non hanno un
posto assegnato, i quali temono maggiormente di essere sloggiati" sottolinea
Samuel Lecoeur, presidente dell'associazione di difesa degli straccivendoli.
Molto fluttuanti, i venditori si spostano a secondo del "pericolo", annunciato
dal passaparola. "Quando sappiamo che hanno confiscato la merce di un venditore
a Belleville, evitiamo la zona e ci dirigiamo verso Ménilmontant."
Le stesse scene hanno luogo alle Porte di Bagnolet e di Montreuil. Se gli
straccivendoli lì stabiliti diffidano dei venditori ambulanti, non ci sono
invece "guerre di caste", ma la concorrenza non ne è meno agguerrita. Mohammed
Zouari, straccivendolo alla Porte Montmartre, benché guardando con una certa
indulgenza le famiglie rom che s'installano ogni venerdì sera sul piazzale
degli straccivendoli caramente conquistato, non può fare a meno di deplorare la
loro presenza notturna. "E' evidente, sospira, il cliente che viene a comprare
di notte, non verrà a trovarci la mattina dopo! Ci perdiamo..."
Di Fabrizio (del 31/12/2011 @ 09:15:54, in casa, visitato 2155 volte)
SARdies.org 29 dicembre 2011 22:30
Sassari - La differenza balza subito all'occhio: tanto è
"anarchico" uno, quanto è ordinato l'altro, con alcuni moduli abitativi che a
tratti ricordano le casette di Paperopoli. Sono in tutto 114 i nomadi ospitati
nel campo di Piandanna. Anzi, i campi. Perché, di fatto, sono due, con ingressi
separati. Due mondi insomma, che comunicano con difficoltà. Diverse le
religioni, diverso anche il concetto di insediamento abitativo. Unico invece il
paese d'origine, la vecchia Jugoslavia. Così, i musulmani (detti "Khorakhanè")
sono in prevalenza originari della Bosnia; gli ortodossi ("Gagikane") vengono
dalla Serbia e soprattutto dalla Croazia (dalle Krajine, le ex regioni ortodosse
"ripulite" a suo tempo, con modi piuttosto "spicci", da Tudjman).
Campo nomadi di Piandanna, un progetto per i bambini
(archivio SARdies 12
dicembre 2011)
La Commissione Cultura e Servizi Sociali, guidata da Sergio Scavio (Ora sì - Sel),
presente anche l'assessore Vinicio Tedde (che oltre alla delega al Patrimonio ha
preso, in via temporanea, anche quella alle Politiche Sociali, in attesa
dell'imminente reintegro nelle sue funzioni dell'assessore Michele Poddighe,
nelle ultime settimane assente per malattia) è tornata al Campo Nomadi dopo la
visita dello scorso aprile. Da quel sopralluogo qualcosa è già cambiato. Per
esempio la stradina di accesso, finalmente asfaltata. Adesso però si interverrà
su altri aspetti. La prima proposta è del consigliere Antonio Piu (Pd),
componente dell'apposita Commissione sui Rom istituita presso il Settore Servizi
ed iniziative sociali dell'Amministrazione comunale. "Stiamo pensando di
proporre l'installazione di una torre-faro, come quella delle rotatorie", spiega
Piu. "I bambini così potranno muoversi anche di sera, quando cala la luce". Ma
c'è anche il problema delle fognature: nella parte musulmana mancano del tutto.
E qui si dice che siano già spariti (pare più di una volta) i rubinetti dai
servizi igienici installati dal Comune.
Il campo di Piandanna rimane in ogni caso costantemente monitorato e controllato
dall'Amministrazione comunale. I problemi sono altri. Quanti sono per esempio i
rumeni, cittadini dell'Unione Europea, che dormono nell'area dell'ex gazometro
di via XXV aprile? Sembra siano un centinaio, sicuramente alcune decine. Quando
inizieranno i lavori per il Centro Intermodale dove finiranno?
immagine da barriodecuba.altervista.com
L'isola è conosciuta di sicuro, per diversi motivi, talvolta antitetici.
Alcuni anni fa raccolsi in italiano del materiale sulla presenza dei Rom a Cuba.
M'è venuta voglia di riproporlo. Per rispetto, inizio con Jorge Bernal, studioso
argentino che per anni ha documentato la presenza di Rom e Kalé nell'America centrale e
meridionale.
Seguono due pezzi, uno dell'agenzia ufficiale Granma e l'altro dell'Havana
Journal, un'agenzia web anticastrista. La cosa divertente di questa storica
contrapposizione politica è che i due pezzi sono quasi identici, anche se si
guardano bene dal citare le informazioni della "concorrenza".
Estratto da "I Rom nelle Americhe" - La storia dei Rom a Cuba
Si sa poco del passaggio di alcune famiglie Rom che arrivarono a L'Havana
all'inizio del 1900 e negli anni '20.
…erano un gruppo coeso e imparentato tra loro, uniti da linguaggio, tradizioni e
professioni comuni. Mantennero questa unità a Cuba e negli altri paesi americani
in cui arrivarono. Questo garantì ovunque la loro sopravvivenza, come emerge in
questa storia molto conosciuta.
Come Dio creò gli esseri umani
Sapete come Dio creò gli esseri umani? Ve lo racconterò: prima fece la terra
e tutte le cose che esistono: gli alberi, l'erba, gli animali…
Ma si sentiva solo, e così creò anche gli esseri umani. Modellò del fango e lo
mise a cuocere, ma se ne dimenticò e quando lo estrasse dal forno, era tutto
bruciato. Quello fu l'antenato del popolo nero. Non contento di questa sua
creazione, fece un altro modello. Questa volta lo tolse subito dal forno e la
statuetta era molto chiara. Divenne l'antenata del popolo bianco, i Gadjé. Fece
poi un altro tentativo e stavolta calcolò con precisione i tempi di cottura.
L'ultima statuetta era cotta a puntino e divenne l'antenato di tutti i Rom.
La leggenda riflette il sentimento dell'orgoglio che i Rom provano per la loro
origine etnica, e che tutte le comunità hanno sempre difeso. I Rom si
riconoscono in ogni paese perché hanno mantenuto precisi valori culturali,
etici, estetici propri. In ogni posto dove sono arrivati, hanno mantenuto la
loro autenticità e personalità, cercando di adattarsi ai diversi codici sociali.
Numeri e attitudine
I Rom a Cuba saranno 200, forse di meno. Sono comuni i matrimoni misti, perché
le famiglie estese saranno due o tre. Un gruppo era composto da soli uomini e
sposò donne cubane. Secondo la tradizione i discendenti seguono la linea paterna
e le famiglie hanno mantenuto le tradizioni e la lingua Romanes. Molti hanno
lasciato Cuba per ricongiungersi ai parenti in Venezuela e in altre parti del
continente e mantenere le proprie tradizioni. Durante la permanenza a Cuba,
avevano creato una cooperativa famigliare per il lavoro dei metalli, che in
seguito fu assorbita dallo stato.
La maggior parte delle famiglie miste è rimasta a Cuba (una sola andò in
Argentina) e hanno mantenuto una cultura mista. La lingua comune è lo spagnolo,
ma riconoscono parecchi termini nella lingua romanes. Si considerano cubani di
sangue Rom.
…
Durante le prime decadi del XX secolo, molte famiglie Rom arrivarono a Cuba,
provenienti dall'Europa centrale e orientale, mantenendo il proprio sistema
sociale di famiglia allargata. Il matrimonio è endogamo e deciso dalle famiglie,
ai neonati è d'uso dare il nome degli antenati, per rispetto a chi diede origine
al gruppo o clan (vitsa), gli anziani fanno anche parte dell'assemblea chiamata
"kris", che per i Rom è la più alta struttura di legge e giudizio. Questa
organizzazione è stata gelosamente salvaguardata e trasmessa di generazione in
generazione, come in altri paesi americani ed europei, sino alle seconde/terze
generazioni di Rom nati a Cuba.
Le famiglie che arrivarono a L'Havana si accamparono in una zona periferica che
oggi si chiama Lawton. Era abitata allora da operai e piccoli artigiani. I Rom
si mantennero però distanti dal nucleo originario, costruendosi per conto loro
povere baracche di legno.
Nel nucleo originario si ricorda una famiglia estesa di nome Cuik, proveniente
dalla Russia. Arrivarono a più riprese tra il 1912 e il 1924. Sino alla fine
degli anni '40 vissero nelle loro tende.
Questo gruppo di esotici immigranti trovò a Lawton un clima di accettazione e
riconoscimento sociale. Secondo i discendenti nessuno li disturbò mai e loro
stessi vissero senza creare disturbi.
Crediamo anche che l'accettazione fu dovuta allo sviluppo che questi Rom diedero
alla piccola metallurgia, attività che era particolarmente apprezzata nella Cuba
di quei tempi. Una delle discendenti, che attualmente vive in Venezuela,
racconta che anche dopo la rivoluzione non si sentì discriminata in alcun modo,
anzi fu pienamente integrata nella forza lavoro dal nuovo regime e molti degli
abitanti stanziali continuarono a frequentarla in cerca dei suoi pareri e
consigli.
Nell'accampamento, continuarono con le occupazioni tradizionali: gli uomini
nella piccola metallurgia e le donne come indovine.
Status sociale di uomini e donne
Nella tradizione Rom le donne acquistano rispetto sociale dopo il matrimonio,
con la possibilità di creare una nuova famiglia. E' una dinamica sociale che si
è mantenuta anche nel caso di famiglie miste; come anche quella di investire la
donna del mantenimento delle finanze famigliari (il capitale costituito dalla
cassa, dai gioielli e dall'oro, a cui i Rom attribuiscono anche proprietà
mediche). Nella lingua tradizionale è il "galau" e alle donne (le romnià) spetta
il compito di preservarlo e accrescerlo.
Diventando anziane, a Cuba e altrove, cresce il loro prestigio e vengono
consultate dalla kris (vedi sopra).
A Cuba le romnì possono studiare e divorziare senza subire rivalse dal resto del
loro gruppo.
Le famiglie miste hanno mantenuto anche la celebrazione tradizionale dei morti,
"la pomana". E' un pasto offerto in onore del morto – nove giorni dopo la morte,
sei settimane, sei mesi e poi nella ricorrenza annuale. Per l'occasione viene
vuotata una coppa di vino o di acqua a favore del morto, che per quanto
invisibile, rimane presente. Quando sono presenti immagini del morto, c'è l'uso
di mettere un bicchiere pieno di fronte alla foto o al quadro, per far piacere
alla sua anima. Oppure, nelle riunioni famigliari [i morti] sono invitati a
condividere quanto bevono gli altri invitati.
I Gitani all'Avana RAFAEL LAM – speciale per Granma Internacional
I gitani sbarcarono a Cuba, in Brasile e in tutta l'America Latina sicuramente
assieme ai primi colonizzatori spagnoli e portoghesi, dalle caravelle dei conquistadores… scrive il professore brasiliano Atico Vilas – Boas. E per questo
anche la vita cubana è permeata da questa cultura leggendaria
Con la loro pelle scura e strane abitudini, i gitani hanno sempre suscitato
curiosità: vengono chiamati anche Gipsy, Tzigani, Yeniche, Zingari e sono
vittime di malintesi e di persecuzioni. Hanno sempre resistito tenacemente per
la conservazione della loro personalità e autenticità esotica.
Sono vincolati al nomadismo, alle carovane, ai cavalli, le tende, le grotte, le
caverne, carri e carretti, vagoni, accampamenti, strade e campagna aperta…
Sono cestai, toreri, lavorano lo stagno, fanno gioielli, predicono la sorte,
sono musicisti e suonano in quartetti di chitarre; le loro espressioni vocali
propongono lamenti lontani e raccontano le pene e le arroganze di
un'emarginazione che è divenuta un'opera d'arte attraverso la prodigiosa e
millenaria tradizione dell'Andalusia, una delle più interessanti del mondo,
racconta lo scrittore spagnolo Felix Grande.
Buona parte della musica popolare cubana e latino – americana è nata in questo
mondo periferico, umile e disprezzato dalle classi aristocratiche. Ricordiamo il
tango, il samba, il merengue, i mariachis, il calipso, la bomba, il porro, il
joropo, il son, il bolero, la rumba, la guaracha, la conga…
L'origine dei gitani è stata misteriosa per secoli, ma gli specialisti di oggi
non hanno dubbi che sono originari dell'India nell'anno mille circa e questo è
stato provato grazie alla loro antropologia, la medicina, l'etnologia e la loro
lingua.
Cuba ha ricevuto i gitani per più di cinque secoli. Lo specialista d'arte,
Antonio Alejo Alejo, racconta che era abituale vedere gli indù lavorare nella
zona del porto dell'Avana.
La maggior ondata di gitani giunse a Cuba a partire dal 1936, in fuga dal
franchismo, con la guerra civile spagnola. Poi vennero i fuggitivi dai terribili
campi di concentramento nazisti.
La scrittrice Renée Méndez Capote dedica uno spazio ai gitani nel suo libro "Una cubanita che nació con el siglo" e in un numero della rivista Carteles del 1940
si legge un reportage che informa che i gitani si erano rifugiati nella zona
delle colline di Lawton.
Molti usarono l'isola come una base per poi raggiungere altri paesi, ma diversi
si integrarono alla vita di Cuba, che è sempre stata una nazione molto ospitale.
Joventud Rebelde l'anno scorso ha pubblicato un articolo sulla presenza dei
gitani, su come vivono questi discendenti eredi delle famiglie giunte negli anni
'20, che qui incontrarono il solo paese che permise loro di trascorrere una vita
tranquilla.
Qui ci sono abitudini e modi di vestire, parole, attrazioni nei circhi, nelle
fiere, le feste e carnevali, nel gergo musicale attuale della musica ballabile o
salsa; nel filin degli anni '40 – 50 troviamo parole come jama (cibo), curda
(ubriaco), puro (padre). Tra i dolci c'è il braccio gitano!
La moda dei giovani d'oggi è permeata dalle abitudini gitane: bracciali,
catenelle ai piedi, collane, fazzoletti alla cintura e in testa, vestiti
colorati, grandi anelli.
"Ma dov'è la verità gitana? Da quando ricordo io vado per l mondo con la mia
tenda e cerco amore e affetto!" Ras e Sedjic.
Svelando la presenza dimenticata degli zingari a Cuba
Mon January 31, 2005 | Posted By: Dana Garrett
Negli ultimi tempi le storie sugli Zingari sono di moda nelle soap operas di
prima fascia televisiva alla televisione cubana.
Questo ha risvegliato domande da parte di molte persone sull'isola che – anche
se consapevoli dell'influenza esercita dalle culture straniere nella formazione
della nazionalità cubana – non erano sinora consci che nelle loro vene potesse
scorrere anche sangue zingaro.
Viceversa, le nostre radici africane sono talmente manifeste, che esiste un noto
detto per cui se un cubano non ha sangue congolese, sicuramente ne ha di Calabar
(ndr: esiste Calabar sia in Nigeria che in Giamaica, penso si riferisca a ciò),
questo significa che a Cuba non c'è modo di evitare di essere razzialmente
mescolati.
La comparsa di una cultura cubana non è dovuta solo al contributo di africani e
spagnoli, anche altre gruppi etnici hanno avuto il loro ruolo.
La storia mostra che nelle prime decadi del secolo scorso, masse di zingari
immigrarono nell'isola, mentre per altri studiosi la loro venuta risale ai primi
giorni della colonizzazione spagnola.
Ancora, per quanto qui gli zingari siano stati meno discriminati che altrove, lo
stesso nel 1930 fu varata una legge per impedire la loro entrata nel paese.
Legge che comunque fu largamente aggirata.
Nei ricordi degli anziani la loro presenza si lega a storie di indovini, donne
che indossano colorati orecchini, braccialetti e collane; uomini di bell'aspetto
che montano e smontano le loro tende.
Pedro Verdecie, avvocato in pensione e storico – che risiede nella provincia
orientale di Las Tunas, si ricorda di gruppi di uomini e donne accampati in
quell'area.
Dice Verdecie che questi nomadi praticavano la vendita al minuto di vari beni e
che talvolta furono coinvolti in attività illegali, riuscendo comunque a
instaurare un rapporto con la popolazione stanziale e scambiandosi costumi e
tradizioni.
Nonostante la mancanza di documenti ufficiali che provino il passaggio degli
zingari sull'isola, la verità è che in questi giorni i cubani sembrano aver
iniziato ad apprezzare l'impronta degli zingari all'identità nazionale, col loro
fascino vagante di bohemiennes.
Sul valico. Foto da geoportale.caibergamo.it
1 gennaio 2012: mi sveglio nel mio letto, da solo. Ricordi confusi della serata
precedente.
Bisogno di un caffè come si deve, al bar. Per strada, una distesa di serrande
abbassate. Voglio una conferma di dove mi trovo e so dove cercarla. Vado alla
torre del
binario 21, in Stazione Centrale, dove si abbracciano 100 anni di storia,
simboli e lotte di questa città. Milano, un'altra volta riparto da qua.
31 dicembre 2011: tutto è iniziato verso le 16.30, con
panettone, peperoni ripieni e 3 montenegro (più mixité di così!)... ci voleva
poco a capire come sarebbe continuata la serata. Giro tra le piazzole, un
abbraccio e un bicchiere. I falò accesi rivelano se in questo momento la
famiglia sia povera o ricca. Si ride, si chiacchiera (quando la musica lo
permette), la regola è che devi sentirti come a casa tua, anzi meglio. Ma il
mezzo non sono il vino, il cibo, le canzoni, piuttosto un mezzo sorriso che
traduci come un abbraccio vero.
Fuori
lontano dai fuochi fa freddo, nelle baracche le stufe vanno a tutto volume:
una continua sauna finlandese, solo i bambini corrono qua e là incuranti dello
sbalzo termico.
Amici, parenti e conoscenti si susseguono da una piazzola all'altra, in un
corteo incessante, che stabilisce chi è parte della tua gente, quelli su cui
forse potrai contare.
Entro in un grande container familiare, la tavola apparecchiata, 3 o 4
famiglie sono sedute. Il via vai continua. Musica a palla anche qui, ballano i
maschietti in giacca e cravatta e le femminucce vestite da principesse. Il rito
di far parte per una sera del mondo degli adulti. Anche i grandi che col tempo
hanno imparato a fingersi persone serie come i gagé, si lasciano andare,
cantano, fischiano, accennano un movimento del bacino o un passo di tango.
Stasera non devono fingere: è il momento di ribadire, anche davanti a chi continua ad
arrivare in visita, la propria identità e le proprie radici, in un casino inenarrabile e
liberatorio.
Io, da sempre negato per ballare, batto il ritmo sul tavolo e con i piedi.
Ridiamo: ma ti immagini fare una cosa del genere in un appartamento?
In quella baraonda, ho la netta sensazione di essere una comparsa in un film
di Kusturica, e di conoscere tutti gli attori. E' la realtà, invece, che si
ripete nei secoli in ogni dove sia arrivata questa gente.
29 dicembre 2011: parlando, anche dei problemi seri, emerge
qualcosa di nuovo in questo festeggiare: due giorni prima c'era stata una
riunione pubblica sul destino dell'insediamento. Abbiamo lavorato bene per un
anno, anche fuori dal campo, e siamo riusciti a riempire la sala della riunione
di tanti cittadini che, sorpresa sorpresa, erano lì a difendere i loro rom ed il
loro futuro. Rispettosi ma determinati. Con l'assessore che sinceramente non se
l'aspettava, ma anche i Rom presenti che si guardavano intorno stupiti.
I segnali c'erano... prima e dopo natale tanta gente del quartiere, molti
sconosciuti, è arrivata in quest'angolo dimenticato di Milano, anche solo a
stringere una mano, farsi un caffè o un bicchiere di vino, e dire
silenziosamente che non si era soli.
E ripenso alla strada percorsa in quest'anno, agli sforzi comuni per
abbattere, prima dei ghetti fisici, quelli mentali. Ai tanti Carlo, Paolo,
Laura, Cesare, Stefania, Antonio, Marco, Marina... che nonostante i dubbi ed i
problemi, ci hanno creduto ed hanno tenuto la rotta.
Se altrove il vento nuovo su Milano fatica a farsi sentire, la nostra piccola
primavera di via Padova (tutta, da Loreto sino alla Gobba) sta resistendo
all'inverno. Si continua a credere che E' POSSIBILE migliorare SOLO assieme, e
per farlo abbiamo dovuto imparare a parlarci da pari a pari. Non è stato così
con tutti, dice chi non ci crede... ed ha ragione. Ma c'è chi continuerà.
Parlandoci, vedendoci, siamo cambiati. La mia gente forse ha meno paura del
diverso. Qualche rom ha imparato che non si deve sempre fuggire o abbassare la
testa; cambiare non significa per forza spostarsi se non lo si vuole, cambiare
significa magari trovare il coraggio di lottare anche per restare.
Anche se non sarà (mai) facile. Continuavo a ripeterlo il 31: stavolta abbiamo
portato a casa il punto, ma non è finita. Dopo questo valico, nel nostro viaggio
da fermi, ce ne aspettano altri.
31 dicembre 2011: mi dice un amico: "A mezzanotte arriva il
cotechino con le lenticchie. Se vuoi, poi ti fermi a dormire da noi".
"Grazie fratello, ma ho bisogno di fare due passi. Ci vediamo dopo." Ed
invece passo dopo passo mi sono trovato davanti al portone di casa.
E adesso che ho riordinato i ricordi, un buon anno a tutti BAXTALO NEVO
BERSH SAVORRENGE.
Di Fabrizio (del 03/01/2012 @ 09:49:16, in scuola, visitato 1773 volte)
Ogni tanto tocca ripeterlo: in Mahalla amiamo le belle
storie. Segnalazione di Fiorella
Giornalettismo.com di
CLEMENTINA COPPINI
1 gennaio 2012 Un ragazzino Rom con tre nomi e il suo sogno di andare a scuola
C'è un bambino, si chiama Carlos, è un rom nato nel 1999. In famiglia lo
chiamano Daniel ma lui a se stesso ha dato il nome di Lorenzo. Si è battezzato
così. Ha fatto fino alla terza elementare nel suo paese, poi ha passato tre anni
per strada nel nostro. Non va a scuola da anni, ma lui a scuola ci vuole andare.
Così la sua mamma, che è una povera donna che chiede l'elemosina davanti al
panificio Crippa, chiede aiuto al Nonno Francesco, il nonno civico della scuola
elementare del quartiere, e alla Signora Maria Carmen, madre di una bambina alle
elementari e di un bambino alle medie. La mamma di Daniel, di cui nessuno sa il
nome e forse non lo sa più nemmeno lei, va alla scuola media del centro della
bella cittadina del nord, ma è una stracciona e quindi non la fanno entrare
dalla preside. La chiameremo Ferma, perché è una che per la nostra bella società
è meglio che non si muova, perché nessuno desidera che si muova. Il suo posto è
lì, come arredamento del marciapiede davanti al panificio. Osa andare alla
scuola a chiedere l'elemosina di un posto per il suo Lorenzo. Le sgherre della
preside hanno l'ordine di non far passare gli scocciatori, che sono i genitori
poveri o stranieri o vestiti male o che hanno la fatica e la disillusione
stampata addosso. Possono passare solo quelli con la faccia da studiati e con i
vestiti stirati, perché quello è il genere di visitatore che non dà fastidio.
Ferma ha altre tre figlie in Romania, ha 32 anni ed è già nonna. Vive in un
catorcio di camper freddo d'inverno e caldo d'estate e la sua professione è
chiedere la carità. Resta lì, Ferma, fuori dalla presidenza, con una specie di
penoso sacchetto all'interno del quale stanno accartocciati i documenti suoi e
di suo figlio. Passa un anno veloce o lento, ma il tempo scorre per vie e modi
paralleli al normale per uno che è abituato a vivere davanti a una vetrina. Il
pane ogni giorno è uguale, per chi non ce l'ha.
SCUOLA DI PERIFERIA - Un giorno Nonno Francesco e Maria Carmen vedono il
bambino, chiedono alla madre perché non sia a scuola e decidono di andare a
parlare con la preside della scuola media del centro. Qualcuno dirà "Come mai
non se ne sono accorti prima?" oppure "Era il minimo che potessero fare". Però
il fatto è che sono stati gli unici a vedere quel bambino e a pensare di
chiedere spiegazioni a Ferma. Gli altri sono passati e basta, si sono accorti ma
non è loro interessato e il minimo che potevano fare non lo hanno fatto. Nonno
Francesco e Maria Carmen si presentano per parlamentare e vengono fatti passare,
perché hanno le caratteristiche che rendono una persona atta a varcare la soglia
dell'ufficio della responsabile dell'istituto. Con loro c'è Lorenzo, tutto
pulito e ordinato, con ai piedi le scarpe da ginnastica più bianche che si siano
mai viste ai piedi di un ragazzo di quell'età. Vuole fare bella impressione
perché così magari lo prendono. Per lui sarebbe un privilegio, non sa che da noi
è un obbligo. La preside ascolta Maria Carmen e dice che non ha posto per il
bambino nella scuola del centro, ma è persona disponibile. Allora chiama la
scuola media di periferia, che è più adatta a un bambino rom che lei è sicura
che fino al giorno prima chiedeva l'elemosina. Invece no: Ferma non ha mai
voluto che suo figlio chiedesse la carità, perché è una cosa troppo umiliante.
All'altra scuola risponde la vicepreside (il preside non c'è, perché si vede che
in certe zone basta il vice) che lo accetta tra i suoi alunni, non dimenticando
di sottolineare come la media del centro abbia scaricato altrove il piccolo rom.
Questa è solo una cattiveria gratuita. Se domani alla scuola del centro si
presentano a iscrivere il pargolo due bei genitori eleganti e laureati anche nel
loro caso la preside chiama la scuola decentrata. Chi potrebbe dubitarne?
NIENTE ISCRIZIONI PER GLI STRACCIONI - Ferma il pomeriggio stesso va in
segreteria con il suo scartoccio di documenti, ma è una stracciona anche per la
scuola del quartiere popolare e non le danno retta. Non può ritirare il modulo
d'iscrizione perché non sa fare la sua firma, così torna alla roulotte pensando
che non si può fare niente. Maria Carmen lo viene a sapere la mattina dopo,
chiama la vicepreside, che non c'è. Richiama più volte, lascia il suo numero.
Niente, non viene richiamata. Presidi e vicepresidi sono molto occupati, non
hanno tempo da perdere al telefono. Maria Carmen aspetta, Daniel aspetta. I
giorni passano e la scuola non chiama per dire quando il ragazzo potrà iniziare.
Alcune anime pie intanto gli procurano del materiale. Quando vede quella che
sarà la sua cartella – uno zaino usato che non sembra nemmeno usato, ma l'ex
proprietario è un bambino che ne ha uno nuovo ogni anno, perché noi siamo una
civiltà che insegna ai propri figli a buttare, e da noi la misurazione dell'usatezza
è quantomai soggettiva – non riesce a credere che sia per lui, perché gli sembra
troppo bella. Ora che ha il suo zaino della Seven, Lorenzo inizia a credere di
potersi sedere a un proprio banco, bisogna insistere. E allora via di nuovo con
le telefonate in segreteria e, per incentivare la risposta, con lo scrivere
qualche mail alle persone giuste. Tempo poche ore la vicepreside si libera dei
gravosi impegni, trovando il tempo per avvisare Maria Carmen che la settimana
entrante Lorenzo comincia la scuola. Ferma viene convocata in segreteria con il
suo scartoccio di documenti, e stavolta qualcuno aiuta questa zingara
analfabeta. Così l'iscrizione viene perfezionata e tutto si smuove. Alla scuola
ora pensano anche a come procurargli i libri e a come aiutarlo a recuperare il
tempo perduto.
I ROM CHE HANNO PAURA DI NOI - Daniel è sveglio, ma deve imparare tante cose.
Gli danno un insegnante di supporto. È un lunedì mattina di ottobre quando
Daniel entra in classe. Ce la farà? Le difficoltà dell'affrontare la scuola
media per uno che non ha nemmeno finito le elementari lo spingeranno
all'abbandono? D'altronde la legge dice che le elementari non le poteva più
fare. Nel paese delle eccezioni ci sono regole molto severe, imprescindibili,
ferree, sebbene per alcuni soltanto. Purtroppo il ragazzo non potrà andare in
mensa, non c'è posto. Con tutto quello che si butta, davvero non si può mettere
qualche maccherone in un piatto per lui? No, non si può. Mangerà un panino fuori
dalla classe, ma lui è abituato a stare fuori da qualcosa, a non appartenere.
Almeno sarà fuori dalla sua classe, e non da una classe qualsiasi o dalla classe
di un altro. Ferma lo aspetta ogni giorno fuori da scuola, non lo lascia mai
andare in giro da solo. Ha paura per suo figlio, che gira bello e pulito e più
ingenuo dei suoi coetanei italiani. Molto più ingenuo. Incredibile a dirsi, ma i
rom hanno paura di noi. O forse non è così incredibile. Maria Carmen e una
maestra elementare in pensione gli danno ripetizioni due volte alla settimana,
ma la strada è lunga e l'inverno sta diventando sempre più freddo, nel camper.
Daniel è a scuola, le sue scarpe bianche splendono sotto il banco. Questa storia
finisce dove avrebbe dovuto cominciare, con Lorenzo che ascolta la lezione nella
sua classe e ha davanti una strada lunghissima, ma ha già iniziato a mostrare di
avere un'intelligenza molto brillante. Questa storia è vera, verissima e Lorenzo
esiste, eccome se esiste. Studia, Lorenzo, perché, per chi deve salvare se
stesso da una situazione schifosa (chi scrive lo sa per esperienza personale),
ogni giorno passato a imparare è un nuovo inizio, è la speranza. È Capodanno.
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