L'anno scorso postai una
favola natalizia per i più piccoli. Quest'anno è il turno di quelli un po'
più grandicelli. Lo spunto viene da un commento
su un altro blog.
Immagine da
cavallomagazine.quotidiano.net
Discutevo il mese scorso con amici, che mi raccontavano di aver visto in
Turchia, a Creta ed in Macedonia fiere di cavalli gestite da Rom e si vantavano di averle riscoperte
andando tanto lontano.
Rispondevo che sino a 10 anni fa, esisteva qualcosa di molto simile in un posto
niente affatto esotico, in centro a Monza, proprio accanto alle mura del carcere
vecchio (non ci siamo mai fatti mancare niente!).
A vederlo non era niente di particolare, soprattutto da vuoto: un vasto piazzale cintato e coperto da tettoie. I miei
figli quando erano piccoli marinavano la scuola (adesso sono cresciuti e posso
dirlo) per andarci con me il giovedì mattina.
E lì incontravano con stupore un vecchio rom malmesso e semianalfabeta, che avevano conosciuto al
campo sottocasa, che da una vita faceva l'allevatore di cavalli, che trattava alla pari con commercianti e nobili amanti dei cavalli. La
trattativa terminava immancabilmente nell'osteria vicina, a vino e salamelle.
Fuori dal recinto, un piccolo mercato con oche, galline e conigli, coltelli a
serramanico (la passione di qualsiasi ragazzino), borracce, ed il vecchio che ci spiegava la differenza tra una sella
inglese e una americana.
Il mercato dei cavalli ha chiuso, ha chiuso anche l'osteria delle salamelle,
anche il tabaccaio. Nessuno di loro era ricco, ma si campava e ci si conosceva
(ci si rispettava) tutti: rom, nobili, gagé, bambini... anche se non escludo che
lontani dalla fiera riemergessero vecchie discriminazioni.
Presto arriverà un centro commerciale, che strozzerà i negozi
superstiti.
Il vecchio vive tuttora in un campo regolare, ai margini di quello che potrebbe
diventare un vasto parco urbano. I suoi parenti sono diplomati operatori del
verde, ma la loro cooperativa da anni non ha commesse, anche se il lavoro
sarebbe sotto casa.
Cinque anni fa presentammo un progetto al comune, perché in questo parco, al
posto di un'altra speculazione edilizia, si potesse installare una stalla a norma,
con maneggio annesso, per organizzarvi visite scolastiche e gite a cavallo nel
costituendo parco. Avevamo a disposizione le persone più esperte nel ramo in
città, avremmo potuto persino dare lavoro a qualcuno che non fosse rom.
Nessuno si occupò di questo progetto, in compenso il comune vuole chiudere il
campo. Il vecchio, con figli e nipoti, ha trovato una cascina nel pavese dove
sistemarsi e credo che per loro sia la soluzione meno dolorosa.
A me spiace non solo per dover perdere dei vecchi amici che hanno insegnato ai
miei figli ad amare tutti gli animali.
Spiace perché quando si parla di cultura e di possibilità di esprimersi, pensiamo alla musica, alla poesia, ma
lo è anche una vita di lavoro passata ad allevare cavalli. Era uno scambio, come
lo è la cultura, come lo è il lavoro, perché è lo SCAMBIO che permette alle
tradizioni di rimanere vitali e rinnovarsi. E pure di accrescere tutti quanti
operino questo scambio.
Dicono che la mia città sia inclusiva, che da sempre dia attenzione al lavoro
e al soldo. Se davvero fosse così, come l'ho conosciuta da quando ci sono nato,
non mi dispiacerebbe, neanche con la sua nebbia e le sue durezze.
Sarebbe un esempio europeo, come Monaco di Baviera, dove i Turchi che ho
conosciuto spazzini 30 anni fa, oggi dirigono supermercati ed agenzie viaggi.
Come Marsiglia, che ha lasciato una palude schifosa come la Camargue ai gitani,
che l'hanno resa una meta turistica internazionale.
E mentre noi gagè sogniamo la Turchia o la Camargue, spendiamo i soldi per
andarci ed essere parte (anche solo per un attimo) di questi paradisi perduti,
facciamo in modo che chi potrebbe ricreare da noi quelle atmosfere sia obbligato ad andarsene.