Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Segnalazione di Paolo Ciani
GLI ZINGARI IN LIBANO, COMUNITA' AI MARGINI
In Europa li chiamiamo Rom, in Medio Oriente Dom. Ma per i popoli arabi sono
semplicemente "nawar". Sono zingari, una volta nomadi, ora stanziali, in Libano
sono tra le comunità più emarginate. DI BARBARA ANTONELLI
Roma, 15 Luglio 2011 – Nena News – Sono 2,2 milioni in tutto il Medio
Oriente, tra Libano, Giordania, Territori Palestinesi, Turchia, Iran e Iraq.
In Libano sono una delle comunità più emarginate. Rom in Europa, Dom in Medio
Oriente è il nome che designa le comunità "zingare"*. I loro
antenati, secondo la teoria ormai accettata, sono migrati verso ovest,
dall'India, più di 1000 anni fa. Quando si parla di loro nei paesi arabi, ci si
riferisce a "nawar". Un termine che se usato per designare queste comunità,
assume una connotazione negativa, spesso associato a sporcizia, pigrizia, furto,
elemosina e una moralità discutibile. Vale a dire che, anche il più povero tra i
libanesi, si sente superiore ad un Dom.
Si calcola, secondo uno studio fatto nel 2000, che nel paese dei Cedri, ve ne
siano circa 8000; famiglie numerose con una media di 7, 8 bambini per nucleo,
vivono ai margini delle città, in baraccopoli, in prossimità di altri gruppi
marginalizzati dalla società, come i profughi palestinesi o i libanesi poveri.
A differenza dei profughi palestinesi e dei beduini però, con i quali vengono
spesso erroneamente confusi, sono stati "naturalizzati" dal governo libanese nel
1994; ma la cittadinanza non gli assicura l'accesso ai più basilari diritti
umani. Né li tutela dall'emarginazione e la discriminazione. Sono infatti più
poveri dei profughi palestinesi, secondo una recente ricerca della ONG Terre des
Hommes (basata su interviste a comunità in 4 diversi luoghi del paese dei Cedri)
in collaborazione con la libanese Insan; se infatti secondo i dati rilasciati
dall'American University di Beirut, in media un profugo palestinese in Libano
vive con 2,7 dollari al giorno, il 30% dei Dom sopravvive con meno di 1 dollaro
al giorno. Un alto tasso di disoccupazione, dato che oltre il 44% non lavora, e
il resto sopravvive tra elemosina e "lavoretti" improvvisati, tra cui suonare a
feste e matrimoni.
Un popolo nomade che dopo la naturalizzazione è diventato stanziale, come i
beduini, stabilendosi in ricoveri precari, fatti di latta, zinco, e legno. Il
36,4% di loro non riceve acqua potabile e la maggior parte delle abitazioni non
è connessa al sistema fognario. Circa il 68% dei minori di 18 anni non ha mai
messo piede in un'aula scolastica. Sono i minori i più vulnerabili nella
comunità Dom: esposti a violenze, malnutrizione, condizioni di lavoro precarie,
quando non pericolose, sfruttamento.
Secondo il direttore della ONG Insan, Charles Nasrallah, "l'accesso di queste
comunità all'assistenza legale, al sistema sanitario ed educativo e ad
un'adeguata quantità di cibo, non è garantito". Problemi a cui si aggiunge la
marginalizzazione sociale. Ignorati dai libanesi, ma anche dalle ONG e dalle
agenzie umanitarie.
E non è un caso che poco si sappia su di loro, e che in questo senso la
ricerca congiunta di Insan e TDH rappresenti uno dei pochi documenti disponibili
su questo gruppo etnico. Uno studio volto ad individuare bisogni e necessità
delle comunità Dom, ma anche a valutare l'impatto sulla società libanese e la
percezione che se ne ha.
Come risposta all'emarginazione, i Dom hanno interiorizzato gli stereotipi
negativi che gli sono stati "appiccicati" addosso in questi anni, tanto da
rifiutare la loro cultura e le loro tradizioni, sottolinea la ricerca. Secondo
TDH, i pregiudizi contro questa comunità sono un macigno tale che i Dom stessi
desiderano lasciarsi alle spalle la loro "identità etnica". Lo dimostra il fatto
che la lingua Domari, ciò che li accumuna ad altre comunità in tutto il Medio
Oriente (sebbene coesistano altri dialetti), quindi il marchio indelebile della
loro identità, sta rapidamente lasciando terreno all'arabo. Tra gli
intervistati, metà degli adulti, ma solo un quarto dei bambini, parlano il
Domari; una lingua, di cui non esistono né libri, né testimonianze (i Dom in
Medio Oriente usano infatti l'arabo per scrivere). Nena News
* Dom è una parola di origine indiana; secondo lo storico
britannico Donald Kenrick, , la coesistenza di entrambi le parole si deve al
fatto che la prima lettera era pronunciata "dr"; ma altri studiosi rifiutano
tale tesi.
NDR: Contemporaneamente è uscito un articolo (in inglese) sui Dom del
Libano su
MiddleEast.com
Di Fabrizio (del 18/07/2011 @ 09:25:35, in Europa, visitato 1341 volte)
Da
Hungarian_Roma
Romagazine.eu
di
Beatris Joó -
9 luglio 2011
"Non uso il concetto della cosiddetta integrazione rom. Lo trovo
compulsivo. Non hanno bisogno di essere integrati... quello che dobbiamo
ottenere è che la società rom e quella ungherese lavorino e vivano assieme" -
dice Vilmos Kozáry,
fondatore del Romaster Program, che opera dal 2007, e sostiene che la soluzione
del problema risiede nel sostenere all'interno la formazione accademica rom.
Che idee ha lanciato il programma e come è stato impostato il corso?
Il programma Romaster è fondamentalmente una mia idea. Ho registrato il nome
e l'ho dato al Forum Leader d'Affari Ungheresi (HBLF), un'istituzione che ha
operato in Ungheria negli ultimi venti anni, principalmente si occupano di
responsabilità sociale. I suoi membri, incluso un centinaio di compagnie e
imprese ungheresi e straniere, ritengono che una buona resa economica non sia
sufficiente di per sé. Il loro legame con la società dovrebbe caratterizzarle
quanto il profitto che producono. Questa responsabilità appare anche nella loro
appartenenza, perciò vengono supportati diversi tipi di programmi collegati a
donne e genere, ambiente, volontariato e pari opportunità. L'ultimo gruppo di
lavoro citato è guidato da me, dove viene enfatizzato il collegamento tra Rom e
resto della società. Il nostro scopo è che i Rom siano riconosciuti in generale,
o almeno i nostri membri, componenti importanti della società ungherese - che
diviene evidente solo quando vengono offerte più opportunità ai lavoratori rom.
Il programma nasce con lo scopo di aiutare altri giovani Rom ad entrare
nel mondo del lavoro. Chi sostenete in primo luogo?
Sosteniamo giovani Rom svantaggiati dai 14 anni sino al diploma, che vadano
bene a scuola, abbiano buone capacità linguistiche e tendono a proseguire gli
studi in economia, ingegneria, legge o scienze mediche. Lo scopo della
formazione è massimizzare le loro opportunità di impiego immediato. Dopo tutto,
chi li appoggia li adopererà per fornire opportunità d'impiego alla propria
compagnia. Per esempio, la banca Raiffeisen supporta gli studenti della facoltà
di economia.
Da dove vengono i fondi?
I 20.000 fiorini della borsa di studio che forniamo loro mensilmente vengono
dalla compagnia d'appoggio. Il programma non fruisce di sovvenzioni statali.
HBLF funge da coordinatore. L'anno scorso è stata istituita una fondazione,
attraverso cui avvengono i trasferimenti. I ragazzi ricevono la somma totale, i
costi amministrativi sono coperti da HBLF.
20.000 fiorini al mese non risolveranno tutti i problemi, ma se vengono spesi
secondo i bisogni degli studenti, l'aiuto dato vale ogni centesimo. Possono
iscriversi a corsi di lingua, viaggiare all'estero, comprare libri, ecc.
Ci sono altre compagnie che forniscono ulteriori sostegni in natura.
Tuttavia, forse l'aiuto più grande proviene dai mentori.
Che ruolo ha un mentore?
I nostri mentori sono a disposizione degli studenti 24 h. al giorno, 7 giorni
su 7, e forniscono aiuto per qualsiasi tipo di problema. Visitano l'azienda data
su base regolare, garantiscono stage estivi e supervisionano lo sviluppo degli
studenti. Essendo sempre accessibili, i mentori servono come un collegamento
costante.
Il programma è popolare?
E' difficile ottenere l'appoggio delle compagnie e dei loro leader. Anche se
non si richiede loro molti sforzi per supportare un ragazzi, questi ultimi
possono (probabilmente) non raggiungere il profitto atteso. Il finanziamento
annuale di un alunno costa 1.000 euro all'anno, una somma trascurabile. Le spese
per i mentori sono significativamente più alte, ma difficili da definire in
termine di tempo e denaro.
Attualmente sono supportati 50 studenti, 2 dei quali si sono recentemente
diplomati ed hanno già un lavoro. Non è facile attrarre costantemente
attenzione, dato che in Ungheria non abbiamo ancora un programma simile.
Speriamo che i giovani rom coinvolti diventino ambasciatori di questo programma.
L'unica possibilità per l'avanzamento sociale è l'istruzione, perché apre le
porte. Con l'aiuto di psicologi, puntiamo a prepararli anche al loro ritorno,
dato che il loro ambiente spesso tende a trattarli come estranei o alieni.
Perché il ritorno è così difficile?
L'ambiente da cui provengono non valorizza il lavoro e l'istruzione. Di chi
sia la responsabilità, individuale o della società, è una questione complessa.
Credo che da entrambe le parti bisogni iniziare ad avvicinarsi.
Cerchiamo anche di aiutarli anche con il coinvolgimento di esperti; per loro
è assolutamente essenziale preservare la loro identità, nonostante il cambio di
ambiente. Tuttavia, rimane la questione: come si comporteranno nella vita di
ogni giorno dopo la fase di supporto, è qualcosa a cui solo loro potranno
rispondere.
I ragazzi che sostenete, sono in contatto l'un l'altro?
C'è un elemento all'interno del programma, chiamato Romaster Alumni, che è
una comunità sociale per chi si laurea nella medesima istituzione. Fornisce loro
la possibilità di rimanere in contatto, condividere esperienze ed incoraggiarsi
l'un l'altro, ed in quanto tale, gioca un ruolo importante nella loro vita.
Le persone coinvolte quali prospettive hanno in programma?
Se qualcuno è incline a credere che questo lo toglierà dalla povertà, ho
paura che si sbagli. Noi cerchiamo di dare una visione realistica. Ciò che
offriamo è un piccolo sostegno finanziario, mentoraggio, relazioni e migliori
possibilità di impiego. Tutto ciò può contribuire al beneficio degli studenti se
sono capaci e vogliono impegnarsi tramite duro lavoro e sforzi. Così potrebbe
funzionare per arrivare alle compagnie se i loro sforzi si rivelassero
nonostante tutto insufficienti. Diamo loro l'opportunità di orientarsi più
facilmente nel mondo del lavoro. Motivandoli a studiare e lavorare, qui è il
fattore chiave. (Lo so) C'è una grande quantità di idealismo alla base del
concetto, ma senza questo non nascerebbe niente.
Alla luce di quanto detto, possiamo considerare di successo questo
programma?
Anche se il programma è stato lanciato non molto tempo fa, i risultati
sinora ottenuti son estremamente positivi. Nel bilancio includiamo tanto le
risposte dei Rom che pubbliche, ed in entrambe i casi, l'accettabilità è
piuttosto alta. E' un regalo ed un'opportunità perché i giovani rom migliorino
ulteriormente le loro motivazioni. Naturalmente sono costantemente monitorati e
posti di fronte a (certe) esigenze didattiche, ma le regole non sono così
rigorose. Quanti sono coinvolti nel programma, apprezzano molto di far parte
della comunità.
Anche le compagnie coinvolte hanno grandi benefici. Si verificano cambiamenti
significativi di prospettiva, soprattutto quando vengono supportati ragazzi rom.
Possono esserci molti discorsi sociali e conferenze per affrontare il problema,
ma la reale comprensione avviene solo quando si agisce assieme.
Secondo me gli intellettuali rom sono un media che (potenzialmente) hanno
un'influenza dominante sulla loro società. Credo che la soluzione chiave sia che
la società rom guadagni conoscenza nella cultura maggioritario, abbracciandosi
l'un l'altra. Non uso il concetto della cosiddetta "integrazione rom". Lo trovo
compulsivo. Non hanno bisogno di essere integrati, non è questa la soluzione.
Ciò che si deve ottenere è che le società rom e ungherese lavorino e vivano
assieme. I processi di alienazione, il declino del ruolo della famiglia, la
perdita del senso di amicizia, non possono essere percepiti all'interno delle
comunità rom. Difatti, ci sono molti controesempi: sono famiglia-centrici,
ricchi di emozioni, innamorati della musica. Loro trasmettono anche questi
valori, che vale la pena di adottare. Quindi, di nuovo, adattarsi a noi in tutte
le aree della vita ed aspettare che abbandonino i loro costumi non è la
soluzione.
Il programma Romaster è stato mutualmente lanciato dal Forum Leader d'Affari
Ungheresi (HBLF) e da IBM Ungheria a febbraio 2007. Intende aumentare la
comunità di quanti nella società rom posseggono adeguate competenze linguistiche
e titoli di studio.
Il programma è gestito dalla fondazione Romaster in conformità alle compagnie
di sostegno. Il supporto è costituito da tre pilastri: finanziamenti aziendali,
tutor nominati dalle aziende e stage.
Di Sucar Drom (del 19/07/2011 @ 09:02:32, in blog, visitato 1438 volte)
L'European Roma Rights Centre cerca tirocinanti
L'European Roma Rights Centre (Centro Europeo dei Diritti dei Rom) sta cercando
tirocinanti per il periodo Settembre 2011-Febbraio 2012. Verranno selezionati
sia tirocinanti rom e sinti che non rom e sinti, ma soltanto ai tirocinanti
sinti e rom verrà corrisposto uno stipendio...
UE, un quindicenne su cinque ha problemi di lettura
In Italia il 21% dei quindicenni incontrano difficoltà a leggere, come del resto
in Europa dove in media un quindicenne su cinque - ma con punte del 40% per
Bulgaria e Romania - non sono in grado di leggere adeguatamente. E' quanto
emerge da uno studio elaborato...
San Nicolò Arcidano (OR), un'incendio distrugge le abitazioni dei rom ma pronta
è stata la solidarietà
Hanno lavorato sino a notte fonda i volontari della Protezione civile impegnati
a San Nicolò d'Arcidano, nell'Oristanese, nelle operazioni di soccorso alla
comunità rom, in grande difficoltà dopo l'incendio che ieri ha distrutto le
baracche dove vivevano alla periferia del paese. Nel campo sportivo com...
Accordo UE e COE per formare 1.000 mediatori sinti e rom
Il Segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland e la Commissaria
europea a Educazione, cultura, multilinguismo e gioventù Androulla Vassiliou
hanno siglato una dichiarazione congiunta nella quale approvano l’accordo
raggiunto in occasione del Comitato dei ministri del Cons...
Campobasso, la favola "zingari rapitori" colpisce ancora...
Ci risiamo, quando un bambino scompare rispunta inevitabilmente nel nostro Paese
la pista degli “zingari”, come vengono chiamati in maniera etnocentrica e
dispregiativa le persone appartenenti alle minoranze linguistiche sinte e rom.
In questo caso le bambine sono due, Alessia e Livia, e sono scomparse con il
papà lo scorso 28 gennaio...
L'ammazza-Internet è ancora un rischio
Dopo mesi di annunci, smentite, polemiche, autorevoli e comunicati stampa,
questa mattina, l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha, finalmente -
non perché se ne avvertisse il bisogno ma perché ciò varrà almeno a consentire
un confronto più obiettivo e meno emotivo - pubblicato la delibera contenente lo
schema...
Roma, scintille tra Alemanno e la Caritas sul piano rom (2)
Dilettanti allo sbaraglio. Non sembra esserci espressione più appropriata per
definire l’ondivago e claudicante procedere della giunta Alemanno su qualsiasi
tema che abbia un minimo di impatto sociale e mediatico. A tornare per qualche
ora sotto i riflettori è stato stavolta il famoso “piano rom”, più volte
sbandierato dal primo cittadino della capitale come un esem...
Napoli, torna l'incubo dei pogrom
Paura a Poggioreale dopo il raid di una decina di persone che hanno seminato il
terrore fra donne e bambini nell'insediamento rom. Il 'commando' ha minacciato
le famiglie di ritornare se non avessero abbandon...
Bari, Nichi Vendola ha incontrato Jeroen Schokkenbroek
Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola (in foto) ha incontrato il 15
luglio a Bari Jeroen Schokkenbroek, il giurista olandese nominato rappresentante
speciale del nuovo segretario generale del Consiglio d'Europa...
Palermo, terreni confiscati alla mafia per le famiglie rom
Trasferiti in terreni confiscati alla mafia, nelle zone più periferiche di
Palermo lontani da viale del Fante. A Palermo potrebbe essere questo il futuro
dei rom che vivono da anni in città. Il degrado profondo che caratterizza ogni
angolo del cosiddetto...
Di Fabrizio (del 19/07/2011 @ 09:43:34, in scuola, visitato 1414 volte)
Terre di Mezzo
Dieci bambini di un campo nomadi a Milano diventano allievi dell'artista
Adolfo Chiesa. Un laboratorio low cost e all'insegna della sostenibilità, con
l'ambizione di diventare per i ragazzi, in futuro, una vera opportunità di
lavoro.
Piccoli artigiani crescono, alla scuola elementare di via Palmieri. È qui che
Joyce, Giada, Davide, Valentina e altri sei ragazzini rom del campo di via
Chiesa Rossa frequentano le primarie. Anche se alcuni di loro hanno già superato
gli 11 anni. Questo pomeriggio non sono a scuola per imparare italiano o
matematica, ma per frequentare un corso di mosaico (guarda il video). Insieme a
loro ci sono operatori ed educatori di Progetto A, la cooperativa che
gestisce il campo nomadi alla periferia sud di Milano. "Per affrontare le difficoltà che
i ragazzi hanno nell'apprendere a leggere e scrivere, abbiamo deciso di partire
da un'attività manuale", spiega Davide Castronovo, il responsabile del campo.
Ecco perché è nato il laboratorio, un'idea innovativa che potrebbe segnare una
nuova direzione nelle politiche del Comune di Milano nei confronti dei rom.
"Abbiamo intenzione di regalare un lavoro realizzato dai ragazzi alla nuova
amministrazione", dice Castronovo. Un segno di buon auspicio per le
collaborazioni future e un modo per abbattere quel muro che divide i ragazzi dei
campi dalla città che vive al di fuori.
È un venerdì di fine giugno, l'ultima lezione del corso. "Ragazzi venite qui",
chiama un uomo alto e magro, vestito con una camicia verde, a fiori. La barba
incolta e il codino canuto tradiscono un animo da artista: è Adolfo Chiesa, il
maestro dei bambini nel laboratorio. "In venti ore di lezione siamo riusciti già
a fare quattro mosaici", annuncia soddisfatto.
La tecnica che propone Adolfo Chiesa nei suoi laboratori è innovativa. Serve una
stampa della figura che si vuole realizzare e tanti tesserini di qualunque
materiale: ceramica, terracotta, ma anche bottoni, pagliericcio e tutto ciò che
è riciclabile. Dipende solo da ciò che si vuole realizzare. "A questo punto si
smussano le tesserine del mosaico e si lavora a secco, posizionandole a testa in
giù, come a ricomporre un puzzle", spiega Adolfo Chiesa. L'anima in cemento
armato dei mosaici li rende perfetti come innesto architettonico. Si può
guardare il lavoro in itinere, levando da sotto il mosaico la stampa. "In questo
modo - prosegue il maestro di mosaico - i bambini si rendono conto di quanto
stanno facendo e prendono entusiasmo". Sono vent'anni che Adolfo Chiesa viaggia
in tutti i continenti a diffondere i suoi insegnamenti: "È un modo per abbellire
il mondo con i rottami. E non è poco, vero?". Con il lavoro manuale, i bambini
hanno in mano un oggetto fisico, una traccia duratura del loro lavoro. "Vogliamo
proporre questa attività anche al campo rom, il prossimo anno, in modo che anche
i genitori possano partecipare alla realizzazione dei mosaici", dice Castronovo.
Chissà, un giorno per qualcuno potrebbe diventare una professione redditizia, al
posto che andare a raccogliere il ferro, com'è scritto nel destino di molti
ragazzi rom in tutta Italia.
Ed è pure un laboratorio low cost. Se si escludono le ore di stipendio pagate
agli educatori e ad Adolfo Chiesa, i costi per i materiali non superano i 300
euro. "Dato che i lavori sono gradevoli - aggiunge il responsabile del campo rom
Davide Castronovo - speriamo di poter vendere questi prodotti ad un circuito di
amici sensibili a questo tipo di attività e con il ricavato rifinanziare il
laboratorio per l'anno prossimo". Che sia l'inizio di un nuovo corso nei campi
nomadi di Milano?
Testo: Lorenzo Bagnoli per Redattore Sociale
Di Fabrizio (del 20/07/2011 @ 09:03:07, in casa, visitato 1831 volte)
Il giornale di Vicenza 19/07/2011 NOMADI. L'assessore Giuliari ha chiesto ai
tecnici del Comune di individuare un'area adatta (notizie
precedenti NDR)
Il campo nomadi di via Cricoli
Il recente sequestro di un terreno agricolo in via Mantovani da parte della
polizia locale di Vicenza, e i dubbi conseguenti che fosse destinato a diventare
un campo nomadi, hanno riportato alla ribalta la questione dell'ospitalità alle
famiglie Sinti e Rom che vivono nel capoluogo.
Si torna a parlare, in particolare, della riqualificazione dei campi di via
Cricoli e di via Diaz, dove vivono rispettivamente una trentina e una decina di
famiglie. Il Comune ha ricevuto un finanziamento ministeriale di 400 mila euro
per i lavori, che naturalmente potranno essere avviati solo dopo che le famiglie
verranno temporaneamente spostate in un altro luogo.
«Sto aspettando una proposta da parte della struttura comunale - spiega
l'assessore Giovanni Giuliari - che suggerisca una soluzione, cioè un'area dove
accogliere le famiglie in via temporanea. Una cosa del genere è già stata fatta
quand'era assessore Sante Sarracco, allora venne utilizzata l'area in via
Cairoli dove ora c'è il parcheggio». Dopo la riqualificazione, il campo di via
Cricoli sarà necessariamente più piccolo «e non può essere altrimenti - dice
Giuliari - altrimenti rischiano di cadere nel fiume. Alcuni nuclei hanno già
trovato collocazione in un'abitazione, vedremo al momento come risolvere la
cosa». L'assessore sottolinea il positivo percorso fatto con le famiglie:
«Abbiamo fatto installare, e ringrazio Aim per la collaborazione, dei contatori
dell'energia elettrica, uno per ciascun nucleo, in modo che ciascuna famiglia
paghi ciò che è giusto. Abbiamo fatto degli incontri per dare le opportune
istruzioni. Non solo: ci sono stati due inserimenti lavorativi di giovani Sinti
in aziende, stanno andando molto bene. Collaboriamo con scuole e volontari per
seguire i bambini, anche dal punto di vista igienico. Con le famiglie del campo
abbiamo fatto un patto: basta atti contro la legge. Lo stanno rispettando. Mi
aspetto che ci siano polemiche - conclude Giuliari - ma vogliamo che la nostra
sia la città dell'accoglienza».
G.P.
Di Fabrizio (del 20/07/2011 @ 09:04:34, in Europa, visitato 1342 volte)
Da
Bulgarian_Roma (i link sono in inglese, ndr)
East of Center - BY BARBARA FRYE - JULY 11TH, 2011
11/07/2011 - Un amico mi ha appena inviato una
dichiarazione riguardo ad una recente visita in Bulgaria di una funzionaria
ONU, per vedere cosa sta facendo Sofia per migliorare il miserabile destino dei
Rom nel paese. Persino le persone che hanno molto a cuore questo problema,
potrebbero essere perdonate per non essere tentate di leggerla. Dopo tutto,
quante volte sentiamo di un'altra condanna di un paese est-europeo da parte
di un osservatorio dei diritti umani, per aver lasciato languire nella miseria e
nell'ignoranza una parte della sua popolazione - ed ancora mantenere l'illusione
che forse quel governo si impegnerà?
Ma questa versione è particolare. Potete sentire Gay McDougall, esperta ONU
su questioni delle minoranze, stracciare i confini del linguaggio diplomatico,
mentre cerca di esprimere disgusto e frustrazione dopo una settimana in
Bulgaria.
Sofia potrebbe dire le cose giuste, ma lo fa poco, dice essenzialmente McDougall.
"In gran parte molte politiche sembrano rimanere solo promesse retoriche rivolte
ad un pubblico esterno - impegni ufficiali non soddisfatti nella pratica. ... Le
discussioni con le agenzie responsabili, come il Ministero dell'Istruzione e
quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, hanno rivelato un impegno
superficiale con scarse programmazione, controllo e valutazione," dice l'esperta
indipendente.
Il governo troppo spesso lascia a qualcun altro il lavoro pesante:
"Le iniziative che sono state intraprese per trasportare giornalmente
i bambini a frequentare le scuole miste fuori dai ghetti rom, fornendo pasti
e servizi di supporto agli studenti, sono state in gran parte realizzate da
un piccolo numero di OnG rom con scarse risorse, la parte del leone di
questi finanziamenti viene da fonti internazionali, accompagnati da una
piccola percentuale di contributi governativi. Queste OnG sopportano gran
parte del carico di attuare le politiche di desegregazione che il governo
approva ma non riesce a mettere in pratica."
Anche i funzionari locali che McDougall loda per aver tentato di migliorare
il destino dei Rom e di altre minoranze, sono spesso ostacolati da mancanza di
fondi o di supporto da parte di Sofia.
Dovrebbe essere irrilevante, lo so, ma Gay McDougall è una donna di colore
degli Stati Uniti. Secondo la sua biografia su Wikipedia, è nata nel 1947 ad
Atlanta e "fu scelta per essere la prima studentessa nera ad essere integrata
nell'Agnes Scott College di Decatur, Georgia."
C'è qualcosa di sorprendente per come lei descrive i giorni più bui nel Sud
di Jim Crow in
un'intervista del 2008, apparsa sul sito web della facoltà di legge
dell'università della Virginia:
"Abbiamo creduto allora che la nostra situazione fosse unicamente
tragica," scrive McDougall. "Spesso guardavamo alla comunità internazionale
con la speranza che in qualche modo il mondo al di là di questo paese
operasse con regole diverse. Avevamo torto e ragione nel contempo."
Non è passato così tanto tempo da quando la gente nel paese natale di
McDougall (e nel mio) si sentiva libera di fare le sue osservazioni sui neri
americani, che oggi si fanno sui Rom: che sono criminali, non puliti, non
interessati nell'istruzione, più adatti a lavori o traffici di fatica, ecc.
Riguardo il suo viaggio in Bulgaria, si legge nella dichiarazione: "L'esperta
indipendente è profondamente preoccupata per i commenti, per esempio, di alcuni
funzionari di alto livello, che indicano chiaramente il loro punto di vista
sulle comunità rom come elementi prevalentemente criminali nella società
bulgara."
Ho raccolto confidenze di molte persone bianche dell'Europa dell'Est, che si
sentivano libere di condividere con me la brutta "verità" sui Rom (e
probabilmente si sentiranno in dovere di rispondere a questo post). Ma mi
succedeva anche negli USA. Sono bianca, così si suppone che debba essere
d'accordo. McDougall non è bianca, ma non è una Romnì, quindi forse riguardo ai
"funzionari di alto livello" si riferisce alla Bulgaria. Ma a chi si pensa che
stia parlando? Che dire della "gente" di questa donna soltanto 50 anni fa? Lei è
una lezione di storia che vive e respira loro in faccia, se riuscissero a
vederla per tempo.
Di Fabrizio (del 21/07/2011 @ 09:40:18, in lavoro, visitato 1266 volte)
Da
Czech_Roma
ryz, translated by Gwendolyn Albert
L'azienda Frutana Gold a Frýdek-Místek opera da oltre 15 anni ed è stata
premiata il mese scorso col certificato Ethnic Friendly Employer. La ditta
produce e distribuisce soprattutto patate sbucciate e bollite, ma ha iniziato
anche l'elaborazione di altre verdure. Pochi si rendono conto conto che oltre il
50% dei 25 dipendenti della compagnia sono Rom.
"All'inizio anche noi eravamo preoccupati, come molte ditte nella Repubblica
Ceca, sull'impiegare dei Rom, ma col tempo ci siamo convinti che vogliono
lavorare, che lavorano davvero onestamente e bene, se dai loro un'opportunità
per mettersi alla prova. Siamo lieti di poter dare un esempio agli altri
cittadini ed imprese e contribuire a migliorare la mutua convivenza," ha detto
Zdeněk Majer, CEO della compagnia.
L'azienda processa ogni mese oltre 100 tonnellate di patate ed altre verdure.
Quest'anno ha iniziato la produzione la sua affiliata in Slovacchia, che pure si
sta sviluppando con successo.
Majer si è recato a Praga per il conferimento del premio, assieme ad un
piccolo gruppo di dipendenti rom, che hanno ringraziato il loro capo. Il video
della cerimonia (solo in lingua ceca) è disponibile su
RomeaTV.
Di Fabrizio (del 21/07/2011 @ 09:53:31, in lavoro, visitato 1286 volte)
Segnalazione di Alberto Maria Melis
MODAFFERI:
"VORREMMO TORNARE A GARANTIRE CONTINUITÀ LAVORATIVA"
Reggio Calabria - Non disperdere il patrimonio di competenze acquisite nel
settore della raccolta dei rifiuti solidi ingombranti, la preziosa esperienza di
integrazione lavorativa dei Rom a Reggio Calabria, il modello virtuoso, primo a
Reggio, di riutilizzo sociale dei beni confiscati alla ndrangheta. Questo
l'appello lanciato da tempo dalla cooperativa Rom 1995 guidata da Domenico Modafferi ad Istituzioni e cittadinanza quando, lo scorso anno non fu prevista
la condizione di subappalto dello smaltimento dei rifiuti ingombranti
nell'ultimo bando indetto dal comune di Reggio Calabria.
Rassicurazioni furono rivolte e adesso, che non si riesce più a garantire la
continuità lavorativa di prima, sarebbe tempo di rassicurazioni concrete e di
risposte. Qualche spiraglio si è aperto nei mesi scorsi con due delibere,
concretizzatisi poi in convenzioni, dell'allora Giunta comunale Raffa, nelle
quali l'esecutivo comunale di Reggio rispondeva solo in parte alle promesse
formulate in più occasioni in passato. Si tratta dell'impegno di affidare il
servizio di sgombero di uffici comunali o di competenza comunale, tra cui anche
quelli giudiziari, ossia il servizio di raccolta e smaltimento di componenti di
arredo fuori uso. Contratto sottoscritto che ha lavoro, pur se occasionalmente,
ai 18 dipendenti della cooperativa per un mese circa. Si tratta di una
situazione ancora afflitta da precarietà, atteso che sono gli uffici comunali a
dover avanzare una richiesta affinché si possa lavorare. L'altra delibera,
invece, attiene alla specializzazione dell'isola ecologica che attende di
diventare punto di conferimento di rifiuti apparecchiature elettriche e
elettroniche (RAEE) provenienti da rivenditori e commercianti.
La cooperativa Rom 1995, comunque, ha compiuto passi importanti non solo dal
punto di vista dei servizi erogati alla cittadinanza ma anche sotto il profilo
della dimensione educativa cui da sempre aspirava con l'apertura alle scuole e
alle giovani generazioni affinché conoscessero questo modello di integrazione
sociale e lavorativa e di sostenibilità ambientale e questa esperienza di
restituzione alla collettività di un bene sottratto a famiglie dedite al
malaffare.
Dunque sottoscritto a marzo un accordo con l'assessorato all'Ambiente della
Provincia di Reggio Calabria, retto da Giuseppe Neri, per favorire
l'informazione in materia di educazione ambientale. La cooperativa dunque ha
avviato una fruttuosa collaborazione con il Laboratorio territoriale di
Educazione ambientale della Provincia di Reggio Calabria. Il protocollo d'Intesa
siglato impegna alla realizzazione congiunta del progetto “La tutela
dell'ambiente attraverso un percorso di integrazione sociale”, finanziato dalla
Provincia e che contempla diversi ambiti: il rafforzamento delle attività della
stessa cooperativa mediante una migliore gestione ambientale dei cicli
lavorativi e un aumento della sicurezza per i lavoratori; la collaborazione
della Cooperativa sociale Rom 1995 con il Laboratorio territoriale di educazione
ambientale della Provincia di Reggio Calabria per le attività di formazione
rivolte ai cittadini ed alle scuole del territorio provinciale ed
all'aggiornamento periodico del sito istituzionale “infea.provincia.it” con
contributi in tema di riciclo e recupero dei rifiuti e di sviluppo sostenibile;
l'attuazione, all'interno della propria sede, ospitata all'interno di un bene
confiscato alla 'ndrangheta percorsi informativi e visite guidate rivolte a
gruppi di cittadini e a scuole del territorio.
Un riconoscimento importante alla cooperativa Rom 1995, solo un altro passo
verso quella rinascita che da tempo si auspica, affinché le buone prassi non
vadano disperse ma tutelate e diffuse.
Anna Foti - Lunedì 18 luglio 2011 Ore 15:01
Il giornale di Vicenza VIAGGIO. Una giornalista dal Nord al Sud per
raccontare vite nel vento - 20/07/2011
Rom fotografati da Bianca Stancanelli sulla copertina del suo libro La
vergogna e la fortuna (Marsilio)
«Questo libro è un viaggio», dice Bianca Stancanelli, giornalista siciliana,
autrice de La vergogna e la fortuna, storie di rom (Marsilio, 2011). Un viaggio
in quella «galassia di minoranze» che sono gli zingari, ma anche nel loro
rapporto con i gagè, parola con cui la lingua rom, il romanés, indica i
non-zingari. Ladri, mendicanti, imbroglioni, bugiardi: cosa c'è oltre a quello
che di solito la gente pensa degli zingari? Bianca Stancanelli apre la porta del
ghetto sociale recintato dai pregiudizi, con il merito di descrivere scenari
nuovi, talvolta sorprendenti. Il reportage nasce, come racconta l'autrice, da
una tragica domanda. Nel 2007, a Livorno, quattro bambini rom bruciano nel rogo
della loro baracca. Eva, Danciu, Lenuca e Menji: 11 anni la maggiore, 4 il
minore. «Tutto ciò che il pubblico ministero vuole è tenere in prigione i
genitori dei bambini morti con l'accusa di abbandono e omicidio colposo. In
un'altra estate, in Sicilia, un padre stordito dall'afa dimentica nell'auto
arroventata suo figlio, che muore soffocato. Al padre, l'Italia offre una
sgomenta solidarietà e a nessun magistrato viene in mente di aggiungere al suo
strazio la pena della galera. Ma se quell'uomo fosse stato zingaro l'avremmo
perdonato?»
Gli zingari in Europa, unica minoranza presente in ogni Paese, sono stimati in
8-12 milioni. Secondo l'antropologo Leonardo Piasere, l'80% è ormai stanziale.
L'Onu li suddivide in rom, sinti, kalè, manouches e romanichals; l'Ue semplifica
in rom e sinti. In Italia sono 160mila. «Siamo tra i Paesi che ne hanno meno e
che più li odia», commenta Bianca Stancanelli.
Percorrendo l'Italia da nord a sud, l'autrice ci accompagna in case famiglia,
appartamenti di periferia, carceri, loft in quartieri rinomati per raccogliere
testimonianze di rom e sinti: miserabili, come le ladre recidive Susanna, Mina e
Vesna, o emancipati, come lo scultore Bruno Morelli o la regista Laura Haliovic.
Ogni capitolo esalta la soggettività dell'intervistato per estrarla
dall'universo indistinto in cui è confinata per propria o altrui volontà. Si
scansa sia il «lirismo di chi li descrive come il popolo del vento» sia la
«crudezza di chi li considera un rifiuto della storia». Una missione ambiziosa,
l'autrice lo sa. Non per niente una citazione di Hemingway verga l'inizio del
libro: «La cosa più difficile al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta
sugli esseri umani».
Bianca Stancanelli documenta con animo aperto e, si capisce, con il desiderio di
raccogliere storie di riscatto. Talvolta ci riesce, come quando scrive del
timido Baraba, ragazzo rom del campo di Ciampino impegnato nel servizio sociale,
benché spesso fermato dalla polizia in via preventiva: «'Ndo vai? A rubba'?»
Altre volte il tentativo di affrancamento va a vuoto: «Susanna ha cominciato a
rubare a 14 anni come scelta inevitabile. "Bello non è bello. Uno è costretto
dal fatto di non avere documenti e di non poter ottenere un lavoro regolare". È
una scusa per conferire una paradossale dignità alla scelta di vivere rubando?
Avverto una sottile irritazione serpeggiarmi sottopelle», scrive l'autrice, «il
dubbio che quell'insistenza sul pregiudizio antigitano sia, insieme, un alibi e
un ostacolo». Ma dietro i furti ci sono anche le infanzie negate, come quella di
Beda, classe 1990, che porta le cicatrici delle percosse: «Essere menati da tuo
padre se non rubi ed essere menati dalla polizia perché rubi». Beda è scappata,
ora vive in una casa famiglia e lavora in un magazzino.
L'AUTRICE analizza l'odio per gli zingari che da secoli circola e che ha trovato
sfogo, oltre che in innumerevoli episodi locali di violenza, nel grande
Porrajmos, il Divoramento, come gli zingari chiamano il tentativo di
annientamento sistematico che fu attuato contro di loro dai nazisti. «I rom sono
un popolo-termometro: misurano la febbre della società», dice Stancanelli.
Verona, cui l'autrice dedica un intero capitolo, vive l'esperienza emblematica
che culmina nel campo di Boscomantico, chiuso nel 2008 per volere della
neoeletta amministrazione guidata dal sindaco Flavio Tosi: allora un politico di
provincia, oggi star televisiva e astro nascente della Lega. Per alloggiare le
famiglie sfollate, ricorda Bianca Stancanelli, «il Centro Don Calabria lancia un
appello alla "Verona che non volta le spalle": invita a offrire case per i rom,
si fa garante del regolare versamento dell'affitto. Ma nella cattolicissima
Verona, su 250mila abitanti rispondono in due». Altri immobili sono messi a
disposizione da associazioni benefiche. «Ma riuniti dal prefetto, i sindaci del
Veronese reagiscono: io non gli do la residenza, non li iscrivo all'anagrafe».
Commenta l'autrice: «C'è nella violenza di quei rifiuti un eccesso di ostilità
che è difficile non chiamare razzismo».
Nel 2001 un gruppo di leghisti veronesi — Flavio Tosi, sua sorella Barbara Tosi,
Enrico Corsi, Luca Coletto, Matteo Bragantini e Maurizio Filippi — promuove una
campagna politica con lo slogan: «Firma anche tu per mandare via gli zingari».
L'operazione, denunciata in procura da movimenti a difesa dei nomadi, viene
giudicata di stampo razzista in primo grado dal Tribunale di Verona nel 2004. La
condanna — pur con le attenuanti, confermata in Cassazione nel 2009 — è stata
sospesa. Ma in una recente intervista al quotidiano cattolico Avvenire, dopo
l'udienza in Vaticano concessa dal Papa ai rom, Tosi si è preoccupato di
dichiarare che quella degli zingari «è una scelta di vita che va rispettata,
purché siano rispettate le regole». Per esempio, «mandino i figli a scuola». E
un rom che chiede offerte suonando sul marciapiede «non è un accattone, ma un
artista di strada», basta che non molesti i passanti e che sviolini prima del
coprifuoco. «In questo caso, ben venga», parola del nuovo Tosi buonista.
Il problema c'è, ma la ghettizzazione non lo risolve. Un futuro giusto per
tutti, secondo l'autrice, può camminare solo sulla strada dell'integrazione.
Bisogna cogliere il germoglio di cambiamento che già esiste. Un segnale che
viene soprattutto dalle donne. Dice Bianca Stancanelli: «È uno scenario
insospettabile di femminismo gitano: la lotta di donne che vogliono cambiare la
loro vita e si trovano contro la famiglia di tradizione maschilista e poi,
compatta, anche la società italiana». Questa volontà di rinnovamento è speranza
di un destino migliore per i giovani: «Ci sono ragazzi e ragazze che provano a
incamminarsi su un percorso di legalità e, per farlo, si mettono contro il
proprio clan. Se alla fine non succede nulla, perché senza uno straccio di
documento nulla può succedere, tornano al campo sconfitti, umiliati. E finiscono
risucchiati dall'illegalità. Penso ai bambini che trovano violenza dentro e
fuori dal campo, cui la vita deve sembrare precocemente una trappola. Penso che
dobbiamo salvarli, farlo presto. E sarà comunque tardi».
Lorenza Costantino
Da
Roma_Francais
La voix des rroms
"Nessuna grande nazione può restare a lungo in pace. Se non ci sono nemici
esterni, se ne troverà uno all'interno delle proprie frontiere, come un corpo
potente che sembra immune a qualsiasi infezione esterna, ma la la cui stessa
forza lo mina dall'interno." Tito Livio.
Ma cos'è successo l'estate scorsa e perché fu così spettacolare?
Il circo dell'Espulsione dei "rom" inizia con una profanazione
del paese ospitante: il saccheggio di una pasticceria di un borgo storico, sulle
rive dello Cher, da parte di un gruppo di uomini mascherati identificati come
"gens du voyage" e con il proiettile nel corpo di uno di loro, morto, proprietà
della "forza pubblica".
Poi, nel Palazzo, la riunione, del capo di stato, del primo ministro, dei
ministri della giustizia, dell'interno, dell'identità, e dei più alti
responsabili della polizia e della gendarmeria.
Due giorni dopo la dichiarazione da parte del Palazzo della "guerra
nazionale".
"Quelli della pasticceria" allora spariscono dai discorsi. Non ne resta che
la sagoma. Vale a dire, nessuno.
O tutti. Non resta che la figura generale del nemico.
O "la canaglia".
I bambini di strada.
Perché non importa ciò che sa la "forza pubblica" ed il Palazzo ignora:
dichiarare guerra alla "gens du voyage" è decidere la fine del circo. E'
decidere la propria perdita, giuridica ed operativa.
Insomma: è decidere la perdita reale dello stato.
E ci fu il grande pericolo per il "Palazzo" nel dichiarare guerra alla "gens
du voyage": da una parte perdere la legittimità della propria violenza,
dall'altro di perdere sul piano della violenza pura...
... Quando l'obiettivo cosciente degli autori dell'Espulsione dei rom
è la salute dello stato, per sua simulazione.
Là dove aumenta il risparmio, cresce anche il pericolo.
I mezzi per questa simulazione di sovranità tramite la guerra interna in un
territorio pericolosamente pacifico era, una volta la cifra in nuce
definita: la messa in opera di circolari prefettizie per "zone di difesa e
sicurezza".
Queste zone sono le parti di una divisione eccezionale del territorio,
la cui funzione è di ottimizzare la cooperazione delle unità di difesa civile e
militare, il coordinamento delle operazioni da parte del ministero, la
circolazione rapida e diretta di informazioni e comandi tra il dipartimento e lo
stato.
L'amministrazione di un territorio così frammentato è un'amministrazione in
guerra.
Ma chi è questo nemico su cui si abbatte lo stato? Un mostro di cui ogni
singola cella è il teatro d'una guerra civile (Carthill). Il suo nome
burocratico: "gli accampamenti illeciti". Il suo nome sussurrato in un lapsus
governativo: "i Rom".
Da dove viene questo mostro? Dalla fabbrica del governo: la Legge; dal lavoro
meticoloso di piccoli gruppi di burocrati che da oltre un decennio mettono
l'eccezione nella legge.
I nemici-simili dell'Espulsione dei rom
sono da una parte lo stato che si salva dall'estinzione mostrandosi come un
mostro miracoloso, dall'altra parte i corpi simulati detti "rom" che inghiotte e
vomita. L'espulsione è la sua ruminazione.
In realtà lo stato si abbatte su se stesso. Il circo maschera
il suo nulla.
Lo stato è la guerra civile. La sua simulazione, il suo coperchio, sono il
limite. Sul fil di questo limite marcia tutto nudo il sovrano suonando il suo
flauto. Ovunque: il pericolo di vuoto, i freddi abissi della sua caduta. Da un
lato del filo, la scomparsa delle istituzioni nel nulla, la pace più
pericolosa, dall'altro, l'annientamento nella violenza.
Attorno, tra la folla che alza gli occhi, i funamboli, candidati alle
elezioni, guardano la sua caduta imminente e si preparano a salire sul
filo...
I "rom" del governo sono quelli per cui suona dissonante il flauto.
I bambini di strada.
Non sono i Rom. Non sono questo popolo transfrontaliero in formazione: prima
minoranza nazionale d'Europa ed in larga misura concentrati nell'Europa
Centrale, che vuole la nazione senza frontiere.
Sono una frazione prelevata da questo numero. La frazione
"accampamenti abusivi" o Baracche.
Lo strumento del prelievo è una lama affilata. E' col filo di questo
coltello che i burocrati tagliano i simulacri dove affiora il nome "rom". Questo
filo è pure quello appoggia il passo titubante di un pastore che cammina su una
lama. Dovunque taglia questa lama, lo spettro della guerra civile si riversa
nella sua realtà: la fine del circo. Un filo che nelle loro circolari
viene nominato come la principale preoccupazione: la proprietà privata.
Le sue sezioni sono le Baracche.
Pierre CHOPINAUD
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