Rom e Sinti da tutto il mondo

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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 

Segnalazione di Tommaso Vitale su un caso presentato dieci giorni fa

21.04.2010

I poteri di ordinanza devono far fronte a reali situazioni contingibili di pericolo e di emergenza. La precarietà abitativa di gruppi di Sinti deve essere affrontata nel rispetto dei loro diritti fondamentali e con gli strumenti legislativi ordinari (TAR Lombardia, n. 981/2010).

Tar Lombardia, sentenza n. 981 dd. 06.04.2010 (32.87 KB)

Segna un precedente giurisprudenziale assai importante per la causa dei diritti dei Rom e dei Sinti in Italia, la sentenza pronunciata dal TAR Lombardia, sez. III, n. 981/2010 (dd. 06.04.2010) che ha annullato l'ordinanza del Sindaco del Comune di Gambolò volta ad ordinare lo sgombero di un gruppo di Sinti cittadini italiani, insedianti con le loro roulottes da almeno tre decenni in un'area periferica del Comune.

Il Sindaco del predetto Comune aveva ordinato ai Sinti di liberare l'area, sulla base dei rapporti della Polizia locale che avevano indicato la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie dell'insediamento.

Il Sindaco aveva dunque invocato gli artt. 50 comma 5 e 54 del D.lgs. n. 267/2000, come modificato dal D.L. n. 92/08, sostenendo che l' allontanamento del gruppo di Sinti poteva essere giustificato da motivi di tutela della salute pubblica e della sicurezza urbana.

Accogliendo il ricorso inoltrato dai Sinti medesimi, il TAR Lombardia ha invece sostenuto che i poteri di ordinanza del Sindaco per motivi di tutela della salute pubblica, di cui all'art. 50 comma 5 d.lgs. n. 267/2000, possono essere giustificati solo da circostanze imprevedibili all'origine di vere e proprie emergenze igienico sanitarie non fronteggiabili con mezzi ordinari (Consiglio di Stato, sez. V. sentenza n. 868 dd. 16.02.2010). Nell'ordinanza sindacale, invece, i paventati pericoli per la salute dei residenti, indotti, secondo il Sindaco di Gambolò, dall'insediamento dei Sinti, non risultavano minimamente accertati e documentati, rilevandosi soltanto una situazione di precarietà igienica dei luoghi, che ben può essere affrontata con mezzi ordinari.

Ugualmente, il TAR Lombardia rileva che l'adozione dell'ordinanza di allontanamento non poteva nemmeno essere giustificata da motivi di sicurezza urbana. Anche dopo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 92/2008 ed i nuovi poteri attribuiti ai Sindaci in materia, il potere di ordinanza sindacale ai sensi del nuovo art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 deve sempre riferirsi alla tutela della sicurezza pubblica, intesa come un'attività di prevenzione e repressione dei reati penali, come indicato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., n. 196/2009), escludendosi invece gli ambiti di riferimento della polizia amministrativa locale.

Di conseguenza, la presenza di situazioni di degrado o marginalità urbane, incuria o occupazione abusiva di immobili, di alterazione del decoro urbano, richiamate dal D.M. 5 agosto 2008, non possono giustificare di per sé l'attribuzione dei poteri di ordinanza del Sindaco, se non viene dimostrato il nesso con fenomeni di criminalità suscettibili di minare la sicurezza pubblica e la capacità obiettiva di tali situazioni di degrado di determinare situazioni contingibili ed immediate di pericolo per la collettività. Altrimenti, il potere di ordinanza dei Sindaci sarebbe suscettibile di incidere su diritti individuali fondamentali in modo assolutamente indeterminato e al di fuori delle garanzie costituzionali e internazionali.

Il Comune di Gambalò non avrebbe sufficientemente motivato in ordine ai paventati pericoli immediati per l'incolumità o la sicurezza pubblica derivanti dalla presenza dell'insediamento di Sinti sul proprio territorio e pertanto l'ordinanza sindacale appare illegittima per carenza di motivazione e di istruttoria.

La sentenza del TAR Lombardia sottolinea infine che, anche alla luce della consolidata presenza della comunità Sinti sul territorio del comune di Gambolò da almeno tre decenni, la questione dovrebbe essere oggetto di accurata ponderazione, tenendo conto del rispetto dei diritti fondamentali degli appartenenti alla comunità Sinti e del necessario bilanciamento con l'interesse pubblico, anche alla luce degli strumenti istruttori e partecipativi previsti tanto dalla legge n. 241/90 quanto dalla legge regionale n. 77/1989 in materia di interventi per le popolazioni nomadi.

Il Comune di Gambolò è stato anche condannato al pagamento delle spese legali.

a cura di Walter Citti

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Di Fabrizio (del 23/04/2010 @ 08:58:42, in Italia, visitato 1757 volte)

Segnalazione di Monica Rossi

Repubblica.it Salta l'intesa scritta gia' da tempo concordata e utilizzata anche con i nomadi di altri campi gia' sgomberati

L'assessore Belviso incontra una delegazione di nomadi al dipartimento promozione dei servizi sociali e della salute del Comune

Non è stato raggiunto un accordo tra il comune di Roma e la comunità rom di Tor dè Cenci sulla chiusura del campo e al ricollocamento della popolazione. Si è conclusa con un nulla di fatto la riunione tra l'assessore alle Politiche sociali, Sveva Belviso, e alcuni rappresentanti del campo di Tor dè Cenci, dove attualmente vivono circa 350 rom macedoni e bosniaci, di cui 200 bambini e 150 adulti.

Erano già stati fatti diversi incontri con i rappresentanti spontanei di tor dè cenci, ha riassunto l'assessore, nel corso dei quali era stata rifiutata la proposta avanzata dal campidoglio di spostarsi presso il campo attrezzato di castel romano. "Alla fine di una serie di incontri- ha detto- abbiamo convenuto di accogliere la proposta fatta dallo stesso campo di trasferire la popolazione nomade all'interno del primo nuovo campo che verrà realizzato per la fine dell'estate".

"Su questa base- ha aggiunto- abbiamo trovato un accordo insieme con la popolazione di tor dè cenci, confermato fino a questa mattina e confermato verbalmente anche adesso". Il problema, però, è che i rom si sono rifiutati di firmare questa dichiarazione di intenti in cui l'amministrazione comunale e la popolazione di tor dè cenci si dovrebbero impegnare a collaborare per il trasferimento.(Segue)

"Hanno detto di voler vedere il campo nuovo - ha detto Belviso- ma i campi non autorizzati non hanno capacità decisionale". È Il comune che "ha scelto di andare incontro all'esigenze della popolazione e di non dividerla all'interno dei campi autorizzati". Insomma, "abbiamo accolto la richiesta di trasferire tutta la popolazione 'avente diritto' di tor dè cenci in un'unica area attrezzata", cosa che è "è stata confermata oggi", anche se i rom "hanno paura di mettere una firma".
Insomma, sintetizza l'assessore, "ad oggi confermano la loro disponibilità a collaborare e a trasferirsi, ma non vogliono firmare". Le intenzioni del campidoglio però sono chiare: "noi arriveremo fino alla fine cercando il rapporto diplomatico come abbiamo fatto finora". "Sono convinta- ha aggiunto- che alla fine accetteranno, altrimenti si procederà con le modalità di forza.

Non ci sono altre possibilità: quel campo verrà chiuso". Il prossimo passo dell'amministrazione capitolina riguarda il campo della Martora: "Il focus dell'amministrazione si sposta sul campo della Martora- ha detto ancora Belviso- la prossima settimana inizia il fotosegnalamento, hanno accettato il trasloco e verranno trasferiti nei campi autorizzati i primi di giugno".

Fonte Dires-redattore sociale (22 aprile 2010)

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Di Fabrizio (del 23/04/2010 @ 09:00:05, in musica e parole, visitato 2436 volte)

Segnalazione di Eugenio Viceconte

Caserta24ore

MADDALONI - L'Associazione di Volontariato storico-culturale Saxa Cuntaria presenterà  il 30 Aprile alle ore 15.00 presso il centro socio culturale giovanile di Maddaloni (Ex Macello) la pubblicazione: Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia con la presenza dell'autore il professore Luca Bravi. La storia dei rom e dei sinti, la denigrante etichetta "zingari". Il fallimento dei progetti dal Settecento produsse l'immagine del soggetto "non-cittadino": crescevano gli stereotipi dello "zingaro" nomade, asociale, ladro. Gli organizzatori tra i quali ricordiamo il presidente dell'Associazione Domenico De Lucia, il vice- presidente, ideatore dell'iniziativa, Domenico Letizia, Rossella Espugnato di Chiara e Antonio D'Addiego invitano tutta la cittadinanza a partecipare, per un sano dibattito culturale che può far scomparire stereotipi e interessare nuovi metodi gestionali del settore sociale.

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Di Fabrizio (del 24/04/2010 @ 08:59:08, in Italia, visitato 1464 volte)

Segnalazione di Antonella Fachin

 (link per chi legge da Facebook)

Lo stand, il progetto vino ROM, laboratorio del pane, Gatti Galeotti, banco del bitto

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Di Fabrizio (del 24/04/2010 @ 09:48:46, in media, visitato 2371 volte)

Il Manifesto

Ha 15 anni: ok, il particolare e' importante visto che si sta parlando dell'ennesimo incidente avvenuto a Roma a causa di una "minicar". E a rimetterci la pelle stavolta poteva esssere un bambino di cinque anni.
Ma che senso ha scrivere nel sottotitolo, come fa il Corriere della sera di oggi nella cronaca di Roma, che il guidatore minorenne "appartiene a un clan degli zingari sinti"? E' ovvio che questa informazione appaia nel pezzo, per quanto stupisca che sia sbattuta in faccia al lettore addirittura nel primo capoverso dell'articolo. E' ovvio perche' qualsiasi giornalista, nel fare il suo mestiere, cerca di raccogliere il maggior numero di particolari sulla storia che deve seguire, e poi di conseguenza di raccontarli.

Ma che questo particolare – perche' trattasi di un particolare – venga ritenuto talmente significativo da meritare il sottotitolo la dice lunga su come funzionino i pericolosissimi automatismi delle redazioni, anche quelle più autorevoli. Se alla guida della minicar c'è un ragazzino sinto (nell'articolo addirittura definito "nomade") la cosa fa titolo, nonostante l'allarme minicar sia scoppiato da giorni in seguito alla morte di due ragazzini di purissima "razza italiana". Forse la sua guida è stata più imprudente perché è un sinto? Forse in quanto sinto non dovrebbe possedere un modello di macchina di quel tipo? Forse se alla guida di una minicar che sbanda e rischia di uccidere c'è un sinto la gente si indigna di più e quindi si tuffa a pesce sull'articolo? Ecco, forse sì. E forse è il caso di andarsi a rileggere la Carta di Roma sottoscritta dall'Ordine dei giornalisti.

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Di Fabrizio (del 25/04/2010 @ 09:19:15, in conflitti, visitato 2168 volte)

Seconda segnalazione di Alberto Maria Melis

Recensione di Sonya Orfalian su Le Monde Diplomatique 3.2010

"Quando ripenso ai miei primi dodici anni, ho l'impressione che nessun uomo o bambino abbia mai sognato di vivere in un luogo così vicino al paradiso". Con queste parole inizia Crossing, il secondo libro di Jan Yoors, autore del bel reportage romanzato Zingari, pubblicato in Italia lo scorso anno. Siamo di nuovo nelle Fiandre, ancora in compagnia dei Rom Lovara. Qualcosa però è cambiato: è scoppiata la guerra e Yoors, in pagine affascinanti, ne racconta il dramma e le pesanti conseguenze sull'accampamento degli zingari che lo hanno benevolmente adottato. L'alba del 10 maggio 1940 sorprende Yoors in viaggio con la sua famiglia d'adozione. L'accampamento si trova presso il confine che divide il Belgio dalla Francia, in una splendida valle tra i boschi: un luogo adatto per i cavalli e per gli uomini liberi. Un rumore scuote il campo, subito i bombardieri arrivano dal cielo e la serenità ha fine: la guerra è iniziata. L'esodo della popolazione civile dalle zone di guerra trova i Rom Lovara in fila assieme ai gagè, i non-zingari. Sebbene costretti a rinunciare alle loro abitudini, perseguitati e testimoni della decimazione dei loro simili, i Lovara si adattano bene alla nuova situazione, dominata dalla burocrazia della guerra: il loro status giuridico unito a un certo savoir faire (sfuggiranno alla legge che in Germania impone loro l'obbligo di una vita sedentaria, dichiarando identità diverse in luoghi diversi) li aiuterà a procurarsi un'infinità di tessere annonarie. Proprio queste rappresenteranno una parte cospicua del contributo che i Lovara forniranno alla Resistenza dopo che Yoors, contattato dai Servizi inglesi, li avrà persuasi a collaborare. Le leggi speciali nazionalsocialiste li bolleranno come rassenverfolgte cioè "razzialmente indesiderabili", al pari degli ebrei, e come se non bastasse artfremdes blut vale a dire "sangue straniero". Infine verranno dichiarati freiwild, "prede alla mercè di tutti". Mezzo milione di rom verranno eliminati; eppure tale pulizia etnica, a differenza di ciò che accadrà per l'Olocausto, non verrà studiata e analizzata a dovere. I motivi? Molteplici: da un lato c'è lo scarso senso della storia tipico di questo popolo, dall'altro - come spiega bene lo stesso Yoors - "i Rom non hanno nessun desiderio di uscire dall'ombra, di salire alla ribalta". Una lettura interessante, da non perdere, che ci rivela un modo inedito di interpretare la vita da parte di una popolazione che fino a oggi sembra sfuggire a tutte le leggi della globalizzazione del vivere "civile" di noi gagè.

Jan Yoors - Crossing.- Ed Irradiazioni
Jan Yoors (aprile 1922 - novembre 1977) artista fiammingo-americano, fotografo, pittore, scultore, scrittore. Nato in Belgio, a 12 anni scappò con un gruppo di rom lovara e viaggiò a lungo con loro. Quando ritornò finalmente a casa, i genitori che lo avevano molto cercato, invece di sgridarlo gli diedero il permesso di passare una parte dell’anno con i suoi amici. Più tardi nella vita scrisse il bellissimo libro dal titolo The Gypsies, 1965 (Zingari, Irradiazioni, 2008), considerato un documento unico sulla vita degli zingari. A Zingari segue nel 1971 Crossing.

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Di Fabrizio (del 25/04/2010 @ 09:31:32, in lavoro, visitato 2078 volte)

Segnalazione di Ilenia Modafferi

 (il link per chi legge da Facebook)

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Di Fabrizio (del 26/04/2010 @ 09:56:22, in Kumpanija, visitato 2643 volte)

Da Roma_Daily_News

The Jordan Times - 20 aprile 2010 By Taylor Luck

Membri della tribù dei Bani Murra, considerati gli "Zingari di Giordania", durante un incontro settimana scorsa. La comunità di circa 50.000 guarda alle elezioni parlamentari come un mezzo per superare gli stereotipi

AMMAN - Quando il quattordicenne campione di karate Abdalrahman Al Masatfeh sale sul ring, spesso sente il peso di un'intera comunità sulle sue spalle.

Masatfeh, che ha vinto diverse medaglie in competizioni internazionali ad Istanbul e Tel Aviv, dice di sentirsi lontano dall'essere un vincitore quando torna in Giordania.

"L'arbitro dice che ho vinto, ma tutto quello che sono qui è un Nawari (Zingaro)"

Il giovane fa parte della "comunità dimenticata" di Giordania, i Bani Murra, che nonostante siano tra i più antichi residenti del Regno, sono rimasti ai margini della società per circa mezzo secolo.

Tra i primi Giordani

I Bani Murra, o Dom, sono una minoranza di lingua araba dalle origini incerte, alcuni dicono che la comunità possa essere arrivata dall'India, attraverso l'Iran e il Golfo, mentre altri dicono che scontri tribali in Siria abbiano portato alla dispersione attraverso il Medio Oriente.

I Dom hanno una storia evidente nella regione che risale ad oltre un millennio ed hanno risieduto nel Regno per diverse centinaia d'anni, secondo varie registrazioni storiche e studi antropologici.

I cittadini Bani Murra sottolineano di essere musulmani ed Arabi, ed hanno poco che li distingua dalle altre tribù beduine a parte il dialetto, che è considerato dall'UNESCO una lingua da salvaguardare.

Mustafa Wahbi Tal, poeta nazionale giordano, immortalò la romantica vita libera dei Dom agli inizi del XX secolo in una serie di  poemi e divenne amico intimo dei Beni Murra - una mutua amicizia che durò tutta la vita.

Conosciuti come abili fabbri e metallurgici, i Bani Murra lavorarono coltelli, spade ed altri utensili per le principali tribù del Regno nel XIX e all'inizio del XX secolo e secondo varie registrazioni storiche ed orali furono tra i primi residenti dell'attuale Amman.

Conosciuti per il loro talento musicale, la comunità ha dato i natali a Abdo Mousa, una delle figure musicali più riverite del Regno, che ha immortalato il folklore e la musica beduine e ha dato alla comunità un nuovo rango.

Sua maestà il precedente re Hussein ha fatto suonare Abdo Mousa per tantissimi dignitari e, vuole la leggenda convocò il musicista all'ultimo minuto quando l'ex segretario USA Henry Kissinger fece una sosta di un paio d'ore ad Amman. Lo racconta Sheikh Fathi Mousa, figlio del musicista e avvocato della comunità.

Nonostante la marcata presenza culturale, i componenti della comunità dicono di dover ancora raggiungere i pieni diritti come Giordani, tenuti indietro dal loro status di "Zingari".

Popolo senza una terra

L'ultimo leader che unificò le 63 tribù Bani Murra fu Saeed Mousa Pasha, poi emiro, tra i primi leader riuniti da re Abdullah I, a seguito della Grande Rivolta Araba e grande sostenitore della comunità durante i regni dei re Talal ed Hussein.

Secondo Rashid Ben Saeed Pasha ed altri anziani Bani Murra, re Hussein nel 1960 offrì a Pasha 1.000 dunum (un milione di m², ndr) in un'area fuori Um Al Jimal, vicino a Mafraq.

Dato che allora il terreno era arido deserto con poche infrastrutture, Saeed Pasha era riluttante a trasferire lì la sua gente.

Tuttavia, negli ultimi 40 anni la condizione dei Bani Murra nella comunità è peggiorata, con i Dom che si sono sparpagliati in tutto il paese, alcuni mantenendo il loro tradizionale stile di vita nomade ed altri combattendo giorno per giorno nel vivere con lo stigma di "Zingari".

"Se ci fossimo spostati ad Um Al Jimal, almeno avremmo avuto una terra da chiamare nostra. Oggi la gente ci vede solo come Zingari," dice Fathi Mousa.

Secondo diverse ricerche accademiche o informali, oltre il 90% dei Bani Murra vive in appartamenti ad Amman, Zarqa, Irbid ed altrove, alcuni anche in grandi ville in quartieri signorili.

Anche le vite di quanti risiedono nelle tende non differiscono dalla media dei Giordani. Abu Salem, la cui famiglia è ritornata nel Regno al tempo della prima guerra del Golfo nel 1991, ha vissuto in una tenda a Qweismeh due decadi e dice di aver tutte le comodità di cui ha bisogno.

Anche se la casa di Abu Salem vista dall'esterno può sembrare come una baracca improvvisata - è assolutamente rifornita con televisione satellitare, un vasto sistema di riscaldamento, gabinetti e persino finestre.

Suo figlio Fares si trova agli internet caffè. gioca a calcio con gli amici, e attualmente si sta preparando ad essere assunto. Come nella maggior parte delle famiglie giordane, il mansaf è il piatto principale alle feste nuziali in cui i giovani ballano il debkeh.

"Preghiamo alla moschea, abbiamo la cittadinanza giordana, perché siamo così differenti?" sottolinea Fares.

Il termine "nawar" [...] è spesso usato per descrivere i Bani Murra ed è diventato una barriera verbale che li tiene lontani dalla partecipare pienamente alla vita di tutti i giorni. Questa barriera, dicono i membri della tribù, non potrebbe essere più evidente che nell'istruzione, dato che molti Dom non completano gli studi a causa delle pressioni economiche e del bullismo scolastico.

Il campione di karate Masatfeh, nonostante gli encomi in classe ed al ginnasio, ora non può permettersi di andare a scuola.

"Quando sei un Zingaro, nessuno crede che avrai successo e tutti aspettano la tua caduta," dice.

Ma, contrariamente agli stereotipi, molti nella comunità dei Bani Murra hanno ottenuto posizioni di rilievo nella società giordana, sottolineano.

"Siamo dottori, avvocati, ingegneri, insegnanti e soldati. Ma la cosa più importante, siamo Giordani fedeli al Regno Hashemita e chiediamo pari diritti," dice Mousa al Jordan Times.

Gap di consapevolezza

I media locali ed internazionali non sono stati amichevoli con i Bani Murra.

Piuttosto che mettere in luce i loro successi, dicono che i giornalisti si focalizzano sulle poche migliaia che vivono nelle tende, contastorie o indovini, mendicanti, nomadi e vittime senza casa, rinforzando i vecchi stereotipi sui Bani Murra. O peggio, aggiungono, ci sono i giornalisti che fotografano quelli che vivono nelle tende, mostrandoli in condizioni "imbarazzanti".

"Disgraziatamente, sembra che molti membri della stampa facciano correre selvaggia la loro immaginazione, quando sentono degli Zingari," dice il dottor Bassem Mousa, urologo all'ospedale Al Bashir.

La più grande sfida per i Dom è la mancanza di consapevolezza che ha portato al razzismo che prevale persino ai livelli ufficiali, col soggetto della reale esistenza dei Bani Murra considerato un tabù.

In un intervista al Jordan Times alla fine dell'anno scorso, un sindaco negava l'esistenza dei Bani Murra nella sua città, nonostante la presenza di un evidente campo dom a meno di un km. dal suo ufficio.

"In questa città c'è solo gente rispettabile. Nessun nawar qui," diceva.

Il figlio dell'ultimo Saeed Pasha dice che senza una rappresentanza politica, i Dom rimarranno "cittadini di terza classe".

Dice che la più alta carica pubblica raggiunta da un membro della comunità è mukhtar, leader comunitario non stipendiato la cui posizione è affiliata alMinistero degli Interni, presso il quartiere a predominanza dom di Hay Al Dabaibeh ad Amman.

Votare per cambiare

Molti Dom giordani ritengono che la risposta ai loro problemi possa risiedere nelle prossime elezioni parlamentari.

Fathi Mousa, tra i importanti rappresentanti della tribù dei Bani Murra, intende candidarsi alla Camera Bassa.

Durante un incontro tribale mensile tenutosi settimana scorsa per organizzare il supporto alle elezioni di Mousa, gli anziani hanno definito "essenziale" l'elezione di un parlamentare per salvare la comunità.

"E' come se avessimo dormito mentre il resto del paese andava avanti. Siamo diventati un popolo invisibile, e questo deve finire," dice Hassan Adnan.

Fathi Mousa si candidò anche alle elezioni del 2003, ma dato che i Bani Murra erano dispersi tra distretti elettorali e governativi, la comunità non riuscì a raccogliere un numero concentrato di elettori per sostenere un candidato al Parlamento.

Mousa richiede alla nuova legge elettorale di includere un seggio per la comunità dom, o di permettere ai membri dei Bani Murra di eleggere un candidato tramite i distretti elettorali, per assicurare la rappresentanza politica.

Non importa il risultato delle prossime elezioni parlamentari, i Dom di Giordania dicono di essere una comunità che il paese non può più permettersi di ignorare.

"Sono stanco di competere solo per i Bani Murra. Voglio che tutti sappiano che competo per la Giordania," dice Masatfeh.

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Di Fabrizio (del 27/04/2010 @ 09:20:38, in Europa, visitato 1948 volte)

Segnalazione di Paolo Ciani

santegidio.org

Su invito della Comunità di Sant'Egidio, il 22 e 23 aprile, a Budapest e a Pannonhalma, in Ungheria, si sono tenute due importanti conferenze della scrittrice austriaca Ceija Stojka, sopravvissuta al porrajmos, l'olocausto dei rom durante la II guerra mondiale.

Il primo incontro ha avuto luogo nel liceo dei benedettini a Pannonhalma, dove la signora Stojka è stata salutata calorosamente anche dall'abate Asztrik Várszegi. Il secondo, nella capitale, è stato organizzato insieme alla Facoltà di Teologia dell'Università Cattolica Pázmány Péter di Budapest e al vescovo ausiliare János Székely, responsabile della pastorale degli zingari nella Conferenza episcopale ungherese.

In entrambe le occasioni, la signora Stojka è stata ascoltata da un pubblico numeroso ed attento, per lo più giovani studenti universitari e liceali.

Ceija Stojka ha raccontato la persecuzione, la sua deportazione e la sua prigionia nei campi di sterminio ad Auschwitz, Ravensbrück e Bergen-Belsen che lei ha vissuto da bambina rom insieme alla sua grande famiglia cui molti membri furono uccisi. Oltre ai fatti narrati in maniera acuta e emozionata, ha offerto anche una riflessione approfondita sull'attualità della sua testimonianza.

"Come mai anche oggi – si è chiesta - all'inizio del nuovo secolo, in paesi europei, gli zingari, solo perché tali, specie bambini ed altri innocenti vengono umiliati, maltrattati e – come è successo in Ungheria - persino uccisi?" Con grande fermezza, ha rivolto un invito al suo pubblico giovane: "Lasciate che i miei nipoti vivano. Anzi aiutateli a vivere. Voi siete il mio manto protettore . Se voi difendete gli zingari, i piccoli, difenderete anche voi stessi. Così diventerete un manto protettore per voi stessi."

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Di Fabrizio (del 28/04/2010 @ 08:55:12, in Italia, visitato 1936 volte)

Segnalazione di Marco Brazzoduro

L'Espresso

La denuncia del Gruppo EveryOne: nel campo di via Triboniano bisogna chiedere un'autorizzazione per invitare esterni. Secondo l'associazione, in città c'è un attacco ai Roma in vista dell'Expo 2015

Il Gruppo EveryOne ha ricevuto un drammatico comunicato da parte degli operatori umanitari che seguono le famiglie Rom di via Triboniano, a Milano. "Le comunità Rom di via Triboniano," recita l'appello, "chiedono aiuto a tutte le forze antirazziste e umanitarie per contrastare gli sfratti ai danni di 5 famiglie 'ree' di aver violato il Patto per la Legalità (voluto dal Comune di Milano con la complicità di alcune associazioni) avendo ospitato nei propri container e roulotte persone (per lo più parenti) non residenti nel campo". Si tratta di un diritto che in Italia è negato solo ai Rom, fra i liberi cittadini. Nel campo di via Triboniano, per esempio, se un bambino invita un amichetto senza avvertire le autorità, la sua famiglia viene espulsa, senza alternative di alloggio né assistenza.

"Questi sfratti cadono a ridosso del preannunciato sgombero dell'intera comunità previsto per il 30 giugno 2010," prosegue il comunicato, "per lasciar posto a uno svincolo legato alla realizzazione dei lavori strutturali per Expo-2015. Chi dimostrerà di avere la necessaria disponibilità economica (leggi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, chimera ormai per i più, a partire dai lavoratori italiani colpiti da centinaia di migliaia di licenziamenti) e soprattutto a chi si sarà dimostrato 'volenteroso' di integrarsi alle regole del campo ("Quelle basate sull'accettazione della persecuzione e sulla disponibilità alla delazione interna," spiega mestamente un internato nel campo, "che sono di fatto negazioni dei minimi diritti della persona") verrà elargito un contributo economico minimo (e temporaneo) per accedere a un'abitazione.

"In parole povere: al 10% delle famiglie residenti verrà concessa la possibilità di abitare in alloggi," prosegue la lettera, "ma senza alcun piano di integrazione o di protezione dal grave fenomeno dell'antiziganismo e dell'esclusione sociale".
(20 aprile 2010)

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