Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:34:43, in Europa, visitato 1939 volte)
Da
Hungarian_Roma
The Huffington Post By Joelle Fiss, Pennoyer Fellow - Combating Hate
Crimes
24/02/2010 - Proprio un anno fa, il 23 febbraio 2009, Robert Csorba, 27 anni di
origine rom, e suo figlio di quasi 5 anni furono colpiti a morte mentre
scappavano dalla loro casa in fiamme a Tatárszentgyörgy [leggi
QUI ndr]. La sparatoria è avvenuta subito dopo mezzanotte. La famiglia
tentava di fuggire dalla sua casa in fiamme, ma nel mentre Robert Csorba e suo
figlio furono colpiti a morte dalle pallottole. La moglie di Robert e altri due
bambini furono seriamente feriti, oltre naturalmente a patire traumi emotivi.
Un anno dopo, quando Human Rights First visitò la famiglia, c'era una
sensazione che queste morti avrebbero potuto essere evitate. Senza dubbio ci
sono stati degli errori: l'ambulanza arrivò più tardi del previsto dopo che
il crimine fu commesso. La polizia ed il personale medico furono lenti nel
riconoscere il motivo dell'incidente che portò alla loro morte. In aggiunta, la
polizia concluse inizialmente che il fuoco era stato causato da un incidente
elettrico. Mancarono di indagare su importanti indizi che li avrebbero portati
rapidamente ai sospetti.
Questo doppio omicidio non è stato un incidente isolato. Violenze simili
hanno colpito la nazione nel 2009, colpendo la comunità rom ungherese di 600.000
membri. Sono stati registrati dozzine di gravi crimini razziali, comprendenti
l'uso di fucili, il lancio di molotov o di severi pestaggi.
Sono stati compiuti progressi nell'affrontare il circolo vizioso della
violenza e le autorità ungheresi hanno preso misure importanti. Quattro sospetti
coinvolti in quelli che vengono chiamati "omicidi seriali" sono stati arrestati
l'agosto scorso. Centinaia di investigatori sono stati mobilitati su questi
casi. Human Rights First spera che inizi presto il processo e che sia pubblico,
così da aiutare a portare un senso di giustizia tra le vittime. Un processo,
aperto e nazionale, porterebbe in primo piano al dibattito pubblico della
questione della violenza razziale contro i Rom. Le conversazioni potrebbero
partire dai politici, esperti sui diritti umani e comunità rom, allo scopo di
evitare violenze simili in futuro. I giornalisti potrebbero discutere su come
evitare di cadere nei soliti luoghi comuni, quando gli incidenti riportati
riguardano i Rom.
Paradossalmente, è incoraggiante il fatto che la polizia abbia recentemente
ammesso che siano stati fatti degli errori. Con questa constatazione, c'è più
possibilità che i responsabili siano disposti a discutere sulle riforme
necessarie alla polizia per evitare il ripetersi degli errori. Qualche
giorno fa - quasi un anno dopo gli omicidi - la polizia nazionale riconobbe che
c'era stata una cattiva condotta da parte sua, in risposta al doppio omicidio di
Tatárszentgyörgy. Come risultato, sono iniziate procedure interne disciplinari
verso due poliziotti per assicurare la responsabilità sulle loro mancanze. Ciò
va in qualche maniera nella direzione intrapresa dal governo, che chiede vengano
messi in atto meccanismi adeguati per rispondere agli abusi polizieschi.
Detto questo, rimane ancora molto da fare.
In primo luogo, l'addestramento della polizia è un punto centrale nel
prevenire violenze a sfondo razziale. Quando questa avviene, la polizia deve
usufruire di una buona formazione nel raccogliere le prove, così che l'indagine
possa definire correttamente la natura del crimine commesso. Effettivamente, se
l'indagine sulla scena del crimine è incompleta e viene ignorato il motivo
razziale, il sistema della giustizia non può assicurare la sua piena
responsabilità.
Quanti sinora si sono occupati degli assassini seriali sono investigatori di
esperienza. Ma la polizia locale è formata adeguatamente nel fare fronte agli
avvenimenti a livello base, agli episodi giornalieri di minacce e piccole
violenze, che non assumono a fama nazionale? La polizia ha bisogno di adattare i
meccanismi di risoluzione dei conflitti ai rispettivi contesti locali. Sarebbe
utile che potessero confrontarsi con le loro controparti di altri paesi per
arrivare a soluzioni creative. A tale proposito, gli Stati Uniti potrebbero
essere di grande aiuto. Allo stesso modo che gli investigatori dell'FBI volarono
a Budapest l'estate scorsa per dare assistenza alla polizia ungherese
nell'identificare gli assassini seriali, potrebbero radicarsi nel futuro anche
altre forme di cooperazione tecnica e di mutui progetti, col supporto del
Dipartimento USA alla Giustizia e del Dipartimento di Stato.
Secondariamente, le autorità ungheresi preposte alla legge dovrebbero
considerare di compiere sforzi concertati per includere più ungheresi di origine
rom nelle unità di polizia [leggi
QUI ndr], per rompere il sentimento cognitivo di "noi contro loro" che
alimenta le tensioni sociali.
Terzo, quando la polizia commette degli errori, le indagini devono essere
effettuate sistematicamente - come nelle deviazione avvenute nel caso degli
omicidi Csorba, cosicché ci sia un senso genuino di responsabilità per coloro
che ritengono che i loro diritti siano stati violati.
Anche più difficile, ma non una sfida meno importante, è trasformare gli
stereotipi anti-Rom profondamente radicati che sono tollerati a molti livelli
all'interno della società ungherese - sia nei circoli privati, sia nell'arena
politica che nei media. Istvan Serto-Radics, sindaco della città di Uszka
- largamente popolata da residenti rom, ha scritto assieme al professor John
Strong di Long Island USA una ricerca, in cui si paragona la difficile
situazione dei Rom nell'attuale Ungheria a quella degli Afroamericani nel
Mississippi della metà degli anni '60 e '70. Descrivendo i modelli psicologici
pregiudicati, dice: "Ci sono diverse ed importanti similarità tra i Rom e gli
Afroamericani... stereotipi simili sono frequentemente usati per descriverli.
Sono entrambi visti come pigri, proni al crimine, inferiori intellettualmente,
emozionalmente immaturi, anche se dotati nella musica". In aggiunta, i problemi
strutturali degli alti tassi di disoccupazione, le aree abitative ghettizzate,
la discriminazione nella sanità e nell'istruzione, come pure i rapporti tesi con
la polizia, sono tutti gli altri fattori che determinano le rassomiglianze
storiche. Malgrado ciò, ci sono differenze significative; per esempio la
comunità rom non ha mai lottato per acquisire il diritto di voto - partecipano
persino attivamente alle elezioni.
Come si inserisce questo turbolento contesto sociale nelle imminenti elezioni
nazionali che si terranno ad aprile? Il neofascista partito Jobbik è in buona
posizione per ottenere una generosa massa di voti. La sua agenda politica è
semplice: militaristica. A parte i crudi discorsi razzisti contro gli Ebrei,
chiama all'uso dell'esercito per agire contro i Rom per "restaurare l'ordine" e
combattere "il crimine zingaro". La "criminalità zingara" è una nozione
problematica filtrata tristemente nel discorso pubblico come concetto
tradizionale. Tuttavia, il pubblico sembra afferrarla intuitivamente, mentre il
capire l'effetto della violenza razzista è meno condiviso e non sempre
accettato. Invero è un problema di micro-criminalità che colpisce una corda
sensibile di molti Ungheresi. Tuttavia, l'oltraggio pubblico è ben più forte se
un Rom è beccato a rubare, piuttosto di quando viene colpito a morte. La
risposta della polizia può riflettere questo, mentre gli attacchi razzisti
contro i Rom possono essere benzina gettata sui crimini di cui sono gli
esecutori.
I membri della Guardia Ungherese, l'ala paramilitare di Jobbik, sfruttano le
legittime paure del crimine. Sono conosciuti per vagare intorno ai villaggi
popolati da Rom intimidendoli con violente minacce o aggredendoli. Infatti, Tatárszentgyörgy
è uno dei primi posti dove hanno cominciato sfilare dalla loro creazione
nell'agosto 2007.
Ecco allora un suggerimento a tutti i democratici in Ungheria che seriamente
combattono l'ascesa dell'estremismo nel loro paese mentre incombe la campagna
elettorale. Se i cittadini ungheresi si sentissero protetti ugualmente dallo
stato, ci sarebbe una migliore probabilità porre freno l'estremismo. Gli
elettori di Jobbik [...] stanno rivolgendosi ai bulli neonazisti in cerca di più
sicurezza. Nel contempo, i componenti della comunità rom hanno paura di essere
insultati, minacciati o assaltati per strada: è tempo che i politici
responsabili - e quanti formano l'opinione pubblica - parlino apertamente contro
il razzismo, così come lo fanno contro il crimine. E' tempo di essere sicuri che
non esiste crimine pari al rubare le vite di
Robert Csorba e del suo piccolo figlio.
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Di Fabrizio (del 01/03/2010 @ 09:42:23, in Italia, visitato 2527 volte)
Segnalazione di Agostino Rota Martir
PisaNotizie Sarebbe stato un corto circuito elettrico a generare le fiamme che hanno
distrutto le abitazioni dove vivono 16 persone di cui 10 minori. Fortunatamente
non vi è stato alcun ferito. “Abbiamo perso tutto: vestiti, libri di scuola,
documenti, i nostri risparmi, mentre le case che sono state costruite rimangono
ancora chiuse”. Domattina un incontro presso la Società della Salute tra le
famiglie e l'assessore alle politiche sociali Ciccone, per affrontare
l'emergenza. [...]
Nella notte tra venerdì e sabato intorno alle 3 della mattina è divampato un
terribile incendio in una delle "baracche" del Campo di Coltano e da qui
rapidamente si è propagato distruggendone altre due che si trovavano accanto. Le
fiamme sono state innescate da un corto circuito elettrico e poi velocemente
hanno avvolto le abitazioni.
Per fortuna uno degli abitanti ha sentito un rumore, all'inizio scambiandolo per
la pioggia, poi subito dopo l'odore di bruciato. L'uomo si è alzato dal letto
dove dormiva con la famiglia e ha visto una delle stanze completamente a fuoco.
L'allarme è stato immediato, i genitori e i ragazzi più grandi hanno portato
subito i bambini più piccoli fuori dalle baracche. Uno dei capi famiglia, ha
avuto la prontezza di chiudere le bombole del gas attaccate alla cucina che non
sono esplose.
"E' stata una questione di pochi minuti - ci raccontano ancora sotto schock le
famiglie - non siamo riusciti a prendere niente, solo a portare via i bambini".
"Abbiamo perso tutto - racconta una delle bambine - tutti i nostri vestiti, i
libri e quaderni di scuola sono andati bruciati. E ora che cosa facciamo? E'
stata veramente tanta la paura".
Si tratta complessivamente di 16 persone di cui 10 minori che ora non hanno un
tetto: "Anche i nostri risparmi che tenevamo nella baracca sono andati bruciati.
Non abbiamo avuto la possibilità neanche di prendere i nostri documenti di
identità, i nostri passaporti, che per noi sono un bene preziosissimo".
"Io è dodici anni - ci spiega uno dei signori che vive in una delle baracche
bruciate - che vivo qui. Questa notte potevamo morire, e un simile incidente si
può anche ripetere, e non è una cosa giusta".
Ancora nella tarda mattinata dalle macerie esce il fumo, e l'odore delle
plastiche e degli altri materiali bruciati dal fuoco ti entra nella gola
provocando un notevole fastidio. I vigili del fuoco sono intervenuti sul posto
per spegnere le fiamme, ora la zona è da bonificare e c'è da trovare una
soluzione di emergenza per queste famiglie che non hanno un tetto.
"Stiamo cercando una ditta - spiega uno dei tecnici della Società della Salute
che abbiamo trovato sul posto - che invii nella giornata di oggi una ruspa per
rimuovere le macerie, e attendiamo risposte dalla Croce Rossa per avere delle
strutture mobili dove poter alloggiare queste famiglie. E domattina presso la
Società della Salute l'assessore Ciccone comunque incontrerà queste persone per
affrontare l'emergenza".
Domenica 28 febbraio le famiglie si recheranno, quindi, in via Saragat alla sede
della Società della Salute e avanzeranno le loro richieste: " Chiediamo un
container, una roulotte dove poter far stare le nostre famiglie. Ma qui il
problema è più grosso: cosa aspettano a darci le case che sono pronte? Manca
solo la luce elettrica. Aspettano che muoia qualcuno qui prima di farci entrare
dentro quelle case?"
Le case di Coltano potranno ospitare 17 famiglie, ma i nuclei familiari presenti
nel campo sono 23 e le abitazioni sono fatte di due o tre vani mentre nella
maggior parte dei casi siamo di fronte a nuclei familiari molto numerosi. Negli
scorsi mesi è stata attivata dalla Società della Salute una commissione che sta
valutando le posizioni di ogni singola famiglia e i requisiti per accedere o
meno a queste abitazioni. "Entro la primavera dovremmo essere in grado di
assegnare le case - spiegano dalla Società della Salute - visto che ancora
occorre ultimare alcuni passaggi. La prossima settimana dovrebbe essere fatto
l'atto di cessione dell'area dall'Università al Comune e poi l'Enel potrà
iniziare i lavori per portare la corrente elettrica. Nel frattempo la
Commissione completerà il suo lavoro".
La rabbia di queste famiglie però è grande: questa notte hanno perso tutto in un
incendio, e il loro futuro è incerto, mentre accanto a loro continuano a vedere
delle case che rimangono chiuse.
Di Fabrizio (del 01/03/2010 @ 09:54:18, in Regole, visitato 1889 volte)
Da
Roma_Francais
Romandie.news Gli Zigani vogliono investire il Consiglio costituzionale contro le
discriminazioni
Parigi, 25/02/2010 - L'Unione Francese delle Associazioni Zigane (UFAT),
tramite l'avvocato Henri Braun, intende essere una delle prime associazioni ad
utilizzare il nuovo diritto di giudizio di consultare il Consiglio
costituzionale per chiedere che cessino le "discriminazioni legali" contro gli
Zigani.
A partire da il 1° marzo, instaurando la riforma la "questione
prioritaria di costituzionalità" permetterà ai giudicabili di contestare una
disposizione legislativa già applicata, se pregiudica i diritti e libertà
garantiti dalla costituzione.
"Intendiamo attaccare dinanzi al Consiglio costituzionale l'assieme delle
leggi discriminatorie riguardanti gli Zigani, come quella del 1969, che ha
instaurato i carnet di circolazione per cui la gens du voyage è
obbligata a collegarsi ad un comune ed il fatto che per potere iscriversi negli
elenchi elettorali, una persona deve essere collegata ad un comune per tre
anni", ha spiegato dott. Braun all'AFP.
L'UFAT, dopo l'espulsione recente di Rom da un terreno privato che
occupavano, contesta in particolare il ricorso alla legge per imporre alla gens du voyage
di installarsi su un terreno previsto a La Courneuve.
"Lunedì 1 marzo alle 00:01, invierò via fax la mia richiesta alla Corte
amministrativa d'appello di Versailles, prima tappa obbligatoria per investire
il Consiglio costituzionale, per fare annullare gli articoli 9 e 9-1 previsti
dalla legge del 5 marzo 2007, detta di prevenzione della delinquenza, che sono
stati applicati dal sotto-prefetto di Saint-Denis ed il sindaco di La Courneuve
per espellere i Rom rumeni che non sono affatto gens du voyage", ha
confidato l'avvocato.
La legge impone ai grandi comuni la creazione di superfici collettive
d'accoglienza per gli itineranti: i due articoli permettono l'espulsione della
gens du voyage che verrebbe ad occupare un terreno privato quando è stata
realizzata una superficie d'accoglienza.
Il dott. Braun fa valere che “i Rom sono arrivati nei Balcani bel XIII
secolo, dove sono stati schiavi sino al 1848: si sono sedentarizzati da tempo, è
dunque su un criterio razziale implicito, il fatto che sia gli zigani che i Roum
occupanti di La Courneuve sono stati espulsi".
L'UFAT chiama ad una manifestazione per l'uguaglianza dei diritti dinanzi al
Castello di Versailles il 1° marzo con caravan e musicisti durante la quale "le
galline volate nei secoli saranno restituite", ha annunciato un portavoce,
Christophe Daumas.
(©AFP/25 febbraio 2010 16:44)
segnalazione di Sandro Luciani
Presente a Roma in occasione dell’incontro Europeo organizzato dal Pontificio
Consiglio per la Pastorale dei Migranti, l’Orchestra ungherese “Rajko
Orchestra”, si esibirà la sera del 2 Marzo nella Basilica di Santa Maria in
Trastevere. L’orchestra nota al livello internazionale – ha realizzato
esibizioni in India, Australia e Indonesia – è nota per declinare gli incalzanti
ritmi della musica zingara con le melodie dell’Est Europa.
Il concerto sarà anche un’occasione per conoscere e approfondire uno degli
aspetti più significativi della tradizione culturale zingara.
Concerto della Rajko Orchestra
Martedì 2 marzo 2010
alle ore 18.00
Basilica di Santa Maria in Trastevere
Piazza S. Maria in Trastevere
Roma
Inserendosi nella grande tradizione della musica Tzigana la Rajko Orchestra
presenterà un vasto repertorio musicale valorizzando gli strumenti classici di
questa tradizione: violini, viole, contrabbassi, pianoforti.
Di Fabrizio (del 02/03/2010 @ 09:46:19, in Italia, visitato 2928 volte)
Segnalazione di Eugenio Viceconte (che consiglia di leggere
anche i molti commenti - quelli non li traduco)
Gypsies at the peak
Posted by
Ugo Bardi
on February 25, 2010 - 10:20am in
The Oil Drum:
Europe
I Rom (o Rrom) d'Italia sono probabilmente la più povera frazione dei
residenti nel paese. Normalmente vivono in campi segregati, in roulotte o in
ripari autocostruiti. Soltanto la metà dei 150.000 Rom in Italia sono
cittadini italiani; nella maggior parte dei casi, non hanno un lavoro
stabile e vivono un'esistenza molto precaria, obiettivi di aperto razzismo.
L'immagine di sopra, da
Excite Magazine, mostra il campo rom nella periferia di Napoli, a
Ponticelli, com'era prima di essere bruciato al suolo da una folla
inferocita nel 2008.
Eccomi qui, di fronte all'intera classe. Donne e uomini rom, circa 20
persone; tutti arrivano dal medesimo campo, qui vicino. Sono tra la fine dei 20
e l'inizio dei 30 anni, e sono vestiti per l'occasione. Non che possano
permettersi vestiti costosi, naturalmente, ma gli uomini spiccano nel loro
abbigliamento informale. Alle donne piace vestire in colori brillanti. Indossano
la quasi obbligatoria gonna lunga, così come gli orecchini e le collane.
Sembrano molto contente di aver trovato un modo per evadere dalla routine del
campo, dove passano il tempo cucinando e badando ai bambini piccoli.
Nei mesi scorsi, un gruppo di insegnanti ha tenuto alcune audizioni a questo
gruppo, come parte di un'iniziativa del governo della regione. L'idea era di
aiutarli ad ottenere abilità che potessero essere loro utili per trovare un
lavoro ed integrarsi meglio nella società. Così, gli abbiamo detto come
adoperare una cooperativa, o le finanze personali, della sicurezza sul posto di
lavoro, della raccolta e del riciclo dei rifiuti, di agricoltura integrata, come
navigare nel web e molto altro. Hanno assorbito con facilità molto di quanto gli
abbiamo detto. Dopo averli visti ascoltare attentamente due ore di lezione sul
ciclo del carbone biologico e porre in seguito domande intelligenti, ero
rimasto impressionato. Così, mi sono detto, perché non il picco del petrolio? Ed
eccomi qui.
Raccontare alla gente del picco del petrolio sottintende approcci differenti
a seconda dell'interlocutore. Capii molto tempo fa che la maggior parte delle
persone non sa leggere nemmeno un semplice grafico cartesiano. I grafici sono un
linguaggio e non l'hanno mai imparato. Se mostrassi loro una curva a
campana, vedrebbero una collina o qualche tipo di montagna. Capiranno che è
difficile da scalare e facile da discendere. Non è il modo in cui il picco del
petrolio dev'essere inteso.
I Rom a cui avrei dovuto parlare erano al punto estremo dello spettro nei
termini di cultura. Nessuno degli uomini era andato oltre la terza o la quarta
elementare; la maggior parte delle donne non era mai andata a scuola. Gli uomini
in qualche maniera sapevano leggere, ma raramente sapevano scrivere, le donne
non sapevano né leggere né scrivere. Non leggono giornali o non guardano le
notizie alla TV. Amano i film e passano molto del tempo a chiacchierare. E' da
queste fonti che attingono la maggior parte di quanto sanno. Sarebbe stata una
buona idea spiegargli il picco del petrolio?
La comunicazione non è mai a senso unico. Se voglio che mi capiscano, devo a
mia volta capirli. Così, per questa chiacchierata, ho sviluppato una versione
estrema della presentazione che darò, sapendo che le persone che mi ascolteranno
non sono ai livelli più alti in termine di letteratura scientifica. E' tutta
basata su vivide immagini mostrate sullo schermo, fotografie di pozzi di
petrolio, ad esempio. Nessun grafico, nessun testo e nessuna cifra. Devo contare
sulla mia voce, sulla mia abilità di catturare la loro attenzione.
Così, dico loro del picco del petrolio basato sull'esempio di una persona.
Quando nascemmo, dico, eravamo molto piccoli, ma col tempo siamo cresciuti e
possiamo fare più cose. Ma tra l'altro invecchiamo. Col tempo, possiamo fare
sempre di meno ed, infine, dobbiamo morire. In un certo senso, continuo, col
petrolio è la stessa cosa. Quando il petrolio è giovane, ce n'è tanto.
Invecchiando, lo usiamo e ce n'è sempre meno. Dobbiamo lavorare di più per
poterlo adoperare. E' lo stesso per molte cose che fate - non vi siete accorti
che dovete fare più fatica? Mi guardano e annuiscono. Hanno capito il concetto.
Da qui in avanti, mostro fotografie di campi di petrolio, di
raffinerie, di silos e tutto quanto relativo al petrolio. Spiego che la benzina
per le loro macchine viene dal greggio (lo sapevano, ma vagamente). Dico che le
gomme delle loro macchine pure sono fatte dal greggio (non lo sapevano, e ciò li
impressiona). Ho detto loro che occorre il petrolio per alimentare i camion che
portano il cibo ai supermarket. Questo ha impressionato le donne; sono loro che
si incaricano di preparare il cibo per la famiglia.
Quando parlo ai gadje (i non-Rom) c'è sempre almeno uno del pubblico che si
addormenta durante la spiegazione o che chiaramente non ascolta. Ma i Rom sono
tutti svegli ed ascoltano. Il messaggio sta passando, posso accorgermene. Gli
parlo del futuro, di cosa ci aspetta quando ci sarà meno petrolio disponibile.
Ci saranno meno lavoro, meno opportunità, meno denaro e meno cibo. Anche
l'assistenza sociale, su cui molti di loro contano per la sopravvivenza, potrà
sparire. Saranno tempi duri per tutti. Capiscono perfettamente il problema.
Ricordano da dove provengono - l'ex Jugoslavia. Sono abituati ai tempi duri.
A fine chiacchierata, mi fanno delle domande. Quanto costerà la benzina? Dico
loro che sicuramente sarà più cara, ma forse che non è quello il problema. Il
vero problema sarà trovarla. Lunghe file ai benzinai, molto probabilmente.
Capiscono la questione: apparentemente le cose erano simili nell'ex Jugoslavia.
Mi chiedono qual è il tipo migliore di macchina da comperare ed usare. So che
non esiste una Mercedes che un Rom non vorrebbe, e quando gli rispondo che
dovrebbero comperare una macchina economica che consuma poco, non sono contenti.
Mi chiedono cosa dovrebbero fare. Dico che dovrebbero provare ad adattarsi ed
essere flessibili. Annuiscono; è una strategia che conoscono molto bene. Alla
fine, mi chiedono se nel 2012 ci sarà la fine del mondo. Rido, ridono anche
loro. Ma sembrano sollevati: erano un po' preoccupati.
Nei giorni che seguirono, indagai con i lavoratori sociali e con i Rom
stessi. Qual era stato l'impatto della mia chiacchierata? Tutti mi dissero che
se ne era discusso; che erano rimasti impressionati. Ma non mi aspettavo che
succedesse niente ed, infatti, quello fu il risultato. Non è cambiato niente
nella vita del campo.
Quando si presente il picco del petrolio a qualcuno della classe media, la
reazione può essere di diniego o mobilitazione. Ma raramente si vede gente che
lo ha capito e rimane indifferente. Ci sono delle buone ragioni. Se sei della
classe media, intravedi chiaramente come il picco del petrolio possa
riguardarti. Dipendi da un salario e, se il tuo lavoro svanisce a causa del
picco del petrolio, sarai in grave difficoltà. Devi pagare l'ipoteca, il piano
di assicurazione sanitaria, l'istruzione per i bambini, e tutto il resto. Il
picco del petrolio può distruggerti. Ma, come persona di classe media, puoi
pensare a prepararti, che hai risorse di riserva per fare qualcosa.
Probabilmente è una cattiva percezione ma può portarti a fare cose come
installare pannelli solari, isolare la tua casa, comprare una macchina più
piccola, questo tipo di cose. Se, invece, pensi di non avere queste risorse, o
non vuoi adoperarle, la tua reazione probabilmente sarà di allontanare il prima
possibile questo concetto dalla tua coscienza.
Ma pensate alla vostra situazione se voi foste Rom. Non avete un lavoro
stabile; così non potete perderlo. Non possedete una casa, così non potete
essere sfrattati. Nessuno vi darà credito, così non sarete mai in debito. Non
avete un piano di pensionamento, così contate sui vostri figli per quando sarete
vecchi. Dipendete dal welfare, sicuro, ma sapete anche vivere con poco. Infine,
vivete in una comunità chiusa, formata da clan familiari. Litigate con vicini e
parenti per tutto il tempo ma sapete che in una situazione difficile, se possono
vi aiuteranno.
Il picco del petrolio colpirà i Rom, proprio come noi, ma loro hanno
l'opportunità di essere abituati a combattere per sopravvivere. In una certa
maniera, sono già oltre il picco.
Qualche giorno dopo il mio discorso sul picco del petrolio, un Rom del
campo, uno degli uomini sposati, mi ha detto così:
Vede, professore, penso che lei avesse ragione con quella lezione. Sì, ci
ha detto che le cose non andranno così bene come prima. Giusto, anche noi
l'abbiamo visto. E' quel che sta succedendo. Sa, mi ricordo quando arrivammo
qui dalla Jugoslavia. Ero un bambino,; avevo 10 anni ma me lo ricordo bene.
Qui allora era differente. Vedevamo molto benessere luci e macchine e case e
roba nei supermercati. Proprio così, non avevamo mai visto nulla di simile.
In Jugoslavia c'era niente. E così, eravamo molto felici, ma penso che
facemmo un grosso errore. Sa, mi ricordo mio nonno. Era un uomo buono,
lavorava il metallo, riparava pentole e bacinelle e affilava i coltelli.
Così mi disse che dovevo imparare il suo lavoro; ma io non volevo. Ero molto
giovane, forse non ero raffinato ma, vede, professore, penso che tutti
facemmo lo stesso errore. Molti degli anziani sapevano fare cose, come
cantare o suonare, comprare e vendere cavalli. Ma noi ora non lo sappiamo
più. Vedemmo qui tutto questo benessere, e pensammo che non c'era più
bisogno di lavorare duro. Se c'era tutto quel ben di dio; perché non
potevamo averne un po' anche noi? Non volevamo essere ricchi, ne volevamo
solo un po' - abbastanza da vivere in pace. E pensammo che sarebbe durato
per sempre. Ma, lei ha ragione professore, non durerà per sempre. E ora
siamo nei guai.
Lo trovo impeccabile. Non è lo stesso errore che noi facciamo col greggio?
Di Fabrizio (del 02/03/2010 @ 09:47:47, in Italia, visitato 1749 volte)
Segnalazione di Maria Grazia Dicati
19.02.2010 E' sulla Gazzetta Ufficiale il progetto realizzato dal
Dipartimento per le libertà civili e immigrazione per favorire il processo di
integrazione della comunità rom
Accrescere le competenze degli assistenti sociali e funzionari di prefetture ed
enti locali che si occupano di problematiche sociali sulla comprensione del
fenomeno dei Rom, sulla loro storia e cultura ma anche su quegli aspetti
collegati quali assistenza socio-sanitaria, sicurezza, scolarità dei minori,
legalità.
Sono alcuni degli obiettivi del progetto del Dipartimento libertà civili e
immigrazione-Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le
minoranze-Area Minoranze storiche e nuove minoranze rivolto alle 4 Regioni
dell'Obiettivo Convergenza (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia) e, al cui
interno, sono state individuate, sulla base dei monitoraggi effettuati 14
province: Napoli, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Bari,
Lecce, Foggia, Agrigento, Catania, Palermo, Siracusa e Messina.
Il progetto, il cui costo è di 936.720,00 euro, prevede la realizzazione di
corsi di formazione rivolti a funzionari di Prefettura, con la collaborazione
degli assistenti sociali del ministero dell'Interno, degli enti locali, nonché
rappresentanti dell’associazionismo e mediatori culturali rom. Si intende in
questo modo promuovere lo sviluppo di relazioni tra istituzioni, in particolare
prefetture, enti locali e realtà dell’associazionismo, favorendo anche
l’acquisizione di 'buone prassi', che possano sostenere il processo di
integrazione della comunità rom.
Il bando è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - 5ª Serie Speciale - Contratti
Pubblici n. 20 del 19 febbraio 2010.
Segnalazione di Cristina Seynabou Sebastiani
Repubblica.it A Jovica Jovic un permesso provvisorio dopo la denuncia di Repubblica
di Luca De Vito
Jovica Jovic
Niente più decreto di espulsione per Jovica Jovic, il fisarmonicista rom di fama
internazionale fino a poco tempo fa costretto a vivere da clandestino. Dopo che
il caso è stato denunciato da "Repubblica" la questura di Roma ha deciso di
annullare il decreto e di consegnare a Jovic un permesso provvisorio in attesa
di studiare la possibilità di rilasciargliene uno definitivo, garantendogli
l´opportunità di spostarsi in Europa (alcuni dei suoi figli vivono in Austria e
in Inghilterra).
Lui, ora, è felicissimo: «Finalmente non devo più nascondermi». Con Jovic
esultano i membri dell´associazione Terra del Fuoco, dove lui ogni mercoledì
insegna fisarmonica cromatica: «È un ottimo risultato - dice Mauro Poletti - ma
speriamo con sviluppi positivi: il maestro merita un permesso definitivo».
IL CASO
Il musicista in fuga
Nato in Serbia nel 1953 da genitori rom, Jovic si è trasferito in Italia nel
1971. Nella sua carriera è salito sui palchi con artisti come Piero Pelù, Moni
Ovadia e Vinicio Capossela. Con la sua famiglia ha vissuto a Rho nel campo
nomadi di via Sesia fino al 2007, quando è iniziato il suo calvario. Bloccato
all´aeroporto di Roma a causa di un visto non rinnovato è stato rinchiuso in un
Cpt, da cui è uscito solo per le sue precarie condizioni di salute e con un
decreto di espulsione.
Da quel momento è iniziata una doppia vita: artista in appuntamenti ufficiali da
una parte (come quelli al binario 21 nella Giornata della Memoria), clandestino
dall´altra. Dopo il servizio su Repubblica, associazioni e personalità si sono
mosse in suo aiuto. Da Moni Ovadia a don Gino Rigoldi - che ha pure celebrato il
battesimo di Sanela, nuora del musicista - in molti hanno chiesto un intervento
delle istituzioni. Venerdì, dopo l´interessamento del ministero dell´Interno, la
revoca dell´espulsione. E la fine di un incubo per Jovic.
(02 marzo 2010)
Di Daniele (del 03/03/2010 @ 09:48:52, in Europa, visitato 2165 volte)
Sotto il ponte
OsservatorioBalcani 02.03.2010 Da Belgrado, scrive Cecilia Ferrara
E' uno dei ponti principali di Belgrado e ora sta cedendo. La storia del
ponte Gazela, dei finanziamenti europei per ricostruirlo e soprattutto delle 175
famiglie rom che per anni vi hanno vissuto proprio sotto. Un reportage
Scena 1: Belgrado, 28 gennaio 2009. Il ponte Gazela è chiuso al
traffico merci, sono stati scoperti cedimenti nelle travi portanti. Qualsiasi
mezzo a 4 ruote evita il ponte e la città si blocca. Il “Gazela most” è
l’arteria cittadina che porta a Novi Beograd ma anche un tratto dell’autostrada
che porta a Niš, la E70/E75, attualmente una porzione del Corridoio 10. Vi
passano oltre 150 mila veicoli al giorno mentre, secondo il progetto iniziale,
la capacità era di soli 40mila veicoli.
Il giorno successivo al blocco il ministro delle Infrastrutture, Milutin
Mrkonjić, rassicura i cittadini che il ponte è sicuro e che i lavori di
ripristino termineranno in pochi giorni: "Si prega di non aumentare la tensione,
il ponte non crollerà”.
Nel 2007 è stato firmato un progetto dalla Banca Europea per la ricostruzione (BERD)
e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) per la ristrutturazione del
ponte ma, secondo le dichiarazioni di Mrkonjić e del sindaco di Belgrado Dragan
Đilas, il prestito non arriva perché la BERD non è soddisfatta del progetto di
ricollocamento delle famiglie rom che vivevano in un insediamento proprio sotto
il ponte.
Il sindaco è infuriato: “Non è una donazione - tuona - ma un prestito e se le
condizioni sono queste non le accettiamo”. Đilas proprio non si capacita che
tutto il lavoro fatto non gli venga riconosciuto: “Non ci possono chiedere -
dice - di avere standard più alti di quelli europei. Il sindaco di Roma 4 giorni
fa ha sgomberato dei rom mandandoli a 50 km dal centro città e nessuno di loro
certo ne era entusiasta”.
Dopo due settimane di trattative serrate arriva lo sblocco del finanziamento.
“La BERD ha condotto accurate valutazioni sul ricollocamento delle famiglie -
dice la banca in un comunicato – con la conclusione che nonostante ci siano
buoni risultati rimangono ancora problemi di enorme portata”. Il fondo sarà
comunque erogato “in via del tutto eccezionale”.
Scena 2: Ada Ciganlija è il lago artificiale di Belgrado, dove d’estate i
belgradesi vengono a rilassarsi sui lettini dei bar della spiaggia o a
sfrecciare in roller e bicicletta. Sul lato interno di Ada vi è un ampio spiazzo
con circa 30 container. Vi abitano alcune delle 175 famiglie che vivevano sotto
il ponte Gazela, principalmente rifugiati dal Kosovo.
Foto di Isabella Mancini
Appena entriamo nel campo arrivano gruppi di bambini che fanno domande,
chiedono aiuto e in generale ti prendono platealmente in giro. Cerchiamo di
chiedere come stanno qui rispetto a prima. I bambini dicono che qui vanno a
scuola e hanno i container ma a Gazela era meglio perché c’erano più bambini e
quindi più amici. Incontriamo la famiglia di V. che ha lavorato in Italia per
oltre 10 anni, per poi rientrare per sposarsi a Pristina proprio nel 1999 e di
conseguenza poco dopo tempo obbligato a fuggire per la guerra. Il container ha
due stanze, una riscaldata dove dorme e mangia tutta la famiglia (moglie, 2
bambine e 3 bambini) e l’altra adibita ad ingresso.
“Certo la sistemazione è migliore, però la condizione della mia famiglia è
peggiorata – dice V. - a Gazela lavoravo anche senza documenti, raccoglievo
cartone e potevamo andare alla chiusura del mercato a raccogliere il cibo che
veniva buttato via. Qui siamo troppo lontani dalla città e non abbiamo da
mangiare tutti i giorni. Se riuscissi a cambiare la residenza da Pristina potrei
avere un lavoro ma essendo di Pristina devo andare a Niš per fare le pratiche
per tutta la famiglia e non ho i soldi per il viaggio e i documenti”.
Gazela era un insediamento illegale di rom, era in quella posizione dagli anni
‘80 e si è ampliato sempre di più in seguito alle guerre con l'arrivo di
rifugiati rom da Bosnia e Croazia e sfollati dal Kosovo, ma anche con famiglie
delle campagne che, impoverite da anni di crisi economica, si sono mosse verso
la città. Proprio questo campo rom situato in una zona centralissima dove sono
collocati il centro congressi Sava Center, l'Hotel Intercontinental e lo Hayatt
- quindi un’importante vetrina per la città - era “il problema” per ogni
amministrazione di Belgrado finché lo scorso 31 agosto sono arrivate le ruspe e
i ricollocamenti delle 175 famiglie che lì vivevano, 61 a Belgrado e il resto in
altre zone della Serbia.
Ad aver creato il collegamento tra le vicende di finanziamento della
ristrutturazione del ponte e futuro delle famiglie rom che vi vivevano è stato
Zvezdan Kalmar di "CEE Bank Watch” un'Ong che monitora gli investimenti
finanziari nei paesi dell’Europa centro-orientale. Non si occupano di rom, ma
dell’impatto ambientale dei grandi progetti infrastrutturali della BERD, della
BEI e di altre istituzioni finanziarie: in questo caso l’impatto era su un
insediamento rom. Bank Watch, tramite un blog (http://outofsight.tv), ha
iniziato a monitorare i nuovi insediamenti di Belgrado dove vivono persone
provenienti da Gazela: Mladenovac (50 km dalla città), Barajevo (30km), Rakovica
e Makis.
“Nel progetto erano previsti 2 milioni di euro della Commissione europea per
assistere il ricollocamento dei rom – dice Kalmar – ma c’era bisogno di un
"Piano di ricollocamento" che la città e il ministero per il Lavoro e gli Affari
sociali avrebbero dovuto realizzare. Ci sono dei precisi criteri internazionali
per le “ricollocazioni involontarie” che non sono stati seguiti. Non dubito che
per certi aspetti le famiglie stiano meglio ora, ma vi sono ancora problemi, ad
esempio per procurare a questa gente i documenti di cui hanno bisogno”.
Per ora le famiglie ricollocate in varie aree attorno a Belgrado potranno
risiedere per cinque anni nei nuovi insediamenti e dovrebbero riuscire quindi ad
ottenere una residenza, requisito fondamentale per tante pratiche burocratiche:
dalla riscossione di un assegno sociale all’iscrizione al servizio sanitario
pubblico. “A Belgrado ci sono circa 140 ghetti abitati da rom, il ricollocamento
di quello di Gazela avrebbe potuto essere un modello da riproporre, ma
l’occasione è stata sprecata”, aggiunge Kalmar.
“Non esiste una stima precisa dei rom presenti in Serbia. Nell’ultimo censimento
ufficiale si parla di 108mila, ma è un numero che si discosta molto dalle cifre
indicate dalle Ong che arrivano fino a 3-450mila - afferma Giulia di Cristo
antropologa che sta conducendo uno studio sulle identità territoriali dei rom
nei Balcani in collaborazione con l’Università "La Sapienza" di Roma – tra
questi vi sono circa 22.000 sfollati dal Kosovo, ma ad esempio l’UNHCR stima che
ci siano altri 23 mila rom fuggiti dal Kosovo che non si sono potuti registrare.
Ancora più difficile invece stabilire quanti siano i rom tra i rifugiati di
Bosnia, Croazia e Macedonia”.
“La Serbia partecipa alla Decade Rom, un piano di azione del Consiglio d’Europa
volto a ridurre gli svantaggi sociali della popolazione rom, ma fra i paesi che
partecipano a questo progetto è il quello con più difficoltà”, aggiunge la
ricercatrice. “Nel 2008/2009 la Serbia ha presieduto la Decade e tra le sue
priorità vi era l'educazione. Il 40-50% dei bambini rom infatti viene mandato in
scuole per alunni con bisogni speciali pur non avendo difficoltà reali di
apprendimento, mentre nelle scuole pubbliche non c’è un concreto sostegno per i
rom. Sono stati fatti dei piccoli progetti di inclusione, dalla formazione di
insegnanti rom alla preparazione di un manuale sulla loro cultura, ma spesso non
si sono trovati i fondi per proseguirli”, conclude l’antropologa.
Nei prossimi anni è probabile ci si trovi di fronte a nuove problematiche. La
Serbia ha sottoscritto un programma d'azione che deriva da un accordo
internazionale per la riammissione dei cittadini espulsi dai paesi europei nei
paesi di origine. Potrebbe quindi avvenire che di alcune famiglie che il sindaco
Alemanno ha sgomberato da Roma se ne dovrà ora prender carico Dragan Đilas,
sindaco della capitale serba.
Di Fabrizio (del 04/03/2010 @ 09:03:15, in scuola, visitato 1800 volte)
Segnalazione di Gabriel Segura
HOI.es I gitani più universitari
Guadalupe Fernández e Antonio Vázquez frequentano un master in Navarra
27.02.10 - 00:25 - M. ÁNGELES MORCILLO | MÉRIDA.
Donna, gitana e frequenta un master. Sino a qualche anno fa, queste tre
condizioni in una sola persona era qualcosa di impensabile. Nell'attualità, non
è soltanto qualcosa di reale, ma, inoltre, la donna viene dalla frontiera.
Guadalupe Fernández vive a Mérida. Ha 32 anni, è madre di due figli e, da anni,
lavora con la comunità gitana dell'Estremadura. Attualmente lo fa tramite la Fundación
Secretariado Gitano. Diplomata in magistero si è impegnata, assieme al suo
compagno
Antonio Vázquez, a laurearsi in un master dell'Università Pubblica di Navarra.
Guadalupe Fernández e Antonio Vázquez, sul loro posto di lavoro ::
BRÍGIDO
Quando finiranno il corso, a maggio, otterranno il titolo di esperti in
Intervento Sociale con la Comunità Gitana. Sarà l'equivalente di una
certificazione accademica per alunni che non contino studi medi. Per quanti
abbiano già un diploma o una laurea, equivarrebbe al titolo di specialista.
Prima dovranno preparare un lavoro finale ed assisteranno ad una sessione in
Navarra. Qui avranno la possibilità di conoscere di persona tutti i loro
compagni di master. Il master sarà certificato con un totale di 30 crediti, 28
di formazione "online" e gli altri due di presenza ai seminari.
Fernández assicura che per loro due è molto importante, non solo il titolo, ma
anche il contenuto del master. "Questo significa che si sta professionalizzando
il lavoro con i gitani. Credo che sia necessaria una specializzazione per
lavorare con questa comunità, perché è un tema complicato e difficile".
L'essere "online" facilita conciliare gli impegni della famiglia, del lavoro,
del tempo libero... Anche Antonio, 35 anni, è sposato ed ha quattro bambini. Sua
moglie ha un'attività in proprio. Per questo cerca di conciliare tutto con il
master, per cui non sono necessari studi superiori. "Anche se costa molto
sforzo, frequentare questo master è un'esperienza molto soddisfacente. Crediamo
che il fatto che nell'università si parli di gitani sia un'esperienza pioniera e
nuova", afferma Fernández.
Materie interessanti
Dicono che la materia che più ha richiamato attenzione è la Storia del Popolo
Gitano. "Il suo studio ci ha fatto comprendere molte cose della situazione
attuale che vive la comunità gitana in Spagna", affermano.
Istruzione, alloggio, impiego, sanità... Sono questi, secondo loro, i principali
problemi attuali della comunità. Inoltre, in un modo o nell'altro, sono tutte
relazionate tra loro".
Sono coscienti che, per esempio a Merida, sono ancora pochissimi i gitani che
contano studi superiori. Sanno anche di essere gli unici che hanno potuto
frequentare un master. Assicurano di sentirsi dei privilegiati per poter
frequentare questi studi che apriranno loro più porte al momento di lavorare con
quanti sono della loro stessa etnia, che definiscono come "la grande minoranza
europea".
Di Fabrizio (del 05/03/2010 @ 09:00:06, in Italia, visitato 1609 volte)
Casa Internazionale delle Donne
Coordinamento donne contro il razzismo
Domenica 7 marzo 2010 Piazza Campo de’ Fiori - dalle ore 11 al tramonto
Primavera antirazzista
VOCI DI DONNE MIGRANTI E CITTADINE
Mostre e libri, stand informativi, spettacoli di cinema, teatro, musica
Saranno presenti le produttrici agricole del Progetto Rea Silvia della Regione
Lazio
Programma
Presentazione dell’iniziativa da parte del Coordinamento
Intervento dell’associazione Insieme Zajedno
Intervento di lavoratrici e lavoratori di Rosarno, Ass. Da sud
Campagna per il Nobel alle donne africane
Balli popolari in piazza, a cura dell’ass. Cemea
Pranzo preparato dalle donne della scuola Carlo Pisacane e dell’ass. Asinitas
Campagna Nastri Verdi di sostegno alle lotte delle donne iraniane
Intervento dell’ass. Be Free sul CIE di Ponte Galeria
"RetroviaNapoli"
Canzoni ispirate da donne, Stefania Tarantino (voce), Letizia Pelosi (chitarra)
I bambini di Capoverde : campagna per la ricostruzione della scuola
Intervento ass. Asinitas , proiezione di video
Letture teatrali da Quelle voci dal vuoto ( ed.Jacobelli)
proiezione del video: The Chain of Love (Mamme a catena)
Voci di donne dalla Bolivia
Interventi musicali
Aderiscono le associazioni del Coordinamento Donne contro il razzismo:
Assolei, Candelaria, Donne a colori , Donne capoverdiane in Italia, Donne per la
pace, Dhuumcatu, Imed, Insieme Zajedno, Le Nove, Madri per Roma città aperta,
Monteverde antirazzista, No.Di: I nostri diritti, Spirit Romanesc, Quinoa, Trama
di terre. Ed inoltre: Arci, Asinitas, Be free, CGIL di Roma e del Lazio,
Coordinamento Donne della CGIL di Roma e del Lazio, Da Sud, Federazione delle
Chiese Evangeliche in Italia, Lunaria, Filipino Women’s Council
Saranno distribuiti materiali di documentazione dei Dossier Immigrazione,
Caritas/Migrantes
Con il patrocinio della Presidenza della Provincia di Roma
Nessun essere umano è illegale
Dichiariamo la nostra intolleranza al razzismo,la nostra volontà di abbattere
muri e frontiere per affermare una cittadinanza globale.
Le politiche razziste sono sempre più pratiche per governare la crisi economica.
In assenza di politiche anticrisi l'unica risposta è la riduzione di libertà e
diritti.
Come fermare altrimenti le resistenze se non ingabbiando la società, producendo
separazione e odio razziale? Misure che colpiscono in particolare i/le migranti
ma riguardano tutti e puntano a dividere e a rompere i rapporti di solidarietà
tra le persone, alimentando la paura e rendendo tutti più ricattabili.
Le politiche razziste contro l’immigrazione alimentano e si combinano con nuove
forme di razzismo popolare , fondate su stereotipi e pregiudizi contro “lo
straniero e il diverso”.
Il risultato è una democrazia dimezzata, perché ogni forma di discriminazione è
il contrario della democrazia; vogliono imporci una cittadinanza e quindi anche
una società chiusa e esclusiva, in cui tutte, native e migranti, stentiamo a
riconoscerci.
In molte lingue – anche l’italiano - i concetti di "straniero", "strano" ed
"estraneo" hanno la stessa radice linguistica. Oggi come ieri "lo straniero -
l'estraneo" è chi non rientra in quei parametri di "normalità" che qualcuno ieri
come oggi ha stabilito.
Noi ci sentiamo straniere in questo Paese dove siamo nate, perché ci sentiamo
estranee a tutto ciò che oggi questo Paese vuol rappresentare.
Dichiariamo ancora che finché ci sarà il sessismo ci sarà anche il razzismo:
anzi, è proprio il sessismo che ha aperto la strada al razzismo, rendendolo
ovvio, naturale: ambedue sono ideologie discriminatorie costruite sul corpo che
esprimono il sistema di potere che governa le relazioni tra maschi e femmine,
tra bianchi e neri.
L’intreccio tra sessismo e razzismo dimostra come si rafforzino a vicenda
utilizzando l’uno gli strumenti dell’altro.
Le donne sono state usate per dichiarare guerra ai migranti e i migranti, a loro
volta, sono stati usati per chiarire che le donne italiane appartengono agli
uomini italiani. I maschi italiani ne sono usciti senza macchia, sdoganati - al
solito - come “brava gente”: il mostro è fuori di noi, il mostro è l’altro.
In questi anni abbiamo lavorato in tante, per aprire il nostro paese al mondo e
alle tante diversità. Il nostro stare insieme, ciascuna con la propria
soggettività, rielaborando insieme il nostro essere nate in Italia o altrove, le
nostre esperienze migratorie o le nostre differenze, è già un condividere,
un’alternativa allo svilupparsi di un nuovo razzismo.
E’ ora di alzare le voci di tutte contro le politiche e le retoriche razziste,
contro la precarizzazione delle vite.
Coordinamento donne contro il razzismo
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