Sotto il ponte
OsservatorioBalcani 02.03.2010 Da Belgrado, scrive Cecilia Ferrara
E' uno dei ponti principali di Belgrado e ora sta cedendo. La storia del
ponte Gazela, dei finanziamenti europei per ricostruirlo e soprattutto delle 175
famiglie rom che per anni vi hanno vissuto proprio sotto. Un reportage
Scena 1: Belgrado, 28 gennaio 2009. Il ponte Gazela è chiuso al
traffico merci, sono stati scoperti cedimenti nelle travi portanti. Qualsiasi
mezzo a 4 ruote evita il ponte e la città si blocca. Il “Gazela most” è
l’arteria cittadina che porta a Novi Beograd ma anche un tratto dell’autostrada
che porta a Niš, la E70/E75, attualmente una porzione del Corridoio 10. Vi
passano oltre 150 mila veicoli al giorno mentre, secondo il progetto iniziale,
la capacità era di soli 40mila veicoli.
Il giorno successivo al blocco il ministro delle Infrastrutture, Milutin
Mrkonjić, rassicura i cittadini che il ponte è sicuro e che i lavori di
ripristino termineranno in pochi giorni: "Si prega di non aumentare la tensione,
il ponte non crollerà”.
Nel 2007 è stato firmato un progetto dalla Banca Europea per la ricostruzione (BERD)
e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) per la ristrutturazione del
ponte ma, secondo le dichiarazioni di Mrkonjić e del sindaco di Belgrado Dragan
Đilas, il prestito non arriva perché la BERD non è soddisfatta del progetto di
ricollocamento delle famiglie rom che vivevano in un insediamento proprio sotto
il ponte.
Il sindaco è infuriato: “Non è una donazione - tuona - ma un prestito e se le
condizioni sono queste non le accettiamo”. Đilas proprio non si capacita che
tutto il lavoro fatto non gli venga riconosciuto: “Non ci possono chiedere -
dice - di avere standard più alti di quelli europei. Il sindaco di Roma 4 giorni
fa ha sgomberato dei rom mandandoli a 50 km dal centro città e nessuno di loro
certo ne era entusiasta”.
Dopo due settimane di trattative serrate arriva lo sblocco del finanziamento.
“La BERD ha condotto accurate valutazioni sul ricollocamento delle famiglie -
dice la banca in un comunicato – con la conclusione che nonostante ci siano
buoni risultati rimangono ancora problemi di enorme portata”. Il fondo sarà
comunque erogato “in via del tutto eccezionale”.
Scena 2: Ada Ciganlija è il lago artificiale di Belgrado, dove d’estate i
belgradesi vengono a rilassarsi sui lettini dei bar della spiaggia o a
sfrecciare in roller e bicicletta. Sul lato interno di Ada vi è un ampio spiazzo
con circa 30 container. Vi abitano alcune delle 175 famiglie che vivevano sotto
il ponte Gazela, principalmente rifugiati dal Kosovo.
Foto di Isabella Mancini
Appena entriamo nel campo arrivano gruppi di bambini che fanno domande,
chiedono aiuto e in generale ti prendono platealmente in giro. Cerchiamo di
chiedere come stanno qui rispetto a prima. I bambini dicono che qui vanno a
scuola e hanno i container ma a Gazela era meglio perché c’erano più bambini e
quindi più amici. Incontriamo la famiglia di V. che ha lavorato in Italia per
oltre 10 anni, per poi rientrare per sposarsi a Pristina proprio nel 1999 e di
conseguenza poco dopo tempo obbligato a fuggire per la guerra. Il container ha
due stanze, una riscaldata dove dorme e mangia tutta la famiglia (moglie, 2
bambine e 3 bambini) e l’altra adibita ad ingresso.
“Certo la sistemazione è migliore, però la condizione della mia famiglia è
peggiorata – dice V. - a Gazela lavoravo anche senza documenti, raccoglievo
cartone e potevamo andare alla chiusura del mercato a raccogliere il cibo che
veniva buttato via. Qui siamo troppo lontani dalla città e non abbiamo da
mangiare tutti i giorni. Se riuscissi a cambiare la residenza da Pristina potrei
avere un lavoro ma essendo di Pristina devo andare a Niš per fare le pratiche
per tutta la famiglia e non ho i soldi per il viaggio e i documenti”.
Gazela era un insediamento illegale di rom, era in quella posizione dagli anni
‘80 e si è ampliato sempre di più in seguito alle guerre con l'arrivo di
rifugiati rom da Bosnia e Croazia e sfollati dal Kosovo, ma anche con famiglie
delle campagne che, impoverite da anni di crisi economica, si sono mosse verso
la città. Proprio questo campo rom situato in una zona centralissima dove sono
collocati il centro congressi Sava Center, l'Hotel Intercontinental e lo Hayatt
- quindi un’importante vetrina per la città - era “il problema” per ogni
amministrazione di Belgrado finché lo scorso 31 agosto sono arrivate le ruspe e
i ricollocamenti delle 175 famiglie che lì vivevano, 61 a Belgrado e il resto in
altre zone della Serbia.
Ad aver creato il collegamento tra le vicende di finanziamento della
ristrutturazione del ponte e futuro delle famiglie rom che vi vivevano è stato
Zvezdan Kalmar di "CEE Bank Watch” un'Ong che monitora gli investimenti
finanziari nei paesi dell’Europa centro-orientale. Non si occupano di rom, ma
dell’impatto ambientale dei grandi progetti infrastrutturali della BERD, della
BEI e di altre istituzioni finanziarie: in questo caso l’impatto era su un
insediamento rom. Bank Watch, tramite un blog (http://outofsight.tv), ha
iniziato a monitorare i nuovi insediamenti di Belgrado dove vivono persone
provenienti da Gazela: Mladenovac (50 km dalla città), Barajevo (30km), Rakovica
e Makis.
“Nel progetto erano previsti 2 milioni di euro della Commissione europea per
assistere il ricollocamento dei rom – dice Kalmar – ma c’era bisogno di un
"Piano di ricollocamento" che la città e il ministero per il Lavoro e gli Affari
sociali avrebbero dovuto realizzare. Ci sono dei precisi criteri internazionali
per le “ricollocazioni involontarie” che non sono stati seguiti. Non dubito che
per certi aspetti le famiglie stiano meglio ora, ma vi sono ancora problemi, ad
esempio per procurare a questa gente i documenti di cui hanno bisogno”.
Per ora le famiglie ricollocate in varie aree attorno a Belgrado potranno
risiedere per cinque anni nei nuovi insediamenti e dovrebbero riuscire quindi ad
ottenere una residenza, requisito fondamentale per tante pratiche burocratiche:
dalla riscossione di un assegno sociale all’iscrizione al servizio sanitario
pubblico. “A Belgrado ci sono circa 140 ghetti abitati da rom, il ricollocamento
di quello di Gazela avrebbe potuto essere un modello da riproporre, ma
l’occasione è stata sprecata”, aggiunge Kalmar.
“Non esiste una stima precisa dei rom presenti in Serbia. Nell’ultimo censimento
ufficiale si parla di 108mila, ma è un numero che si discosta molto dalle cifre
indicate dalle Ong che arrivano fino a 3-450mila - afferma Giulia di Cristo
antropologa che sta conducendo uno studio sulle identità territoriali dei rom
nei Balcani in collaborazione con l’Università "La Sapienza" di Roma – tra
questi vi sono circa 22.000 sfollati dal Kosovo, ma ad esempio l’UNHCR stima che
ci siano altri 23 mila rom fuggiti dal Kosovo che non si sono potuti registrare.
Ancora più difficile invece stabilire quanti siano i rom tra i rifugiati di
Bosnia, Croazia e Macedonia”.
“La Serbia partecipa alla Decade Rom, un piano di azione del Consiglio d’Europa
volto a ridurre gli svantaggi sociali della popolazione rom, ma fra i paesi che
partecipano a questo progetto è il quello con più difficoltà”, aggiunge la
ricercatrice. “Nel 2008/2009 la Serbia ha presieduto la Decade e tra le sue
priorità vi era l'educazione. Il 40-50% dei bambini rom infatti viene mandato in
scuole per alunni con bisogni speciali pur non avendo difficoltà reali di
apprendimento, mentre nelle scuole pubbliche non c’è un concreto sostegno per i
rom. Sono stati fatti dei piccoli progetti di inclusione, dalla formazione di
insegnanti rom alla preparazione di un manuale sulla loro cultura, ma spesso non
si sono trovati i fondi per proseguirli”, conclude l’antropologa.
Nei prossimi anni è probabile ci si trovi di fronte a nuove problematiche. La
Serbia ha sottoscritto un programma d'azione che deriva da un accordo
internazionale per la riammissione dei cittadini espulsi dai paesi europei nei
paesi di origine. Potrebbe quindi avvenire che di alcune famiglie che il sindaco
Alemanno ha sgomberato da Roma se ne dovrà ora prender carico Dragan Đilas,
sindaco della capitale serba.