Rom e Sinti da tutto il mondo

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\\ Mahalla : VAI : scuola (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 19/10/2013 @ 09:03:14, in scuola, visitato 1957 volte)

Commozione generale per la studentessa francese rimpatriata a forza in Kosovo. Non è la prima, non sarà l'ultima. E' dai tempi di Sarkozy che la Francia "sta giocando" con i propri immigrati e con i propri rifugiati, alternando bastone e carota. Non è questione di essere io cinico, o i francesi buoni o cattivi; molto semplicemente gli effetti di queste politiche sono che, anche nei momenti di buona dello stato, una famiglia di rifugiati vivrà nel costante terrore di una Mme Le Pen o di un Mr Valls che possono decidere sul loro futuro. Perché, questa ragazzina era da anni in Francia con la sua famiglia, andava a scuola, quindi aveva da tempo superato lo scoglio dell'integrarsi (sempre Valls dice che la sua politica si basa sul fatto che i Rom non sono integrabili nella società francese), e già aveva una prospettiva di futuro in Francia, il paese che generazioni di immigrati hanno associato alla libertà e ai diritti.

Ma, nuovamente e non cinicamente, diffido della commozione e dell'indignazione a senso unico. Mi spiego: ha senso prendersela con questa Francia cattiva che sta rimpatriando a forza (caricando bambini dai pullman scolastici) bulgari, rumeni, kosovari? La Germania è dal 2008, quando il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza, che sta attuando la medesima politica di rimpatri forzati, con le medesime modalità.

Nel silenzio generale, nonostante in queste pagine e altrove siano apparse sporadiche denunce.

Forse per questo diffido dell'attuale commozione e ho paura che tra una settimana tutto sarà dimenticato.

Lo faccio raramente, ma vi consiglio un acquisto, per non perdere la memoria e per capire un po' meglio dove nasca e come si evolva la storia che vi ha commosso per un giorno o una settimana.

Perdere tutto
Ci era permessa una sola valigia.
La polizia buttava via ogni cosa
dicendo che non ne avremmo avuto bisogno.

Mia sorella cercò di tenere la sua Barbie.
Io cercai di prendere i libri di scuola.
La polizia buttò via tutto.

Dissero che in Kosovo era inverno.
Quella roba avrebbe soltanto preso spazio
e che avevamo bisogno di vestiti caldi.

Mio padre urlò che non sarebbe mai
tornato in Kosovo.
Non era più il suo paese.

Quando i poliziotti risero,
si buttò
dalla finestra del secondo piano.

Prezzo: € 10,00
Anno: 2013
ISBN: 9788677463762
Traduzione: Fabrizio Casavola
Epilogo: Rainer Schulze
Disegni: Stephane Torossian

 
Di Fabrizio (del 30/10/2013 @ 09:07:59, in scuola, visitato 1839 volte)

28 Ottobre 2013

La mancata riattivazione del servizio di accompagnamento scolastico degli alunni rom e sinti dai campi comunali sta provocando, com'era prevedibile, una riduzione della frequenza scolastica e notevoli disagi alle famiglie in difficoltà.

Quello che fino ad oggi era stato un punto fermo dell'intervento comunale a favore della scolarizzazione dei bambini zigani rischia di venir definitivamente messo da parte non solo per questioni di Bilancio che afferiscono alle reali difficoltà di gestione di questo o quello specifico Settore ma, più in generale, alla trascuratezza e abbandono dell'azione sociale nei campi comunali in continuità con l'operato delle precedenti Amministrazioni.

Il concetto di "superamento dei campi", com'era prevedibile fin dall'inizio, sta rapidamente diventando il pretesto di un colpevole abbandono di luoghi di vita riconosciuti e attrezzati che sono o dovrebbero essere tutelati dal Comune, dove le persone che vi abitano non hanno più interlocutori credibili con cui affrontare i problemi della vita quotidiana e del loro futuro.

Che a farne le spese siano poi i bambini e i giovani verso cui si spreca da sempre una retorica vuota di contenuti credibili e interventi utili alla costruzione di un futuro migliore risulta ancora più inaccettabile.

Le linee guida d'intervento approvate un anno fa dalla Giunta sono rimaste solo dichiarazioni d'intenti smentite dai fatti, o meglio ancora dal non fare che rivela una incapacità di comprendere i fenomeni sociali e di avvertire l'urgenza di gestire l'azione pubblica con strumenti adeguati. Il giudizio negativo, appesantito da un uso strumentale e ipocrita del rapporto di sola facciata con i soggetti operanti nel volontariato e terzo settore che pure avevano offerto la più ampia collaborazione, riscontra una condivisione "inaspettata" e trasversale che accomuna soggetti tra loro diversi ma che pure intuiscono la necessità di un repentino cambio di rotta di questa scriteriata gestione nell'interesse delle comunità zigane, ma anche nella speranza di condividere l'idea di una città che si adoperi al miglioramento della vita dei propri concittadini.

 

Segnalazione di Tommaso Vitale

Molte persone rom, nate in Italia o che vi risiedono da decenni, non hanno alcun documento di identità né un regolare permesso di soggiorno. Si stima che circa 15.000 minori rom siano apolidi o a rischio di apolidia. Senza i documenti, ogni percorso di inclusione sociale è loro precluso: queste persone non possono lavorare regolarmente, affittare una casa o iscriversi all'Università. Restano "invisibili", privati di diritti fondamentali, generazione dopo generazione.

Per contribuire a risolvere questo grave problema, ASGI (associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione), Associazione 21 luglio e Fondazione Romanì, con il sostegno di Open Society Foundations, promuovono un corso finalizzato a formare 15 operatori para-legali specializzati nel supportare le persone rom nell'ottenimento dei documenti (permesso di soggiorno, passaporto, carta d'identità ecc.) e nel promuovere il miglioramento delle relative prassi a livello locale e nazionale.

Nell'ambito del corso saranno affrontati i seguenti temi: la normativa rilevante in materia di ottenimento dei documenti (riconoscimento dello status di apolide, rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e di altri permessi di soggiorno in deroga alle norme generali in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini stranieri in Italia, acquisto della cittadinanza italiana, ottenimento del passaporto del paese d'origine); metodi per promuovere il diritto delle persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale (supporto individuale, attività di advocacy, iniziative di informazione rivolte alla comunità ecc.); il ruolo degli operatori para-legali e le modalità per seguire i casi individuali.

Il corso prevede la partecipazione a due workshop residenziali di due giornate a Firenze; l'impegno a seguire, con il supporto degli avvocati dell'ASGI e dell'Associazione 21 luglio, tre casi di persone rom prive di documenti, affinché possano regolarizzare il loro status giuridico; la partecipazione al convegno finale e a una giornata conclusiva di valutazione e progettazione.

I partecipanti interessati saranno inoltre invitati a presentare progetti per la realizzazione di micro-interventi finalizzati a promuovere il diritto delle persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale. Il progetto selezionato come migliore riceverà un finanziamento di 5.000 euro.

I costi di viaggio, vitto e alloggio saranno coperti dal progetto.
I requisiti per partecipare al corso e le modalità per la presentazione delle domande sono specificati nel bando allegato.

Le domande di iscrizione, corredate della documentazione di supporto completa, devono essere inviate per e-mail all'indirizzo formazioneasgi@gmail.com entro il 15 dicembre 2013.

Il bando e il modulo per l'iscrizione possono essere scaricati QUI

Si prega di girare questa comunicazione a tutti coloro che potrebbero essere interessati.
Corso realizzato nell'ambito del progetto "OUT OF LIMBO" con il sostegno di Open Society Foundation

ASGI
Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
Via Gerdil n. 7
10152 Torino
Tel./Fax: 011.4369158
sito web: www.asgi.it
email : formazioneasgi@gmail.com

 
Di Fabrizio (del 15/11/2013 @ 09:09:11, in scuola, visitato 1144 volte)

Ha preso il via il Corso di formazione per attivisti rom e sinti organizzato da Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC). I giovani partecipanti spiegano perché hanno scelto di aderire all'iniziativa e di impegnarsi per i diritti umani delle proprie comunità.

Per maggiori informazioni sul Corso

 
Di Fabrizio (del 22/11/2013 @ 09:05:55, in scuola, visitato 1418 volte)

di Cinzia Gubbini - Intervista a Luigi Guerra, direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna su Cronache di Ordinario Razzismo

La scuola media Besta di Bologna, nel quartiere periferico di San Donato, ha smesso di turbare il dibattito pubblico. La decisione del preside della scuola e del Consiglio dei docenti di formare una prima classe "sperimentale", composta soltanto di alunni di origine straniera, ha dapprima suscitato qualche indignazione, per poi essere giudicata praticamente all'unanimità un atto coraggioso, necessario a risolvere una situazione complicata. Il dirigente scolastico Emilio Porcaro, infatti, dopo le prime notizie aveva tenuto a precisare che si trattava di un modo per permettere innanzitutto a questi ragazzi, arrivati in Italia a agosto a classi già formate, di frequentare la scuola - visto che altre scuole li avrebbero rifiutati - e di inserirli solo successivamente nelle classi "normali", una volta insegnato loro l'italiano. Eppure c'è chi, pur lodando il tentativo della scuola, sin dal primo momento non ha rinunciato a evidenziare gli aspetti dannosi di questo metodo. Tra questi c'è una voce autorevole: quella di Luigi Guerra, direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna e professore di didattica e pedagogia speciale.

Professore, lei ha detto che il metodo della scuola Besta è "pedagogicamente sbagliato": cosa intende?
Vorrei premettere che stimo molto il dirigente e gli insegnanti di quella scuola. Penso che abbiano fatto tutto quel che era nelle loro possibilità, considerata la situazione difficile. Detto questo non è accettabile comporre una classe di soli migranti. Che siano tre, dieci, otto. E' un metodo inammissibile, perché è l'esatto contrario del concetto di inclusione. Qualsiasi insegnante di linguistica sa cosa succede in queste situazioni: gli individui tendono a rinchiudersi in aree di linguaggio omogenee. Potrebbe accadere che il tunisino parli con il marocchino in francese o il filippino con il peruviano in spagnolo, ma tendenzialmente accade esattamente quel che accade ai nostri figli quando li mandiamo a Londra con gli amici per imparare l'inglese: normalmente non imparano nulla, perché continuano a muoversi in un contesto in cui a prevalere è la lingua italiana. E' un discorso che ovviamente funziona anche quando in una classe ci sono quindici stranieri e otto italiani. La lingua si impara per immersione: e quando mi immergo c'è tanta acqua.

Eppure le motivazioni addotte dal preside sembrano molto ragionevoli: sono ragazzi che non sanno neanche una parola di italiano, vogliamo solo introdurli alla lingua e a questo sistema scolastico che non conoscono, poi verranno introdotti nelle altre classi. Insomma, è una classe ponte. Cosa c'è di sbagliato?
Ma non funziona così. La scelta più giusta, a mio avviso, doveva essere: ti metto in una classe normale poi, caso mai, per due ore al giorno mi dedico a te con un progetto speciale, un laboratorio linguistico funzionale all'apprendimento della lingua italiana. D'altronde questo dovrebbe essere il modo in cui si accolgono tutti i bambini con dei bisogni speciali in una scuola.

Al di là del "giusto modo" di accogliere una persona, c'entra anche l'apprendimento tra pari?
C'entra eccome, ed è stato dimostrato che l'insegnamento tra pari è uno dei principali e più efficaci veicoli di apprendimento linguistico. I bambini apprendono dagli altri bambini: imparano l'italiano litigandosi la merenda o chiedendo dov'è il bagno. Il lavoro dell'insegnante è certamente importante, ma ha soprattutto la funzione di purificazione e formalizzazione.

Lei dice che bisognerebbe accogliere in modo speciale bambini speciali, ma come si fa se non ci sono risorse sufficienti?
Beh certamente: se le risorse sono scarse ci tocca usare modelli approssimativi. L'importante, però, è non far coincidere il "meglio che potevano" con il modello pedagogicamente corretto. E' come quando due genitori che lavorano mi dicono: riesco a stare solo mezz'ora al giorno con i miei figli, va bene? Certo che non va bene, ma se non si può fare a meno di fare quel tipo di lavoro c'è solo da cercare di fare il meglio in quella mezz'ora.

La scarsità di risorse peraltro diventa spesso una "condanna" per le scuole migliori, più avanzate e "ricche" di esperienze. Il preside della scuola Besta ha raccontato di essersi trovato in "emergenza" proprio perché sulla sua scuola sono ricadute le domande di tutte le famiglie che sono riuscite a ricongiungersi con i loro figli solo in estate. Le altre scuole li avrebbero rifiutati...
Purtroppo accade spesso, troppo spesso. Conosco il caso di una scuola di 200 alunni in cui sono arrivati in tre anni 150 alunni migranti. Cosa è successo? Che quella scuola ha chiuso i battenti. Sono cose che non dovrebbero accadere, anche perché una programmazione è possibile. Ma, soprattutto, bisognerebbe avere una cultura di sistema, che parta dal territorio innanzitutto. Dovrebbe esistere una rete reale e capace di parlarsi e organizzarsi. Non esisterebbero emergenze.

Tra i soggetti che potrebbero fare rete e diffondere una cultura dell'interculturalità, però, ci sono anche le università. Cosa fate voi, come voce forte e competente?
Noi diventiamo matti pur di fare qualcosa: e prima di tutto formiamo insegnanti. Li formiamo come possiamo, in modo gratuito. Con gli insegnanti interessati e che per venire a seguire i nostri corsi devono scappare di scuola, perché difficilmente vengono incentivati gli spazi di formazione. Ma lo facciamo, anche noi, in emergenza: nel mio Dipartimento il prossimo anno chiudiamo due corsi di laurea e mandiamo a spasso 300 studenti che ci avevano investito. Questa è la realtà. Dunque è ovvio che per fare buona integrazione e promuovere l'interculturalità sarebbero necessarie altre premesse.

 
Di Fabrizio (del 08/12/2013 @ 09:03:34, in scuola, visitato 1861 volte)

E' arrivata la soluzione dopo le polemiche e le accuse di razzismo

05/12/2013 - L'ISTITUTO FU AL CENTRO DI UN CASO MEDIATICO A SETTEMBRE Il sindaco del piccolo centro della Bassa Novarese: "Sono attesi venti scolari per la primaria e venticinque per l'asilo-scuola dell'infanzia". Di ROBERTO LODIGIANI su LA STAMPA

La scuola primaria di Landiona, nella Bassa Novarese, non chiuderà. Avrà infatti lo stesso numero di scolari di quest'anno, una bimba del paese e i piccoli sinti del vicino campo.

Scongiurato, dunque, il pericolo di blocco delle lezioni che aveva indotto molte famiglie a portare i figli le vicino paese di Vicolungo.

Lo annuncia il sindaco Marisa Albertini: "Alla riunione convocata dalla Provincia per discutere del dimensionamento scolastico per il 2013-2014 abbiamo presentato una determina che conferma i numeri degli attuali iscritti. Sono attesi venti scolari per la primaria e venticinque per l'asilo-scuola dell'infanzia".

In queste settimane prosegue il monitoraggio degli scolari che effettivamente prendono posto tra i banchi: "Le presenze nella pluriclasse sono stabili e questo E' un dato di fatto confortante - dice Marisa Albertini -. A decidere il destino della scuola primaria sarà la direzione didattica ma lo farà sulla base dei numeri che finora continuano ad essere confermati".

Nel settembre scorso la struttura di via XI febbraio era rimasta coinvolta in un caso mediatico poi rivelatosi privo di consistenza: un'accusa di razzismo era stata rivolta ai genitori di Landiona che avevano deciso di iscrivere i figli alla scuola di Vicolungo per evitare la pluriclasse con i coetanei sinti.
Il caso si era sgonfiato quando emersero le vere ragioni che avevano indotto il trasferimento: "Si temeva che gli studenti non fossero in numero sufficiente per mantenere in paese le lezioni, il razzismo non ha nulla a che fare con l'iscrizione alla scuola di Vicolungo" fu la versione riferita dalle mamme landionesi.

Contro un "corvo" che da anni manda al Comune lettere-esposto che riguardano anche la realtà scolastica del paese, il sindaco ha deciso di fare ricorso a un avvocato: "Intendiamo cautelarci - spiega -. Le argomentazioni sollevate negli esposti sono state tutte verificate dagli enti competenti ma le analisi non siano giudicate sufficienti e le segnalazioni continuano. Sappiamo chi E' e abbiamo dato mandato a un avvocato per cautelarci nei suoi confronti". Per il piccolo Comune E' una spesa non da poco: costerà 2.215,20 euro.

 
Di Martina Zuliani (del 10/12/2013 @ 09:04:55, in scuola, visitato 1845 volte)

Il corso è tenuto dal professor Ljatif Demir e dalla professoressa Hedina Tahirovich Sijerchich

L'insegnamento del romanes alla facoltà di filosofia. Di Adriana Pitesha su Jutarnji list
Il nostro corso è un vero successo. 40 studenti imparano la lingua rom

Il corso si tiene presso il dipartimento di indiologia ed è in programma la creazione di un corso di laurea triennale.

"Questo è un giorno storico per la comunità rom, un giorno che ricorderemo per sempre." ha detto ieri il deputato Veljko Kajtazi durante l'inaugurazione del pannello bilingue, presso la Facoltà di Filosofia dell'Università di Zagabria, per celebrare il primo anniversario dell'introduzione della lingua romanes e della letteratura rom nell'istruzione superiore in Croazia.

La decisione di Kajtazi è stata presa dopo la celebrazione della Giornata Internazionale del Popolo Rom e la prima conferenza si è tenuta nel novembre dello scorso anno.

"Mi ricordo quando io e i miei colleghi, l'anno scorso, stavamo discutendo della tecnica prima dell'inizio delle lezioni. A un certo punto ci siamo girati e ci siamo accorti che vi era una quarantina di studenti dietro di noi. Siamo rimasti davvero stupiti poiché non pensavamo che l'interesse potesse essere così alto." dice il professor Ljatif Demir, di Skopje, che insieme a Hedina Tahirovich Sijerchich, di Sarajevo, insegna al Corso di Introduzione alla Lingua Rom e Introduzione alla Letteratura e alla Cultura Rom, corsi offerti come facoltativi all'interno del Dipartimento di Indologia e Studi dell'Estremo Oriente, e che rendono la Facoltà di Filosofia di Zagabria unica al mondo.

Studenti differenti

Quaranta studenti che sono rimasti fino alla fine del corso e che non hanno risparmiato complimenti ai loro professori, l'unica nota di demerito è che avrebbero voluto imparare di più.

Ciò sarà presto possibile poiché, è stato dichiarato ieri, il piano è quello di lanciare presto degli studi universitari per far diventare Zagabria un centro per lo studio della lingua romanes, della letteratura, della cultura rom.

I profili dei primi studenti erano diversi. La maggior parte erano studenti di Indologia, ma non mancavano di studenti di sociologia, psicologia, pedagogia, giurisprudenza e di scienze della formazione...

"All'inizio c'è stato un problema di coinvolgimento poiché non sono tutti linguisti, ma siamo stati in grado di regolare il programma in modo da non danneggiare il programma ne a diminuire il loro interesse" dichiara il professor Demir.

Per far ciò hanno trovato della letteratura professionale. Inoltre, Ljatif Demir e Hedina Sijerchich stanno sperimentando un manuale per la lingua e la letteratura romanes che raccoglie manualistica e letteratura provenienti da altre comunità locali ed europee.

Temevano una rapina

"Comprensibilmente, gli studenti sono più interessati alla cultura che è a loro sconosciuta e rimangono sorpresi quando dici loro che Veijo Balzar vende titoli in 25.000 copie in Finlandia o quando si richiama l'attenzione su certi film. Ma la nostra non era una comunicazione unilaterale. Abbiamo imparato da loro che tutti hanno bisogno di agire, secondo i principi della filosofia orientale, con amore. Non c'erano barriere e siamo diventati amici. Questo è l'unico modo per far si l'integrazione non rimanga solo sulla carta. La gente è

spaventata e piena di pregiudizi pregiudizi quando non conosce qualcosa. Alcuni dei nostri studenti hanno ammesso che, al'inizio, avevano paura di essere rapinati dai rom quindi abbiamo detto loro: 'Beh, non abbiate paura, io e la professoressa, che siamo rom, non vi deruberemo.'" racconta ridendo il professor Demir.

Tra gli studenti c'è una sola rom che studia alla facoltà di legge.

"Per noi erano tutti uguali. Sono molto contento all'idea che quattro o cinque di loro continueranno con lo studio scientifico della lingua, della letteratura e della cultura rom e che una di di loro, una studentessa che non è rom, sarà, con ogni probabilità l'assistente di uno futuro corso.

Ieri sono stati in molti a sottolineare il problema dell'integrazione dei rom nel sistema scolastico. Lo scorso anno 811 bambini rom hanno frequentato regolarmente la scuola materna, 5173 le scuole elementari, 480 le scuole superiori. Quest'ultimo dato è considerato un grande progresso poiché è il 2005 gli studenti rom frequentanti le superiori erano solo 14.

Per quanto riguarda gli studenti universitari, nell'ultimo anno accademico solo 28 studenti si sono dichiarati rom. Probabilmente il numero è più alto poiché alcuni non si presentano come rom a causa della forte discriminazione sociale. Anche se gli studi della lingua rom non sono ovviamente rivolti esclusivamente ai membri della comunità rom, la loro esistenza potrebbe influenzare la percezione della loro cultura.

"Non possiamo chiudere gli occhi davanti al fatto che l'identità rom si stia perdendo a causa della paura dei rom a dichiararsi tali. Vorremmo ricordare che questa è una cultura che è significativamente più antica rispetto a quella croata e che, quindi, dobbiamo insegnare e tutelare" ha dichiarato il preside di facoltà Damir Boras.

Un buon investimento

Il costo dei due corsi ammonta a 120.000 kune, comprendente l'acquisto della letteratura e le spese di viaggio dei professori, ed è stato diviso tra il Consiglio delle Minoranze e la Facoltà di Filosofia.

"Non consideriamo un costo ma un investimento che ha molteplici benefici per l'intera comunità" ha detto il preside Boras.

Alla cerimonia di ieri hanno partecipato i rappresentanti della comunità accademica, rappresentanti politici, rappresentanti del Parlamento, il consiglio comunale e quello per le minoranze.

L'attuale situazione politica non è stata dimenticata. Gvozdan Flego ha sottolineato che l'atto è tanto più significativo in quanto avviene in un momento in cui alcuni vorrebbero negare i diritti delle minoranze. Il pannello è, inoltre, una delle prime tavole bilingui che ha come seconda lingua il romanes, non solo in Croazia, ma nell'intera Europa.

 
Di Fabrizio (del 04/01/2014 @ 09:07:47, in scuola, visitato 1901 volte)

di PAOLO GRISERI su Repubblica

La madre racconta: "Ha detto a mio marito che è meglio fare il lavavetri ai semafori che rapinare". La famiglia è arrivata dalla Romania nel 2012, Rinaldo ha 10 anni e vive in un campo nomadi a Torino, vicino a Mirafiori

Ci sono i nastri colorati, le palle rosse e i rami d'argento. È quasi tutto in ordine. Quasi. Perché a ben pensarci qualcosa manca all'albero di Natale di Rinaldo e di sua cugina Sara. Di giorno si nota poco, eppure manca. Certo, ecco che cos'è: mancano le luci, sono spente. Diciamo la verità: accenderle sarebbe uno spreco. Come trascorri la tua giornata, Rinaldo? "Aiuto mia madre". Come l'aiuti? "Metto la benzina nel generatore. Serve per le luci, per caricare i telefonini, per far funzionare il frigorifero". Il campo nomadi di Mirafiori, in fondo al corso della Fiat, è il meno noto, e dunque il più abusivo della città: non compare nemmeno sulle mappe degli accampamenti che circondano Torino. Eppure tra le baracche e il fango vivono a centinaia. Rinaldo è uno di loro. La madre cerca lavoro. Il padre invece un'occupazione ce l'ha: "Lavora al semaforo". Anche Rinaldo ha un progetto per il futuro. L'ha scritto alla maestra Elisa parlando delle sue speranze per il 2014: "Da grande vorrei fare il maestro. Per imparare a non rubare".

Il campo nasce dove finisce la città. A due passi dall'ultimo palazzo di vetro, nuovissimo, magico, a forma di onda. Dentro le volute ci sono gli uffici più moderni, quelli dove si disegnano i nuovi modelli di auto per i produttori di tutto il mondo, dai tedeschi ai cinesi. Rinaldo tutto questo non lo sa. È arrivato qui alla fine del 2012, quando aveva nove anni: "Abbiamo viaggiato in furgone, un giorno e una notte. Veniamo dalla Romania". Per entrare nella baracca si salgono tre scalini di legno che garantiscono una buona distanza tra il pavimento e il fango. Servono anche, i gradini, a tenere lontani gli animali, come si faceva migliaia di anni fa con le palafitte. È successo proprio su quei gradini: "Un giorno Rinaldo ha sbarrato la strada a mio marito. Gli ha detto: "Papà, è meglio che tu vada al semaforo"". Giulia, la madre, racconta la storia sorridendo. Ne ha viste tante. Ha imparato cinque lingue frequentando l'università dei campi nomadi di mezza Europa: "Devi imparare a capire in fretta". È questione di sopravvivenza. Per Rinaldo "leggere e scrivere è importante. Serve a prendere la patente". Ma soprattutto, "serve a trovare un lavoro. E se hai un lavoro non hai più bisogno di rubare". Era stato questo il discorso fatto da Rinaldo a suo padre sugli scalini: "Andare al semaforo è un lavoro, andare al grande magazzino no".

Giulia spiega che "chiedere i soldi tutte le volte che diventa rosso può rendere anche 15 euro al giorno. Ma non è sicuro. E comunque non sono tanti. Certo, chi ruba guadagna molto di più". Rinaldo questo lo sa bene: "Qui nel campo molti rubano. Prendono le borsette, i telefonini, vanno al grande magazzino. Sono senza lavoro, si aggiustano così". Perché allora chiedere alla maestra di imparare a non rubare? "Da grande voglio fare il maestro anche io. Così avrò un lavoro, non avrò bisogno di andare ai grandi magazzini. E potrò insegnarlo agli altri. Per questo ho chiesto alla maestra di insegnare a non rubare". E se non riuscirai a fare il maestro? "Allora voglio fare il poliziotto. Ce n'è uno che viene sempre qui al campo, si chiama Ulisse". Che cosa viene a fare? "A controllare che tutto sia tranquillo".

Mentre parla, Rinaldo tormenta una palla rossa dell'albero di Natale. La rigira tra le mani, la fa dondolare. È agitato, nervoso. Si confessa: "Sai che prima non volevo parlarti? Non avevo tanta voglia di raccontare la mia storia. Poi mia cugina Sara mi ha convinto. In fondo è una bella cosa". Giulia, la madre, ed Elisa, la maestra, annuiscono. Imparare a non rubare non è una cosa di cui vergognarsi. Ma raccontare la propria vita a chi abita fuori dal campo può essere rischioso: "Quelli delle Poste - dice Sara - vogliono mandarci via perché di notte facciamo festa e disturbiamo". Poco distante dal campo c'è effettivamente un grande deposito delle Poste. Non sono certo gli impiegati a protestare. Sono gli abitanti del quartiere che sorge a poca distanza. Alti palazzi, aree verdi, un complesso nato per i colletti bianchi nel cuore dell'ex barriera operaia. Per questo il "Centro Europa", a Mirafiori Nord, è sempre stato considerato il quartiere dei ricchi anche se ricchi non se ne vedono molti. Elisa, la maestra, abita lì e lo dice con un po' di ritrosia: "La petizione è passata anche nel mio palazzo. Un vicino di casa. Ha bussato una mattina, si è presentato con la cravatta verde dicendo: "Vorremmo che lei firmasse la petizione per far chiudere la fontana nei giardini pubblici". Io ho chiesto perché mai si dovesse togliere l'acqua a una fontana che rinfresca chi passa in mezzo al giardino: "Perché quell'acqua la usano gli zingari del campo per andarsi a lavare. Certe mattine dalla finestra li vediamo che si lavano nudi". La petizione ha raccolto un bel po' di firme e per qualche mese Rinaldo e la sua famiglia non hanno potuto lavarsi alla fontanella. Poi qualcuno con un po' più di sale in zucca ha riaperto il rubinetto.

Ma perché fare questa vita? Perché partire dalla Romania su un furgone, girare mezza Europa e finire nel fango a Mirafiori sotto il meraviglioso palazzo a forma di onda? Ha ancora senso fare tutti questi sacrifici per inseguire il mito del nomadismo? "Ma noi non siamo nomadi", sorride Giulia mentre offre il caffè. Qui, al campo, di Tchajkovskji e del fascino zigano non si vede traccia: "In Romania - spiega Giulia - vivevamo in case di muratura, vicino a Timisoara. Poi gli affitti sono saliti e il lavoro è sparito. Siamo venuti in Europa perché cercavamo un modo di sopravvivere". Qui non sembrate averlo trovato: "Piuttosto che trascorrere l'inverno in una casa di lamiera in Romania è meglio farlo qui". Finché si può. Il fantasma che si aggira tra le casupole è quello che Sara e Rinaldo riassumono con efficacia: "Stiamo qui fino a quando non vengono a spaccare il campo". Sara racconta: "A me è già capitato. Una mattina vengono, fanno uscire tutti. Poi arriva un braccio di ferro che rompe la baracca". Anche Rinaldo lo sa: "Per l'anno prossimo spero di continuare ad andare a scuola per imparare a leggere e scrivere. Così magari un giorno riuscirò davvero a fare il maestro. E speriamo che nel frattempo non vengano a spaccare la mia casa".

 
Di Fabrizio (del 25/01/2014 @ 09:05:45, in scuola, visitato 2002 volte)

da
Scheda
Autori:
Daniela Sala
Credits:
Musiche: Grre en famille - "Roots culture"; Grre en famille - "Chacun pour soi"
Data: 18 dicembre, 2013 - 15:56

Sfantu Gheorghe è una piccola cittadina nel nord della Romania che conta 60mila abitanti e si trova nella regione storica della Transilvania. In questa zona la minoranza seclera (di lingua ungherese), costituisce circa il 75% della popolazione, mentre nella sola Sfantu Gheorghe la popolazione di etnia rom è stimata tra le 5 e le 6mila persone. Duemila di loro vivono ad Orko, un quartiere ghetto ai margini della città. Ufficialmente, almeno stando ai dati dell'ultimo censimento, in tutta Sfantu Gheorghe le persone di etnia Rom non sarebbero più di 200.

Nella sola scuola di Orko, la scuola San Filippo Neri che va dall'asilo alle medie, i bambini iscritti sono più di 500. Tutti Rom. "Non è una scuola per Rom - ci tiene a precisare Robert Kiss, direttore della scuola - chiunque può iscrivere i propri figli qui". Semplicemente, spiega, è la scuola di questo quartiere e trovandosi a ridosso del quartiere rom è normale che i genitori iscrivano i propri figli qui. Peccato però che a ridosso della scuola abitino anche famiglie di etnia ungherese: tutti i loro figli sono iscritti ad altre scuole in città.

La scuola di Orko esiste grazie ad un prete, Markos Andras. Mandato qui all'inizio degli anni '90, visto che la maggior parte dei rom qui sono di religione cattolica, Andras fece costruire un luogo di ritrovo per gli abitanti del luogo. In breve si rese conto che la maggior parte dei bambini e ragazzi di Orko non sapeva né leggere né scrivere e i pochi che frequentavano le scuole in città erano fortemente discriminati e abbandonavano gli studi dopo pochi anni. Così nel 1999 la struttura è stata convertita in una scuola e da allora funziona ininterrottamente. Lo spazio è poco e i bambini molti, così le lezioni si svolgono in due turni, mattina e pomeriggio.

L'analfabetismo, rispetto a 15 anni fa è certamente in calo, ma i numeri testimoniano un tasso di abbandono scolastico tuttora altissimo. Se infatti gli alunni iscritti alla prima elementare sono 59, quelli di quinta sono meno della metà, solo 23. E alle medie va ancora peggio: 25 in prima media, 18 in seconda e solo 10 in terza.

Il caso di Orko è tutt'altro che è un caso isolato: nel 2006 30 città rumene hanno ricevuto dei fondi dall'Unione europea per l'integrazione scolastica dei minori rom e per 4 anni, fino al 2010 la regista e attivista per i diritti umani rumena Mona Nicoara ha seguito e documentato le vite di 3 studenti Rom di Targu Lapus per vedere come l'integrazione stava funzionando. Il risultato è il documentario "Our school" (vedi QUI, ndr.): i giovani protagonisti non solo alla fine non sono integrati nelle scuole della città ma sono addirittura spostati in una "scuola speciale" per disabili mentali. Nel 2007 la Corte europea per i diritti dell'uomo ha condannato la segregazione scolastica dei rom come una violazione della dignità umana. Sentenza ad oggi senza conseguenze.

 
Di Fabrizio (del 03/03/2014 @ 09:07:51, in scuola, visitato 1972 volte)

di Monica Febbo, 01/03/2014 - 08:27 su LinguaMigrante

''Il dialogo interculturale non è un vezzo, è una necessità del nostro tempo.
(...) il dialogo interculturale è impossibile senza un riferimento chiaro e condiviso a valori fondamentali, quali la democrazia, i diritti umani e il primato del diritto.

(Consiglio d'Europa, Libro bianco sul dialogo interculturale, 2008)''

"Le categorie di spazio e di tempo, ad esempio,
sono concepite in modo culturalmente diverso e da ciò derivano,
talvolta, differenti modalità di approccio e di risposta
alle esperienze e agli apprendimenti che la scuola propone.
similmente, sul versante delle capacità di astrazione e simbolizzazione,
vi sono specificità particolari, per cui gli studenti sinti e rom
potrebbero faticare molto a memorizzare,
ad attribuire a dei simboli significati e concetti.
Questa caratteristica contribuisce a rendere difficoltoso l'apprendimento della letto-scrittura,
problematicità derivante anche dal fatto
che nelle culture di provenienza le lingue madri sono prevalentemente orali.
''

Si potrebbe riassumere con le due citazioni sopra riportate (da: Linee guida per l'integrazione 2014 - MIUR), stringatissime e poste su due piani paradossali, il testo emanato in questi giorni dal MIUR.
Un testo che si autoannuncia come qualcosa di fortemente rivoluzionario e innovativo.

Estrapolando solamente queste due affermazioni si direbbe che segue piuttosto la dicotomia di pensiero che contrassegna da tempo il sistema scolastico e non solo. Non in secondo luogo è da tenere in considerazione la mancanza di tangibilità con un reale quotidiano che, con tutta certezza, non è stato valutato interpellando i diretti interessati, cioè gli insegnanti, "in prima linea" in quanto attori di didattica, sapere, ricettori reali di un mondo che cambia, spettatori di un susseguirsi generazionale che non doveva e non deve essere mai messo in secondo piano.

La marcata incompetenza in fatto di materia scolastica, è da ribadirlo, lo mostra il secondo passaggio riportato.

Vero e proprio atto lesivo e non solo nei confronti di categorie che con dovizia di dettaglio vengono elencate come a farne un discorso maggiormente assimilabile a una sorta di novello Manifesto della razza degli studenti. Prospettiva di certo non tranquillizzante. Quanto una tacita negazione di studi in merito alla linguistica, ai processi cognitivi e all'alfabetizzazione, percorso in salita che ha visto confutare le teorie esposte a Teheran negli anni '60 dove il problema era inteso, come qui brutalmente esposto ovvero come Coscientizzazione e che prende cioè le mosse dall'esperienza concreta.

L'aspetto duplice dell'affermazione del MIUR mostrerebbe invece delle potenzialità non irrilevanti se si avesse la volontà di portarle a risultati d'ordine pratico, come nel caso dell'aritmetica e di processi di memorizzazione intuitivi già presenti nella mente del bambino ancora prima del suo ingresso a scuola.

Senza contare che l'accettazione di un giudizio così lapidario porterebbe di certo a una condanna senza appello di adulti analfabeti ancora presenti nelle nostre comunità del benessere.

L'oralità che è tipica appunto in colui o nelle comunità che fanno minor ricorso alla lettera scritta non presuppone distinzioni tali da far credere scientificamente che i processi cognitivi del bambino come dell'adulto siano compromessi e impediscano dunque il leggere e lo scrivere come appunto immagini simboliche da decodificare.

IIn secondo luogo, è stato dimostrato che oggigiorno il registro linguistico del testo scritto mostra sempre più una capacità di flessibilità tale da poterlo mettere spesso a confronto con il parlato. Se si pensa a un testo per una conferenza o un convegno, sembrerà di assistere a una vera e propria trascrizione della voce del relatore, molto più che nel caso di una chat o di un sms. Dunque, evitando pericolose ghettizzazioni della lingua soprattutto a certi gradini della conoscenza di essa, scomodando trattati che stabilivano grossolanamente dogmi pedagogici e d'ordine pratico che non fanno altro che ghettizzare l'alunno in una sorta di stato di reclusione ed eterna gabbia nei confronti di una comunità scolastica, che sia adulto o minore, da cui egli stesso certo non potrà sottrarsi, se non da quell'assassino di se stesso che gli altri ne fanno, criminali di un sapere imprescindibile perché da intendersi come vitale necessità e pari diritto a essere liberi.

 
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