Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di seguito alcuni (confusi) aggiornamenti:
Continua la raccolta
di firme a livello europeo contro i rimpatri forzati, mentre dalla Germania
arrivano notizie di fermi immotivati e senza possibilità di assistenza legale.
Situazione simile in Italia per Rom bosniaci
e rumeni.
Intanto come procede la situazione in Kossovo? L'inviato speciale dell'ONU,
il norvegese Kai Eide, di ritorno da un sopralluogo di quattro giorni, definisce
così la situazione: "Comprendo
che la gente non si senta al sicuro". Circa dieci giorni fa, l'assassinio
di due appartenenti all'etnia serba è stato un segnale d'allarme per quanti
ritenevano, in buona o mala fede, che la regione fosse "pacificata".
Nonostante una campagna di stampa che da ormai un anno ha toccato vari media
internazionali, i Rom profughi a Mitrovica continuano ad essere tenuti in una ex
discarica di rifiuti tossici. Il loro "spostamento" in un'area
dove non muoiano per avvelenamento da piombo e mercurio, doveva iniziare tra
settembre e dicembre 2005, ma tuttora non è stata individuata nessuna area
alternativa. In questa situazione, destano preoccupazione e sconcerto le
dichiarazioni di Soeren Jessen-Petersen -rappresentante ONU per il Kossovo, che
ha definito i profughi di Mitrovica (e forse i Rom più in generale, non
è chiaro dal contesto generale) come "un gruppo
particolarmente difficile".
E' possibile che di questi profughi non importi niente a nessuno? O che le
crescenti tensioni etniche scoraggino la ricerca di nuove aree per i rifugiati?
O ancora, che il business in Kossovo, sia quello del rientro dei rifugiati e
della ricostruzione? LA MIA PERSONALE RISPOSTA E': SI', tutte queste cose sono
possibili e allontano ogni ipotetica soluzione.
L'ultima segnalazione, allora è per ERRC, che ha presentato una causa
contro l'UNMIK (il contingente militare ONU) per la sua gestione quanto meno
complice dell'emergenza rifugiati.
Da: Stop Deportations
Cari amici
Sinora abbiamo raccolto oltre 60 adesioni di organizzazioni e 600 di singoli
cittadini, nel nostro appello
contro la deportazione di Rom, Askali ed Egizi in Kossovo e per la loro
inclusione nei colloqui sullo status della regione. Siamo particolarmente lieti
di annunciare che hanno aderito in blocco tutte le aderenti al Romani Women Network,
e che contiamo sull'adesione di TERF e IRU.
Purtroppo, sono andate perdute alcune delle vostre firme, e vi chiediamo di
controllare se nell'elenco figura la vostra
adesione, nel caso vi invitiamo a firmare nuovamente e a far conoscere il
nostro appello ad altre organizzazioni e privati cittadini.
Anche se i processi di rimpatrio sono attualmente fermi, e secondo l'UNMIK
solo qualche centinaia è stato rimpatriato a forza, questo non significa che il
loro futuro non sia più a rischio. Al contrario, le autorità continuano con le
pressioni verso i richiedenti asilo dal Kossovo perché
"volontariamente" tornino nella provincia amministrata dall'ONU.
La situazione in tensione in Kossovo è dimostrata dall'aumentata presenza di
forze militari internazionali e dalla uccisione di due giovani Serbi a Strpci
nella sera dello scorso 27 agosto. Non esiste praticamente libertà di movimento
per chi fa parte di una minoranza etnica. L'accesso alle scuole, ai servizi
sociali e ai trattamenti medici avviene a rischio costante dell'incolumità
personale. Scarse le possibilità di alloggio. La maggior parte delle case dei
Rom sono state distrutte e mai ricostruite. Inoltre ogni iniziativa di rimpatrio
su larga scala, causerebbe nuovi spostamenti nella popolazione locale.
In questi mesi si è conclusa la visita di Kai Eide, Ispettore dell'ONU. A
breve sarà pubblicato il suo rapporto. Kai Eide si è mostrato critico
soprattutto sulla situazione delle minoranze. L'impressione è che la
"comunità internazionale" voglia concedere solo "un'indipendenza
condizionata", e questo non incontra le aspettative della maggioranza
albanese.
Come promotori della petizione, abbiamo concordato di renderla pubblica in
concomitanza della presentazione del rapporto dell'Ispettore dell'ONU. Nel
contempo, insistiamo nel richiedere la sospensione dei rimpatri di Rom, Askali,
Egizi ed altre minoranze, che devono essere coinvolti nei negoziati del futuro
del Kossovo.
Invitiamo nuovamente a firmare la petizione e a farla conoscere ai vostri
contatti. Abbiamo bisogno di tutto il vostro supporto entro questo mese.
Asmet Elezovski
Karin Waringo
La giornalista e ricercatrice Karin Waringo è tornata da un viaggio in Kossovo e Macedonia, per documentare la condizione dei Rom nei due paesi.
Ho appena terminato di tradurre in italiano il suo racconto di viaggio dal Kossovo, che pubblicherò quando saranno disponibili le versioni nelle altre lingue. Nell'area documenti è intanto disponibile il rapporto (in inglese, formato .doc) sulla situazione in Macedonia.
Come molti di voi già sapranno, c'è preoccupazione per gli accordi intercorsi tra l'UNMIK in Kossovo e alcuni stati europei per il rimpatrio forzati dei richiedenti asilo dal Kossovo. La Macedonia ha iniziato i rimpatri "obbligati" già da tempo, per diversi motivi:
- la Macedonia non ha mai firmato alcun accordo sui rifugiati da paesi esteri;
- coinvolta nel 2001 in azioni militari dalla guerriglia albanese, ha dovuto ovviare da sola anche ai propri rifugiati interni; le prime notizie su questo conflitto dimenticato mi arrivarono da un Rom, Asmet Elezovsky, che praticamente mi scriveva con i colpi di mortaio che lambivano il Centro Culturale Rom di Kumanovo (alcune foto)
- fu il primo punto d'arrivo dei profughi dal Kossovo, già nel 1999, e in seguito la Comunità Europea promise il suo sostegno economico, promesse rinnovate al tempo della crisi di due anni fa. Nessun sostegno a favore dei rifugiati interni o esteri è mai arrivato, anzi la stessa Comunità ha invece iniziato a rimpatriare forzatamente i rifugiati (QUI l'ultimo aggiornamento)
Insomma, dal punto di vista formale, la posizione della Macedonia è limpida. Il paese ha ospitato sino a 22.000 sfollati, spesso in condizione di deprivazione estrema. Poco più di 1.000 Rom hanno ottenuto un permesso di soggiorno che permettesse loro di rimanere in Macedonia e circa lo stesso numero sta aspettando che venga vagliata la loro richiesta.
Nel 2003 ci fu un altro punto di crisi: la situazione nei campi profughi era spaventosa e d'improvviso intervennero le forze di polizia a sgomberarli di forza. I Rom manifestarono per le vie della capitale, chiesero solidarietà all'Europa che invece continuava a chiudere loro le porte in faccia e alla fine, presi dalla disperazione, con furgoni e pullmini si incamminarono verso il confine greco. Dove in pieno luglio rimasero bloccati in una pietraia in montagna, alle spalle i corpi speciali della polizia macedone e di fronte i carri armati greci. In quel periodo, durato un mese e mezzo, Asmet Elezovsky rimase ferito negli scontri di piazza, lui che con i rifugiati non c'entrava se non per la solidarietà che mostrava loro. Tramite lui e un primo tentativo di network informativo, continuavano ad arrivarmi notizie, mentre imparavo quanto fosse difficile raccontare un conflitto in diretta alle porte di casa. L'indifferenza dei media nostrani, stese per la seconda volta il velo su quei Rom, di cui si perse notizia ai bordi della pietraia sul confine. Forse, qualcuno riuscì a scappare in Grecia, più probabilmente ora sono in qualche campo profughi in Kossovo o in Serbia.
Qualcuno ha riacquistato la libertà, e non è stato facile. Mi ricordo che nel 2003 avevo pubblicato la prima parte di quella storia in un sito che oggi non c'è più e dopo due anni di silenzio sapere che quella persona è in salvo, rende quel pugno di speranza per continuare a scrivere storie simili.
Asmet Elezovsky è vivo, l'anno scorso ho anche trovato in rete una foto di questo corrispondente che è per me in questo tempo è diventato una presenza forte quanto virtuale. Cittadino macedone, non è stato espulso e a questo punto, condivido con chi mi ha letto sin qui l'ultima mail ricevuta.
Ma prima, vi chiedo nuovamente attenzione all'appello di cui lui, con Karin Waringo e tanti altri (ci sono anch'io, a questo punto è ovvio!) vi chiediamo di fare tutto il possibile (e anche di meno, basta aderire alla petizione) perché l'Europa interrompa il rimpatrio forzato dei richiedenti asilo dal Kossovo. Ancora una volta, con la COLPEVOLE disattenzione di noi italiani, ci sono più adesioni dal Lussemburgo che dall'Italia!
Cari amici,
Mi rivolgo a voi, perché ho bisogno delle vostre opinioni, documenti, foto... Sinora ho ricevuto risposte dalla Danimarca, Kossovo, Bosnia, Olanda... Dopo parecchio tempo che mi occupo di questo argomento, ho bisogno di coordinare gli sforzi sulla situazione dei profughi dal Kossovo.
Assistiamo a meetings, conferenze, seminari... Ma ora è più importante, alla scadenza dello status di richiedenti asilo e sulla definizione della regione del Kossovo, di diventare anche noi parte del processo decisionale: sinora i nostri sforzi sono stati minimi, così come Rom non abbiamo voce in capitolo.
Siamo sicuramente in ritardo, ma dobbiamo provare lo stesso, a congiungere il nostro sforzo a quanti si sono già mobilitati: TERF, IRU, ODIHR, COE...
Ho bisogno di conoscere il nome dei campi, il numero dei rifugiati, i profughi interni e altre informazioni. Potete contattarmi via email, nel frattempo raccoglierò tutto il vostro materiale, in vista della prossima Conferenza di Varsavia. Spero nel vostro aiuto, perché senza le vostre risposte dovrò abbandonare questo compito.
[...]
Asmet Elezovski elezovski.asmet@drom.org.mk aelezovski@hotmail.com
Tel/fax: +389 31 427 558
Ritorno al futuro
di Karin Waringo
Nel dibattito sul futuro del Kossovo, il passato gioca un ruolo preminente
La chiesa del Cristo Salvatore nel centro di Pristina sembra una rimanescenza del passato. Costruita in uno stile che ricorda le chiese bizantine del Medio Evo, domina una vasta distesa, che d'altra parte è occupata solo dall'università. Il portone della chiesa è cintato da filo spinato, che gira tutta intorno all'edificio. La barriera è arrugginita dal tempo e non sarebbe di nessuna protezione se qualcuno volesse attaccare.Le finestre non hanno più vetri e anche le pietre che le contenevano sono sparse attorno. Nel corso degli anni la chiesa, che non è mai stata completata dopo la fuga dei Serbi da Pristina, è stato il bersaglio di ricorrenti attacchi e vandalismi. E' così diventato un simbolo delle relazioni tra la maggioranza Albanese, che ora determina il futuro nella provincia, e la minoranza Serba.
Raramente si sente la lingua serba a Pristina. A volte sono un paio di vecchi che lo parlano al riparo delle mura di un albergo, a volta un gruppetto per strada, come se stesse cospirando. Quasi nessuno più lo capisce, una volta era insegnato a scuola ma oggi per le strade di Pristina è una lingua tabù. I Serbi che fanno parte di organizzazioni internazionali, tra loro parlano in inglese. I giovani Rom vogliono passare per Inglesi o Americani, persino "Zingari Americani", tutto tranne ciò che sono realmente, abitanti da secoli di questa regione martoriata dalla guerra.
La capitale del Kossovo è stracolma di simboli, che ricordano l'eroica battaglia "dell'Armata di Liberazione del Kossovo", l'UÇK, contro "l'occupante Serbo". Nel centro della città, di fronte al Grand Hotel, si staglia la statua di un combattente albanese per la libertà, morto nel 1999. Sulla facciata semidistrutta del Palazzo della Gioventù e dello Sport, c'è la fotografia di un altro eroe di guerra, bardato in uniforme da battaglia. Ha un aspetto abbastanza irreale, come se emergesse da una fiction. Anche lui è morto nella guerra contro i Serbi.
Inoltrandosi nel centro, quasi accanto alla sede della delegazione EU, il monumento a Skenderbeg, anche lui un eroe, ma di tempi più remoti: Fermò l'invasione dei Turchi in Albania, ed è considerato un popolare eroe albanese. Più modesta, nella stessa strada che ne porta il nome, il ritratto di un'altra albanese, Nëna Terezë, fondatrice di un ordine religioso, che appare dappertutto nei poster in città.
Un giornalista occidentale afferma che il Kossovo si dividerà nei prossimi anni, con la sua parte settentrionale che cadrà sotto la Serbia e quella meridionale sotto l'Albania. Oggi i Serbi del Kossovo vivono quasi esclusivamente nelle enclavi, qualche migliaia in quelle più piccole come Gnjilane e Gorazdovac, qualche altro migliaio nella cosiddetta mezzaluna attorno a Pristina e forse 70.000 a nord del fiume Ibar, un'area prossima al confine con la Serbia.
Ci sono innumerevoli leggende attorno al Kossovo: i Serbi considerano il Kossovo la culla della cultura e della civilizzazione serba. Nel 1389 il principe serbo Lazar Hrebeljanovic patì in questa terra una tremenda sconfitta contro i Turchi, e questo divenne negli anni un importante elemento della coscienza nazionale serba. Fu a Kosovo Polje in serbo o Fushë Kosovë in albanese dove, nell'aprile 1987, l'allora presidente serbo Slobodan Milosevic fece il suo storico discorso, che avrebbe sancito la fine dell'ex Yugoslavia: "Nessuno sconfiggerà ancora questo popolo".
"Se vuoi capire questo odio, devi comprendere la Storia" mi spiega l'interlocutore albanese. Lo incontro la prima volta sulla terrazza di un caffè di Pec/Pejë, dove mi ero trovata con un amico. Quando ci sente discorrere in inglese, vuole unirsi all'argomento. Era coordinatore delle lezioni in francese, parla sei lingue, tra cui spagnolo e italiano. Quando lo incontro nuovamente il giorno seguente a Pristina, non posso rifiutare oltre il suo invito.
Pieno di orgoglio, passa dall'inglese al francese e poi al tedesco e insiste che dovremmo parlare anche in spagnolo. Ma a causa della Storia, rifiuta di parlare serbo, l'ultimo linguaggio che abbiamo in comune. Per lui la Storia inizia al principio del XX secolo. Nel 1918 il Kossovo fu incorporato nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. "Dopo la guerra eravamo un povero popolo di confine, con pochi di noi che si erano laureati", mi dice.
Tutto ciò sarebbe cambiato rapidamente negli anni a venire. Nel 1968 il Kossovo ricevette la sua prima università. "L'Università di Pristina era la terza in Yugoslavia", mi dice Muzaref orgogliosamente. Con la nuova Costituzione yugoslava al Kossovo fu garantito lo status di provincia autonoma e questo fu l'inizio dell'epoca d'oro che terminerà nel 1989. "Naturalmente i Serbi possono fare ritorno. A seguito degli inviti di popolare la regione, molti di loro nella seconda metà degli anni '80 si costruirono la casa. Questi Serbi possono tornare." - "E le altre minoranze, ad esempio i Rom?", gli chiedo. "Nobody likes the Gypsies.", mi risponde Muzafer con un largo sorriso. E con questo, l'argomento è chiuso.
"Jonegociata. Vetevendosje.", "Nessun negoziato. Indipendenza". Fine di agosto, è lo slogan che appare sui muri di Pristina. Si dice che dietro ci sia un giovane studente albanese. Durante i mesi estivi l'inviato speciale del Segretario dell'ONU Kofi Anan, Kai Eide, è stato in Kossovo e a Belgrado, per fare il punto della situazione. Le prime dichiarazioni di Kai Eide indicano che il suo rapporto, che sarà sottoposto al giudizio del Consiglio di Sicurezza dell'ONU a ottobre, sarà meno ottimista di quelli trimestrali del Rappresentante Speciale dell'ONU in Kossovo, Soren Jessen Petersen. Kai Eide è preoccupato particolarmente per la situazione delle minoranze e le condizioni per il loro ritorno.
Mi spiega un incaricato di un'organizzazione internazionale in Kossovo, che Eide ha viaggiato più in Europa che in questa regione. Lo scopo della sua visita era non solo di avere un'idea delle differenti posizioni, ma se possibile di cercare di mediare tra le diverse opinioni. Quando il rapporto verrà vagliato dal Consiglio di Sicurezza, la decisione su come procedere in futuro sarà già ampiamente determinata. Per esempio, un'indipendenza condizionata, dove alle istituzioni locali spettano la maggior parte delle competenze di uno stato indipendente, ma che rimanga sotto il controllo di un mandatario internazionale, sembra oggi l'ipotesi più gradita.
Nella comunità internazionale la posizione da assumere sulle minoranze è il punto di rottura. L'argomento venne affrontato soltanto due anni fa, in occasione della proclamazione del piano di sviluppo del Kossovo, che avrebbe dovuto stabilire le condizioni concrete per la fine del mandato ONU. Gli stessi rappresentanti della comunità internazionale rimproverano all'UNMIK, l'amministrazione civile dell'ONU, di essere corresponsabile dell'attuale situazione. Si accusa l'UNMIK di avere rapporti troppo stretti con l'Auto Governo Provvisorio. Mancano indicazioni esplicite se il futuro del Kossovo appartenga a tutti gli abitanti o esclusivamente alla minoranza albanese.
La notte tra il 27 e il 28 agosto è stato aperto il fuoco contro quattro giovani Serbi che stavano lasciando l'enclave di Strpce sulla loro auto. Due di loro sono morti sul colpo. I giorni seguenti la notizia è circolata nell'enclave come un incendio. Probabilmente per questo alle festività di Gracanica c'erano così poche persone. Prima della guerra, quello che è uno dei più vecchi monasteri serbi della regione attraeva decine di migliaia di Rom e Serbi. Oggi sono soprattutto Rom musulmani provenienti da Gracanica.
"Perché partecipate, se siete Musulmani?" chiedo a Safet, un Rom del Kossovo. "Dio è uno", mi risponde con un ghigno maligno. Sua suocera offre una spiegazione più prosaica: "Dopo la fine della guerra, è l'unica cosa che ci permettono di fare." Un'opportunità per incontrare parenti ed amici e scambiarsi informazioni. I venditori di strada che vendono giocattoli di plastica a buon mercato, non sembrano fare grandi affari. Giusto i soldi per ripagarsi il vitto e le spese.
Il rappresentante con cui ho parlato, che insiste per rimanere anonimo, chiame le enclavi "comunità di affamati". Su oltre 200.000 appartenenti alle minoranze etniche, cacciati dal Kossovo nel giugno 1999, solo qualche migliaio ha fatto ritorno. Sono soprattutto anziani senza ulteriori possibilità.
Attacchi come quelli del marzo 2004, quando più di 4.000 Serbi, Rom ed Askali sono stati cacciati dalle loro case e proprietà, portano a successive ondate migratorie verso le enclave più grandi e la Kosovska Mitrovica. Ovunque, ci sono rovine bruciate, ma soprattutto case saccheggiate, accanto alle nuove costruzioni.
Nelle enclavi c'è paura di nuovi attacchi durante questa rincorsa ai negoziati sullo status futuro del Kossovo. Alla fine di luglio Adem Demachi, presidente dell'Associazione degli Scrittori Kossovari, ha affermato al giornale belgradese "Blic" che rimandare l'indipendenza potrebbe sfociare in nuove azioni peggiori di quelle del marzo dell'anno scorso.
Cosa c'è dietro questa strategia? Il compimento di un'operazione, iniziata nel giugno 1999 sotto gli occhi della comunità internazionale, che consegnerà il Kossovo alla maggioranza albanese? Gli abitanti dell'enclave attorno Gracanica accusano gli Shiptare, il nome che danno agli Albanesi, di nutrire ambizioni territoriali su Laplje Selo, che fa parte della "mezzaluna" a sud di Pristina. Laplje Selo lambisce la strada principale che unisce Pristina a Skopje. Lungo quel percorso sono spuntati come funghi distributori di benzina. Un diplomatico straniero sottolinea che la strada ha importanza strategica, come via di comunicazione verso Pec, o Pejë in albanese. Averne il controllo renderebbe possibile dividere l'enclave e togliere l'ossigeno ai suoi abitanti.
"Slobodnost kretenje", libertà di movimento in lingua serba. Una parola usata e ri-usata dai non-Albanesi, per rimarcare che per loro la libertà di movimento non esiste. Al momento di attraversare il ponte sul fiume Ibar, per raggiungere la sponda sud, uno dei miei accompagnatori mi rammenta di smettere di parlare in serbo. Immediatamente i nostri discorsi si spengono, per tramutarsi poi in un bisbiglio irrequieto e sospettoso.
I divieti valgono anche sull'altra sponda: il Nord Kossovo sotto il controllo di Belgrado. Stiamo parlando delle cosiddette strutture parallele o dell'ostruzionismo dei Serbi kossovari. Solo recentemente i rappresentanti serbi hanno definitivamente deciso di lasciare i loro seggi nel parlamento del Kossovo. I Serbi del Kossovo hanno boicottato le ultime elezioni, col risultato che le altre minoranze, come i Rom che vivono nelle stesse enclave, non hanno votato e sono tagliati fuori dai processi politici.
Dal 29 agosto Kosovoska Mitrovica è sotto stadio di assedio. Tutti i punti nevralgici sono presidiati dal mezzi della KFOR. L'edificio dell'OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) nella parte settentrionale della città, appare come una fortezza. Invece i soldati che compongono la Forza Internazionale di Pace sembrano più annoiati che sotto tensione. La manifestazione dei Serbi sul ponte sull'Ibar si è mantenuta pacifica e si è sciolta alle due verso la parte settentrionale della città.
La sostituzione delle targhette numerate che sul ponte indicano il punto dove fermarsi o dei bollini che attestano la nazionalità della vettura e il suo diritto ad accedere a un parcheggio riservato, è pratica quotidiana. Gli scambi commerciali avvengono in dinari. La musica, che risuona dappertutto, è serba. Mitrovica si presenta come un baluardo contro gli Albanesi a sud.
Nel centro di Mitrovica "giace" la Mahala dei Rom, che era uno dei più estesi e più antichi insediamenti dei Rom nell'Europa del Sud-Est. Oggi i suoi abitanti sono dispersi in ogni direzione, qualcuno in Serbia e Montenegro, altri nei paesi EU. Della Mahala rimangono scheletrici i muri delle case, che si stagliano all'orizzonte. La Fabricka Mahala è andata distrutta e saccheggiata, i suoi abitanti cacciati il 16 giugno 1999, sotto gli occhi di un inattivo contingente francese della KFOR. Lo scorso aprile, l'UNMIK e l'amministrazione comunale hanno siglato un accordo per la ricostruzione della Mahala. Celebrato come una vittoria e un passo verso la normalizzazione dei relazioni interetniche, l'accordo sta rivelandosi un regalo a due facce.
L'ultimo episodio di quella che appare un infinito intrigo politico, è la richiesta che una ONG internazionale ha fatto a Kofi Anan di sospendere l'immunità diplomatica per quegli ufficiali NATO responsabili della sistemazione e della sicurezza degli ex abitanti della Mahala. 700 di loro vivono nei campi per IDP (rifugiati interni) nel Kossovo settentrionale. In tre di questi campi sono stati registrati livelli di avvelenamento del sangue dei rifugiati, svariate volte superiori a qualsiasi standard internazionale. Un giornalista americano ha attribuito 27 morti avvenute in questi campi, molti bambini tra questi, agli effetti dell'inquinamento del suolo e dell'ambiente. I campi sono posti nelle immediate vicinanze delle miniere di Trepca, chiuse dall'amministrazione NATO nel 2000, a causa del pericolo costituito per le persone e l'ambiente.
Il caso ha sollevato l'attenzione dei media internazionali e i visitatori spuntano ogni giorno. Il leader del campo ha attaccato al muro dell'ufficio i biglietti da visita dei giornalisti e dei visitatori che sono passati di lì. Dietro al computer sulla scrivania, assomiglia ad un manager. Nello stesso giorno in cui sono andata lì, l'ufficiale dell'UNMIK gli sta promettendo una luna a cui non crede più: "All'inizio, ho dato fede a tutti, ma adesso non credo più a nessuno."
C'è chi ritiene sia sintomatica l'attenzione sviluppatasi attorno ai casi di avvelenamento del sangue, a pochi mesi dall'inizio dei negoziati sulla possibile indipendenza del Kossovo. Con la dimostrazione che l'amministrazione civile internazionale non è in grado di salvaguardare gli interessi degli abitanti non Albanesi del Kossovo.
La Mahala stessa è sulla linea del fronte. Collocata una volta nel centrodi Mitrovica, oggi si trova proprio sul confine tra l'area serba e quella albanese, ma nel territorio di quest'ultima, a sud dell'Ibar. Questo può spiegare perché i capi non siano particolarmente impazienti di tornare nel luogo d'origine dei loro antenati: se il Kossovo finisse per essere diviso, i Rom, tradizionalmente più vicini ai Serbi, si ritroverebbero improvvisamente dal lato sbagliato. Inoltre, il ritorno nella Mahala significherebbe la fine di un sogno accarezzato a lungo: la possibilità di chiedere la risistemazione in una nazione terza, che a molti appare l'unica salvezza da una storia di povertà e persecuzione.
"Non si parla più di Kossovo multietnico", dice un rappresentante di un'organizzazione internazionale che opera qui, "ma soltanto di coesistenza pacifica". "Se verranno risolti i problemi economici, lo saranno anche quelli politici", dice il mio poliglotta compagno di discussione. Considera un dovere patriottico per gli Albanesi della diaspora kossovara investire nel futuro del paese.
Chiedo al portiere del Grand Hotel cosa si aspetti dall'indipendenza. "Non lo so" è la sua risposta. Il suo collega dell'hotel Illiaria ha preoccupazioni differenti: I due alberghi, che appartengono allo stesso gruppo, saranno privatizzati. Oggi impiegano 700 persone, che dopo la privatizzazione di sicuro non saranno più di 250, così lui ritiene. Potrebbe significare la fine di una carriera durata 31 anni.
All'aeroporto di Slatina incontro degli Albanesi con passaporti tedeschi, ma soprattutto americani. I bambini parlano tra loro in inglese e quando si rivolgono agli anziani, usano l'albanese. Sulla valigia leggo l'etichetta Bronx, New York. Qui in Kossovo sono considerati a pieno titolo tra i pochi fortunati, quanti hanno avuto la possibilità di andarsene.
da: Polska_Roma
il 26 settembre 2005 - h. 18.00
Varsavia - Hotel Sofitel Victoria, Ul. Krolewska 11, Warsaw. Meeting Room # 3.
proiezione di
DOLORI NASCOSTI LA PERSECUZIONE DEGLI ZINGARI RUMENI NELLA II GUERRA MONDIALE
un film di Michelle Kelso, Doctoral Candidate, University of Michigan.
E' la cronaca della poco conosciuta persecuzione dei Rom rumeni
durante la guerra. I nazisti e i loro alleati fecero di Ebrei e Rom un obiettivo
di sterminio. Rispettivamente 300.000 e 25.000 di loro furono deportati nei
campi dell'Unione Sovietica occupata dalle forze dell'Asse. Oltre metà di loro
morì, gli altri sopravvissero alla fame, ai disagi, alle brutalità e agli
eccidi di massa. Furono infine liberati nel 1944 e fecero ritorno in Romania,
tentando di rifarsi una vita.
Per sessant'anni la deportazione dei Rom è stata ignorata dai
libri di testo e nessun monumento ricorda quel sacrificio.Soltanto alla fine
degli anni '90 il tema è tornato d'attualità, quando sono stati sbloccati i
fondi svizzeri e tedeschi per la compensazione delle vittime e dei loro eredi.
Le sofferenze patite durante la guerra si uniscono all'attuale
quadro di discriminazione che tuttora vivono i Rom in Romania. DOLORI NASCOSTI
rivea la continua lotta dei Rom contro il pregiudizio, la povertà e la
marginalizzazione.
Il dramma globale
Asilo: diminuiscono i rifugiati, ma aumento gli sfollati interni
António Guterres (Onu): "la questione degli sfollati interni dimostra chiaramente come razzismo, xenofobia, e conflitto etnico siano vivi e forti nel nostro mondo”
Il numero globale dei rifugiati che hanno dovuto abbandonare il proprio paese a causa di violenza e persecuzioni ha toccato nel 2005 la cifra più bassa da quasi 25 anni a questa parte.
Tuttavia è cresciuto il numero di sfollati fuggiti dalle proprie case per gli stessi motivi, ma che sono rimasti dentro i confini dei propri paesi e non rientrano per questo nella Convenzione del 1951 sui rifugiati: sono oggi più di 25 milioni.
Come ha evidenziato l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati António Guterres "la drammatica questione degli sfollati interni dimostra fin troppo chiaramente come razzismo, xenofobia, conflitto etnico, nazionalismo violento e fondamentalismo religioso siano vivi e forti nel nostro mondo di oggi. Noi possiamo batterli solo attraverso la tolleranza, un valore che non appartiene ad una particolare civiltà, ma un valore di civiltà".
Attualmente, oltre seimila operatori dell'UNHCR si prendono cura in tutto il mondo di circa 19 milioni di rifugiati ed altre categorie di migranti forzati che rientrano nella competenza dell'Agenzia. “Ma da questo momento - ha dichiarato Guterres, l'UNHCR intende essere un partner ‘pienamente coinvolto’ nell'approccio collaborativo delle Nazioni Unite per far fronte alla questione degli sfollati interni.
La lotta contro ‘l'impatto perverso’ dell'intolleranza costituisce forse la sfida più difficile che oggi l'UNHCR e i suoi partner devono affrontare – ha proseguito il Commissario -. L'ascesa del populismo ha portato a creare sistematicamente e intenzionalmente confusione nell'opinione pubblica, mischiando problemi di sicurezza, terrorismo, flussi migratori e questioni relative a rifugiati ed asilo”.
"Per preservare l'istituto dell'asilo è necessario per noi poter individuare le persone bisognose di protezione internazionale all'interno di flussi migratori complessi, come quali che hanno luogo nel Mediterraneo e nel Golfo di Aden - ha continuato Guterres, riferendosi alle migliaia di persone che dall'Africa si spostano verso l'Europa ed il Medio Oriente.
"Tutti gli stati sono tenuti a gestire in modo responsabile le proprie frontiere e ad adottare politiche migratorie appropriate. Essi devono anche agire con forza per eliminare il traffico di esseri umani e punire severamente chi trae vantaggio da tali traffici. Tuttavia la necessità di sorvegliare le frontiere non deve impedire l'accesso alle procedure d'asilo o un'equa procedura di determinazione dello status di rifugiato per coloro che ne hanno diritto in base al diritto internazionale. Un'azione repressiva dura e senza compromessi contro questi abominevoli criminali deve procedere di pari passo con la preoccupazione umanitaria di proteggere le loro vittime bisognose – ha concluso il commissario.
(6 ottobre 2005)
r.m.
da: Romanian_Roma
19 Ottobre 2005 - Lettera aperta a Traian Basescu, presidente della
Romania
Spettabile presidente,
Le scriviamo oggi per esprimere la nostra preoccupazione in merito alla
promulgazione dell'Ordinanza Governativa d'Emergenza n. 31 del 2002, che vieta
organizzazioni e simboli fascisti, razzisti o xenofobi, come pure l'apologia di
persone resesi colpevoli di crimini contro la pace e l'umanità.
Siamo consci dell'interesse da Lei mostrato come presidente, riguardo
l'Olocausto e le sue conseguenze, come riportato nel rapporto del Comitato
Internazionale per lo Studio dell'Olocausto. Per questa ragione richiamiamola
Sua attenzione di quanto riportato nella bozza dell'ordinanza; all'articolo 2
lettera d, l'Olocausto viene definito come: "Persecuzione sistematica ed
annichilimento operata dallo stato, degli Ebrei Europei, condotta dalla Germania
nazista e dai suoi alleati e collaborazionisti tra il 1933 e il 1945".
Come stabilito dal Comitato Internazionale per lo Studio dell'Olocausto,
durante il regime di Antonescu, tanto gli Ebrei che i Rom furono vittime
dell'Olocausto e delle deportazioni in Transnistria.
Consideriamo perciò offensivo che nella bozza non vengano menzionati i Rom
come vittime dell'Olocausto. Questo può avere serie conseguenza negli sforzi
della Romania di aderire ai principi europei di riconciliarsi con la propria
storia. Inoltre, l'assenza di una menzione ai Rom, li esclude da ogni
discussione sull'Olocausto e rende impossibile ai cittadini rumeni di ricevere
un'adeguata informazione su cosa successe. Per finire, un testo simile esclude i
Rom dalle cause di compensazioni per le persecuzioni subite.
Le chiediamo perciò di modificare la definizione di Olocausto, così che
anche i Rom siano riconosciuti tra le vittime.
Nella speranza che Lei voglia considerare il nostro suggerimento, voglia
ricevere i nostri più sentiti ringraziamenti.
Firmatari (è possibile aggiungere la propria adesione, comunicandola
direttamente a Ciprian Necula ciprian@mma.ro):
Mariea Ionescu, Secretary of State, President of the National Agency for the Roma
Adrian Cioroianu, Senator, National Liberal Party
Livia Jaroka, Member of the European Parliament
Viktoria Mohacsi, Member of the European Parliament
Els de Groen, Member of the European Parliament
Felicia Waldman, Goldstein Goren Center for Jewish Studies, University of Bucharest
Mircea Toma, Media Monitoring Agency - Academia Catavencu
Gheorghe Sarau, PhD, Counselor, Ministry of Education and Research, Associate Prof., Faculty of Foreign Languages and Literatures, University of Bucharest
Valeriu Nicolae, European Roma Information Office
Ian Hancock, former representative of the Roma at the Holocaust Museum in Washington, Prof. University of Texas
Delia Grigore, PhD, Lecturer, Faculty of Foreign Languages and Literatures, University of Bucharest
Sorin Cace, Institute for Quality of Life
Gelu Duminica, “Impreuna” Agency for Community Development
Magda Matache, Romani CRISS
Florin Botonogu, Association for Civic Education and Dialogue
Ciprian Necula, Media Monitoring Agency - Academia Catavencu
Viorica Gotu, Counselor for Roma issues, Galati County
Petrica Corneliu Ionel, President of Social Democratic Roma Party, Galati
Nica Maricica, Organization of Roma Mediators in Romania
Petre Petcut, PhD student, Sorbonne University
Petre Florin Manole, Social Democratic Roma Party
Costel Bercus, Executive Director, Romani CRISS
Cristina Hurdubaia, Association for the Protection and Promotion of the Freedom of _Expression
Teodora Zabava, Media Monitoring Agency - Academia Catavencu
Mihai Neacsu, “Amare Romentza” Association
Simion Samir, Roma Association in Buzau
Michelle Kelso, Director, Association for Civic Education and Dialogue
Ruxandra Radulescu, Assistant, PhD student, Faculty of Foreign Languages and Literatures, University of Bucharest
Dan Barbulescu, M.A. student, National School of Political Studies and Public Administration
Valery Novoselsky, MP, International Romani Union. Editor of on-line Roma Virtual Network. Israel.
Pristina, 25 ottobre 2005: Il giorno dopo l'annuncio del Consiglio di
Sicurezza dell'ONU sull'apertura dei negoziati sul futuro politico della
regione, i Rom del Kosovo hanno chiesto di essere ammessi alle discussioni. In
una lettera indirizzata ai rappresentanti della comunità internazionale ed
europea, Rom, Askali ed Egizi chiedono una soluzione urgente al problema di
quanti di loro, cittadini della ex Jugoslavia, sono diventati vittime di
violenze razziste, continuando in molti a sopravvivere in un limbo giuridico ed
esistenziale. I firmatari, tra cui organizzazioni internazionali dei Rom, ONG e
centinaia di privati cittadini (cfr: Petizione
Europea per il Kossovo) chiedono la moratoria immediata delle
deportazioni in Kossovo e il riconoscimento del diritto d'asilo.
Durante un incontro sullo sviluppo delle politiche sui Rom e Sinti, che si è
svolto settimana scorsa a Varsavia col patrocinio dell'OSCE e dell'ODIHR, i
rappresentanti dei Rom kossovari hanno concordato s una piattaforma comune per
la futura cooperazione. [...] Alla presenza del capo missione OSCE e
ambasciatore europeo Jens Modvig, hanno chiesto il riconoscimento della pulizia
etnica contro i Rom, avvenuta a seguito dei bombardamenti NATO, il
riconoscimento dei danni patiti per la guerra, il ritorno alle loro proprietà
[ora] occupate, il ripristino della sicurezza e della libertà di movimento nel
Kosovo e un'indagine imparziale sulle violenze e discriminazioni; la
rappresentanza paritetica e l'accesso alle istituzioni pubbliche, l'effettivo
accesso dei non-albanesi alla casa, scuola, educazione e lavoro; un adeguato
supporto ai rifugiati interni e a quanti hanno fatto già ritorno. Inoltre
chiedono il la certezza del diritto delle comunità non-albanesi, nell'ipotesi
che il Kosovo diventi indipendente e il riconoscimento dei Rom come popolo
costituente. Visto che la comunità dei Rom è attualmente dispersa nel mondo,
chiedono inoltre l'organizzazione di una conferenza internazionale sui Rom del
Kosovo, come misura d'emergenza e per rendere possibile il coordinamento degli
interessi comunitari.
I Rom costituivano la terza più grande comunità etnica nella regione,
stimata la loro presenza in 150.000. Cacciati a seguito delle vicende di guerra,
distrutte le loro case e proprietà. Nonostante la precarietà dell'attuale
situazione, esacerbata dalla volontà politica dei governi occidentali per un
rapido ritorno di Rom, Askali ed Egizi, l'interesse di media e politici sembra
concentrarsi solo sulle due principali comunità in Kosovo, i Serbi e gli
Albanesi, abbandonando le altre comunità ad un destino incerto e senza futuro
politico.
Per ulteriori informazioni, contattare
Novità sul caso di Lety (il campo di concentramento nazista che ora è un salumificio)
Praga, 4. 11. 2005, 07:59, (CTK) - Il governo ha messo a bilancio l'acquisto del famigerato allevamento, posto dove era situato un ex campo di concentramento per Rom, nella città di Lety, Boemia meridionale. Il Primo Ministro Jiri Paroubek lo ha afferma al giornale "Lidove noviny". Da anni le organizzazioni rom chiedevano la rimozione o rilocazione dell'edificio.
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Aggiornamenti:
1. su http://belfries.tripod.com/getleadoutpress78.htm
è ripubblicato un articolo di Marek Antoni Nowicki, Ombudsman per il Kosovo,
apparso sul maggior quotidiano della regione. Viene riassunto lo stato dei
negoziati in corso, le complicazioni e le responsabilità delle parti in causa.
2. RADC report 8: Proseguono i test sui livelli di contaminazione dei campi
profughi. Il 18 ottobre un'equipe USA ha visitato i campi di Kablare, Cesmin Lug
e Zitkovac, limitandosi ad incontrare i responsabili dei campi. Invece sono
stati misurati i livelli nella mahalla di Mitrovica. I restanti campi verranno
controllati a breve e entro due settimane dovrebbero essere noti i risultati.
Continuano le indiscrezioni sulla futura soluzione della mahalla di Mitrovica e
la nuova sistemazione per chi si trova nel campo per profughi interno. L'intero
articolo su http://belfries.tripod.com/getleadoutradreport.htm
Fonte: www.getleadout.cjb.net
(tutti i link sono in inglese)
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