Pisa per qualche tempo era diventata un punto di riferimento per il rispetto
di alcuni diritti fondamentali che aveva dimostrato nei confronti delle comunità
Rom. Ha disgraziatamente invertito la rotta e sta commettendo l'errore
vergognoso della Giunta Capitelli: dare soldi ai capifamiglia per andarsene.
Hanno fatto così anche a Pavia, tra il 31 agosto e il 3 settembre 2007. Molti
apparentemente avevano accettato: caricati su pullmini erano stati lasciati
nell'hinterland milanese. Sono tornati quasi tutti. Solo la cecità poteva
non avvedersi che per indigenti totali una cifra tra i 150 euro e 300 poteva
essere allettante lì per lì, ma non poteva essere risolutiva di alcun destino.
Come si può pagare un cittadino europeo per andarsene da un paese europeo? Com'è
possibile che di fronte alle comunità Rom anche le aree del paese più avvedute
rispetto ai diritti di cittadinanza sbrachino a tal punto da non saper prevedere
alcun sbocco politico alla convivenza? In alcuni dei comuni consorziati per la
"buona uscita" ai Rom ci ho vissuto e a lungo. Mi sono portata con me ricordi
struggenti di umanità e accoglienza. Che tristezza.
Irene Campari
L’iniziativa di un consorzio di nove comuni dell’area, tra cui il capoluogo.
Tra qualche giorno parte il primo pullman Cinquecento-mille euro per l’impegno a non tornare. «Niente furbi, scegliamo
persone affidabili»
PISA - Il rimpatrio con buonuscita è già stato accettato dai primi dodici
rom, quattro famiglie in tutto. Tra qualche giorno saliranno su un pullman
per raggiungere i luoghi di origine, in Romania. Viaggio spesato e bonus in
denaro: dai cinquecento ai mille euro a nucleo familiare da erogare solo a
destinazione raggiunta. Soldi pubblici, messi a disposizione dalla Società della
salute, un consorzio di nove comuni (tra i quali Pisa, Cascina, San Giuliano
Terme, Vecchiano, Calci, Fauglia) dell’area pisana e l’Asl. L’accordo, con tanto
di firme e controfirme, prevede il consenziente allontanamento dei rom, e in un
imminente futuro sarà esteso anche ai cittadini extracomunitari, sempre che
siano d’accordo. E che impegna, chi accetta «a non rientrare in Italia almeno
per un anno» e a rinunciare ad «accamparsi o a erigere baracche in zona in
luoghi pubblici o privati che non siano destinati allo scopo».
Clausole che però hanno provocato in città polemiche e ironia. I rom sono quasi
tutti cittadini romeni, dunque comunitari e come membri dell’Ue hanno il
diritto di entrare in qualsiasi Paese membro senza restrizioni. Anche se sono
stati pagati con assegno per non tornare un anno intero. «Il rimpatrio
consenziente è un’idea che ci è venuta durante un monitoraggio dei campi abusivi
- spiega Maria Paola Ciccone, assessore alle politiche sociali del comune di
Pisa e da lunedì nuovo presidente della Società della salute -. Sono stati
alcuni rom a chiederci di aiutarli a tornare a casa e dunque con i servizi
sociali abbiamo deciso questa sperimentazione in collaborazione con la Regione
Toscana ». Sulla possibilità di «furberie », l’assessore ammette qualche
rischio: «La nostra è una scommessa. Il servizio non è rivolto a tutti ma solo a
quelle persone meritevoli di fiducia». In città il provvedimento sta creando
polemiche e malumore. Amanuel Sikera, vicepresidente della Consulta provinciale
degli stranieri, in una lettera aperta a Tirreno e Nazione, non ha lesinato
critiche agli enti locali. «Sono rimasto sconcertato dalla ricetta proposta per
il loro rimpatrio - ha scritto Sikera -. Attuare un siffatto provvedimento
significa ammettere un totale fallimento delle politiche di integrazione».
12/4/2009 - Venerdì il Tribunale Cittadino di Praga ha rigettato il reclamo del
Rom ceco Jaroslav Suchy, che aveva chiesto 500.000 corone al Ministero
dell'Istruzione, accusando la repubblica di averlo deprivato di un'istruzione
adeguata. Suchy, 31 anni, dichiara di essere stato spedito in una scuola
elementare per bambini con difficoltà di apprendimento nel 1985, soltanto a
causa della sua origine etnica e sociale. Il tribunale ha concluso che Suchy non
ha provato la sua accusa. D'altra parte, Suchy può appellarsi al verdetto. Il
ministero ha puntualizzato che le performance di Suchy nella scuola per
bambini "lenti" mostrano che non sarebbe stato in grado di studiare in una
scuola standard.
Ma Suchy ha obiettato che lo staff del pensionato infantile dove è cresciuto
gli dava dei sedativi, aggiungendo che a quel tempo era una pratica
istituzionale usuale per calmare i bambini iperattivi. Gli alunni delle
cosiddette "scuole speciali" erano generalmente considerati ritardati mentali ed
era molto difficile per loro ricevere istruzione secondaria.
Scrive Pravo che nel 1999, Suchy passò un corso per completare le elementari
e nel 2005 fece gli esami per la scuola superiore alla scuola secondaria romanì
di Kolin, nella Boemia centrale. Suchy dice di aver deciso di compilare un
reclamo dopo che la Corte Europea dei Diritti Umani a Strasburgo, nel 2007,
parteggiò per 18 Rom cechi che avevano fatto causa per essere stati mandati in
una scuola elementare per alunni con difficoltà di apprendimento ad Ostrava,
nord della Moravia.
30/04/2009, 20:43 - Delle immagini in bianco e nero, che provengono
dal passato: un accampamento di Rom colto in alcuni momenti tipici della sua
quotidianità: le donne accudiscono i bambini, gli uomini battono il rame….. su
queste immagini di repertorio la voce off di un'anziana rom kalderasha, Emilia,
racconta degli spostamenti continui, del montaggio e smontaggio delle tende nei
diversi paesi toccati dal loro incessante cammino di zingari, sempre alla
rincorsa delle sagre e delle feste patronali.....
... Il volto di Emilia oggi, segnato dal tempo e dalla vita, che prosegue il
suo racconto all’interno della piccola roulotte in cui vive, nell’accampamento
nel cortile dell’ex foro boario di Testaccio, a Roma…..
... Rasema ha venti anni meno di Emilia, ma non si direbbe: il suo volto di
sessantenne è segnato da rughe profonde, anche se la sua espressione mantiene un
che di infantile, specialmente quando sorride. Ci racconta del suo arrivo in
Italia dalla Bosnia, nel lontano 1969, con il marito e un bambino piccolo in
braccio.
Oggi vive nel piccolo campo all’Arco di Travertino, circondata dall’affetto e
dal rispetto dei figli e degli innumerevoli nipoti. E il suo modo di vedere la
vita, tradizionale, “all'antica”, dissolve.....
... Nel racconto delle esperienze di Umiza, romnì bosniaca che ha da poco
superato la trentina e che è arrivata in Italia da Mostar quando aveva solo
pochi mesi. Oggi vive in un container del villaggio attrezzato di via Cesare
Lombroso, accanto ai suoi anziani genitori e ai fratelli.
Un marito perennemente in galera, la fatica di portare avanti la famiglia e
far crescere i suoi due figli da sola..... la vita non è affatto semplice per
Umiza, che si arrangia recuperando materiali di ogni genere nei cassonetti della
spazzatura, per poi rivenderli nel mercatino aperto vicino al campo…..
... La stessa forza di Umiza anima le attività di Sevla, romnì quarantenne
che è riuscita ad uscire dal campo di vicolo Savini e a garantire un tetto ai
suoi otto figli occupando una casa abbandonata. Sevla è un'ottima ballerina di
danze balcaniche e una donna forte, espansiva e solare. Ha messo a frutto le sue
capacità creative con determinazione e passione, insegnando le danze
tradizionali rom e avviando un'attività di piccolo artigianato. Tutta la vita di
Sevla risente della presenza del ricordo del fratello morto oramai quasi
vent'anni fa, il celebre poeta zingaro Rasim Sejdic, come dimostra anche
l'educazione che ha scelto di dare ai suoi figli, così orientata verso
l'espressione artistica,.....
... E la passione per la danza, che pratica con impressionante bravura,
Daniela l’ha ereditata proprio dalla madre. A diciannove anni Daniela ha
rifiutato con serena determinazione lo stile di vita tradizionale della sua
comunità che le proponeva un matrimonio precoce e il ruolo di madre e moglie
sottomessa al marito. Il suo principale obiettivo è invece quello di cambiare le
sue condizioni di vita: chiudere definitivamente con la vita del campo nomadi,
trovare un lavoro che le permetta di rendersi autonoma, ma senza rinunciare a
divertirsi, come è nei desideri di qualsiasi ragazza della sua età.....
... E una voglia quasi sfrenata di vivere pienamente la sua giovinezza
caratterizza lo stile di vita di Mirela, ventenne che vive nel villaggio
attrezzato di via dei Gordiani. Mirela è una forza della natura: volitiva,
travolgente, sensuale, con un modo tutto suo, sincero e diretto, di esprimersi.
Non veste “alla zingara”, rifiuta anzi di indossare le tradizionali lunghe gonne
a fiori e frequenta comitive di ragazzi italiani, rifuggendo la compagnia degli
altri Rom. Questo suo comportamento la mette in cattiva luce dentro la comunità:
non sono in pochi, e non solo gli adulti o gli anziani ma anche le sue coetanee,
a considerarla una “poco di buono”.....
... Charlotte, invece, è una diciottenne che è riuscita a gestire
armoniosamente e con consapevolezza il rapporto difficile tra il mondo dei Rom e
il mondo dei “Gagé”: ha conseguito la licenza media, si è iscritta al corso per
volontaria del servizio civile e ha iniziato a fare le prime esperienze come
mediatrice culturale nella scuola elementare vicina al campo di Testaccio, dove
vive con la sua famiglia. Ma la dolcezza del suo volto è contraddetta dal guizzo
ribelle dello sguardo, quando ricorda con orgoglio di essere sempre riuscita a
ribellarsi agli aspetti più arretrati della sua cultura di origine.
Presentazione del libro "Speranza" di Antun Balzevic
Venerdì 8 Maggio alle 19:30 presso il laboratorio socio-culturale TANA LIBERI
TUTTI sarà presentato il libro “Speranza” di Antun Balzevic, in arte Tonizingaro,
con prefazione di Moni Ovadia:
Una snella raccolta di racconti e poesie scritte dall’aurore serbo nel corso di
questi ultimi anni, capace di intelligente ironia e sagace critica sociale.
In primo piano il popolo Rom, la sua quotidianità, la condizione esistenziale e
le sue relazioni con la società, argomenti questi che Toni conosce molto bene in
quanto da anni impegnato come mediatore culturale tra i Rom romani e il
Campidoglio. Uomo dalla vita traboccante di esperienze, avendo trascorso periodi
di disperazione e povertà come momenti di grande slancio e soddisfazioni, è
riuscito a concentrare alcune delle sue più interessanti impressioni in questo
testo che sa approfondire alcune questioni di particolare complessità con un
linguaggio spesso esilarante e comunque sempre accessibile ad un pubblico vasto.
In queste pagine Toni, zingaro metropolitano, ripone la speranza per un avvenire
migliore non solo per il proprio popolo ma per l’umanità tutta, perché, questo è
certo, nessuna società può considerarsi salva se ancora non sa superare e
“sconfiggere l’ignoranza e l’intolleranza”, sa che siamo ancora lontani da ciò
ma spera che le sue parole e le sue esperienze possano spostare qualcosa nel
quadro odierno, possano toccare la mente ed il cuore di qualcuno, anche pochi,
ma che possano aprire le loro menti e disporsi alla reciproca ospitalità.
In occasione della presentazione Tonizingaro sarà protagonista di un reading
musicato dalla sua band, il tutto accompagnato dagli ormai tipici aperitivi
della Tana, ancora una volta impegnata in eventi capaci di offrire un mix di
cultura, svago e socializzazione.
Noi non ci vergogniamo perché ci chiamiamo, come dite Voi occidentali,
Zingari e perché veniamo da terre lontane piene di fango. Ascoltateci, perché
pure da noi esiste una per voi sconosciuta cultura.
Voi prima fate interrogatori e siete sospettosi, siete lontano dai vostri stessi
figli, dietro al tavolo non mettete mai uno sconosciuto.
Voi potete bere non offrendo a nessuno un bicchiere di vino.
Da noi le tradizioni ancora sono primitive, noi facciamo entrare tutti sotto il
nostro tetto, da noi ancora ci si bacia con gli sconosciuti.
Voi davvero avete milioni di statue di Cristo, ogni statua per ognuno di voi, le
avete per le strade, nelle scuole, nelle galere e sulle colline.
Da noi la gente quando crede in Dio lo porta dentro il cuor suo, e pure quando
dorme lo prega.
E’ vero che Voi per affrontare la vita avete a disposizione le macchine e tutto
quello che vi serve.
Noi ancora usiamo i nostri tradizionali strumenti per sopravvivenza, ma da noi
tutto è sano, la natura come la gallina, la morte, la nascita e la vita.
Voi avete le vostre leggi della scienza e della libertà, ma tutte scritte su un
pezzo di carta. Noi viviamo secondo le nostre leggi non scritte, viviamo liberi
e rispettiamo le nostre regole fatte di natura, di fuoco, di acqua e di vento.
Da voi davvero è tutto prescritto, come si beve, si mangia, si parla e ci si
veste, da noi quando si parla si urla, e gesticoliamo con le mani, quando
mangiamo la zuppa la risucchiamo rumorosamente, di pelle di animali sono fatti i
nostri guanti e le nostre scarpe.
Abbiamo tante abitudini dei contadini, ma pure gli antenati dei re erano
contadini. Occidente quando era arrabbiato ci tagliava la gola, bruciava e
distruggeva le nostre case, ma noi siamo quelli che sopportano tranquilli quello
che ci fanno, noi non pensiamo che tutto il mondo è nostro, noi non permetteremo
che per la colpa nostra gli innocenti piangeranno.
La nostra anima è grande come il mondo pur che siamo pochi, noi cantando e
ballando accompagnati dalla musica andiamo avanti verso il futuro.
Sofia - La Bulgaria è tra i paesi dove la minoranza rom si sente meno
discriminata, lo rivela un'indagine UE sui diritti delle minoranze. Secondo
quanto riportato, soltanto il 26% dei Rom in Bulgaria si sente vittima di
discriminazione. La Bulgaria viene seconda nella lista dei paesi più tolleranti,
subito dopo la Romania, dove il 25% dei Rom dice di essere discriminato.
La ricerca coinvolge sette stati membri UE - Bulgaria, Grecia, Polonia,
Repubblica Ceca, Romania e Ungheria. La Repubblica Ceca è riportata come la meno
tollerante verso la propria popolazione rom, dato che il 64% dice che i propri
diritti non sono osservati.
Di Fabrizio (del 04/05/2009 @ 16:39:17, in media, visitato 1400 volte)
Incredibile! Basta una storia strappalacrime perché uno dei
più razzisti giornali italiani decida di fare quello che sarebbe il suo
compito: informare e non fare da altoparlante ad una sola voce (quella del più
forte, di solito). Riporto tutto il pezzo, non perché sia veritiero o magari
commovente al punto giusto, ma perché in tutta la vicenda del un padre di un
personaggio pubblico, nessuno prima aveva voluto sapere anche la sua versione.
INTERVISTE 04/05/2009 - Si chiama Sahit Berisa, ha 39 anni ed è il padre di
Ferdi, il vincitore dell'ultima edizione del Grande Fratello. Oggi vive in un
campo nomadi del Centro Italia e ha rilasciato una lunga intervista al
settimanale Di Più, nella quale si rivolge direttamente al figlio "Quando ti ho
portato sul gommone in Italia, volevo solo il tuo bene". Sul suo conto sono
state dette tante cose, il figlio ha raccontato con amarezza la sua triste
infanzia ma ora Sahit cerca un riavvicinamento, giurando: “non voglio i tuoi
soldi”.
Tutto è iniziato con la separazione in casa, tra i genitori del giovane rom: “Io
e mia moglie non andavamo più d’accordo, litigavamo sempre. Io avevo le mie
colpe, non ero un marito perfetto, un padre perfetto, non trovavo un lavoro
stabile, continuavo a vendere stracci e a vivere alla giornata, a volte facevo
tardi, esageravo con il bere. La vita a casa nostra era diventata impossibile,
mia moglie aveva un altro e non mi voleva più. Lei al Gf, rivolgendosi a Ferdi,
ha raccontato che la maltrattavo che ero io ad avere un’altra ma non è così. Non
so perché mia moglie scarica tutte le colpe su di me, so che la verità è che
ormai non potevamo più stare insieme..."
"Ricordo che me ne sono andato di casa dopo un brutto litigio. Mi sono
trasferito da un mio parente e fin da quel momento il mio unico pensiero è stato
il bene dei figli. A casa mia non ci potevo più tornare perché mia moglie mi
cacciava, il suo nuovo uomo non mi faceva entrare, non mi facevano vedere i
bambini. Se mi avvicinavo mia moglie urlava: "'Ho una nuova vita, qua non c'è
posto per te vattene!". Ho provato a mettere a posto le cose, ma non ci sono
riuscito. Mi tormentavo, sapevo di avere sbagliato anch'io: la mia vita
disordinata, la mancanza di un lavoro, non mi avevano dato la possibilità di
garantire alla mia famiglia la serenità, e la situazione era tracollata. Mi ero
ritrovato da solo. E mi preoccupavo per Ferdi, perché senza un padre accanto
qualcuno poteva metterlo fin da piccolo su una brutta strada, in una realtà come
la nostra, di grande povertà. Tanti amici, tanti parenti, mi dicevano che Ferdi
e sua sorella non erano sereni a casa con la mamma...".
"Allora, mi sono detto che c'era un solo modo per risolvere il problema: portare
via i figli da quella casa. Così ho organizzato tutto. In una valigia ho messo
qualche vestito; sono andato di nascosto a prendere i bambini. Ho portato Elfa
da mia mamma, in un paese vicino, e le io detto: "Mamma, crescila meglio che
puoi: se viene mia moglie a cercarla. spiega che Elfia sta meglio con te". Poi,
sono andato via con Ferdi. Lui allora aveva 9 anni. Volevo andare in Italia con
un gommone, assieme ad altri come me, come noi, perché tutti dicevano che in
Italia c'era la ricchezza, che si poteva trovare la felicità. Tanti rom come me
fanno così, anche questo fa parte della nostra storia, del nostro modo di
vivere. Avevo organizzato il viaggio con persone che conoscevo. Mi è costato tre
milioni, una cifra enorme. Avevo raccolto tutti quei soldi facendo debiti con
alcuni miei parenti, avevo promesso che in Italia avrei trovato un lavoro e
avrei restituito tutto. Ricordo solo che Ferdi, quando siamo saliti sul gommone,
mi ha detto: "Papà, dove andiamo?", e io gli ho risposto: "A cercare una vita
migliore, figlio mio".
Per sfamare mio figlio dovevo arrangiarmi con l'elemosina per le strade, ed ero
costretto a portare Ferdi con me, non potevo lasciarlo solo. La notte dormivamo
nei campi rom, il giorno lo passavamo agli angoli dei marciapiedi. Una vita
dura, durissima. Alcuni come me, gente di strada che incontravo, avevano scelto
una via più facile, piccoli espedienti, piccoli furti. Ma io non volevo farmi
trascinare, per il bene del bambino, e continuavo ad andare avanti solo con
l'elemosina. Di una cosa sono orgoglioso: in tutti quei mesi che ho passato con
lui in Italia gli ho sempre dato un tetto sotto cui dormire. Non l'ho mai fatto
dormire per strada. Se un giorno, con l'elemosina, riuscivo a raccogliere
quaranta o cinquantamila lire, non lo portavo neanche al campo rom. Cercavo
qualche pensione da poco per dargli un letto come si deve.
C'era la paura di essere fermati dalla polizia, noi clandestini senza un
permesso di soggiorno. Infatti, quello che temevo è successo. Un giorno ci hanno
fermato per strada. Hanno controllato i documenti e mi hanno portato via il mio
bambino, perché hanno detto che non ero nelle condizioni di crescerlo. Sì,
avevano ragione, ero e rimango un vagabondo senza fissa dimora, ma che cosa
potevo fare? Ferdi piangeva: "Papà papà, stai con me", mi diceva tra le lacrime.
Non potevo fare niente per trattenerlo. È l'ultima volta che l'ho visto, ricordo
i suoi occhi gonfi e il suo sguardo spaventato. Non mi hanno neanche voluto dire
dove lo portavano. "Ecco, Sahit", mi dicevo "hai sbagliato tutto". "Hai perso
tutto", mi ripetevo. "Tuo figlio te l'hanno portato via, tua figlia non sai come
sta, non hai più nessuno". Ero disperato. Ricordo che ho preso un treno per
raggiungere il campo rom dove ho gli amici più cari. Ma non ho dormito in
roulotte. Ho dormito per una settimana sulla spiaggia, al freddo. Questo è
successo dodici anni fa, nel 1997, quando Ferdi aveva 10 anni, dopo che eravamo
stati insieme un anno in Italia. È allora che mi sono perduto”.
“Quando ho perso mio figlio, sono morto dentro e sono finito su strade
sbagliate. Ho cominciato a rubare, ho ripreso a bere. Sono finito in carcere
quattro volte, ho condiviso anche una cella con dodici persone e un solo bagno
per tutti. A volte mi ha sfiorato il pensiero di farla finita, ma non ho avuto
il coraggio perché, in fondo continuavo ad avere un obiettivo, ritrovare i miei
figli, riabbracciarli. La mia era ed è una vita da fuggitivo, disgraziato. Ma
non ho mai smesso di pensare a Ferdi. Chiedevo di lui ai parenti che vivono nei
campi rom. Sì, perché tra noi ci si aiuta, se si può. Siamo tanti, sparsi
ovunque. Una volta un cugino mi ha detto che forse Ferdi era a Cagliari mi sono
precipitato là. in un istituto religioso. Ma non mi hanno neanche fatto
entrare”.
“Dopo tante ricerche, tre o quattro anni fa, sono riuscito ad avere il suo
numero di telefono tramite un nostro parente. L'ho chiamato con le mani che mi
tremavano e gli occhi lucidi. Ma lui, mio figlio, è stato freddo, mi ha detto
solo: "Papa, quando sarò pronto mi farò vivo", e ha messo giù il telefono senza
neanche dirmi dove era. Allora, sono stato male, ho pensato che ce l'aveva con
me, che non mi perdonava la vita che gli aveva fatto fare, e chissà cos'altro.
Io cercato di capire, ho fatto tante telefonate, finché un parente che è rimasto
in contatto con lui mi ha detto che Ferdi aveva saputo brutte cose sul mio conto
e non voleva vedermi: pensava che l'avevo portato via con la forza da casa,
diceva che l'avevo picchiato e che lo avevo costretto a rubare”.
“Mi trovavo nel campo rom della Romagna quando Davide, un mio amico, mi ha
detto: "Sahit, credo proprio che tuo figlio sia in televisione". Tutti là,
infatti, sanno da anni la mia storia, sanno di Ferdi, del mio tormento. Non
volevo crederci: mio figlio in televisione? Quando ho visto Ferdi, al Grande
Fratello, ho fatto salti di gioia. Vedere che stava bene, che è bello, che è
sano mi rendeva contentissimo. L'ho baciato sullo schermo, ho pianto. Per tre
mesi ho guardato sempre Ferdi, attaccato alla televisione. Ho seguito tutto, mi
sono emozionato, ho riso, ho pianto. Sono stati i tre mesi più belli della mia
vita. Ho visto il messaggio della mamma, la mia ex moglie, mi accusava di averla
maltrattata, e ho sofferto. Allora, ho contattato la redazione del Grande
Fratello, ma mi hanno detto che Ferdi non voleva vedermi. Lo immaginavo, lui
pensa che io sia stato cattivo con lui. Poi, ho rivisto mia figlia in
televisione che parlava dalla Germania con Ferdi che era nella Casa. Anche lei
non la vedevo da moltissimi anni, e ho pianto ancora. Poi, mi sono arrabbiato
quando Gianluca, il concorrente di Napoli, ha accusato mio figlio di volere fare
piangere con la sua storia e gli ha dato una spinta. Poi. sono stato contento
quando Ferdi ha raccontato di essere cresciuto bene all'istituto Don Orione e
con un'altra famiglia. Ho applaudito quando Ferdi ha baciato Francesca e ho
festeggiato con i miei amici rom quando ha vinto. Così sono come rinato”.
“Quando Ferdi è uscito, ho tirato nuovamente fuori il bigliettino su cui anni
prima avevo segnato il suo numero. Non sapevo se chiamarlo o no, ero combattuto.
Ho deciso di chiamarlo dopo che a un giornale, il vostro Dipiù, Ferdi ha detto
che poteva dimenticare il passato, e che poteva pensare di riabbracciare me, suo
padre. L'ho chiamato con il cuore che mi batteva: "Figlio mio. sono tuo
padre...", gli ho detto. Ma lui, proprio come aveva fatto anni prima, mi ha
interrotto e ha detto: ' Papà, mi farò vivo io quando sarò pronto, ora devo
andare". In quel momento, ricordo, sono crollato su una sedia, con gli occhi
gonfi. Lo so, forse ho chiamato troppo presto, ma ho agito d'istinto, non potevo
aspettare, Ferdi ha bisogno di tempo. Lo so. lui pensa ancora che io ho fatto
del male, e non sarà facile fargli cambiare idea dopo tanti anni”
“Lo so. forse qualcuno, lui stesso pensa che adesso io mi sono fatto vivo perché
è ricco famoso. Ma non è così. Non ho mai avuto una casa. Vivo con i vestiti che
trovo. E credo di avere pagato per gli errori che ho fatto. I guai e l'amarezza
mi hanno consumato nel corpo e nella mente. Da quando ho perso mio figlio, non
ho più avuto un obiettivo. Ho solo il pensiero fisso di rivedere lui e la
sorella. Il Grande Fratello ha riportato la speranza, mi ha fatto ritrovare mio
figlio. Il mio sogno è uno solo. Abbracciare, anche solo per un minuto. Ferdi e
sua sorella, parlare con loro...".
Mi chiamo Sami Mustafa, vengo dalla comunità rom in Kosovo del piccolo
villaggio di Plemetina. Ho prodotto e diretto circa 20 documentari sulle
tematiche rom e dei diritti umani in generale in Kosovo, Polonia (documentario
promozionale) e Bosnia Erzegovina negli ultimi sette anni.
La maggior parte dei miei lavori è stata presentata in festival mondiali, e
"La Strada verso Casa" (documentario) è stato premiato dalla Critica al Festival
di Cannes del 2007. [...]
Quest'anno sono stato accettato alla Scuola Filmica di Praga (PFS) per un
corso di un anno nella sezione documentari e premiato col dimezzamento delle
tasse scolastiche dalla PFS e dalla Fondazione Ralph per una cifra di 6.900
euro. La Scuola Filmica di Praga è riconosciuta in tutto il mondo come una delle
migliori, ed io sono l'unico Rom a cui sia stato concesso di studiarvi. Ho
quindi bisogno di 6.900 euro per il resto delle tasse scolastiche, 2.500 per i
seminari estivi che servono a terminare il corso di studio, e 2.000 per le spese
vive durante l'anno. Quindi, in totale 11.400 euro per iniziare i miei studi
quest'anno e non perdere la borsa di studio della PFS e della Fondazione Ralph.
Dato che la PFS è un'università privata, non ho diritto a borse di studio
pubbliche per i Rom. Per questo, vi chiedo la possibilità di
sponsorizzazioni/donazioni ed in cambio posso lavorare ai vostri film
promozionali per le vostre compagnie, o in lavori che comprendano qualsiasi tipo
di processo filmico per ripagarvi, ma sicuramente non sono in grado di ridare i
fondi ricevuti in denaro.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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