Incredibile! Basta una storia strappalacrime perché uno dei
più razzisti giornali italiani decida di fare quello che sarebbe il suo
compito: informare e non fare da altoparlante ad una sola voce (quella del più
forte, di solito). Riporto tutto il pezzo, non perché sia veritiero o magari
commovente al punto giusto, ma perché in tutta la vicenda del un padre di un
personaggio pubblico, nessuno prima aveva voluto sapere anche la sua versione.
INTERVISTE 04/05/2009 - Si chiama Sahit Berisa, ha 39 anni ed è il padre di
Ferdi, il vincitore dell'ultima edizione del Grande Fratello. Oggi vive in un
campo nomadi del Centro Italia e ha rilasciato una lunga intervista al
settimanale Di Più, nella quale si rivolge direttamente al figlio "Quando ti ho
portato sul gommone in Italia, volevo solo il tuo bene". Sul suo conto sono
state dette tante cose, il figlio ha raccontato con amarezza la sua triste
infanzia ma ora Sahit cerca un riavvicinamento, giurando: “non voglio i tuoi
soldi”.
Tutto è iniziato con la separazione in casa, tra i genitori del giovane rom: “Io
e mia moglie non andavamo più d’accordo, litigavamo sempre. Io avevo le mie
colpe, non ero un marito perfetto, un padre perfetto, non trovavo un lavoro
stabile, continuavo a vendere stracci e a vivere alla giornata, a volte facevo
tardi, esageravo con il bere. La vita a casa nostra era diventata impossibile,
mia moglie aveva un altro e non mi voleva più. Lei al Gf, rivolgendosi a Ferdi,
ha raccontato che la maltrattavo che ero io ad avere un’altra ma non è così. Non
so perché mia moglie scarica tutte le colpe su di me, so che la verità è che
ormai non potevamo più stare insieme..."
"Ricordo che me ne sono andato di casa dopo un brutto litigio. Mi sono
trasferito da un mio parente e fin da quel momento il mio unico pensiero è stato
il bene dei figli. A casa mia non ci potevo più tornare perché mia moglie mi
cacciava, il suo nuovo uomo non mi faceva entrare, non mi facevano vedere i
bambini. Se mi avvicinavo mia moglie urlava: "'Ho una nuova vita, qua non c'è
posto per te vattene!". Ho provato a mettere a posto le cose, ma non ci sono
riuscito. Mi tormentavo, sapevo di avere sbagliato anch'io: la mia vita
disordinata, la mancanza di un lavoro, non mi avevano dato la possibilità di
garantire alla mia famiglia la serenità, e la situazione era tracollata. Mi ero
ritrovato da solo. E mi preoccupavo per Ferdi, perché senza un padre accanto
qualcuno poteva metterlo fin da piccolo su una brutta strada, in una realtà come
la nostra, di grande povertà. Tanti amici, tanti parenti, mi dicevano che Ferdi
e sua sorella non erano sereni a casa con la mamma...".
"Allora, mi sono detto che c'era un solo modo per risolvere il problema: portare
via i figli da quella casa. Così ho organizzato tutto. In una valigia ho messo
qualche vestito; sono andato di nascosto a prendere i bambini. Ho portato Elfa
da mia mamma, in un paese vicino, e le io detto: "Mamma, crescila meglio che
puoi: se viene mia moglie a cercarla. spiega che Elfia sta meglio con te". Poi,
sono andato via con Ferdi. Lui allora aveva 9 anni. Volevo andare in Italia con
un gommone, assieme ad altri come me, come noi, perché tutti dicevano che in
Italia c'era la ricchezza, che si poteva trovare la felicità. Tanti rom come me
fanno così, anche questo fa parte della nostra storia, del nostro modo di
vivere. Avevo organizzato il viaggio con persone che conoscevo. Mi è costato tre
milioni, una cifra enorme. Avevo raccolto tutti quei soldi facendo debiti con
alcuni miei parenti, avevo promesso che in Italia avrei trovato un lavoro e
avrei restituito tutto. Ricordo solo che Ferdi, quando siamo saliti sul gommone,
mi ha detto: "Papà, dove andiamo?", e io gli ho risposto: "A cercare una vita
migliore, figlio mio".
Per sfamare mio figlio dovevo arrangiarmi con l'elemosina per le strade, ed ero
costretto a portare Ferdi con me, non potevo lasciarlo solo. La notte dormivamo
nei campi rom, il giorno lo passavamo agli angoli dei marciapiedi. Una vita
dura, durissima. Alcuni come me, gente di strada che incontravo, avevano scelto
una via più facile, piccoli espedienti, piccoli furti. Ma io non volevo farmi
trascinare, per il bene del bambino, e continuavo ad andare avanti solo con
l'elemosina. Di una cosa sono orgoglioso: in tutti quei mesi che ho passato con
lui in Italia gli ho sempre dato un tetto sotto cui dormire. Non l'ho mai fatto
dormire per strada. Se un giorno, con l'elemosina, riuscivo a raccogliere
quaranta o cinquantamila lire, non lo portavo neanche al campo rom. Cercavo
qualche pensione da poco per dargli un letto come si deve.
C'era la paura di essere fermati dalla polizia, noi clandestini senza un
permesso di soggiorno. Infatti, quello che temevo è successo. Un giorno ci hanno
fermato per strada. Hanno controllato i documenti e mi hanno portato via il mio
bambino, perché hanno detto che non ero nelle condizioni di crescerlo. Sì,
avevano ragione, ero e rimango un vagabondo senza fissa dimora, ma che cosa
potevo fare? Ferdi piangeva: "Papà papà, stai con me", mi diceva tra le lacrime.
Non potevo fare niente per trattenerlo. È l'ultima volta che l'ho visto, ricordo
i suoi occhi gonfi e il suo sguardo spaventato. Non mi hanno neanche voluto dire
dove lo portavano. "Ecco, Sahit", mi dicevo "hai sbagliato tutto". "Hai perso
tutto", mi ripetevo. "Tuo figlio te l'hanno portato via, tua figlia non sai come
sta, non hai più nessuno". Ero disperato. Ricordo che ho preso un treno per
raggiungere il campo rom dove ho gli amici più cari. Ma non ho dormito in
roulotte. Ho dormito per una settimana sulla spiaggia, al freddo. Questo è
successo dodici anni fa, nel 1997, quando Ferdi aveva 10 anni, dopo che eravamo
stati insieme un anno in Italia. È allora che mi sono perduto”.
“Quando ho perso mio figlio, sono morto dentro e sono finito su strade
sbagliate. Ho cominciato a rubare, ho ripreso a bere. Sono finito in carcere
quattro volte, ho condiviso anche una cella con dodici persone e un solo bagno
per tutti. A volte mi ha sfiorato il pensiero di farla finita, ma non ho avuto
il coraggio perché, in fondo continuavo ad avere un obiettivo, ritrovare i miei
figli, riabbracciarli. La mia era ed è una vita da fuggitivo, disgraziato. Ma
non ho mai smesso di pensare a Ferdi. Chiedevo di lui ai parenti che vivono nei
campi rom. Sì, perché tra noi ci si aiuta, se si può. Siamo tanti, sparsi
ovunque. Una volta un cugino mi ha detto che forse Ferdi era a Cagliari mi sono
precipitato là. in un istituto religioso. Ma non mi hanno neanche fatto
entrare”.
“Dopo tante ricerche, tre o quattro anni fa, sono riuscito ad avere il suo
numero di telefono tramite un nostro parente. L'ho chiamato con le mani che mi
tremavano e gli occhi lucidi. Ma lui, mio figlio, è stato freddo, mi ha detto
solo: "Papa, quando sarò pronto mi farò vivo", e ha messo giù il telefono senza
neanche dirmi dove era. Allora, sono stato male, ho pensato che ce l'aveva con
me, che non mi perdonava la vita che gli aveva fatto fare, e chissà cos'altro.
Io cercato di capire, ho fatto tante telefonate, finché un parente che è rimasto
in contatto con lui mi ha detto che Ferdi aveva saputo brutte cose sul mio conto
e non voleva vedermi: pensava che l'avevo portato via con la forza da casa,
diceva che l'avevo picchiato e che lo avevo costretto a rubare”.
“Mi trovavo nel campo rom della Romagna quando Davide, un mio amico, mi ha
detto: "Sahit, credo proprio che tuo figlio sia in televisione". Tutti là,
infatti, sanno da anni la mia storia, sanno di Ferdi, del mio tormento. Non
volevo crederci: mio figlio in televisione? Quando ho visto Ferdi, al Grande
Fratello, ho fatto salti di gioia. Vedere che stava bene, che è bello, che è
sano mi rendeva contentissimo. L'ho baciato sullo schermo, ho pianto. Per tre
mesi ho guardato sempre Ferdi, attaccato alla televisione. Ho seguito tutto, mi
sono emozionato, ho riso, ho pianto. Sono stati i tre mesi più belli della mia
vita. Ho visto il messaggio della mamma, la mia ex moglie, mi accusava di averla
maltrattata, e ho sofferto. Allora, ho contattato la redazione del Grande
Fratello, ma mi hanno detto che Ferdi non voleva vedermi. Lo immaginavo, lui
pensa che io sia stato cattivo con lui. Poi, ho rivisto mia figlia in
televisione che parlava dalla Germania con Ferdi che era nella Casa. Anche lei
non la vedevo da moltissimi anni, e ho pianto ancora. Poi, mi sono arrabbiato
quando Gianluca, il concorrente di Napoli, ha accusato mio figlio di volere fare
piangere con la sua storia e gli ha dato una spinta. Poi. sono stato contento
quando Ferdi ha raccontato di essere cresciuto bene all'istituto Don Orione e
con un'altra famiglia. Ho applaudito quando Ferdi ha baciato Francesca e ho
festeggiato con i miei amici rom quando ha vinto. Così sono come rinato”.
“Quando Ferdi è uscito, ho tirato nuovamente fuori il bigliettino su cui anni
prima avevo segnato il suo numero. Non sapevo se chiamarlo o no, ero combattuto.
Ho deciso di chiamarlo dopo che a un giornale, il vostro Dipiù, Ferdi ha detto
che poteva dimenticare il passato, e che poteva pensare di riabbracciare me, suo
padre. L'ho chiamato con il cuore che mi batteva: "Figlio mio. sono tuo
padre...", gli ho detto. Ma lui, proprio come aveva fatto anni prima, mi ha
interrotto e ha detto: ' Papà, mi farò vivo io quando sarò pronto, ora devo
andare". In quel momento, ricordo, sono crollato su una sedia, con gli occhi
gonfi. Lo so, forse ho chiamato troppo presto, ma ho agito d'istinto, non potevo
aspettare, Ferdi ha bisogno di tempo. Lo so. lui pensa ancora che io ho fatto
del male, e non sarà facile fargli cambiare idea dopo tanti anni”
“Lo so. forse qualcuno, lui stesso pensa che adesso io mi sono fatto vivo perché
è ricco famoso. Ma non è così. Non ho mai avuto una casa. Vivo con i vestiti che
trovo. E credo di avere pagato per gli errori che ho fatto. I guai e l'amarezza
mi hanno consumato nel corpo e nella mente. Da quando ho perso mio figlio, non
ho più avuto un obiettivo. Ho solo il pensiero fisso di rivedere lui e la
sorella. Il Grande Fratello ha riportato la speranza, mi ha fatto ritrovare mio
figlio. Il mio sogno è uno solo. Abbracciare, anche solo per un minuto. Ferdi e
sua sorella, parlare con loro...".