di Giacomo Costa S.I. di «Aggiornamenti Sociali» Tommaso Vitale Docente di Sociologia nell'Università di Milano-Bicocca
L'8 aprile si celebra la Giornata internazionale dei rom e sinti, in ricordo del primo Congresso internazionale del popolo rom tenutosi a Londra l'8 aprile 1971 e della costituzione della prima associazione mondiale dei rom riconosciuta dall'ONU. L'Europa è da sempre popolata da una pluralità di gruppi zigani; sono parte della storia locale delle tante società urbane e rurali che compongono il mosaico europeo.
Si tratta di gruppi assai differenti per tradizione e cultura: gitani, yemish, manoush, camminanti, travellers, gypsy, sinti, romungro, olah, rom, boyas e altri ancora. È una vera e propria «galassia» di minoranze che, se considerata nel suo insieme, costituisce la più grande minoranza europea: circa dieci milioni di persone, dicono le stime di Bruxelles, molti di più se consideriamo anche i Paesi che non aderiscono all'UE e le persone che nelle guerre balcaniche degli anni '90 hanno perso ogni appartenenza nazionale. Il numero aumenta ancora se usciamo dall'Europa e guardiamo ai lom del Libano, ai dom del Medio Oriente, ai gruppi presenti in Mongolia, negli Stati Uniti, in Russia, in Brasile. Una complessità assai rilevante di cui spesso si conosce pochissimo.
Solo un italiano su mille, stando alle statistiche, ha almeno un'informazione minima su questa «galassia». Sappiamo anche che nel nostro Paese il grado di ostilità verso questi gruppi è altissimo, più alto persino dei livelli di odio razziale raggiunti nei Paesi ad apartheid istituzionalizzato. Avere una buona informazione sembra il fattore maggiormente correlato alla riduzione dell'avversione verso queste persone, insieme all'età: le persone più anziane, infatti, in Italia sono quelle che hanno meno paura degli zingari, poiché conservano la memoria di rapporti positivi di scambio e complementarità che hanno caratterizzato per molti anni le relazioni fra questi gruppi e la società maggioritaria. Più si è giovani, invece, più la rappresentazione di questi gruppi diviene omogenea, stereotipica, tutta interna a un immaginario della miseria e della devianza.
Così pochissimi, anche fra coloro che hanno gli intenti più solidali, tengono conto della stratificazione interna a questa galassia, in cui a fianco di comunità di recente immigrazione vi sono gruppi assai radicati che gestiscono attività economiche rilevanti (l'industria circense, lo spettacolo viaggiante, il mercato dei cavalli e degli animali da sella, e molto altro, a seconda dei Paesi considerati). Pochissimi sanno che esiste un'élite romani, colta e dinamica, che si coordina a livello transnazionale, trova forme di rappresentanza e di lobbying, agisce nelle e con le istituzioni internazionali. Le maggiori istituzioni hanno degli uffici appositi (Banca mondiale, ONU, Commissione europea, Consiglio d'Europa, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Esistono centri di ricerca che pubblicano riviste scientifiche e coordinamenti di ricercatori zigani di diverse appartenenze.
Internet permette di avvicinarsi a questo mondo complesso e di cambiare il nostro sguardo. Dedicare un po' di tempo a guardare questi siti consente di cogliere le molteplici sfaccettature di queste minoranze. A fianco delle pagine dedicate alla difesa dei diritti umani e alla promozione sociale, si scoprono le tante tradizioni, il fascino delle produzioni musicali, la memoria orale e scritta, i diversi modi di relazionarsi al viaggio e alla stanzialità, i percorsi di spiritualità e le modalità di interrogare le grandi religioni monoteiste.
http://erionet.org L'Ufficio di informazione europeo sulle popolazioni rom (ERIO, European Roma Information Office) è un'organizzazione internazionale fondata nel 2003 per promuovere e tutelare i diritti delle popolazioni rom con uffici a Bruxelles, dove svolge attività di lobbying nei settori dell'istruzione, dell'occupazione, dell'assistenza sanitaria e dell'alloggio. Rete di varie associazioni di rom e di persone che si occupano degli stessi, ERIO si distingue per la particolarità di promuovere la partecipazione di comunità rom nei processi decisionali a livello europeo, nazionale e locale.
Il sito dell'organizzazione, principalmente in inglese, ma con pagine anche in italiano, romani, bulgaro, ungherese, russo, rumeno e spagnolo, offre, attraverso un ricco bollettino settimanale (e-news), approfondite informazioni di attualità politica con notizie di quanto accade a livello europeo e nei vari Stati membri dell'Unione. Interessanti anche le parti che riferiscono delle attività dell'organizzazione (progetti, pubblicazioni, inchieste). Ricca è anche la lista di link alle maggiori istituzioni governative nazionali che si occupano di questioni legate ai rom. Un sito analogo, ma più centrato sulla lotta al razzismo nei confronti dei rom e sulla difesa dei diritti umani è quello del Centro europeo per i diritti dei rom (ERRC, European Roma Rights Centre): <www.errc.org>.
www.dosta.org Si tratta del portale di una campagna di sensibilizzazione promossa dalla Commissione europea. «Dosta» è una parola romani che significa «basta»: la campagna si propone di sensibilizzare i «non rom», aiutandoli a superare i pregiudizi e gli stereotipi e a conoscere meglio i cittadini rom presenti in tutti gli Stati dell'Unione. Particolarmente interessanti i materiali di sensibilizzazione forniti dal sito, che vanno da foto, volantini e poster a spot radiofonici e televisivi. Nella sezione «Is this a stereotype?» (Questo è uno stereotipo?) si affrontano in maniera sintetica e agevole 15 dei principali luoghi comuni sui rom.
Per avvicinare le molteplici attività a favore dei rom promosse dalle istituzioni a livello europeo si può consultare il sito del Consiglio d'Europa (<www.coe.int>), o quello dell'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (<www.osce.org/odihr/18148.html>).
www.romadecade.org Attraverso il sito Decade of Roma Inclusion 2005-2015 (Decennio per l'inclusione dei rom 2005-2015) si può conoscere nei dettagli l'interessante iniziativa politica dei Governi di Paesi dell'Europa centrale e sudorientale per migliorare la situazione socioeconomica delle popolazioni rom di quelle regioni. Undici Paesi che annoverano significative minoranze hanno aderito al progetto: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Montenegro, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia e Ungheria. Recentemente, nel febbraio 2009, anche la Spagna ha aderito all'iniziativa, primo tra i Paesi della «vecchia Europa». Ogni Paese ha sviluppato un Piano decennale con obiettivi specifici per le aree prioritarie (educazione, impiego, salute e alloggio), cercando di coinvolgere organizzazioni governative, intergovernative e non governative con le popolazioni rom.
www.idebate.org/roma/ Più ampio è lo sguardo del Roma Buzz Aggregator, sito sostenuto dall'Open Society Institute, un'associazione filantropica con base a New York, ma con filiali in tutto il mondo. Il sito raccoglie automaticamente i link a tutte le notizie, nuovi post di blog, immagini, filmati, musiche e qualsiasi altro materiale concernente i rom che appare sulla rete.
Oltre a un archivio che presenta i materiali organizzati in ordine cronologico, ne offre uno organizzato per Paese. Tra i Paesi più rappresentati troviamo Francia (400 articoli), Regno Unito (311), Italia (253), ex Iugoslavia (218) e gli altri Paesi dell'Est. Presenta inoltre una cartina che mostra la provenienza delle ultime notizie su rom e sinti, e un diagramma in cui si può vedere quanto vengono menzionati ogni giorno dell'ultimo mese i termini legati ai rom nella «blogosfera».
www.sivola.net/dblog Venendo all'Italia, un blog tanto disorientante quanto insostituibile è Mahalla, nome con cui venivano chiamati i quartieri ghetto in cui hanno vissuto per secoli i rom nell'Europa dell'Est. Si tratta di uno spazio virtuale, ideato dal milanese Fabrizio Casavola per creare una rete di contatti fra rom e sinti in tutta Italia e in diversi Paesi del mondo. Se si prende il tempo per esplorarlo con cura e ci si arma di pazienza, il sito si rivela una miniera di informazioni, progetti, denunce, storie, commenti, link ecc.: un archivio di quasi 3mila articoli raccolti in poco più di tre anni di vita. Il tutto per rovesciare i luoghi comuni sulle popolazioni rom.
http://sucardrom.blogspot.com/ Con base a Mantova, Sucar Drom (letteralmente in romani, «bella strada») è la sezione italiana di un'organizzazione formata «da appartenenti alla società maggioritaria (in senso numerico) e da appartenenti alle società sinte e rom», che si batte per il riconoscimento dei pieni diritti di cittadinanza delle minoranze nazionali ed europee sinte e rom e contro tutte le forme di discriminazione che attualmente colpiscono queste popolazioni. Sul blog dell'associazione, è possibile trovare una raccolta particolarmente completa della normativa (internazionale, comunitaria, statale e regionale) che direttamente o indirettamente interessa le comunità rom e sinte. Molto interessante è il quotidiano commento alle notizie riguardanti fatti di cronaca, posizioni politiche e avvenimenti sui rom.
Lashi Vita è stato nominato per il Premio Televisivo Europeo CIVIS (Premio
Media per l'Integrazione del Parlamento Europeo). Ci sono solo altri 3 nominati
nella nostra categoria, selezionati tra centinaia di programmi televisivi di
tutta Europa. La cerimonia di premiazione si terrà nel Parlamento Tedesco il 7
maggio. Il premio sarà consegnato dal Dr. Hans-Gert Pöttering.
Lisha Vita significa "bella vita" in un misto di lingua rom e di italiano,
usato dagli immigrati rom in Italia. Questo documentario è stato girato ad
agosto e settembre 2008 in Italia, dove l'uccisione nel novembre 2007 di una
donna italiana da arte di un immigrato rom ha causato un'ondata senza precedenti
di discorsi anti-Rom, politiche xenofobe e violenze razziali contro i Rom,
reminescenza dei giorni più bui della storia europea.
La giornalista rom Katalin Barsony riporta l'esplosiva atmosfera di Napoli
nel Meridione risalendo a Nord verso Roma. Una situazione esplosiva in cui la
legislazione UE sui diritti umani sembra essere diventata irrilevante. In cui la
libertà d'informazione è in pericolo come quando la troupe televisiva viene
fermata dalla polizia a Roma (vedi
QUI ndr). In cui la mutua paura sembra avere indirizzato un'intera
nazione. Questo reportage girato in una delle più antiche e grandi democrazie in
Europa, solleva serie domande sul significato di democrazia e sul ruolo della
legge e le fragili basi in cui giacciono la civiltà europea e l'Unione Europea.
Di Fabrizio (del 14/04/2009 @ 00:10:14, in media, visitato 1974 volte)
Da venerdì 17 aprile a sabato 23 maggio 2009 presso XYZ -spazio espositivo multidisciplinare per le arti applicate - Via Inferiore, 31 - 31100 TREVISO info: info@c151.com 0422 1780383
Con la collaborazione di Mauro Raspanti e la Scuola di Pace (Bologna). Fotografie di: Giorgio De Acutis (Roma), Fabio Del Piano (Roma), Valter Molinaro (Milano), Marco Donatiello (Torino), Eugenio Viceconte (Roma).
"Zingari d'Italia" una mostra dedicata alla libera condivisione delle immagini fotografiche. Nel 2007, dopo l'omicidio di Giovanna Reggiani per mano di un abitante del campo nomadi di Tor di Quinto, si scatenata in Italia una massiccia campagna politica e mediatica contro la popolazione Rom e Sinta. L'antico conflitto a bassa intensità contro gli zingari, da sempre percepiti come rappresentazione vivente del "corpo estraneo" -irriducibilmente asociale,"ostinatamente" diverso, insopportabilmente misero- esplode di colpo portando con sé un seguito di ordinanze di sgombero e interventi della pubblica autorità, accompagnati prima da un'attiva partecipazione dei mezzi di informazione con fotoreportages e articoli di sapore razzista-, poi da disgustosi atti di violenza della popolazione "civile" (incendi dei campi e aggressioni).
Durante questa campagna, ancora in corso, Giorgio_72, crea su Flickr un gruppo di condivisione fotografica chiamato "Zingari d'Italia". Oggi, a due anni dalla sua nascita il pool del gruppo conta più di ottanta membri, fotografi professionisti, amatori e occasionali che regolarmente postano le loro immagini scattate nei campi nomadi.
Abbiamo deciso di metterle in mostra per riflettere su quanto il consumo di queste immagini, meno selezionate e meno funzionali alle esigenze di propaganda dell'editoria tradizionale, stiano cominciando a mutare radicalmente il nostro rapporto con la fotografia. "Zingari d'Italia" rappresenta un esempio di come la fotografia digitale e i suoi mezzi di diffusione virtualmente"illimitati e gratuiti" stiano mettendo non solo in crisi il reportage professionale, ma soprattutto stiano erodendo il nostro rapporto con l'immagine ottica.
Le immagini di "Zingari d'Italia", esposte assieme a una collezione di copertine illustrate sui settimanali italiani dal primo novecento al tardo dopoguerra, sembrano liberarci almeno un po' da quell'iconografia fantasiosa dello "Zingaro" romantico-nomade-criminale-asociale-subumano.
Travellers’ Times l'unica rivista nazionale per i 300.000 Zingari e
Viaggianti di Bretagna, diventa più veloce, più forte e più grande.
TT Online lanciato nella Giornata Internazionale dei Rom - 8 aprile 2009 -
con notizie, film, radio, cultura e commenti di, per e sulle comunità
britanniche Rom e Viaggianti.
Il nuovo sito web (cliccare sull'immagine ndr) è stato sviluppato
da The Rural Media Company, col finanziamento del Dipartimento per
l'Infanzia, le Scuole e le Famiglie.
"Se la gente commercia su Ebay o si tiene in contatto attraverso Bebo o
savvychavvy.com, e con
sempre più di noi che adoperano internet, è tempo di avere uno spazio web che
dia, ai nostri punti di vista, giustizia", dice Jake Bowers,
il giornalista romanì, che è il nuovo direttore di TT Online.
Il sito offrirà un alto livello di interattività: opportunità per i giovani
di mostrare i propri successi, le proprie musiche e fotografie; per genitori ed
insegnanti di trovare e vedere risorse scolastiche sulla storia e cultura dei
Viaggianti; per i Viaggianti di mantenersi aggiornati su notizie, sanità e
tematiche legali; per il pubblico settore di trovare di più su questa comunità
incompresa e un modo di comunicare direttamente con loro via editoriale ed
inserzioni.
"Se tutti gli Zingari e Viaggianti si riunissero in un posto, saremmo un
città delle dimensioni di Cardiff, Nottingham o Belfast." scrive Jake Bowers,
"ma non siamo in un posto solo (per fortuna, direbbe qualcuno!). Per lo meno,
avremmo un nostro proprio giornale e una stazione radio locale. TT Online sarà
una combinazione di tutte queste cose ed anche di più."
Due registi milanesi, Tonino Curagi e Anna Gorio, hanno
provato a raccontare la vita di un campo rom, e più precisamente quello in via
San Dionigi 93 in un
documentario. "Via San Dionigi 93" è stato prodotto dalla Provincia
di Milano ed è stato presentato allo Spazio Oberdan.
Noi lo abbiamo visto: si tratta di 70 minuti di film tratti da oltre
50 ore di girato. Le riprese sono durate più di due anni.
E' uno squarcio di vita quotidiana del campo rom situato vicino all'abbazia di
Chiaravalle, che è stato colpito più volte da incendi ed è stato distrutto dalle
ruspe comunali nel 2007. E
che proprio qualche giorno fa è tornato alla ribalta.
Non c'è commento, non ci sono interviste: la videocamera diventa volutamente
un occhio indiscreto che curiosa senza intervenire e mostra la
realtà così com'è (a tratti però ci si perde un po', ma è l'effetto
realtà se così possiamo chiamarlo).
Anche se in alcuni momenti
si vorrebbe approfondire di più il tema che si sta trattando
(e vedere di più) il risultato è un quadro sommario che è molto utile per
chi lo guarda per osservare una realtà che spesso conosciamo solo dalle
pagine della cronaca. Sarebbe bello vedere anche un "sequel", con altri
spezzoni di documentario.
Abbiamo avuto l'opportunità di fare una breve chiacchierata con i registi
Ferdi Berisha, rom montenegrino, ha vinto la nona edizione del Grande
Fratello. L'evento ha avuto un fortissimo impatto mediatico. Ma perché sfonda
una notizia così? Perché in realtà non è solo una notizia ma la fine di una
storia e Ferdi l'eroe perfetto. Un commento
In tempi normali non sarebbe stata una notizia. Eppure la vittoria del Grande
Fratello 9 da parte di un giovane rom, di nome Ferdi Berisha, ha fatto il giro
dei telegiornali, della stampa e dei blog in pochissimo tempo. Tutti a
raccontare e commentare la “straordinaria” storia del rom venuto dai Balcani, e
precisamente dal Montenegro, tra mille difficoltà e peripezie, per poi trionfare
nell’arena più cruenta della tv. Un trionfo che ha spiazzato non solo i critici
della trasmissione, ma anche chi la snobbava. Infatti, la vittoria di Ferdi non
è una notizia qualsiasi. È una di quelle che oltre all’attenzione, esige per
forza la nostra partecipazione emotiva, che non è difficile scorgere tra le
righe giornalistiche o le immagini televisive.
Ma perché ci piace una notizia del genere? Perché in realtà non è una notizia,
ma la fine di una narrazione, cioè di una storia. E da che mondo è mondo le
storie, specie se raccontate con arte, piacciono al grande pubblico, che dalla
tv chiede soprattutto trame ed emozioni. Ecco, alla storia di Ferdi non mancava
niente per essere una gran bella storia. Gli ingredienti c’erano tutti: il
personaggio principale veniva da lontano (Montenegro), il viaggio era stato
avventuroso (gommone), aveva una vita travagliata (famiglia divisa), era diverso
(rom), era integrato (italiano perfetto) e così via. Bastava aggiungere una
love story all’interno della casa del GF, un paio di interviste commoventi
con familiari distanti, un duello impressionante con un altro contendente, e
sarebbe venuto fuori, così com’è stato, uno dei piatti più ghiotti della tv
italiana. Il trionfo finale, con tanto di musica, coriandoli, luci, ballo,
smoking e colori, ha trasformato Ferdi definitivamente in un eroe da favola.
La storia di Ferdi era vincente anche per la sua moderazione. Era sfigato ma non
troppo, era diverso ma non troppo, era simile ma non troppo, era ingenuo ma non
troppo. Inoltre, presentava una molteplice e articolata diversità; era immigrato
e rom insieme, straniero e italiano, vittima e superstite. Proprio per questo la
sua diversità non è stata percepita convenzionalmente, perché usciva dai canoni
consunti della diversità sbattuta sui media. A questa sua inedita e fresca
diversità va attribuita in gran parte la vittoria al GF 9. Infatti, si tratta di
una diversità accettabile ed accettata, perché in sostanza non stridente per il
senso comune.
E il sociale c’entra con tutta questa storia? C’entra, eccome, perché ogni
storia ha un suo contesto sociale. E non si può ignorare un contesto italiano
dove l’integrazione degli immigrati e la discriminazione dei rom sono tra i
primi temi imperativi di una società impaurita. Ma come vanno interpretati i
titoloni sul giovane rom che conquista l'Italia o sul suo riscatto sociale? Si
potrebbero vedere, secondo Aldo Grasso, come un alibi collettivo. Infatti, un
rom che stravince il GF cosa significherebbe per qualcuno se non l’inconsistenza
della discriminazione sociale in Italia? Effettivamente, la vittoria di Ferdi è
stata liberatoria un po’ per tutti. La sua esplosione di gioia potrebbe essere
vista come una chiara risposta alle accuse europee di discriminazione e alle
indagini televisive sui campi rom. In questo senso Ferdi è tutti noi, dato che
una favola si può realizzare solo in un contesto positivo, perbene, che permette
alla favola di diventare tale.
E qui si presenta il nodo del problema: i reality show rappresentano la
realtà sociale, e più in generale, la tv rappresenta la realtà? I temi sono
immensi, ma due cose in merito si possono dire. Intanto, laddove si parla di
show, sarebbe difficile parlare di realtà. Poi, laddove c’è una telecamera
c’è un punto di vista, dunque una dichiarata soggettività. Tuttavia, al pubblico
televisivo che si sintonizza sul GF non interessa tutto questo. Interessa il
fatto che sta vedendo e vivendo in diretta una storia emozionante. Che poi la TV
rappresenti il surrogato della realtà e non la realtà è un altro paio di
maniche. Spiegare la passione del pubblico con l’identificazione con i
protagonisti è azzardato stavolta. Con un rom dichiarato è difficile
identificarsi, anche perché ha una storia tutta particolare. Diciamo che il
pubblico si è identificato con se stesso, creando virtualmente un contesto
sociale che gli sarebbe piaciuto fosse vero. Una società in cui anche i rom ce
la fanno, senza problemi, senza discriminazioni.
Quindi quella specie di “zoo” televisivo volontario, le cui telecamere seguono
tutti i movimenti dietro le sbarre di vetro, finisce per diventare una realtà,
anzi una realtà politicamente corretta, dove coltivare sogni sociali.
L’integrazione? Anche questa diventa una questione catodica, anzi modernamente
plasmatica. Gli immigrati ce la possono fare in una realtà del genere, dura sì,
ma generosa alla fine. Il riscatto c’è stato: individuale (di Ferdi) e
collettivo (del pubblico televisivo). Ma c’è stato anche quello della
trasmissione, forse l’unico vero riscatto. Infatti, ci vuole arte per
trasformare una persona in personaggio e un personaggio in eroe. Il successo ha
perfino oltrepassato i confini. Un articolo di un giornale albanese, nel vortice
dell’esaltazione incoronante, ha tentato di impossessarsi dell’origine di Ferdi:
è albanese, dice, ma non l’ha mai dichiarato. Chissà che ne pensano i
montenegrini. Saranno arrabbiati? Allora è vero che i Balcani producono più
storia di quanta riescono a consumare… Comunque, risulta patetico, quando si
pensa, che solo poco tempo fa, quando i telegiornali davano una qualsiasi etnia
ai rom, ci si infuriava come bestie per questo equivoco imperdonabile.
La colpa, in verità, è della storia. È troppo bella per non impadronirsene. C’è
dentro tutto quello che vorremmo essere. Una società tollerante, bella, a lieto
fine, dove vince il migliore. Conta, ovviamente, anche il merito. E il merito
nella trasmissione si misura per mezzo delle sofferenze personali. La storia
personale di Ferdi è esemplare in questo senso. Operaio semplice, bravo ragazzo,
povero, con un’infanzia difficile, senza famiglia, solo, con tanti sogni nel
cassetto. Basta poco per stuzzicare l’onnipotenza del pubblico televisivo, che
decide di realizzare i sogni del rom balcanico in un batter di telecomando,
dandogli la vittoria e trasformandolo da sfigato televisivo in divo televisivo.
Al rom immigrato, basta una trasmissione per avere i soldi, il lavoro, l’amore,
la famiglia. La Cenerentola non ha nulla da invidiare. Tutto ciò è
comprensibile, umanamente e mediaticamente parlando. Rimangono però aperte le
questioni della realtà e della generalizzazione. È vero che i rom si sono
riscattati con questa vittoria? È vero che non esiste più la discriminazione? È
vero che l’integrazione è ormai riuscita? Oppure questa è un’altra storia?
30/04/2009, 20:43 - Delle immagini in bianco e nero, che provengono
dal passato: un accampamento di Rom colto in alcuni momenti tipici della sua
quotidianità: le donne accudiscono i bambini, gli uomini battono il rame….. su
queste immagini di repertorio la voce off di un'anziana rom kalderasha, Emilia,
racconta degli spostamenti continui, del montaggio e smontaggio delle tende nei
diversi paesi toccati dal loro incessante cammino di zingari, sempre alla
rincorsa delle sagre e delle feste patronali.....
... Il volto di Emilia oggi, segnato dal tempo e dalla vita, che prosegue il
suo racconto all’interno della piccola roulotte in cui vive, nell’accampamento
nel cortile dell’ex foro boario di Testaccio, a Roma…..
... Rasema ha venti anni meno di Emilia, ma non si direbbe: il suo volto di
sessantenne è segnato da rughe profonde, anche se la sua espressione mantiene un
che di infantile, specialmente quando sorride. Ci racconta del suo arrivo in
Italia dalla Bosnia, nel lontano 1969, con il marito e un bambino piccolo in
braccio.
Oggi vive nel piccolo campo all’Arco di Travertino, circondata dall’affetto e
dal rispetto dei figli e degli innumerevoli nipoti. E il suo modo di vedere la
vita, tradizionale, “all'antica”, dissolve.....
... Nel racconto delle esperienze di Umiza, romnì bosniaca che ha da poco
superato la trentina e che è arrivata in Italia da Mostar quando aveva solo
pochi mesi. Oggi vive in un container del villaggio attrezzato di via Cesare
Lombroso, accanto ai suoi anziani genitori e ai fratelli.
Un marito perennemente in galera, la fatica di portare avanti la famiglia e
far crescere i suoi due figli da sola..... la vita non è affatto semplice per
Umiza, che si arrangia recuperando materiali di ogni genere nei cassonetti della
spazzatura, per poi rivenderli nel mercatino aperto vicino al campo…..
... La stessa forza di Umiza anima le attività di Sevla, romnì quarantenne
che è riuscita ad uscire dal campo di vicolo Savini e a garantire un tetto ai
suoi otto figli occupando una casa abbandonata. Sevla è un'ottima ballerina di
danze balcaniche e una donna forte, espansiva e solare. Ha messo a frutto le sue
capacità creative con determinazione e passione, insegnando le danze
tradizionali rom e avviando un'attività di piccolo artigianato. Tutta la vita di
Sevla risente della presenza del ricordo del fratello morto oramai quasi
vent'anni fa, il celebre poeta zingaro Rasim Sejdic, come dimostra anche
l'educazione che ha scelto di dare ai suoi figli, così orientata verso
l'espressione artistica,.....
... E la passione per la danza, che pratica con impressionante bravura,
Daniela l’ha ereditata proprio dalla madre. A diciannove anni Daniela ha
rifiutato con serena determinazione lo stile di vita tradizionale della sua
comunità che le proponeva un matrimonio precoce e il ruolo di madre e moglie
sottomessa al marito. Il suo principale obiettivo è invece quello di cambiare le
sue condizioni di vita: chiudere definitivamente con la vita del campo nomadi,
trovare un lavoro che le permetta di rendersi autonoma, ma senza rinunciare a
divertirsi, come è nei desideri di qualsiasi ragazza della sua età.....
... E una voglia quasi sfrenata di vivere pienamente la sua giovinezza
caratterizza lo stile di vita di Mirela, ventenne che vive nel villaggio
attrezzato di via dei Gordiani. Mirela è una forza della natura: volitiva,
travolgente, sensuale, con un modo tutto suo, sincero e diretto, di esprimersi.
Non veste “alla zingara”, rifiuta anzi di indossare le tradizionali lunghe gonne
a fiori e frequenta comitive di ragazzi italiani, rifuggendo la compagnia degli
altri Rom. Questo suo comportamento la mette in cattiva luce dentro la comunità:
non sono in pochi, e non solo gli adulti o gli anziani ma anche le sue coetanee,
a considerarla una “poco di buono”.....
... Charlotte, invece, è una diciottenne che è riuscita a gestire
armoniosamente e con consapevolezza il rapporto difficile tra il mondo dei Rom e
il mondo dei “Gagé”: ha conseguito la licenza media, si è iscritta al corso per
volontaria del servizio civile e ha iniziato a fare le prime esperienze come
mediatrice culturale nella scuola elementare vicina al campo di Testaccio, dove
vive con la sua famiglia. Ma la dolcezza del suo volto è contraddetta dal guizzo
ribelle dello sguardo, quando ricorda con orgoglio di essere sempre riuscita a
ribellarsi agli aspetti più arretrati della sua cultura di origine.
Di Fabrizio (del 04/05/2009 @ 16:39:17, in media, visitato 1399 volte)
Incredibile! Basta una storia strappalacrime perché uno dei
più razzisti giornali italiani decida di fare quello che sarebbe il suo
compito: informare e non fare da altoparlante ad una sola voce (quella del più
forte, di solito). Riporto tutto il pezzo, non perché sia veritiero o magari
commovente al punto giusto, ma perché in tutta la vicenda del un padre di un
personaggio pubblico, nessuno prima aveva voluto sapere anche la sua versione.
INTERVISTE 04/05/2009 - Si chiama Sahit Berisa, ha 39 anni ed è il padre di
Ferdi, il vincitore dell'ultima edizione del Grande Fratello. Oggi vive in un
campo nomadi del Centro Italia e ha rilasciato una lunga intervista al
settimanale Di Più, nella quale si rivolge direttamente al figlio "Quando ti ho
portato sul gommone in Italia, volevo solo il tuo bene". Sul suo conto sono
state dette tante cose, il figlio ha raccontato con amarezza la sua triste
infanzia ma ora Sahit cerca un riavvicinamento, giurando: “non voglio i tuoi
soldi”.
Tutto è iniziato con la separazione in casa, tra i genitori del giovane rom: “Io
e mia moglie non andavamo più d’accordo, litigavamo sempre. Io avevo le mie
colpe, non ero un marito perfetto, un padre perfetto, non trovavo un lavoro
stabile, continuavo a vendere stracci e a vivere alla giornata, a volte facevo
tardi, esageravo con il bere. La vita a casa nostra era diventata impossibile,
mia moglie aveva un altro e non mi voleva più. Lei al Gf, rivolgendosi a Ferdi,
ha raccontato che la maltrattavo che ero io ad avere un’altra ma non è così. Non
so perché mia moglie scarica tutte le colpe su di me, so che la verità è che
ormai non potevamo più stare insieme..."
"Ricordo che me ne sono andato di casa dopo un brutto litigio. Mi sono
trasferito da un mio parente e fin da quel momento il mio unico pensiero è stato
il bene dei figli. A casa mia non ci potevo più tornare perché mia moglie mi
cacciava, il suo nuovo uomo non mi faceva entrare, non mi facevano vedere i
bambini. Se mi avvicinavo mia moglie urlava: "'Ho una nuova vita, qua non c'è
posto per te vattene!". Ho provato a mettere a posto le cose, ma non ci sono
riuscito. Mi tormentavo, sapevo di avere sbagliato anch'io: la mia vita
disordinata, la mancanza di un lavoro, non mi avevano dato la possibilità di
garantire alla mia famiglia la serenità, e la situazione era tracollata. Mi ero
ritrovato da solo. E mi preoccupavo per Ferdi, perché senza un padre accanto
qualcuno poteva metterlo fin da piccolo su una brutta strada, in una realtà come
la nostra, di grande povertà. Tanti amici, tanti parenti, mi dicevano che Ferdi
e sua sorella non erano sereni a casa con la mamma...".
"Allora, mi sono detto che c'era un solo modo per risolvere il problema: portare
via i figli da quella casa. Così ho organizzato tutto. In una valigia ho messo
qualche vestito; sono andato di nascosto a prendere i bambini. Ho portato Elfa
da mia mamma, in un paese vicino, e le io detto: "Mamma, crescila meglio che
puoi: se viene mia moglie a cercarla. spiega che Elfia sta meglio con te". Poi,
sono andato via con Ferdi. Lui allora aveva 9 anni. Volevo andare in Italia con
un gommone, assieme ad altri come me, come noi, perché tutti dicevano che in
Italia c'era la ricchezza, che si poteva trovare la felicità. Tanti rom come me
fanno così, anche questo fa parte della nostra storia, del nostro modo di
vivere. Avevo organizzato il viaggio con persone che conoscevo. Mi è costato tre
milioni, una cifra enorme. Avevo raccolto tutti quei soldi facendo debiti con
alcuni miei parenti, avevo promesso che in Italia avrei trovato un lavoro e
avrei restituito tutto. Ricordo solo che Ferdi, quando siamo saliti sul gommone,
mi ha detto: "Papà, dove andiamo?", e io gli ho risposto: "A cercare una vita
migliore, figlio mio".
Per sfamare mio figlio dovevo arrangiarmi con l'elemosina per le strade, ed ero
costretto a portare Ferdi con me, non potevo lasciarlo solo. La notte dormivamo
nei campi rom, il giorno lo passavamo agli angoli dei marciapiedi. Una vita
dura, durissima. Alcuni come me, gente di strada che incontravo, avevano scelto
una via più facile, piccoli espedienti, piccoli furti. Ma io non volevo farmi
trascinare, per il bene del bambino, e continuavo ad andare avanti solo con
l'elemosina. Di una cosa sono orgoglioso: in tutti quei mesi che ho passato con
lui in Italia gli ho sempre dato un tetto sotto cui dormire. Non l'ho mai fatto
dormire per strada. Se un giorno, con l'elemosina, riuscivo a raccogliere
quaranta o cinquantamila lire, non lo portavo neanche al campo rom. Cercavo
qualche pensione da poco per dargli un letto come si deve.
C'era la paura di essere fermati dalla polizia, noi clandestini senza un
permesso di soggiorno. Infatti, quello che temevo è successo. Un giorno ci hanno
fermato per strada. Hanno controllato i documenti e mi hanno portato via il mio
bambino, perché hanno detto che non ero nelle condizioni di crescerlo. Sì,
avevano ragione, ero e rimango un vagabondo senza fissa dimora, ma che cosa
potevo fare? Ferdi piangeva: "Papà papà, stai con me", mi diceva tra le lacrime.
Non potevo fare niente per trattenerlo. È l'ultima volta che l'ho visto, ricordo
i suoi occhi gonfi e il suo sguardo spaventato. Non mi hanno neanche voluto dire
dove lo portavano. "Ecco, Sahit", mi dicevo "hai sbagliato tutto". "Hai perso
tutto", mi ripetevo. "Tuo figlio te l'hanno portato via, tua figlia non sai come
sta, non hai più nessuno". Ero disperato. Ricordo che ho preso un treno per
raggiungere il campo rom dove ho gli amici più cari. Ma non ho dormito in
roulotte. Ho dormito per una settimana sulla spiaggia, al freddo. Questo è
successo dodici anni fa, nel 1997, quando Ferdi aveva 10 anni, dopo che eravamo
stati insieme un anno in Italia. È allora che mi sono perduto”.
“Quando ho perso mio figlio, sono morto dentro e sono finito su strade
sbagliate. Ho cominciato a rubare, ho ripreso a bere. Sono finito in carcere
quattro volte, ho condiviso anche una cella con dodici persone e un solo bagno
per tutti. A volte mi ha sfiorato il pensiero di farla finita, ma non ho avuto
il coraggio perché, in fondo continuavo ad avere un obiettivo, ritrovare i miei
figli, riabbracciarli. La mia era ed è una vita da fuggitivo, disgraziato. Ma
non ho mai smesso di pensare a Ferdi. Chiedevo di lui ai parenti che vivono nei
campi rom. Sì, perché tra noi ci si aiuta, se si può. Siamo tanti, sparsi
ovunque. Una volta un cugino mi ha detto che forse Ferdi era a Cagliari mi sono
precipitato là. in un istituto religioso. Ma non mi hanno neanche fatto
entrare”.
“Dopo tante ricerche, tre o quattro anni fa, sono riuscito ad avere il suo
numero di telefono tramite un nostro parente. L'ho chiamato con le mani che mi
tremavano e gli occhi lucidi. Ma lui, mio figlio, è stato freddo, mi ha detto
solo: "Papa, quando sarò pronto mi farò vivo", e ha messo giù il telefono senza
neanche dirmi dove era. Allora, sono stato male, ho pensato che ce l'aveva con
me, che non mi perdonava la vita che gli aveva fatto fare, e chissà cos'altro.
Io cercato di capire, ho fatto tante telefonate, finché un parente che è rimasto
in contatto con lui mi ha detto che Ferdi aveva saputo brutte cose sul mio conto
e non voleva vedermi: pensava che l'avevo portato via con la forza da casa,
diceva che l'avevo picchiato e che lo avevo costretto a rubare”.
“Mi trovavo nel campo rom della Romagna quando Davide, un mio amico, mi ha
detto: "Sahit, credo proprio che tuo figlio sia in televisione". Tutti là,
infatti, sanno da anni la mia storia, sanno di Ferdi, del mio tormento. Non
volevo crederci: mio figlio in televisione? Quando ho visto Ferdi, al Grande
Fratello, ho fatto salti di gioia. Vedere che stava bene, che è bello, che è
sano mi rendeva contentissimo. L'ho baciato sullo schermo, ho pianto. Per tre
mesi ho guardato sempre Ferdi, attaccato alla televisione. Ho seguito tutto, mi
sono emozionato, ho riso, ho pianto. Sono stati i tre mesi più belli della mia
vita. Ho visto il messaggio della mamma, la mia ex moglie, mi accusava di averla
maltrattata, e ho sofferto. Allora, ho contattato la redazione del Grande
Fratello, ma mi hanno detto che Ferdi non voleva vedermi. Lo immaginavo, lui
pensa che io sia stato cattivo con lui. Poi, ho rivisto mia figlia in
televisione che parlava dalla Germania con Ferdi che era nella Casa. Anche lei
non la vedevo da moltissimi anni, e ho pianto ancora. Poi, mi sono arrabbiato
quando Gianluca, il concorrente di Napoli, ha accusato mio figlio di volere fare
piangere con la sua storia e gli ha dato una spinta. Poi. sono stato contento
quando Ferdi ha raccontato di essere cresciuto bene all'istituto Don Orione e
con un'altra famiglia. Ho applaudito quando Ferdi ha baciato Francesca e ho
festeggiato con i miei amici rom quando ha vinto. Così sono come rinato”.
“Quando Ferdi è uscito, ho tirato nuovamente fuori il bigliettino su cui anni
prima avevo segnato il suo numero. Non sapevo se chiamarlo o no, ero combattuto.
Ho deciso di chiamarlo dopo che a un giornale, il vostro Dipiù, Ferdi ha detto
che poteva dimenticare il passato, e che poteva pensare di riabbracciare me, suo
padre. L'ho chiamato con il cuore che mi batteva: "Figlio mio. sono tuo
padre...", gli ho detto. Ma lui, proprio come aveva fatto anni prima, mi ha
interrotto e ha detto: ' Papà, mi farò vivo io quando sarò pronto, ora devo
andare". In quel momento, ricordo, sono crollato su una sedia, con gli occhi
gonfi. Lo so, forse ho chiamato troppo presto, ma ho agito d'istinto, non potevo
aspettare, Ferdi ha bisogno di tempo. Lo so. lui pensa ancora che io ho fatto
del male, e non sarà facile fargli cambiare idea dopo tanti anni”
“Lo so. forse qualcuno, lui stesso pensa che adesso io mi sono fatto vivo perché
è ricco famoso. Ma non è così. Non ho mai avuto una casa. Vivo con i vestiti che
trovo. E credo di avere pagato per gli errori che ho fatto. I guai e l'amarezza
mi hanno consumato nel corpo e nella mente. Da quando ho perso mio figlio, non
ho più avuto un obiettivo. Ho solo il pensiero fisso di rivedere lui e la
sorella. Il Grande Fratello ha riportato la speranza, mi ha fatto ritrovare mio
figlio. Il mio sogno è uno solo. Abbracciare, anche solo per un minuto. Ferdi e
sua sorella, parlare con loro...".
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