Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 13/02/2014 @ 09:05:50, in lavoro, visitato 1976 volte)
08 febbraio 2014 -
La relazione dell'Occhio del Riciclone da il punto sulla situazione dei rom
nelle città italiane, in merito alle attività lavorative collegate al settore:
"Occorre combinare opportunità di formazione e di reddito, creando centri di
riuso e riparazione, aree di libero scambio e sportelli municipali"
ROMA - Il rapporto nazionale sul riutilizzo 2013, presentato dalla rete
nazionale di operatori dell'usato e realizzato dal centro di ricerca economica
e sociale "Occhio del riciclone", con il patrocinio del ministero dell'Ambiente,
fa il punto sulla situazione dei rom, nelle città italiane, in merito alle
pratiche e attività lavorative collegate al settore. "Siamo di fronte ad un vero
e proprio know-how", racconta Gianfranco Bongiovanni, responsabile sociale del
lavoro per l'organizzazione "Occhio del riciclone"- "si deve trovare il modo per
formalizzare soluzioni concrete, combinando opportunità di formazione e di
reddito, basterebbe seguire alcuni semplici passi, creare centri di riuso e
riparazione per la raccolta e selezione dei beni usati, istituire aree di libero
scambio, aprire sportelli municipali per le fasce deboli, far emergere le
microimprese e costituire cooperative sociali".
Come ha fatto il comune di Torino, "che dal 2010 ha creato un'area di libero
scambio dove si ritrovano Rom, comunità straniere, ex-operai, cassaintegrati.
Sono due le zone in questione e una di queste è all'interno dello storico
mercato del Balan, nel quartiere Borgo Dora, ed è un'area gestita
dall'associazione omonima (Balan), l'altra in piazza della Repubblica, ed è
l'associazione Bazar project che se ne occupa".
Riguardo a questa tematica, negli ultimi anni, "Roma ha fatto invece passi
indietro nell'opportunità di includere le economie informali, all'interno di una
gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti e nell'inclusione sociale di queste
attività". "Il comparto dell'usato è un ammortizzatore sociale naturale, poiché
chi ha mancanza di capitali la prima cosa che fa è vendere ciò che possiede
oppure gli oggetti non utilizzati della propria rete di conoscenze, questi beni
costituiscono una risorsa economica per il sostentamento del proprio nucleo
familiare", dice Bongiovanni. Con il tempo, questi mercati, dove lavoravano i
Rom, sono stati chiusi, creando così fenomeni di caporalato e taglieggiamento a
operatori Rom, spingendoli tra l'altro a portare le loro mercanzie in aree non
autorizzate, quindi esponendoli ancora di più al rischio di infrazioni e di
ritiro della merce".
Realizzare un area legale di libero scambio in territorio romano potrebbe essere
una maniera interessante per consentire una formalizzazione graduale di questo
tipo di attività. "Nel rapporto sul riutilizzo 2013 ci sono delle indicazioni
che possono aiutare gli amministratori locali a intraprendere dei percorsi per
l'istituzione locale alla creazione di questi spazi anche con una certa celerità
perché le esigenze dovute anche alla crisi economico-sociale sono sempre più
pressanti", racconta Dongiovanni. "Intorno al riutilizzo stanno nascendo realtà
interessanti come quelle della riconversione di spazi lavorativi, come le ex
officine per la manutenzione dei treni di Roma o l'ex Maflow di Milano. Sono
tante le persone che insieme ai figli, attraverso l'attività di rivendita
dell'usato, riescono a mandare avanti la famiglia, come persone che volevano
intraprendere una loro attività, ma che non sono riuscite a emergere a causa
delle difficoltà della normativa attuale". "Senza dubbio, conclude Bongiovanni,
il problema è la mancanza di spazi autorizzati dove commercializzare beni usati,
al fine di poter rendere questa attività un vero e proprio progetto di vita".
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Di Fabrizio (del 09/04/2014 @ 09:01:02, in lavoro, visitato 2585 volte)
immagine da Didaweb-mediazione culturale
Vorrei fare ragionamenti magari antipatici, ma realistici, da continuare
anche in seguito se ci fosse interesse sull'argomento.
Lo scorso gennaio veniva lanciato ANCHE in Italia il programma
ROMED2-ROMACT. Qualche giorno prima, stavo parlando con una romnì,
mediatrice scolastica, già sottopagata e che da qualche mese non riceveva
nessuno stipendio. Forse ingenuamente, mi chiedeva come mai lei non fosse stata
interpellata e chi potesse far valere i suoi diritti.
Partirò da queste due facce della stessa medaglia per alcune considerazioni:
- Cominciando con la mia amica: è mediatrice scolastica (non
mediatrice culturale) da decenni. Per quanto abbia ormai una più
che discreta professionalità, con le sue competenze non saprebbe
ricollocarsi sul mercato del lavoro. Quindi è "condannata" ad un
lavoro magari utile professionalmente, magari persino appagante
per chi altrimenti sarebbe disoccupata.
- Ho conosciuto in passato mediatrici sanitarie (non
mediatrici culturali), che da tempo, per esaurimento delle
convenzioni, hanno smesso di esserlo. Nessuna è mai riuscita a
"riciclarsi" nei campi sanitario - infermieristico -
assistenziale. Incapacità loro, formazione professionale
insufficiente, o il vecchi paradigma che se sei rom ti chiudono
comunque la porta in faccia (al di là della tua preparazione o
della tua motivazione)?
- La somma dei primi due punti da come risultato un
quasi-lavoro, che rischia di mantenerti nel tuo ambito di sempre
(che può essere il campo-sosta, o la consorticola
politico-intellettuale del padrinato socio-assistenziale), e
l'illusione di avere un ruolo sociale attivo nell'emancipazione
del tuo gruppo (o quantomeno personale). Ma col passare del
tempo, quella che potrebbe essere una palestra per affrontare la
società esterna e passare ad un'occupazione che interagisca con
la società maggioritaria, diventa una gabbia autoreferenziale e
parimenti ghettizzante.
Il primo interrogativo è puramente STATISTICO: quanti Rom e Sinti che in
passato hanno svolto ruoli (retribuiti) di mediatori, hanno mantenuto
l'occupazione sino a oggi? Con quali risultati (personali e collettivi)? Se oggi
non lo sono più, cosa fanno? L'attuale rilancio della figura dei mediatori
(culturali o no), tiene conto dei risultati precedenti?
La seconda questione riguarda l'aspetto politico-economico: in queste
politiche
- il gagio (o il rom "gagizzato") è un CONSULENTE;
- il rom o il sinto è un MEDIATORE.
Non è solo un gioco di parole: il CONSULENTE mercanteggia il proprio compenso
(alto o basso che sia), il MEDIATORE no.
Ciò detto, qual è il compenso di un mediatore, quale il suo orario, quali i
suoi compiti? Le ultime due domande, purtroppo, si prestano alle risposte più
varie: i compiti ognuno li interpreta come crede, e anche l'orario finisce per
essere una cosa discrezionale. Quanto al compenso, se torno alle figure
conosciute in passato, per quanto in periodi meno caratterizzati dalla crisi
odierna potessero far gola ad una popolazione il cui tasso di disoccupazione
rimane il più alto in Europa, quanti di loro se la passavano meglio facevano
comunque conto su altre fonti di ingresso. Dal punto di vista economico, la
figura di mediatore non significava in alcun modo l'AUTONOMIA.
Per il momento, non entro nelle questioni dei compiti, della
corresponsabilizzazione e della formazione professionale.
Il mio parere (ma discutendone sono disposto a cambiarlo) è che OGGI
la mediazione culturale è un business per chi la propone, per chi organizza e
gestisce la fase di START UP, piuttosto che un'opportunità lavorativa
che porti all'emancipazione.
Noto anche che l'Italia, arrivando buon'ultima anche in questo caso rispetto
ad altre esperienze europee, può scegliere tra scimmiottare quanto sta già
accadendo altrove o viceversa provare a ribaltare questa deriva propria
dell'Unione Europea.
Soluzioni? Non ne ho, ecco il senso del discutere. A pelle, proprio guardando
quanto sta GIA' ACCADENDO in Europa, ho l'impressione che quei fondi potrebbero
essere spesi meglio se dedicati ad una pragmatica politica di scolarizzazione e
di formazione lavoro. Ma, anche qua, discutiamone.
Se qualche lettore si fosse, a torto o ragione, impermalosito, non avevo
l'intenzione di provocarlo, anche perché quando ho avuto l'occasione pure io ho
partecipato a programmi di mediazione.
Approfondimenti:
#mediazioneculturale #europa
Di Fabrizio (del 16/04/2014 @ 09:06:37, in lavoro, visitato 1969 volte)
Chiedevo pareri settimana scorsa. Ho raccolto qualche MI PIACE su
Facebook e basta, come va di moda in questi periodi di afasia, in cui tutti ci
sono, ma ancora non hanno capito perché. Più articolato un tweet da U VELTO:
@info_mahalla @Ass_21_luglio noi siamo convinti della bontà del
progetto, ma le questioni poste dovrebbero portarci ad una seria discussione
che comunque non fornisce molti elementi.
Così il sospetto è che queste prime (chiamiamole) risposte, siano il
corrispettivo di un PAT PAT sul testolone: Bravo ragazzo, ma perché non parliamo
delle solite cose trite e ritrite? Facciamo finta di niente, e tra un po'
nessuno si ricorderà niente. PILLOLA ROSSA o PILLOLA BLU?
Allora ci riprovo, che al solito mi tocca da fare tutto da solo. Al mio
autismo aggiungo un po' di peperoncino, quello tipico di Mahalla, vedendo se
qualcuno si sveglia.
Io credo che la questione della mediazione abbia assunto un aspetto MERAMENTE
CULTURALE, e vada riportata coi piedi per terra per evitare fallimenti o
fraintendimenti futuri.
Il primo dato di fatto, era il SOSTANZIALE ESAURIMENTO delle politiche di
mediazione del passato. Tra gli aspetti di questa crisi:
- l'abbandono a se stessi dei mediatori passati;
- lo svilimento del ruolo, che non avendo mai avuto competenze
e orari ben definiti, non si è mai tramutato in una professione,
né tantomeno ha generato introiti interessanti per i mediatori,
che quindi hanno finito per vederlo come una soluzione
(personale) di ripiego.
Il fatto che non sia facile avere un quadro del destino, della storia di
questi mediatori, e nel contempo un bilancio dei risultati ottenuti, mette
un'ipoteca su come continuare.
L'altro aspetto critico è che questi mediatori, chiusi in un ruolo ibrido che
nel mondo del lavoro è difficilmente classificabile, in passato erano
soprattutto persone mature di riferimento per la comunità, oggi vanno
caratterizzandosi come giovani rom e sinti, che potrebbero entrare nel mondo
degli studi (da quelli primari a quelli universitari) e del lavoro.
IMPORTANTE: non è solo un parametro economico. In che ambiti opera un
mediatore? Lui per prima vive la ghettizzazione, nel campo e con i suoi
abitanti, e rapportandosi col mondo esterno solo attraverso figure di
riferimento altrettanto mediate. Un muratore, un facchino, ma anche uno
studente, non solo hanno più possibilità di carriera, ma sono obiettivamente
meno isolati dalla società maggioritaria (e reale).
Però, anche se si ripete che occorrerebbe investire in istruzione e
formazione lavoro, da tempo s'è formata una strana alleanza tra burocrati
europei e autonominatisi rappresentanti di rom e sinti (che questi
rappresentanti siano gagé, come nel passato, o rom e sinti come sta succedendo
ultimamente, non cambia la logica). Un effetto collaterale di questastrana
alleanza, è che la mediazione da luogo a congressi, convegni, tavole rotonde... La mediazione diventa un po'
come l'università nella società nostra: non più un trampolino verso un
miglioramento personale e sociale, ma parcheggio per giovani che il mercato del
lavoro non può e non vuole assorbire (o non sa come farlo).
Tutti questi aspetti mi portano a concludere che l'opportunità non
sta nella carriera di mediatore culturale, ma nell'organizzazione dei corsi e di
tutta la campagna per formare queste figure perché, se ormai abbiamo
imparato che i campi-sosta sono ghetto e business, dovremmo coerentemente dare
un occhio ad altri aspetti similari dello zingarificio italiano ed europeo.
Ciliegina finale: candidata alle elezioni europee troviamo proprio la
responsabile italiana di ROMED2-ROMACT, e allora questa candidatura potrebbe
essere meno folkloristica che nelle tante volte passate, anche se da
scommettitore non sarei sicuro che Tsipras possa essere il cavallo più adatto
alla corsa verso Bruxelles.
Ne riparliamo settimana prossima, se il peperoncino di Mahalla non è
bastato si può sempre aumentare la dose. COME SEMPRE, SENZA OFFESA.
Di Fabrizio (del 28/04/2014 @ 09:04:49, in lavoro, visitato 1984 volte)
da
Huffington Post
C'è un popolo fra i più negletti della nostra storia millenaria, escluso e
invisibile, spesso dimenticato. Cosa che,
in particolare ai Rom ed ai Sinti,
starebbe anche bene, visto che ogni volta che la storia se ne è ricordata, ha
lasciato loro ferite laceranti e profonde, si pensi allo sterminio operato dai
nazisti o alle 'crociate' (meglio raid) di ignoranti e violenti contro i loro
campi. Nei secoli, milioni di benpensanti li hanno accusati di tutto: dall'aver
fabbricato i chiodi della croce di Cristo ai rapimenti dei bambini; cose fra
l'altro parimenti non dimostrabili. Eppure, raccontava De Andrè, sono uno dei
pochi popoli che nella storia dell'umanità non ha dichiarato mai guerra a
nessuno.
Su questo popolo c'è poi un pregiudizio molto italiano, tanto radicato da essere
divenuto un dogma: "i Rom sono nomadi". Una teoria comoda per chi l'ha
costruita, a volte mascherata da un'idea romantica che cela la voglia di
allontanarli dalle nostre città. La verità sbiadisce e la storia si rischia che
la scrivano solo i più furbi.
A Reggio Calabria,
settima tappa di carovana antimafie 2014, ascoltiamo una
storia diversa confidando in un finale un po' meno triste. Facciamo tappa nella
sede della Cooperativa sociale "Rom 1995", una palazzina adibita a magazzino e
uffici con una luminosissima sala conferenze. Siamo in un bene confiscato alla
'ndrangheta, assegnato nel 2003 alla "Rom 1995". Le foto alle pareti non
lasciano dubbi: si trattava di una struttura fatiscente e decadente completamene
ristrutturata dai soci della cooperativa. I rom nel bene confiscato, già questa
sembrerebbe una buona storia. Le storie tuttavia, per essere belle davvero,
devono cambiare la vita delle persone, altrimenti servono solo ai buonisti che
si nutrono di belle immagini, lasciando agli altri il problema del pane.
Facciamo un passo indietro per scoprire come la "Rom" nel 1995 nasca come
cooperativa sociale. Una scommessa impossibile, che solo i lungimiranti possono
fare: trasformare coloro che raccolgono i materiali lasciati presso i
cassonetti, per guadagnarci qualcosa in capaci e formati professionisti del
settore della raccolta differenziata. Nella città dove i Rom sono additati come
coloro che rubano le auto per restituirle ai legittimi proprietari in cambio del
riscatto (cd. "cavallo di ritorno") e dove sono stati marginalizzati dalle
ultime amministrazioni, c'è stato invece un grande sindaco, Italo Falcomatà, che
ha incoraggiato la scelta di queste persone di abbattere i pregiudizi.
Il rom abile al lavoro legale
nel bene confiscato che si trasforma in isola
ecologica, l'unica della città. La cooperativa si occupa negli anni della
rimozione del materiale dismesso dalle scuole e dei manifesti affissi
abusivamente, del ritiro di vecchi elettrodomestici, conferendoli in un centro
di raccolta autorizzato.
Insomma si occupano del bene comune, rivendicano che "Rom diversi possono essere
lavoratori uguali". Da quattro anni però la cooperativa vive in una condizione
di precarietà a causa di scelte compiute dall'amministrazione, governata
dall'allora Sindaco Scopelliti (di recente condannato a 6 anni di reclusione).
Il 3 maggio 2010 il consiglio comunale reggino vota (all'unanimità) una delibera
con la quale si "dà mandato al Sindaco ed alla Giunta...di attivare e disporre
ogni iniziativa utile per far proseguire l'esperienza della Cooperativa Rom 1995
nell'attività fino ad oggi espletata (raccolta ingombranti e isola
ecologica)..." ma, come racconta il portale la "Filosofia reggina" e gli stessi
responsabili della cooperativa riportano, per una "disattenzione", alla
conclusione della nuova gara di appalto relativa alla gestione dei servizi di
raccolta differenziata, non viene indicato alla società Leonia ("controllata" al
51% dal Comune) e vincitrice della gara d'appalto, di voler esprimere il
consenso di subappalto relativamente alla parte dei servizi storicamente gestiti
dalla Rom 1995". L'epilogo è che nel giugno 2010 le attività della cooperativa
vengono sospese e i lavoratori messi in cassa integrazione. Nel 2011 alla Rom
1995 viene affidata la gestione di due servizi, insufficienti però a dare
continuità lavorativa ai soci e di conseguenza stipendi costanti e sostegno alle
loro famiglie.
Insomma scelte sbagliate che rischiano di affossare un'azienda davvero
"speciale". Una storia straordinaria che rischia di trasformarsi in ordinaria
follia: quella di riportarci indietro, senza considerare che i rom sono parte
integrante della società italiana e non "zingari", destinati a essere nomadi.
Noi carovanieri, viaggiatori per scelta e quindi privilegiati, vorremmo
proseguire il viaggio sapendo che la sosta, per la 'Rom 1995', sia invece
serena.
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