Créé le 22.06.09 Una Rom porta ricorre contro "la milizia"
Senza sorprese. Il tribunale d'istanza di Tolosa ha ordinato venerdì
l'espulsione "immediata e senza indugi" della sessantina di Rom installati dalla
fine di aprile dietro la mediateca José-Cabanis, ai piedi degli immobili
appartenenti alla Comunità urbana. Fin da oggi, una trentina di loro,
beneficiari dell'aiuto al ritorno volontario, sarà trasportata in autobus
all'aeroporto Tolosa-Blagnac, dove due aerei della polizia aerea alle frontiere
li attendono per reinviarli in Romania.
Tra loro, Eugenia Maria, che ha portato reclamo il 25 maggio, per "violenza
armata di gruppo". Il 20 maggio, tre residenti che si presentano come "la
milizia" del quartiere, hanno polverizzato del Grésyl, (un potente
disinfettante utilizzato per pulire i bidoni vuoti) sull'accampamento dei Rom.
Eugenia Maria è stata investita in pieno. "Anche se accetta di ripartire, non
vuole che quest'atto resta impunito", spiega Julien Brel, il suo avvocato. W
Strasburgo, 26 giugno 2009: Ieri, la Corte Europea dei Diritti Umani ha emesso il suo giudizio sul caso Beganović contro la Croazia, riguardo il violento pestaggio di Darko Beganović, un Rom, da parte di un gruppo di sette persone e del fatto che le autorità croate non abbiano condotto indagini efficaci e perseguito gli esecutori.
La Corte ha sostenuto che i tribunali e le autorità inquirenti croate non hanno risposto all'esigenza di efficacia dei meccanismi di legge previsti dall'art. 3 della Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali (ECHR) che proibisce la tortura ed i trattamenti inumani e degradanti. L'inefficacia da parte degli inquirenti ha fatto cadere la denuncia contro gli esecutori per il tempo trascorso.
La parte lesa fu brutalmente picchiato in compagnia di cinque amici da parte di un gruppo di sette giovani il 24 aprile 2000. I sette lo colpirono fin quando non cadde a terra e poi continuarono a farlo. Quando il pestaggio terminò e Beganović si rialzò, venne colpito alla testa con una tavola di legno, cosa che gli causò la perdita della coscienza. Come risultato del violento pestaggio di gruppo, Beganović sostenne ferite su tutto il corpo, inclusa una commozione.
La denuncia interna del crimine venne compilata il 12 giugno 2000 dalla parte lesa contro i sette individui. Tuttavia, a causa dell'inattività e dell'errata gestione da parte delle autorità inquirenti, la denuncia andò in proscrizione il 23 aprile 2004.
Come risultato, ERRC ed il suo partner, l'avvocato croato Lovorka Kušan, denunciarono il caso alla Corte Europea dei Diritti Umani il 9 novembre 2006, citando, tra l'altro, la violazione dell'articolo 3 della ECHR, basata sulla mancanza da parte delle autorità croate di prendere le appropriate e necessarie misure nel procedimento contro i sette esecutori.
Il signor Beganović è stato risarcito con 1.000 euro per danni non pecuniari; inoltre la corte ha stabilito un rimborso di 6.250 euro per costi e spese.
[...]
For further information, contact: Lydia Gall , ERRC Legal Advisor, lydia.gall@errc.org , + 36.1.413.2200
Di Fabrizio (del 02/07/2009 @ 21:06:01, in Regole, visitato 2166 volte)
Ricevo da Tommaso Vitale, che ricorda anche il comunicato stampa e la pagina da cui chiunque può mandare una lettera di protesta a Schifani e Napolitano (entrambe in inglese)
AMNESTY INTERNATIONAL INTERNATIONAL SECRETARIAT Peter Benenson House, 1 Easton Street London WC1X 0DW, United Kingdom T: +44 (0)20 7413 5500 - F: +44 (0)20 7956 1157 E: amnestyis@amnesty.org W: www.amnesty.org
24 June 2009 Egregio Senatore, Amnesty International desidera esprimere viva preoccupazione per le proposte incluse nel disegno di legge C.2180-A/09, il cosiddetto "pacchetto sicurezza", approvato dalla Camera il 14 Maggio 2009 e ora passato all'esame in Senato come disegno di legge S. 733-B/09. Amnesty International ritiene che alcune delle norme proposte violerebbero i diritti di immigrati e richiedenti asilo; inoltre il testo introdurrebbe norme che sembrano essere discriminatorie e avere potenziali effetti discriminatori in particolar modo nei confronti di Rom e Sinti. Amnesty International in particolare vuole esprimere preoccupazione circa le seguenti parti del disegno di legge: Norme che "criminalizzano" l'immigrazione irregolare Il disegno di legge, all' art. 21, stabilisce il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato . La norma criminalizza l'entrata irregolare e il soggiorno in Italia, e li punisce con un'ammenda tra i 5000 e i 10000 Euro. Secondo il nuovo disegno di legge, i procedimenti penali contro i richiedenti asilo senza permesso di soggiorno verrebbero sospesi nel caso in cui la domanda di riconoscimento di protezione internazionale sia stata presentata, e archiviati se tale domanda sia stata accettata. Molti organismi per i diritti umani, incluso il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani dei Migranti nel suo rapporto del 2007 ((UN Doc. A/HRC/7/12, paragrafo 50), e il Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria in un rapporto del 2008 (UN Doc. A/HRC/7/4, 10 gennaio 2008, paragrafo 53), hanno chiesto agli Stati di non punire come reato l'ingresso irregolare nel loro territorio, sottolineando che la posizione irregolare di un individuo non puo' essere usata dagli Stati come ragione per non assolvere all'obbligo di proteggere ciascun individuo da violazioni dei suoi diritti. Sebbene gli Stati abbiano il diritto e il potere di regolare l'immigrazione, cio' deve essere fatto senza violare i diritti umani. Come gia' piu' volte sottolineato da meccanismi speciali sui diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, l'immigrazione irregolare dovrebbe essere considerata solo un illecito amministrativo, senza pregiudizio dei diritti fondamentali dei migranti. Amnesty International esprime preoccupazione per le norme proposte, e per le conseguenze della loro applicazione, ed in particolare per l'imposizione di sanzioni penali per l'entrata e/o soggiorno irregolari in Italia. Si tratta di misure di controllo sull'immigrazione eccessivamente severe, che violano gli obblighi del governo italiano posti dal diritto internazionale sui diritti umani. In particolare creano minacce per i diritti umani dei migranti, come il diritto alla salute e all'istruzione, e il diritto a registrare la nascita all'anagrafe, e di conseguenza il diritto al riconoscimento di ogni persona di fronte alla legge.
L' introduzione del reato d'ingresso e soggiorno illegale avrebbe ulteriori conseguenze a causa della applicazione congiunta di tale norme e di esistenti norme penali. In ottemperanza alle norme di cui agli artt. 361 e 362 c.p., tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio (funzionari e impiegati di enti pubblici, insegnanti, personale del Servizio Sanitario Nazionale, impiegati dei Comuni incaricati del rilascio di carte d'identita' e documenti ecc.) hanno l'obbligo di denunciare alla polizia o alle autorita' giudiziarie i reati di cui abbiano notizia nell'esercizio delle loro funzioni. Se il disegno di legge venisse approvato, l'obbligo ex artt. 361 e 362 c.p. si estenderebbe alla denuncia di tutte le persone in posizione irregolare dal punto di vista delle norme sull'immigrazione. L'omissione di tale denuncia si configurerebbe come reato punibile con una multa o, in alcuni casi, con la reclusione fino ad un anno. Temiamo che l'introduzione del reato d'ingresso e soggiorno illegale, in connessione con le norme che criminalizzano l'omessa denuncia di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, costringa coloro che hanno una posizione irregolare dal punto di vista della normativa sull'immigrazione a non curarsi presso le strutture sanitarie pubbliche, anche nei casi piu' gravi e urgenti, per paura di essere denunciati alla polizia. Amnesty International nota che una precedente proposta di abrogare o modificare l'art. 35 comma 5, del Testo Unico sull'immigrazione (D. LGS286/98), che vieta agli impiegati del Servizio Sanitario di denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno, e' stata esclusa dal disegno di legge. Tuttavia rimarrebbero salvi gli effetti negativi suesposti dell'applicazione degli artt. 361 e 362 c.p. in combinato disposto con la norma che istituisce il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Tale situazione violerebbe gli standard internazionali relativi al diritto fondamentale alla salute, tra cui l'art. 12 della Convenzione Internazionale per i Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR); l'art. 35 della Carta dei Diritti fondamentali nell'Unione Europea; l'art. 32 della Costituzione Italiana. Come stabilito dalla Corte Costituzionale, tale ultima norma crea obblighi diretti gravanti sullo Stato e su ciascun soggetto a non violare il diritto alla salute altrui. Analogamente, sebbene la norma che avrebbe esplicitamente obbligato i dirigenti delle scuole statali a denunciare alla polizia gli stranieri in posizione irregolare, i cui figli sono iscritti alle scuole da loro dirette, sia stata esclusa dal disegno di legge, l'obbligo di segnalazione, posto dagli artt. 361 e 362 del codice penale, permarrebbe comunque per tutti coloro che lavorano presso una scuola pubblica, se il reato di immigrazione irregolare venisse introdotto. Inoltre l'effetto del combinato disposto della norma che introducesse il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato e della norma proposta nel disegno di legge ora in approvazione (art. 45) che modifica l'art 6 comma 2, del Testo Unico in materia d'immigrazione (L.286/1998), potrebbe consistere nella violazione gli obblighi dello Stato italiano a rispettare e proteggere il diritto di registrare le nascite e il diritto di ciascun soggetto ad essere riconosciuto dalla legge. L' introduzione dell'art. 45 del disegno di legge, infatti, avrebbe l'effetto di imporre la presentazione di documento idoneo a provare la presenza regolare in territorio italiano per gli atti. Tale obbligo si estenderebbe anche alla registrazione all'anagrafe della nascita di un figlio. Le conseguenze potrebbero essere gravissime, in particolare per le donne con statuto irregolare che partoriscono sul territorio italiano; esse potrebbero trovarsi nell'impossibilita' di registrare la nascita del figlio.
Sebbene Amnesty International sia consapevole del fatto che le donne in stato di gravidanza non in possesso di valido titolo per soggiornare in Italia possono richiedere un permesso di soggiorno per un periodo non superiore ai sei mesi dopo il parto (in base al Testo Unico sull'immigrazione - L. 286/1998, art. 19 - in combinato disposto con gli artt. 9 e 28 DPR 394/1999), questa possibilita' e' concessa solo a condizione che venga presentato un passaporto o documento equipollente. Se la madre naturale non possiede un passaporto non potra' ne' ottenere un permesso di soggiorno ne' riconoscere il figlio nato in Italia. Ai padri di tali figli che siano immigrati irregolari sarebbe in ogni caso precluso il riconoscimento del figlio. Inoltre se la madre priva di documentazione che la autorizzi a permanere nel territorio italiano tentasse di registrare il figlio presso l' anagrafe, correrebbe il rischio di essere denunciata per il reato di immigrazione irregolare; l'incaricato del servizio pubblico dell'anagrafe potrebbe correre il rischio di denuncia penale se omettesse di denunciare la donna. Le conseguenze di queste disposizioni produrrebbero un contrasto con gli obblighi del governo italiano al rispetto e alla protezione del diritto del bambino a essere riconosciuto davanti alla legge e ad essere registrato, diritti garantiti dagli articoli 16 e 24 del Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici (ICCPR) e della Convenzione ONU sui Diritto dei Fanciulli. Inoltre le donne in gravidanza in posizione irregolare dal punto di vista delle norme sull'immigrazione potrebbero rinunciare a partorire presso un ospedale o decidere di non cercare assistenza medica, per paura di essere denunciate alla polizia. Il disegno di legge, all'art.6, impone l'obbligo al cittadino non membro dell'Unione Europea, che vuole unirsi in matrimonio in Italia, di presentare un permesso di soggiorno valido. Tale norma sembra essere in contraddizione con l'art. 23 comma 2 dell' ICCPR, relativo al diritto di costituire una famiglia legittima. La norma proposta violerebbe sia il diritto del cittadino di Stato non membro dell'Unione Europea che vuole unirsi in matrimonio, che il diritto del cittadino di Stato membro della UE che desideri unirsi in matrimonio con un soggetto privo di autorizzazione a restare in territorio italiano. Norme che potrebbero avere un impatto negativo sui diritti di persone vulnerabili sulla base della registrazione ai fini della residenza Il disegno di legge, all' art.50, prevede che tutti coloro che sono "senza fissa dimora' siano registrati presso il Ministero dell'Interno. I senzatetto e coloro che vivono in alloggi in condizioni igienico-sanitarie non idonee (in maggioranza migranti e richiedenti asilo) o in case mobili (in maggioranza Rom e Sinti) saranno cancellati dall'anagrafe del Comune dove risiedono e verranno schedati in apposito registro istituito presso il Ministero dell'Interno. Il disegno di legge prevede che tutti coloro, "senza fissa dimora', che desiderano spostare la residenza in altro Comune, potranno fare domanda di iscrizione al registro dei residenti, anche dopo essere stati cancellati dal registro anagrafico dei residenti del Comune dove risiedevano precedentemente. I Comuni avranno tuttavia il diritto di rifiutare la registrazione di un soggetto nei propri registri dei residenti qualora ritengano che le condizioni di alloggio del richiedente non siano conformi a standard igienico sanitari (art.42). I Comuni potranno negare la registrazione, con amplissimo margine di discrezionalita', dopo 30 giorni dalla proposizione della richiesta, in attesa della verifica dei requisiti di residenza posti dalla legge in discussione. La registrazione come residente presso un Comune e' un requisito per ottenere l'accesso alle cure sanitarie (con l'eccezione di quelle di emergenza) nella localita' ove un soggetto risiede, e per ottenere accesso all' assistenza sociale; per ottenere il rilascio di un documento d'identita'; per poter votare nel luogo di residenza, per chi gode dei diritti elettorali, nelle elezioni amministrative, europee e nazionali. Percio' le nuove norme, se approvate, potrebbero avere l'effetto di negare ad alcuni soggetti il diritto di godere dei suesposti diritti a parita' di condizioni con gli altri aventi diritto. Dal disegno di legge non traspare chiaramente in che modo i soggetti che saranno inclusi nel registro nazionale per i "senza fissa dimora', una volta cancellati dai registri anagrafici dei Comuni ove sono residenti, potranno accedere ai servizi sanitari, e assistenziali, come potranno ottenere il rilascio di carte d'identita' e altri documenti, e dove, se godono del diritto di voto, potranno votare.
Ulteriore conseguenza di queste norme sembra essere che sulle carte d'identita' e su altri documenti questi soggetti sarebbero indicati come "senza fissa dimora". Cio' potrebbe sfociare in situazioni di stigmatizzazione e discriminazione da parte delle forze dell'ordine e del personale addetto alla sicurezza, o da parte di altri soggetti, pubblici o privati, per esempio nella ricerca di un posto di lavoro. Poiche' inoltre, secondo informazioni ricevute da Amnesty International, la maggior parte di coloro che vivono in case mobili sono Rom e Sinti, e molti fra coloro che vivono in abitazioni prive dei requisiti di idoneita' sono immigrati irregolari, l'organizzazione teme che le nuove norme abbiamo un effetto discriminatorio nei confronti di questi gruppi. Il livello di discrezionalita' concesso alle autorita' locali nel decidere quando i soggetti facenti richiesta di registrazione all'anagrafe dei residenti siano in possesso di tutti i requisiti richiesti e' preoccupante. L'esercizio di una discrezionalita' cosi' ampia potrebbe tradursi in comportamenti discriminatori e nell'arbitrario rifiuto di registrare in particolar modo coloro che vivono in case mobili, se gli incaricati del Comune alla verifica dei requisiti dichiarano che la loro presenza nel territorio del Comune non costituisce stabile dimora, e nei molti casi in cui, per esempio, Rom e Sinti che vivono in case mobili non hanno accesso all' acqua e ai servizi sanitari. Amnesty International esprime dunque viva preoccupazione poiche' l'applicazione della legge, se approvata, sebbene apparentemente neutrale, potrebbe avere effetti negativi in maniera sproporzionata su Rom e Sinti, oltre che su altri gruppi per il solo fatto della loro situazione economica precaria. Cio' potrebbe condurre a situazioni di grave discriminazione indiretta. Le norme sopra esposte sono a rischio di violare gli obblighi internazionali sanciti dal Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici, dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani e Liberta' Fondamentali, dalla Direttiva Europea 43/2000 (recepita nel D.Lgs 215/2003) e dalla Costituzione Italiana (in particolare l'art. 3, che proibisce la discriminazione e l'art. 16 che garantisce ad ogni cittadino di poter circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale). Affinche' la legge sia resa conforme con i principi costituzionali e di diritto internazionale, il legislatore dovra' assicurare: 1) che tutti coloro che saranno inclusi nel registro nazionale possano esercitare i diritti a loro riconsociuti dai trattati internazionali e dalla Costituzione in maniera eguale o comunque non discriminata rispetto a coloro che sono registrati come residenti nei registri anagrafici dei Comuni; 2) che il diritto di ognuno ad avere un'alloggio adeguato sia protetto e rispettato, anche attraverso l'assistenza da parte delle autorita' competenti nell'assicurare il godimento di un alloggio adeguato Articolo 52, che legittima l'utilizzo di associazioni di cittadini per il controllo del territorio Amnesty International esprime inoltre preoccupazione circa l'articolo 52 del "pacchetto sicurezza' in esame al Senato. Se sara' approvato, gli enti locali, previo parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, saranno legittimati ad avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle forze di polizia dello Stato, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale. Amnesty International e' preoccupata circa la mancanza di chiarezza della norma. Nella sua forma attuale non appaiono definiti l'ampiezza e i limiti dei poteri o dell'autorita' conferita a tali associazioni, in particolare il potere di fermare e arrestare soggetti (con particolare riferimento all'applicazione dell'art. 383 c.p.p. che conferisce la facolta' di arresto a privati in determinate condizioni); le qualifiche e la formazione richieste a ciascun soggetto che fara' parte di queste associazioni; sotto quale autorita' opereranno e dove ricadra' la responsabilita' per la supervisione e il coordinamento di coloro che ne faranno parte; quali misure e procedure saranno adottate per assicurare che, qualora ci fossero violazioni di norme nazionali o di standard internazionali sui diritti umani non vi sia impunita' per gli aderenti a tali associazioni; chi sara' responsabile per il risarcimento dei danni patiti da soggetti i cui diritti fossero violati da aderenti a tali associazioni.
L'articolo 52 del disegno di legge dichiara che le associazioni di cittadini non armati potranno essere utilizzate al fine di segnalare eventi che possano arrecare "danno alla sicurezza urbana" ovvero "situazioni di disagio sociale". L'esatto significato di questi concetti non e' chiaro, e dunque non e' chiaro in quali situazioni o a quale scopo le autorita' locali si potranno avvalere della collaborazione di tali associazioni. Amnesty International teme che l'applicazione di tale norma possa condurre a situazioni discriminatorie e di violenza, invece che ad una maggiore sicurezza pubblica e ad un maggior rispetto dello stato di diritto. Non e' chiaro se saranno predisposti meccanismi per assicurare che questi gruppi siano chiamati a rispondere delle proprie azioni, anche qualora queste conducano a comportamenti discriminatori o contrari ai diritti di appartenenti a minoranze e a gruppi vulnerabili. Negli ultimi anni Amnesty International e altre organizzazioni hanno documentato attacchi e violenze da parte di gruppi di cittadini nei confronti di Rom e immigrati in varie parti d'Italia; si teme che, invece di condurre ad una riduzione di tali minacce, la potenziale "legittimazione" delle associazioni di cittadini possa sfociare in un livello di abusi e molestie, anche rilevanti penalmente, al contempo piu' alto e meno palese. Infatti, se la proposta d'introduzione del reato di immigrazione clandestina venisse approvata, i richiedenti asilo e gli immigrati irregolari rischierebbero di essere presi di mira in maniera piu' che proporzionale da tali gruppi, e risulterebbero piu' vulnerabili alle violazioni dei loro diritti: e' molto probabile che i richiedenti asilo e gli immigrati irregolari finirebbero per non denunciare alle autorita' competenti abusi che dovessero eventualmente subire da parte di appartenenti a tali gruppi, per timore di essere denunciati per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. In base al diritto internazionale sui diritti umani, le autorita' Italiane sono tenute a prendere le misure necessarie per la prevenzione di abusi di diritti umani, tra cui la discriminazione, e comportamenti nocivi da parte di privati, per assicurare la tutela di tutti i diritti fondamentali e per l'investigazione e la punizione effettive di tali abusi, ove occorrano. In linea con il diritto internazionale, inclusa la Convenzione Internazionale per l'Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Razziale (che l'Italia ha ratificato), le autorita' italiane devono astenersi da ogni azione o dichiarazione che possa istigare alla discriminazione o all'ostilita' nei confronti delle minoranze, inclusi Rom, Sinti e migranti. Le autorita' italiane non devono adottare alcuna norma, come l'art. 52, che possa sfociare in discriminazione a meno che possano dimostrare che tale legge non violi gli obblighi dell'Italia a tutelare i diritti umani, compreso il diritto a non essere discriminati. Per le ragioni sopra esposte, Amnesty International chiede al Governo e al Parlamento italiani di assicurarsi che ogni norma adottata nel contesto del "pacchetto sicurezza' sia in linea con gli obblighi internazionali di cui l'Italia e' firmataria. Amnesty International ha scritto a questo proposito al Ministro dell'Interno, Onorevole Roberto Maroni. Copia di tale lettera e' stata inviata all'Onorevole Franco Frattini, Ministro degli affari esteri.
Distinti saluti, Nicola Duckworth Direttore Programma Europa e Asia Centrale
Tribune de GenèveLa lettera del giornoMonique Châtelain |
29.06.2009 | 00:01
Onex, 27 giugno - "La legge è legge". Grazie di avermelo insegnato, Signor
poliziotto in civile, vociferandomi questo richiamo. La mia infrazione: "Al
semaforo rosso del bd des Philosophes - durano tanto - venerdì alle 13.55 ho
autorizzato un giovane Rom (come una vicina automobilista, d'altronde) a lavare
i vetri della mia vettura. In un paese democratico, pensavo di averne il
diritto. Ho inteso le urla di questo agente, che insultava quel povero giovane
terrorizzato. A mia volta ho gridato che ero libera di farmi lavare i vetri
a chi mi pareva. Lei mi ha amabilmente urlato: "Voi avete il diritto, ma lui
no!" Lei mi ha detto amabilmente: "Dategli dei soldi, se volete", cosa che ho
fatto, ho donato 3 franchi a quel giovane. Lei ha aggiunto ironicamente: "Ah
bene, quello che gli avete donato, lui non l'avrà, finirà nelle mie tasche!"
Ritengo dunque di essere stata raggirato dalla persona del diritto. Che mi renda
i miei 3 franchi! Signor poliziotto (...) lei ha avuto la sorte di essere nato
in un paese che pratica i diritti dell'uomo, dove è stato ben nutrito, istruito,
cosa che le da il diritto di esibire il sua bel documento di polizia. Se lei
fosse nato a qualche centinaio di km. da qui, sarebbe differente. Pensa mai, che
a volte potrebbe essere al posto di quei giovani senza speranza? No, ciò non la
sfiora, perché la legge è legge. Allora, Signore, io sono una cittadina che
rispetta la legge, ma che ha un cuore. Avrei potuto essere al posto di quei
giovani, lo stesso i miei figli. Ma abbiamo avuto più possibilità (...)
Di Fabrizio (del 08/07/2009 @ 21:32:11, in Regole, visitato 1736 volte)
Informazione di rete BaobAb Arci di Milano
ATTENZIONE ALLE VOCI INCONTROLLATE! NON C'E' NESSUNA SANATORIA
Molti immigrati stanno andando in massa alle poste per ritirare i Kit, perché
è girata una voce falsa di regolarizzazione.
La CGIL comunica ai tutti cittadini che in questo momento non vi sono ne
regolarizzazione ne riaperture di termine per quante riguarda i permessi di
soggiorno bloccati dal 2002. Al contrario, a causa delle voce false che
stanno circolando, molti immigrati, vittime di faccendieri e persone senza
scrupoli, stanno ritirando inutilmente il kit dalle poste.
Come rete Baobab aggiungiamo che è pericoloso fidarsi di chi consiglia di
utilizzare il Kit Poste (in vigore dal 2006 per i solo RINNOVI dei permessi) per
cercare di regolarizzarsi, perché si rischia l'AUTODENUNCIA, indicando i propri
dati e il proprio indirizzo, e di conseguenza si rischia l'espulsione.
Non è in atto alcuna sanatoria, non c'è alcuna apertura dei permessi di
soggiorno né per colf e badanti, né per richiedenti asilo provenienti dal
continente asiatico (india, pakistan, bangladesh, sri lanka - da settimane
affollano la questura di milano inutilmente), né per chi ha un semplice visto
Shengen scaduto.
PRIMA DI PRESTARE FIDUCIA A QUESTE VOCI, PRIMA DI PAGARE PRESUNTI MEDIATORI O
PERSONE CHE SI DICONO DISPONIBILI AD AIUTARE, E' BENE INFORMARSI PRESSO GLI
SPORTELLI DELLE ASSOCIAZIONI E DEI SINDACATI.
A più di otto anni dai fatti, è arrivata per il sindaco Flavio Tosi la
condanna definitiva a due mesi di carcere per propaganda di idee razziste contro
gli zingari. Non c'è più alcun appiglio giuridico neanche per gli altri cinque
leghisti finiti sotto processo nel 2004: l'onorevole Matteo Bragantini, il vice
presidente della Provincia Luca Coletto, il consigliere comunale e sorella del
sindaco Barbara Tosi, l'assessore comunale Enrico Corsi e l'iscritto
Maurizio Filippi da ieri hanno sul groppone una condanna definitiva per lo
stesso reato del primo cittadino. In realtà, gli imputati non dovranno scontare
neanche un giorno di carcere perché la pena è stata sospesa così come la pena
accessoria che prevedeva l'interdizione a partecipare a campagne elettorali per
tre anni.
Sono soddisfatte le parti civili, i sette sinti e l'Opera nazionali dei
nomadi, assistiti dal professore Lorenzo Picotti e gli avvocati Federica Panizzo,
Paola Malavolta ed Enrico Varali. Già nell'agosto di 2 anni fa, le parti offese
avevano incassato un risarcimento danni di 50mila euro, pagati dagli esponenti
del Carroccio. Alla luce di questa sentenza, non dovranno restituire neanche un
euro a Tosi e agli altri imputati.
Di più: tutti gli esponenti del Carroccio dovranno pagare le spese legali dei
difensori di parte civile. Ora bisognerà attendere alcune settimane per
conoscere le motivazioni della sentenza della corte di Cassazione che ha
confermato la condanna già inflitta da tre diversi organi giudicanti: prima il
tribunale di Verona nel dicembre 2004 per incitamento e propaganda di idee
razziste, poi la corte d'appello di Venezia in due diverse sentenze. La prima fu
decisa il 30 gennaio 2007 ma fu poi annullata con rinvio dalla Cassazione il 13
dicembre di quello stesso anno.
Il 20 ottobre del 2008, però, sempre i giudici di secondo grado confermarono
la condanna a due mesi solo per propaganda di idee razziste. Contro questa
decisione i difensori di Tosi e degli altri 5 imputati, gli avvocati Paolo
Tebaldi e Giovanni Maccagnani e il professore Piero Longo di Padova,
presentarono ricorso in Cassazione. E la Corte di ultima istanza, ha deciso ieri
sera con una sentenza di condanna che mette una pietra tombale su questo
processo, durato quasi cinque anni.
L'INCHIESTA. Il sindaco e gli altri cinque leghisti finirono sotto inchiesta
nel 2001 per aver avviato una campagna politica contro gli accampamenti abusivi
di zingari sul territorio del nostro Comune. A parere dei giudici nei vari gradi
di appello, però, quella campagna aveva tutte le caratteristiche per essere
fondata su ideali razzisti. I leghisti, in pratica, non si sono limitati a
chiedere la chiusura dei campi abusivi dei sinti tra la città e dintorni ma
hanno chiesto l'allontanamento indiscriminato di tutti gli zingari. E lo avevano
fatto con una massiccia campagna politica, disseminando non solo la città ma
anche la provincia di manifesti e volantini oltre a numerose dichiarazioni dello
stesso sindaco rilasciate ai giornali e mai smentite.
Tra gli slogan di quei poster, c'era quello di «mandare via gli zingari»,
«sgombero immediato dei campi dei nomadi». Tosi poi aveva dichiarato il 16
settembre che gli zingari «...mandano i figli a rubare... qui non ci devono
stare perché non si integrano...». I difensori, però, non hanno mai avuto dubbi
sulle liceità delle dichiarazioni di Tosi: «Manifesti e dichiarazioni andavano
valutate insieme alla petizione che era stata dichiarata legittima dai giudici
d'appello. Non capisco perché i giudici della Cassazione non hanno valutato
congiuntamente questi due elementi» ha dichiarato ieri sera l'avvocato Paolo
Tebaldi.
IL NODO DEL PROCESSO. I giudici di appello il 30 gennaio 2007 avevano
confermato solo in parte la condanna a sei mesi inflitta in primo grado,
riducendo la pena a due mesi. L'accusa d'incitamento all'odio razziale era
sparita dalla sentenza d'appello ed era rimasta solo la propaganda d'idee
discriminatorie.
La petizione con la richiesta di chiudere i campi abusivi dei Sinti da
inviare all'amministrazione comunale, quindi, era leggittima mentre non lo era
stata la propaganda politica. E la corte di Cassazione aveva notato nella sua
sentenza di rinvio un'incongruenza da sanare. Una questione subito risolta dalla
corte d'appello il 20 ottobre scorso. «La petizione era uno strumento legittimo»
ha spiegato il professore Lorenzo Picotti che tutela i sinti, «mentre nel mirino
dei giudici è finita la campagna politica che aveva un chiaro stampo razzista».
Di Fabrizio (del 18/07/2009 @ 13:51:54, in Regole, visitato 1353 volte)
Ricevo da Maurizio Bove
Ciao a tutti. Il TAR della Lombardia ha accolto il ricorso al TAR, promosso da CESIL-CISL
di Milano e ANOLF-CISL di Bergamo, contro la delibera della Regione
Lombardia che limitava l'accesso al Bonus Famiglia soltanto ai cittadini
extracomunitari titolari del Permesso di Soggiorno CE di lunga durata (ex
carta di soggiorno), escludendo i titolari del permesso di soggiorno di durata
non inferiore ad un anno.
[...]
Maurizio Bove CISL Milano - Dip. Politiche Immigrazione
Di Fabrizio (del 30/07/2009 @ 09:46:55, in Regole, visitato 2142 volte)
Segnalazione di Demetrio Gomez
ADRA (ALMERÍA), 28 luglio
La giunta andalusa, attraverso il servizio Giochi e Spettacoli, ha decretato
la chiusura provvisoria del chiringuito "Garfield" situato sulla spiaggia
di levante nella località almeriense di Adra per "aver infranto la normativa
vigente riguardo il diritto di ammissione", dopo che lo stabilimento è stato
denunciato dall'associazione culturale gitana "El callí abderitano", la quale
afferma che si negava l'ingresso a persone di etnia gitana.
Fonti della giunta andalusa hanno specificato ad Europa Press che la misura
si mantiene "in forma cautelare" sin quando il locale non possa comprovare di
aver sanato le deficienze della denuncia, tra le quali, secondo la segnalazione
dell'associazione, il pagamento di 20 euro per le persone gitane per conseguire
un'identificazione personalizzata con la firma del gerente che permetta loro di
passare il recinto, quando l'entrata è gratuita.
Secondo la relazione sui fatti da parte dell'associazione, i guardiani del
locale "pongono qualsiasi scusa, sia i vestiti o che sia in corso una festa
privata" per impedire di passare alle persone di etnia gitana, motivo per cui si
è rivolta al Consiglio comunale di Adra (PP), alla Giunta di Andalusia e alla
Sottodelegazione del Governo in Almería per denunciare i fatti.
L'associazione segnala anche che è stata informata dei fatti anche
l'Unità del Corpo della Polizia ascritta alla Comunità Autonoma di Andalusia
che, affermano, si sono presentati lo scorso 10 luglio nel locale dove
"scoprirono deficienze in materia di sicurezza", secondo la versione
dell'associazione.
"El callí abderitano" aveva già formulato denunce e reclami amministrativi su
questo locale prima di rilevare che il chiringuito non ammetteva il
passaggio di persone di etnia gitana nel locale, da cui i suoi membri accusarono
tanto il gerente che i portieri del chiringuito di reato di
discriminazione.
I membri dell'associazione ricordano così che lo scorso 30 maggio si
presentarono attorno all'1.00 nello stabilimento per comprovare se si
verificavano i fatti in seguito segnalati. Al loro arrivo, osservarono che il
locale era quasi vuota e che all'ingresso c'erano dei controllori che, secondo
le loro dichiarazioni, negavano l'ingresso solamente a persone di etnia gitana,
adducendo che c'era una "festa privata".
"Non era segnalata né c'era alcuna traccia di tale festa privata",
ha indicato il denunciante, il quale ha assicurato che insistendo con i
guardiani perché gli spiegassero il motivo per cui non li lasciavano
entrare, questi lo guardarono in modo "intimidatorio", al ché sollecitò il
foglio dei reclami dello stabilimento, che pure furono negati, da cui la
denuncia.
Con la presenza della polizia sul luogo dei fatti, l'associazione ha
interposto nuovi reclami amministrativi, un reclamo penale ed ha ottenuto di
denunciare anche la presenza di un minore di 15 anni dentro il locale. "E'
inaudito che se neghi l'ingresso ad una persona di etnia gitana di 40 anni e si
permetta di accedere ad un minore di 15 anni", ha detto uno dei portavoce nelle
dichiarazioni a Europa Press.
Un comune campano contro la legge sulla sicurezza. Ronde vietate e tasse
sui rinnovi a carico del primo cittadino
Roma – 24 luglio 2009 - La risposta alle ordinanze anti immigrati dei sindaci
leghisti arriva da Sicignano degli Alburni, poco più di tremila abitanti in
provincia di Salerno.
In questo paese, dove il 10% dei residenti sono immigrati, si vive secondo il
sindaco Alfonso Amato "una vera integrazione". E in nome della convivenza
pacifica e dell'uguaglianza dei diritti tra italiani e stranieri a Sicignano non
si applicheranno tre punti chiave della nuova legge sulla sicurezza.
È scritto in altrettante ordinanze firmate dal sindaco ai primi di luglio,
subito dopo il via libera alla legge in Parlamento.
"Per l'intero territorio comunale – recita la prima – è categoricamente vietato
ogni e qualsivoglia ricorso alle ronde". Una scelta giustificata dal fatto che
Sicignano "si è sempre distinto per l'assoluta civiltà dei suoi abitanti
(cittadini italiani e cittadini-fratelli stranieri)" e quindi "non ha bisogno
alcuno né di ronde né di delegare a privati l'imprescindibile funzione di tutela
della convivenza civile".
Le altre due ordinanze sono invece dedicate ai nuovi contributi sulle domande
per la cittadinanza (200 euro) e per il rilascio dei permessi di soggiorno (da
80 a 200). Tasse, recitano i provvedimenti, "assolutamente spropositate e
smoderatamente esose", che potrebbero addirittura ostacolare la presentazione
delle domande da parte dei "fratelli stranieri".
La soluzione? Gli immigrati non sborseranno un euro, perché le tasse su permessi
e cittadinanze verranno versate "tramite prelievo dall'indennità di carica del
sindaco". Il primo cittadino ha deciso insomma di tagliarsi lo stipendio pur di
non far pagare gli immigrati contributi che ritiene ingiusti.
Al di là della sostenibilità dell'iniziativa (l'indennità del sindaco di un
paesino non è certo milionaria…), la battaglia di Sicignano non finisce qui.
Amato vuole coinvolgere anche altri sindaci e lanciare un referendum abrogativo
contro il reato di immigrazione clandestina: "Un'offesa - dice - alla cultura
giuridica del nostro Paese, incriminare una persona perché è nata in Africa
anzichè in Italia è una bestialità".
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