Le reazioni al verdetto di Vítkov (vedi
QUI ndr) e la lunghezza della sentenza non hanno sorpreso. Quanti
concordano con quella la trovano giustificata, e quelli che non sono d'accordo
si pongono delle domande. Oltre alle legittime opinioni sulla lunghezza della
condanna in relazione al crimine in questione, ci sono anche opinioni
(soprattutto su internet) che ripetono all'infinito le aperte invenzioni, le
bugie e gli stereotipi sulle vittime.
Tali ripetizioni evidentemente aiutano qualcuno ad evitare il doloroso
riconoscimento che siamo capaci della peggior sorte di atrocità, inclusa mandare
a fuoco un'intera famiglia. Questo vale per tutti quanti, che pur non
approvando le atrocità, tentano nei fatti di giustificarle riferendosi alle
"malefatte degli zingari" nel loro complesso. Sono guidati a ciò dall'antiziganismo,
che nella Repubblica Ceca si basa sulla nostra classica invidia. Durante le loro
generalizzazioni, gli antiziganisti spesso spandono bugie e calunnie sui Rom
[...]. Amano prendere esempi dai media sui Rom coinvolti in crimini. A loro non
importa che anche i non-Rom commettano i medesimi crimini, perché non è il
crimine in sé che loro importa - sono gli "zingari". I loro interlocutori in
queste discussioni su internet includono, naturalmente, neonazisti, razzisti, e
sociopatici incapaci di empatia. E' sintomatico che tutti si riferiscano agli
incendiari razzisti come ai "ragazzi di Vítkov".
C'è, tuttavia, un segno di speranza. Persone comuni e ragionevoli hanno
iniziato a partecipare a queste discussioni sempre più spesso. Questa gente non
si fa prendere dal gioco a chi grida più forte, e dai suoi soliti trucchi, e
sembra sentire un bisogno di esprimersi più forte che nel passato.
Tutto ciò sta avvenendo sulla pagina Facebook "Non sono d'accordo con la
condanna per i Ragazzi di Vítkov", o durante "eventi" in Facebook come quello
chiamato "Nel caso di Vítkov chiediamo la stessa punizione per i genitori di
Natálka!"
"I genitori che lasciano bruciare il loro figlio non meritano milioni di
corone, ma la prigione". Questa è la richiesta di Petra Ramešová, František Fanz
e Bára Pertlová, fondatori dell'evento Facebook intitolato "Nel caso di Vítkov
chiediamo la stessa punizione per i genitori di Natálka!" Tutti e tre, e non
sono soli, stanno ovviamente commettendo il reato di diffamazione ma, ancora più
importante, stanno cinicamente mentendo per parlare male dei Rom e giustificare
il tentato assassinio della famiglia rom.
Le testimonianze rese in tribunale dai genitori e dai nonni di Natálka
differiscono tra loro in alcuni dettagli, ma ci sono diverse possibili ragioni
per questo: la commozione per il fuoco stesso, il fatto che gli eventi accaddero
più di un anno fa, ed altre ragioni naturali. In nessuna circostanza la loro
testimonianza o quella di chiunque altro ha portato alla conclusione che abbiano
"lasciato bruciare la loro bambina". Al contrario, sono stati loro che hanno
portato via Natálka dal fuoco. Non ci sono neppure indicazioni, come sostenuto
da qualcuno, che durante l'assalto non fossero a casa ma nel pub, o che avessero
in casa merce rubata, a cui tenevano più della loro figlia. Tutto ciò è pura
diffamazione inventata da chi odia i Rom nel loro complesso. Molti di loro
presentano anonimamente le loro opinioni.
Il comportamento di questi antiziganisti, neonazisti e razzisti porta
tensioni sociali e violenza come gli incendi ed altri attacchi violenti commessi
contro i Rom. Il tentato omicidio di Vítkov è stato solo uno dei tanti. Dal
punto di vista dei media, ci ha mostrato solo la cima dell'iceberg della
crociata anti-Rom. Dove finirà, nessuno lo sa - e per questo è un bene che i
"Ragazzi di Vítkov" siano stati condannati dal sistema giudiziario (la sentenza
non ha ancora avuto effetto). Attraverso il tribunale, la società ha fatto
sapere che l'antiziganismo, il razzismo e le violenze ad essi collegate sono
fenomeni completamente inaccettabili.
Al
MedFilm Festival 2010
Tony Gatlif
vince uno dei due premi più importanti, ovvero Amore e Psiche "Menzione
speciale" con la pellicola di produzione francese "Korkoro" (Liberté),
sulla tragedia di cui furono vittime le popolazioni sinte e rom durante il
nazismo e il fascismo.
Il film racconta le vicende di una famiglia probabilmente sinta manouche che
vaga in Francia nel 1940. Sono gli anni dell’inizio del Porrajmos. Dal 1940 al
1945, infatti, almeno 500.000 rom e sinti furono internati e sterminati nei
campi di concentramento e nei campi di sterminio, insieme a ebrei, handicappati
e omosessuali.
Il film di Gatlif ci mostra nella sua crudezza la storia di alcuni di loro. Si
potevano salvare i nostri protagonisti, grazie ad un francese che lottava contro
il nazismo. Ma loro scelgono la libertà e quindi andranno verso morte sicura.
Il regista ci porta in un mondo dove sinti e non sinti possono vivere insieme e
lottare per gli stessi ideali di libertà. Il tutto è visto con gli occhi
innocenti del piccolo Claude, orfano francese, che trova tra i sinti una nuova
famiglia e soprattutto uno zio pazzo di nome Taloche. Č un film assolutamente
attuale che speriamo arrivi presto nelle sale italiane con una distribuzione
all’altezza dell’importanza della pellicola.
Già nel 2003 l'Unmik e il Tpi erano in possesso di testimonianze dettagliate su
presunti rapimenti e uccisioni di civili kosovari (soprattutto serbi) operati in
territorio albanese dall'Uck, anche per espiantare organi da "piazzare" sul
mercato. E' quanto emerge da documenti "riservati e sensibili" pubblicati la
settimana scorsa. Un nuovo tassello che rende sempre più urgenti indagini
approfondite
Non si trattava di semplici sospetti. Dal 2003 la missione delle Nazioni Unite
in Kosovo, Unmik, e il Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex
Jugoslavia con sede all'Aia (Tpi), erano in possesso di testimonianze
dettagliate, rilasciate da persone direttamente coinvolte, sui presunti
trasferimenti e soppressioni di prigionieri civili, principalmente serbi, messo
in campo in territorio albanese dall'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck),
dopo la fine del conflitto contro Belgrado, il 12 giugno 1999. Scopo di buona
parte di questi omicidi sarebbe stato quello di espiantare organi da "piazzare"
sul mercato internazionale dei trapianti.
E' quanto emerge da un documento Unmik "riservato e sensibile" che è stato
pubblicato – oscurato nelle parti riconducibili all'identità dei testimoni – il
16 febbraio scorso dalla tv France 24 e l'agenzia di stampa italiana, Tmnews. La
stampa locale ed internazionale ha ampiamente ripreso la notizia.
Questa la pista investigativa esplicitata nei documenti emersi, datati fine
2003: "i rapiti (in Kosovo), poi trasferiti in Albania centrale, sono stati
spostati ancora, in piccoli gruppi, in una casa privata a sud di Burrel
convertita in una clinica improvvisata. Qui equipaggiamento e personale medico
venivano usati per estrarre organi dai prigionieri, che poi morivano. I resti
venivano sepolti nelle vicinanze. Gli organi trasferiti all'aeroporto Rinas nei
pressi di Tirana e imbarcati per l'estero".
Come emerso a seguito dell'interesse sollevato dalla pubblicazione del 16
febbraio, una copia del documento era stata in realtà già pubblicata dal
quotidiano serbo 'Press', sul proprio sito web, il 28 gennaio 2011.
Dunque quasi venti giorni – un'era geologica per i tempi giornalistici – durante
i quali una notizia di tale peso resta inspiegabilmente 'congelata': fatti salve
due riprese dell'altro quotidiano serbo Politika e dell'agenzia Tanjug, non vi è
traccia dello scoop di Press, tanto nella stampa locale che extra regionale. Il
perché è solo uno degli interrogativi legati alla pubblicazione del documento.
Il contenuto dei documenti Unmik trapelati Il documento Unmik non si può definire propriamente un report: sfogliandolo, si
comprende che si tratta, piuttosto, di un collage di parti di diverse
documentazioni, sottratte al medesimo dossier, e riunite in un corpo unico di 30
pagine, la cui numerazione è infatti ricostruita manualmente a penna, invece che
seguire quella informatica di un unico file.
Il 30 ottobre 2003, l'allora capo missione del Tpi a Skopje e Pristina, Eamonn
Smyth, trasmette all'Aia - al collega Patrick Lopez Terres, capo della sezione
Indagini - una serie di informazioni "confidenziali, non circolabili" che ha
appreso, a sua volta, il giorno precedente da Paul Coffey, direttore del
dipartimento Giustizia Unmik. Date, orari, tragitti, nomi e cognomi di vittime
e presunti carnefici.
E luoghi. Dal documento emerge infatti che nel 2003 gli investigatori non erano
solo in possesso delle coordinate Gps, ormai di pubblico dominio, della
tristemente nota 'casa gialla', presunto luogo materiale degli espianti che più
testimoni riconoscono, anche se ridipinta di bianco, tra dieci fotografie: "era
pulito è c'era un odore molto forte di medicinale. Mi ha ricordato quello di un
ospedale, dolciastro e mi ha dato fastidio", racconta un testimone (pag. 10/30).
Le descrizioni raccolte vanno ben oltre, consentendo agli inquirenti di
localizzare almeno tre siti in territorio albanese di presunte fosse comuni
delle vittime (pagg. 15 e 16/30).
"Parliamo anche dei dispersi, delle indicazioni che vi sarebbero fosse comuni in
tre aree dell'Albania settentrionale", scrive nel 2008 l'ex procuratore capo Tpi,
Carla Del Ponte, nel suo libro denuncia 'La caccia. Io e i criminali di guerra'
(Milano, Feltrinelli, 2008, pag.297). "Così, alla fine – riferisce Del Ponte del
buco nell'acqua a cui portò nel 2004 il sopralluogo in Albania del Tpi – i
procuratori e gli investigatori sui casi dell'Uck decidono che le prove per
procedere sono insufficienti. Senza le fonti e senza un modo per identificarle e
rintracciarle, senza i corpi, e senza prove che colleghino indiziati di alto
livello a questi atti, tutte le strade di indagine sono sbarrate".
Eppure in queste pagine ci sono fonti e sono identificate, anche se gli autori
vi si riferiscono sempre, per ragioni di sicurezza, attraverso numeri e lettere
e precisano che "la loro credibilità non è testata" e che "non hanno mai
assistito alle operazioni chirurgiche" (pag 29/30).
Ci sono i corpi. "Questa volta ho visto i corpi avvolti in coperte grigie
dell'esercito. Ho sentito l'odore del sangue, dunque so che erano freschi. (...)
Le fosse erano già scavate quando siamo arrivati. Due corpi per ogni fossa. Ho
impiegato un'ora e mezza per finire" è il drammatico resoconto di un
trasferimento di cadaveri dal Kosovo in Albania (pag. 7/30).
Ci sono le vittime. "Erano civili, serbi, paesani (...) Ho pensato che sarebbero
stati uccisi, ma vi erano ordini rigorosi di non trattare male i prigionieri, di
non picchiarli e dare loro cibo e acqua" (pag. 11/30). O ancora, "anche delle
ragazze furono portate nella casa (la casa/clinica) e usate come 'pezzi di
ricambio'. Ricordo di essere stato molto triste perché erano ragazze albanesi"
(pag 10/30).
Ci sono i medici, tra i quali viene riconosciuto da più fonti "un arabo". I
campioni di sangue, le cartelle cliniche.
Ci sono gli organi. "Dalla prima coppia di serbi vennero estratti solo due reni
e poi vennero uccisi. L'intenzione era di lanciarsi sul mercato. In seguito si
erano organizzati molto meglio e incassavano 45.000 dollari a persona",
riferisce un testimone. "Normalmente – prosegue – volavano (gli organi) su voli
di linea per Istanbul il lunedì e il mercoledì ". Lo scalo di partenza era
quello tiranese di Rinas, dove "alle persone che vi lavoravano venivano dati dei
soldi per chiudere gli occhi e stessa storia a Istanbul" (pag. 25/30).
Ci sono nomi e cognomi: "Ramush e Daut Haradinaj" - l'ex premier kosovaro e il
fratello - insieme ad almeno altre tre persone, vengono infatti indicati da un
testimone come architetti del macabro crimine. "L'operazione è stata sostenuta
da un uomo legato alla polizia segreta albanese operativa del precedente governo
di Sali Berisha", ricostruisce inoltre, nel suo sommario, l'allora capo missione
del Tpi a Skopje e Pristina, Smyth (pag. 2/30). Così, Del Ponte aveva riferito
nel suo libro del "possibile coinvolgimento di servizi segreti albanesi" (p.
297).
Reazioni e domande in cerca di risposta Il nome che non compare mai è invece quello di Hashim Thaci, neo riconfermato
premier di Pristina, il quale sarebbe invece implicato secondo
il rapporto
pubblicato lo scorso dicembre dal senatore svizzero presso il Consiglio
d'Europa, Dick Marty. "No – ha confermato a France24 - non conoscevo il
documento e non l'avevo mai visto. D'altra parte mi erano noti i fatti
descritti". Perché mai in oltre due anni di indagini, nessuno ha condiviso con
Marty queste informazioni? "Siamo in diritto di interrogarci sull'efficacia
della cooperazione internazionale", risponde lui stesso.
Tra tante domande, infatti, c'è una certezza: "Unmik ovviamente conosceva il
documento perché lo ha generato, è in corso una indagine sulla fuga di notizie",
ha confermato l'ambasciatore Zannier a Tmnews. Ma il capo di Unmik precisa anche
che "la missione Eulex dispone del documento che è stato trasmesso al Capo
dipartimento Giustizia EULEX dell'epoca (Alberto) Perduca ed al procuratore capo
di EULEX dr Jacobs, nel marzo 2009". Pertanto, "gli elementi contenuti nel
rapporto del 2009 non sono stati nascosti", conclude il diplomatico italiano che
guida la missione Onu in Kosovo.
"E' vero che Unmik trasmise nel 2009 la documentazione sui crimini di guerra che
venne a sua volta inoltrata alla Procura speciale del Kosovo (Spkr, mista
Eulex-magistrati locali, competente esclusiva per crimini di guerra e altre
fattispecie, ndr)", conferma a Osservatorio Perduca, oggi Procuratore aggiunto a
Torino. "Sulla base di quelle informazioni, nel luglio 2009 Eulex chiese ed
ottenne dal magistrato autorizzazione ad avviare un'indagine sul traffico
d'organi: l'indagine è partita, resta aperta la questione dei risultati a cui ha
condotto".
Servono prove, servono i corpi e il solo posto dove cercare è l'Albania. Un
Paese membro della Nato, che ambisce al suo posto nell'Unione europea, ma da cui
la Comunità internazionale non è mai riuscita ad ottenere l'autorizzazione a
scavare nei presunti siti delle fosse comuni. O, invece, non ha mai voluto, non
con la forza e le pressioni necessarie perlomeno? Al di là degli adempimenti
formali, è lecito pensare che sia ancora in piedi quel 'muro di gomma'
sostanziale denunciato dalla Del Ponte nel suo libro?
Lo stesso che ha impedito ieri al Tribunale dell'Aia, oggi alla missione Eulex
di cercare un riscontro probatorio di informazioni tanto preziose, quanto vane
ai fini giudiziari finché resteranno nient'altro che pezzi di carta
'confidenziali'? Lo stesso dietro cui si nasconde Tirana, giustificandosi di non
essere stata né parte, né teatro dei conflitti balcanici degli anni novanta?
BalkanInsight - La polizia albanese criticata dopo un attacco al campo romBy Besar Likmeta Famiglia rom a Laprake. Photo by: UNHCR
Tirana, 11/03/2011 - La polizia albanese è stata accusata di razzismo dai
media locali, dopo che tre giorni fa un campo rom alla periferia di
Tirana è stato bruciato, da attentatori che non sono ancora stati trovati.
Alcuni residenti del campo, che ospitava circa 40 famiglie, hanno detto ai
media locali che gli assalitori arrivavano di notte e li malmenavano con dei
bastoni, mentre appiccavano il fuoco alle loro baracche; questo per diversi
giorni, spingendoli a sloggiare.
I residenti dicono che la polizia non è riuscita ad impedire gli attacchi e
fornire protezione alle famiglie, che ora si sono trasferite a vivere in altri
insediamenti a Tirana e altrove.
Rimane dubbio se l'attacco è stato il risultato del razzismo, oppure è stato
istigato da interessi finanziari immobiliari di chi cerca di costruire
nell'area.
Venerdì la polizia ha negato di aver violato le leggi anti discriminazione
sulle minoranze e la protezione dei bambini, mentre il caso rimane sotto esame.
Secondo il comunicato della polizia, i Rom "hanno dato inizio al conflitto"
coi loro vicini, da cui l'escalation.
"Abbiamo chiesto ai Rom riguardo al fuoco che ha travoltole loro abitazioni,
ma si sono rifiutati di testimoniare," si legge nel comunicato.
Secondo l'Unione dei Rom Albanesi, una OnG di Tirana, vivono in Albania sino
a 150.000 Rom, parte di una comunità che lotta contro le discriminazioni, bassi
tassi di alfabetizzazione e disoccupazione di massa.
Di Fabrizio (del 19/03/2011 @ 09:32:13, in conflitti, visitato 1781 volte)
Da
Czech_Roma. PREMESSA: Il mese scorso il sindaco della città di Nový Bydžov,
per motivi di ordine pubblico, aveva ventilato l'uso di polizia privata da
adoperare nel quartiere zingaro della città. Ne era nato un dibattito che aveva
coinvolto diversi settori della società civile, in città e a livello nazionale.
All'inizio del mese il Partito della Giustizia Sociale dei Lavoratori (Dìlnická
strana sociální spravedlnosti DSSS) di estrema destra, aveva indetto settimana
scorsa una
manifestazione nella cittadina. In casi simili queste manifestazioni si erano
risolte con pestaggi di Rom ed incendi alle loro case da parte dei manifestanti.
Alcuni gruppi antirazzisti cechi avevano indetto una contromanifestazione. La
giornata ha visto assalti contro famiglie rom indifese, cariche della polizia,
ma poca eco sui media cechi. Comincio con la testimonianza di un giornalista rom che
era presente
ROMEARoma commentator Patrik Banga on the Nový Bydžov demonstrations
Nový Bydžov, 13.3.2011 16:06
Siamo arrivati a Nový Bydžov attorno alle 9 di mattina. Negli ultimi 20 km. del
nostro viaggio, io e il mio collega Ivan Kratochvíl abbiamo cercato invano i
poliziotti che avrebbero dovuti essere di pattuglia. I primi poliziotti li
abbiamo incontrati ai margini della città, che stava per diventare punto
d'incontro per diverse centinaia di estremisti e per quanti avevano indetto la
contromanifestazione. Nessuno ci ha fermato. Invece la polizia ha prestato
attenzione ad una Fabia gialla che trainava un rimorchio.
Siamo andati alla stazione di polizia, che ricordavo dalla precedente visita
in città. Sul marciapiede abbiamo incontrato l'addetto stampa, che ci ha
consegnato l'indispensabile cartellino "stampa" che sarebbe dovuto diventare il
nostro lasciapassare verso il centro degli eventi nelle ore a venire. Dopo una
breve consultazione con i colleghi della regione, siamo andati a lavoro.
Abbiamo cercato i Rom in via U Hřiště, che doveva diventare il
centro di una riunione, ma non c'era nessuno. Dopo diverse telefonate, abbiamo
capito che erano a diversi metri di distanza. Quando siamo arrivati sul luogo,
abbiamo visto circa 40 persone ed una ventina di vetture, da cui abbiamo capito
che erano tutti del posto ed il resto stava per arrivare.
Ho intravisto alcuni volti familiari e salutato le persone che conoscevo.
Dopo di che, altre telefonate. Altri media riprendevano la scena.
Rapidamente la gente ha iniziato ad arrivare con le loro auto, da cui
tiravano fuori gli striscioni. Poi gli organizzatori hanno dato il via
all'evento. Dopo un'ora di attesa ci siamo avvicinati allo spazio di fronte al
locale stadio di calcio, dove il parcheggio era abbastanza grande da contenerci
tutti, assieme ad un bus che stava portando altri manifestanti. Gli ex ministri
per i diritti umani Michael
Kocáb e Džamila Stehlíková si sono alzati. In quel momento il gruppo contava
circa 160 persone.
Quando tutti sono stati pronti per marciare, un attivista ha preso la parola
e ha annunciato che la marcia prevista era stata annullata e che era stata
variata in processione religiosa, che come tale non era soggetta all'obbligo di
dichiarazione e che aveva precedenza su tutte le marce annunciate. Era stata
scelta come leader una sacerdotessa della chiesa hussita. Ha annunciato che
sarebbe stata una marcia pacifica e nonviolenta, e, colma di preghiera, ha
chiamato tutti gli attivisti a prendervi parte.
Il corteo è partito dal parcheggio di via Na Šarlejích, ma la polizia aveva
sbarrato la strada in via Havlíčková. Sono iniziati i negoziati. Gli
attivisti sostenevano che la loro marcia era legale e la polizia ha fatto del
suo meglio per verificarlo. Si faceva vivo anche un rappresentante del comune.
Nel frattempo il gruppo recitava il "Padre Nostro".
clicca sull'immagine per vedere le foto della giornata
Da una casa vicina è uscito un pensionato, e attraverso il recinto ha urlato che
"le puttane nere devono andare via da qui", seguendo con molte altre maledizioni
rivolte ai Rom. La polizia guardava mentre i giornalisti si avvicinavano a casa
sua. Il pensionato continuava a bestemmiare e Richard Samko, giornalista della
televisione ceca, ha cercato di intervistarlo. All'improvviso il pensionato si è
rivolto verso casa sua e ha gridato "Non sei d'accordo con me?" ed è rientrato.
Abbiamo udito un forte rumore ed il pensionato è scomparso alla vista. "E'
morto," hanno iniziato a dire i giornalisti - ed in quel momento ho pensato che
anche se pensavo che quel pensionato era un razzista, avrei dovuto saltare il
recinto per aiutarlo, come credo abbia pensato la maggior parte dei giornalisti
presenti. Comunque, presto è riapparso - Eureka!
I rappresentanti cittadini e la polizia alla fine hanno riconosciuto gli
argomenti degli attivisti ed il corteo ha proseguito per via Na Šarlejích e poi
lungo Revoluční třída verso la chiesa. Lì non c'erano più preghiere e
si sono alternati diversi interventi. La strada era fiancheggiata da poliziotti
in tenuta antisommossa, che separavano la processione dai gruppi estremisti. Un
estremista reggeva in mano una sorta di barra, che sicuramente non era né un
treppiede né un'asta da microfono. Ho chiesto ai poliziotti anti-conflitto cosa
intendevano fare al riguardo, e la risposta è stata che avrebbero dovuto
confiscare qualsiasi cosa fosse un'arma ovi assomigliasse, ma che non erano in
grado di spiegarmi perché a quella data persona fosse permesso di portare la
barra che avevo notato.
Diverse dozzine di sostenitori del DSSS stazionavano a pochi metri dai
contro-manifestanti. Le bandiere erano in vista, ma al momento i gruppetti erano
calmi. Durante il ritorno sono iniziate le provocazioni. I sostenitori del DSSS
hanno chiesto ai Rom che portavano striscioni: "Perché porti quello striscione?
Hai un lavoro? Sei a carico dell'assistenza sociale?"
Tuttavia, il gruppo è tornato nel modo in cui era venuto, fermandosi in via Na Šarlejích.
Nel contempo diverse decine di sostenitori del movimento Antifa si erano unite
al gruppo. Gli attivisti discutevano in mezzo alla strada se rimanere lì per
bloccare la marcia degli estremisti o tornare al punto di partenza. La
sacerdotessa ha dichiarato concluso ufficialmente l'evento ed ha preso le
distanze dal bloccare la strada.
Allora il gruppo contava tra le 200 e le 250 persone. I più radicali
intendevano rimanere ad ogni costo e bloccare la strada, mentre i più moderati
volevano dimostrare a 100 metri di distanza in uno spazio che non avrebbe
bloccato l'annunciata marcia del DSSS.
Alla fine, gli Antifa più attivi ed hanno convinto gli altri a rimanere,
alcuni di loro seduti per terra. Dopo alcuni minuti, non era più possibile
tornare verso il centro, perché la polizia aveva bloccato l'accesso. Sono
iniziate nuove trattative.
In quel momento il gruppo non aveva alcuna autorizzazione a bloccare la
marcia annunciata. I poliziotti ci hanno avvertito del fatto, come pure la
squadra anti-conflitto. Nel frattempo era arrivata l'informazione che Vandas
aveva iniziato a parlare e che in città c'erano diverse centinaia di estremisti.
I negoziati erano giunto ad un punto morto e la polizia aveva annunciato che
sarebbe intervenuta se i dimostranti non se ne fossero andati. Si lanciò lo
slogan "Neri, bianchi, uniamo le forze". Ora i manifestanti rom mostravano
preoccupazione. In testa c'era un piccolo gruppo che intendeva fare qualcosa,
tra cui Martin Šimáček, Ondřej
Liška, rappresentanti dei Rom locali e, per quel che può valere, io stesso.
Vennero date alcune istruzioni, tra cui quella che i Rom si dovessero ritirare
una volta che la polizia avesse invitato i manifestanti ad andarsene.
Improvvisamente sembrò aprirsi una speranza. Un capo della polizia aveva
convinto Ondřej Liška a depositare una denuncia contro la marcia del DSSS,
che si stava svolgendo con modalità completamente estranee a quelle annunciate.
Alcuni dimostranti indossavano i simboli del bandito Partito dei Lavoratori,
altri issavano lo striscione dell'organizzazione (sempre bandita) Resistenza
Nazionale. L'intera manifestazione era stata addirittura annunciata sul loro
sito, odpor.org.
Siamo andati alla stazione di polizia. Dopo alcuni minuti di "trattative",
abbiamo avuto l'informazione che la polizia aveva caricato i
contro-manifestanti.
Siamo corsi fuori dalla stazione di polizia verso via Na Šarlejích. Lì ho
visto soltanto candelotti fumogeni esplosi ed alcuni furgoni della polizia sul
lato destro. I Rom affacciati alle finestre mi gridavano che era stato un
massacro, che i cavalli avevano calpestato le persone. Allora capii cosa era
successo. La polizia aveva attirato distante i "politici" per poter intervenire
con durezza.
Ho trovato i manifestanti a decine di metri di distanza in via Havlíčková.
Erano stati caricati da otto poliziotti antisommossa a cavallo. Ho cercato di
capire se erano feriti, soprattutto i miei amici. Grazie a dio erano tutti sani.
Tramite frammenti di discorso ho ricostruito gli eventi. La polizia
antisommossa aveva aperto la strada a quella a cavallo per caricare i
dimostranti, picchiati con manganelli. Alcuni erano stati arrestati, diversi
erano stati feriti. Ognuno usava le parole "brutale" e "massacro". Poi la
polizia aveva spinto i dimostranti diversi metri indietro, perché gli estremisti
avessero la strada libera.
Così gli estremisti hanno potuto trarre pieno vantaggio dal corridoio
liberato. In diverse centinaia hanno marciato lanciando slogan come "Boemia ai
Cechi". Voci isolate scandivano "Venite qui, puttane nere" e "Antifa, ha, ha,
ha" agli antifascisti. Quando i contro-manifestanti hanno iniziato a cantare,
per un momento ho avuto l'impressione di essere ad una partita di calcio tra
Sparta e Ostrava.
Sono rimasto sconcertato anche da qualcos'altro: avevo saputo dalla polizia
che c'era il divieto di indossare maschere, ma molti estremisti erano a volto
coperto. La polizia non ha agito contro di loro, sicuramente non nel modo che ha
agito attaccando la contro-manifestazione.
Un volta che gli estremisti se ne erano andati, la situazione si calmò un
poco, e sono potuto tornare alla mia macchina. Nel parcheggio ho incontrato Michael
Kocáb, che si era allontanato dagli eventi alle 15.00 circa.
Quando sono ritornato in città, non c'era più traccia dei
contro-manifestanti. Ho fatto alcune chiamate e ho capito che erano di fronte
alla stazione di polizia. Stavano andandosene e mi sono accodato a loro.
Era ora di tornare a Praga. Lungo la strada ho incontrato molte squadre - non
della polizia - ma di estremisti che stavano bighellonando nei villaggi vicini,
fumando appoggiati alle loro macchine. Pensavo che tutto fosse finito.
Un'ora dopo, un collega mi ha chiamato sul cellulare. Gli estremisti avevano
aggredito tre Rom e ferito uno di loro. Poco dopo il portavoce della polizia mi
spiegava che gli estremisti erano tanti e 13 di loro erano stati arrestati. La
polizia era riuscita a contenere la marcia, ma a quanto pare non le sue
conseguenze.
Patrik Banga, translated by Gwendolyn Albert
Dalla Repubblica Ceca mi scrive un amico:
(fonte: Ctk) Un attivista Rom, sabato a Novy Bydzov, è finito all’ospedale
privo di conoscenza dopo una rissa con alcuni attivisti di estrema destra. Nella
cittadina della Boemia centrale si sono radunati nel fine settimana circa 500
esponenti ultranazionalisti della Delnicka strana e 200 attivisti di opposta
estrazione politica. Poliziotti in assetto anti sommossa hanno provato a stento
a tenere separate le due fazioni.
C'è una questione urgente per i Rom in Ungheria, dove è possibile fornire un
sostegno pratico reale!
Vi prego di leggere l'articolo qui sotto e pensare se potete aiutare in
qualche modo, scrivere ai vostri media locali o a IndyMedia, o venire in
Ungheria ed unirvi al gruppo di attivisti nel villaggio rom!
Circa 25 di noi sono andati la scorsa notte a Gyöngyöspata - la città che è
stata recentemente "assediata" dalle cosiddette forze locali di sicurezza, o
Gárda - che stanno minacciando e molestando la locale comunità rom - circa 450
persone alla periferia della città.
La polizia c'è, m in realtà non sta facendo molto. Non entrano nella parte
rom della città, dove la Gárda è in marcia, a volte nel mezzo della notte,
gridando ed armata di asce ed altre armi.
Quando siamo arrivati, tutti gli adulti erano in piedi fuori dalle loro case,
a guardia del posto, spaventati, arrabbiati, stufi. Circa 30' prima del nostro
arrivo, la Gárda marciava ancora per la strada principale, armata e lanciando
parole di odio. I genitori hanno buttato giù i figli dal letto (erano circa le
22.00) e sono scappati dai parenti nelle strade adiacenti.
Naturalmente, quando siamo arrivati non era presente la Gárda, eccetto per un
gruppo fuori da un negozio, che come ci ha visto ci ha subito seguito.
Siamo rimasti sino alle 3 di mattina, parlando con la gente, che non dormiva
da settimane, e che ci ha raccontato come stavano le cose. I bambini hanno paura
di andare a scuola e qualcuno è assente da 2 settimane - di conseguenza lo stato
può riprendersi gli aiuti alle famiglie. Anche insegnanti e preside della scuola
stanno minacciando i bambini, dicendo morirete, vi uccideremo, chiameremo la
Gárda se vi comportate male. La Gárda è entrata a scuola e all'asilo [...]. I
bambini non dormono, molti si fanno la pipì addosso; i bambini corrono a casa,
piangono e non vogliono più uscire dopo che vengono inseguiti dalla Gárda.
L'intera comunità è terrorizzata.
La scuola è segregata. 2/3 degli studenti sono rom e devono studiare su un
piano separato. In una classe, ci sono i bambini di prima, seconda e quinta, in
una classe! Hanno circa 2-3 argomenti tutti assieme [...]. Ai bambini rom non è
permesso andare nei locali palazzetto dello sport e piscina.
La Gárda segue i Rom dovunque vadano - a far compere, dal dottore, a scuola,
DOVUNQUE, molestandoli costantemente. Molti estraggono il loro pene in mezzo
alla strada, per spaventare i bambini. La polizia osserva senza intervenire.
Quando eravamo là, la polizia presidiava la fine della strada principale, ma
la Gárda per lo più entrava dal lato opposto, circa 5' a piedi. E' al limite
cittadino, ci sono alberi e cespugli, così possono nascondersi e saltare fuori
quando vogliono. Nessuno li ferma. Gli abitanti vanno dai poliziotti che
rispondono loro - comportatevi bene e non succederà nulla.
La gente è spaventata, arrabbiata e soprattutto stufa. Sono oggi due
settimane e niente è cambiato. Ormai è questione di giorni e qualcuno non ne
potrà più e reagirà allo stesso modo della Gárda, ed inizierà la violenza...
Probabilmente, è esattamente ciò che Gárda sta aspettando... Provocano
costantemente la gente.
La polizia non fa niente, a meno che (!) non vi sia reale violenza.
Per farla breve, sembra che l'unica cosa che si possa fare (dopo la petizione
al ministero degli interni non è cambiato niente), è andare a passare lì la
notte - vedere quanto la polizia è disposta a proteggerci, il che è ridicolo.
Occorrono 20 non-Rom perché la Gárda sparisca e la polizia intervenga. Per
quanto ridicolo, questo è l'unico strumento che abbiamo ora.
Così siamo tornati indietro a gruppi. I residenti hanno detto che oggi e
domani probabilmente ci sarebbe stata abbastanza gente, ma non sabato e
domenica, così abbiamo bisogno di persone! In sostanza, per tutte le 5 notti.
Attualmente possiamo contare su un nucleo di 30 persone.
Se volete unirvi a no, fatemelo sapere e vi metterò in lista. Inoltre, fateci
sapere se avete un'auto e potete caricare persone. Porteremo con noi da
mangiare, perché i locali hanno paura di andare al negozio e stanno ospitando,
di tasca loro, ogni singolo gruppo che arriva lì...
Quindi venite, portate da mangiare e i vostri amici!
Questa è solo la mia personale impressione - basata su quello che han detto i
residenti, ma non esitate a postare, inoltrare quanto sapete e spargere la voce!
Di Fabrizio (del 11/04/2011 @ 09:54:15, in conflitti, visitato 1402 volte)
Cosa lega Pisa a Napoli (ed i campi rom di contorno)
Assemblea contro la guerra a Viareggio il 7 aprile 2011 Intervento del delegato rsu del comune di Pisa Federico Giusti
(9 Aprile 2011)
Per nessuna ragione avrei rinunciato a inviarvi un contributo alla discussione
di questa sera che ha come filo conduttore il tema della guerra.
Sarò estremamente schematico, a tratti anche provocatorio, ma sarebbe un grave
errore affrontare la tematica di questa sera solo da un punto di vista
ideologico o di analisi geo politica.
Sotto i nostri occhi è palese la sconfitta del movimento contro la guerra, la
sua incapacità di mobilitarsi, di creare opinione pubblica e coscienze.
La responsabilità è attribuibile solo a posizioni ondivaghe e contraddittorie
che hanno attraversato per lungo e per largo i movimenti contro la guerra?
Insomma, è colpa della non violenza, della scelta operata dal centro sinistra di
schierarsi a favore del conflitto in Libia , o l'assenza di mobilitazioni segna
la stessa sconfitta delle posizioni più radicali?
Io propendo per questa seconda ipotesi e proverò a dimostrare che l'assenza di
mobilitazione non è solo imputabile alle contraddizioni del movimento contro la
guerra o a scelte guerrafondaie, ma alla palese e sconcertante incapacità dei
movimenti antimperialisti di proporsi in termini propositivi ed egemonici, con
percorsi viziati da eccessi ideologici, da continue spaccature, dai vizi del
politicismo che annienta il confronto e il dibattito dietro alle estenuanti
querelle su elementi insignificanti, pronti a spaccare il capello su parole
d'ordine che poi scisse da una reale progettualità diventano prive di ogni
significato.
Partirei dalla militarizzazione del territorio che riguarda Pisa con l'Hub ma
attanaglia anche altre aree della penisola, per esempio il napoletano. Nel
novembre 2011 dovrebbe essere terminata la nuova base militare di Giugliano che
sorge a pochi chilometri da una altra base (Lago Patria) e vicino al Garigliano,
un deposito di scorie nucleari ad elevata pericolosità
La costruzione di questa area militare è stata preceduta da una pulizia etnica
che ha cacciato via campi rom e sinti, popolazioni provenienti dalle zone di
guerra del Kosovo. E' ormai accertato che dietro alle minacce, agli incendi e
alle aggressioni perpetrate contro rom e sinti ci fosse la mano dei clan
camorristici, gli stessi che ritroviamo invischiati nel business della base,
nella costruzione dei villaggi per militari, nella edificazione di aree
sottoposte in teoria a vincoli paesaggistici. Ebbene, la cacciata dei rom ha
preceduto di pochi mesi la costruzione di una nuova area militare, allora come
non scorgere un nesso inquietante con quanto accaduto sulla costa pisana al
Calambrone? La differenza è che a Napoli avevamo i clan camorristici, al
Calambrone quel tessuto sociale della destra che vede piccoli immobiliaristi,
proprietari di bagni,di attività commerciali, gli stessi che non hanno mosso un
dito quando c'era da difendere la costa tirrenica dal rigassificatore (una
minaccia ambientale), o tutelare la Pineta dalle discariche o difendere
l'occupazione degli alberghi del litorale dove i contratti a tempo indeterminato
vengono progressivamente trasformati in contratti precari.
Dietro a tutto ciò opera la Confcommercio, l'organizzazione dei commercianti e
vera testa di ponte della destra, associazione favorevole alla militarizzazione
del territorio.
Allora si capisce che la mancata saldatura della lotta per l'ambiente con la
difesa del territorio, della lotta antimilitarista con la solidarietà ai
migranti, la parcellizzazione dei percorsi ha finito con il regalare alla
destra, al razzismo e alla xenofobia un formidabile terreno di sperimentazione
dove attuare quella rottura sociale che porta acqua al mulino della destra.
La militarizzazione dei territori avviene silenziosamente senza che nessun
movimento la contrasti, del resto sta passando perfino una legge in Parlamento
che istituzionalizzerà la presenza dei militari nelle scuole italiane e, allora,
le visite in caserma (al tempo del duce ci portavano i balilla con il moschetto
di legno) sostituiranno le viste ai musei, i percorsi didattici saranno
soppiantati dai programmi di addestramento militare, insomma distruggeranno con
la costituzione italiana anche ogni riferimento all'Italia antifascista e
all'Italia che ripudia la guerra.
Parlavamo di analogie tra il pisano e il napoletano, infatti vicino al Calabrone
(a san Piero) sorge il Cresam dove guarda caso si trovano scorie nucleari, a
poche centinaia di metri la base militare Usa di camp darby, a pochi chilometri
ancora sorgerà l'Hub militare da cui le Forze armate vogliono far partire tutte
le missioni militari all'estero, imprese di guerra chiamate missioni umanitarie.
Ma le analogie non finiscono qui perchè a Napoli e a Livorno stazionano le
centrali nucleari galleggianti, i sottomarini a propulsione nucleare che in caso
di incidenti provocherebbero danni incalcolabili ben più gravi di quanto
avvenuto in Giappone nel 2008.
La parcellizzazione dei movimenti, l'assenza di un punto di vista qualificante e
unitario che leghi la militarizzazione del territorio al business economico che
si cela dietro alle industrie di armi e alle basi militari,la problematica
dell'immigrazione con le lotte dei territori, le campagne contro l'aumento delle
spese militari troppe volte promesse dai sindacati e mai mantenute(addirittura
la Cgil promuove il potenziamento della industria di guerra) e la difesa di
pratiche diffuse come quella dell'accoglienza , questi fatti fotografano la
nostra sconfitta.
Da qui bisogna ripartire e il convegno contro l'hub del 16 aprile a Pisa si
prefigge un obiettivo ambizioso come quello di tenere insieme le istanze di chi
lotta contro la militarizzazione dei territori con quanti obiettano contro
l'aumento delle spese militari, i pacifisti con gli antirazzisti, gli
antimperialisti con i genitori che si oppongono alle visite delle scuole in
caserma.
O si tengono insieme questi percorsi o si intraprendono strade minoritarie e
perdenti. La lotta contro la guerra oggi è pressochè inesistente perchè si pensa
che opporsi alla guerra non abbia ripercussioni sulla nostra vita quotidiana.
Chi del resto individua il nesso tra i tagli ai salari e alle pensioni e
l'aumento delle spese militari, con un ricorso strutturale alla guerra per
superare la crisi del sistema capitalistico? E una volta individuato il nesso,
non pensate che serva una pratica sociale, culturale e politica di massa che non
si limiti alle piattaforme giuste e alle manifestazioni minoritarie per
scegliere invece percorsi ampi e condivisi ?
Usciamo allora dal minoritarismo e navighiamo in mare aperto
La polizia ceca interrompe brutalmente raduno religioso di centinaia di
persone rom ryz, Czech Press Agency, translated by Gwendolyn Albert
Oggi per le strade della città di Krupka (15.000 abitanti) hanno tenuto una
manifestazione i sostenitori del Partito della Giustizia Sociale dei Lavoratori
(Dělnická strana sociální
spravedlnosti - DSSS) assieme ai neonazisti Nazionalisti Autonomi (Autonomní
nacionalisté - AN) e a Resistenza Nazionale (Národní odpor - NO). Ad un certo
punto, lungo il percorso del corteo neonazista, si svolgeva una manifestazione
religiosa con la partecipazione di centinaia di persone, tra cui molti Rom. La
polizia è brutalmente intervenuta contro di loro usando i manganelli,
percuotendo anche il pastore che era in testa, secondo testimoni oculari. In
totale sono state arrestate sette persone.
I manifestanti di DSSS, le cui bandiere e gli altri simboli rendevano chiaro
essere prevalentemente simpatizzanti di estrema destra, si erano riuniti alla
stazione ferroviaria per poi marciare in città. La polizia ha stimato il loro
numero in un totale di circa 150.
La funzione religiosa all'aperto si teneva all'ingresso del complesso
edilizio Maršov in via Karel Čapek, e vi partecipavano centinaia di Rom,
mentre altre centinaia lo seguivano dalle loro finestre. Dopo minuti di
tensione, le unità della polizia hanno brutalmente disperso la funzione,
malmenando il prete che la stava svolgendo.
Secondo Jarmila Hrubešová, portavoce della polizia, questa ha basato il suo
intervento contro la funzione religiosa sulle basi delle analisi legali del
ministero degli interni, che afferma che seppure le riunioni religiose non
abbiano l'obbligo di essere annunciate alle autorità, sono comunque soggette
alla legge sulle assemblee. Hrubešová ha detto che le analisi sostengono che le
manifestazioni politiche hanno priorità su quelle religiose.
Gli agenti di polizia sono brutalmente intervenuti contro i Rom che stavano
semplicemente in piedi sul marciapiedi. Gli astanti sono stati respinti per far
posto alla marcia neonazista.
"La polizia ha arrestato in tutto sette persone. Quattro durante gli
incidenti, principalmente per non aver obbedito agli ordini della polizia," ha
detto all'Agenzia Stampa Ceca la portavoce della polizia Ilona
Novotná. Altri tre uomini sono stati arrestati dalla polizia prima che il corteo
terminasse; un uomo è stato arrestato in mezzo alla folla dopo un discorso ed
altri due sono stati arrestati dopo una rissa.
"Il primo arrestato è stato uno straniero che aveva pronunciato un discorso
che mostrava intolleranza razziale. Abbiamo aspettato ad arrestarlo sinché il
corteo non ha raggiunto uno spazio più comodo. Altri due sono stati arrestati
per aver attaccato un pubblico ufficiale e non avergli obbedito," ha detto Novotná.
L'Agenzia Stampa Ceca ha riportato che lo straniero arrestato è di nazionalità
slovacca.
Tomáš Vandas, presidente del DSSS, ha tenuto un discorso ai manifestanti
prima dell'inizio della marcia, durante il quale ha ammonito sul presunto
"razzismo inverso" nella Repubblica Ceca.. Ha ripetuto questa teoria dopo aver
marciato nel quartiere Maršov.
Centinaia di poliziotti hanno supervisionato la situazione in città, inclusi
un elicotteri ed ufficiali a cavallo. "Le forze dell'ordine contavano circa
300-400 operatori in zona, e sono stati impiegati nell'azione circa 700
poliziotti," ha detto Novotná all'Agenzia Stampa Ceca. Gli agenti di polizia
hanno confiscato 15 armi diverse durante le loro ricerche in loco e nelle
autovetture, tra cui mazze da baseball ed un machete.
Nella foto (QUIl'originale ndr) Theresia Seibel con sua figlia Rita. Alla finestra la
zia del donatore, Nelka.
Date:1946 - 1946 Locale:Wuerzburg, [Franconia] Germany Credit:United States Holocaust Memorial Museum, courtesy of Rita Prigmore Copyright:United States Holocaust Memorial Museum
Rita Reinhardt Seibel (ora Prigmore) è la figlia di Gabriel e Theresia (Winterstein)
Reinhardt. Lei e sua gemella, Rolanda, nacquero il 3 marzo 1943 a Wuerzburg,
dove i loro genitori lavoravano entrambe nel teatro cittadino. Gabriel (nato nel
1913) era originario di Marbach. Aveva per un certo periodo studiato musica al
conservatorio di Stoccarda. Assieme ai suoi quattro fratelli, Gabriel aveva
suonato in una banda e gestiva un'impresa di riparazione di violini.
Precedentemente Gabriel aveva sposato un'altra donna, da cui aveva avuto un
figlio, Rigo. La prima moglie di Gabriel venne deportata all'inizio degli anni
'40, e poco dopo, lui venne informato della sua morte ad Auschwitz. Theresia (nata
nel 1921) era di Mannheim. Da giovane frequentò la scuola in un convento e a 16
anni entrò nel teatro cittadino di Wuerzburg come cantante e ballerina. Nel 1941
diversi membri della famiglia di Theresia furono portati nel quartiere generale
della Gestapo, dove furono costretti a firmare moduli di autorizzazione alla
sterilizzazione. Vennero minacciati di deportazione in caso di rifiuto.
Prima di essere sterilizzata, Theresia aveva consapevolmente deciso con
Gabriel di rimanere incinta. Quando venne chiamata per la procedura, era in
attesa di tre mesi di due gemelle. Quando gli igienisti razziali lo scoprirono,
lei e la sua famiglia vennero arrestati, mentre si contattò Berlino per decidere
sul da farsi. La risposta fu che a Theresia doveva essere permesso di continuare
la gravidanza, a condizione che i bambini venissero inviati, a nascita avvenuta,
alla clinica dell'università di Wuerzburg. Lì c'era il dottor Werner Heyde, professore
di neurologia e psichiatria, e membro chiave del programma di eutanasia nazista,
che conduceva ricerche sui gemelli. A quanto pare, anche il dottor Joseph
Mengele aveva un interesse personale sui gemelli di etnia sinti. Nel corso della
gravidanza, Theresia e Gabriel erano sotto sorveglianza costante.
Non avendo più il permesso di lavorare al teatro della città, Theresia prese
un lavoro come usciere e Gabriel andò a fare il fattorino per una compagnia
farmaceutica. Le gemelle nacquero alla presenza del dottor Heyde. Avevano brevi
pause a casa con i loro genitori, ma la maggior parte del tempo erano confinate
in clinica. In un'occasione, le gemelle furono lasciate ai genitori per un
servizio fotografico di propaganda sui genitori sinti, per passeggiare con le
bambine lungo la Domstrasse a Wuerzburg. La seconda settimana di aprile,
Theresia e Gabriel ricevettero un avviso preventivo per la deportazione.
Le bambine non erano incluse e Theresia andò immediatamente in clinica per
vederle. Quando arrivò le dissero che non era possibile, ma Theresia si fece
strada lo stesso. Trovò Rolanda che giaceva morta con la testa fasciata, vittima
degli esperimenti di colorazione degli occhi. Isterica per la scoperta, Theresia
afferrò la gemella superstite, Rita, e fuggì. Il giorno stesso o quello dopo,
Rita fu sottratta ai genitori e riportata in clinica.
Theresia e Gabriel non la rividero per un anno. Pochi giorni a distanza
dall'evento, il corpo di Rolanda venne restituito ai genitori che predisposero
un adeguato funerale sinti. Una settimana dopo Theresia venne sterilizzata a
forza. Gabriel perse il suo lavoro alla compagnia farmaceutica, ma non venne
sterilizzato. Nel 1943 diversi membri della famiglia estesa di Theresia, incluso
il fratello minore Otto Winterstein e lo zio Fritz Spindler, vennero deportati
(sopravvissero entrambe). Nell'aprile 1944 Theresia ricevette misteriosamente
una lettera dalla Croce Rossa tedesca a Wuerzburg, con le istruzioni per andare
a riprendere Rita.
La famiglia Reinhardt rimase assieme sino al 1946 o al1947, quando la prima
moglie di Gabriel, che in realtà era sopravvissuta alla guerra, tornò in
Germania. Gabriel decise di tornare da lei ed il suo matrimonio con Theresia
venne annullato dal tribunale USA di Stoccarda. Rita rimase con Theresia e non
rivide suo padre sino al 1959. Nel 1962 Theresia si risposò con un soldato
americano, che morì nel 1972. Rita soffrì di numerosi disturbi fisici (inclusi
forti mal di testa e perdite accidentali di coscienza) per tutta la sua gioventù
e l'età adulta, che sua madre attribuì al trattamento presso la clinica di
Wuerzburg durante il periodo nazista.
Rita si sposò a 21 anni e subito dopo diede alla luce un figlio e una figlia.
Lei e la sua famiglia emigrarono negli USA negli ani '70. Diversi anni dopo,
Rita divorziò da suo marito (lasciando anche i figli) e tornò in Germania per
aiutare sua madre nel gestire un'organizzazione sinti dei diritti umani, che
cerca di aumenatre la consapevolezza sul destino dei Rom e dei Sinti durante
l'Olocausto. Rita ora vive a Wuerzburg.
"Nessuna grande nazione può restare a lungo in pace. Se non ci sono nemici
esterni, se ne troverà uno all'interno delle proprie frontiere, come un corpo
potente che sembra immune a qualsiasi infezione esterna, ma la la cui stessa
forza lo mina dall'interno." Tito Livio.
Ma cos'è successo l'estate scorsa e perché fu così spettacolare?
Il circo dell'Espulsione dei "rom" inizia con una profanazione
del paese ospitante: il saccheggio di una pasticceria di un borgo storico, sulle
rive dello Cher, da parte di un gruppo di uomini mascherati identificati come
"gens du voyage" e con il proiettile nel corpo di uno di loro, morto, proprietà
della "forza pubblica".
Poi, nel Palazzo, la riunione, del capo di stato, del primo ministro, dei
ministri della giustizia, dell'interno, dell'identità, e dei più alti
responsabili della polizia e della gendarmeria.
Due giorni dopo la dichiarazione da parte del Palazzo della "guerra
nazionale".
"Quelli della pasticceria" allora spariscono dai discorsi. Non ne resta che
la sagoma. Vale a dire, nessuno.
O tutti. Non resta che la figura generale del nemico.
O "la canaglia".
I bambini di strada.
Perché non importa ciò che sa la "forza pubblica" ed il Palazzo ignora:
dichiarare guerra alla "gens du voyage" è decidere la fine del circo. E'
decidere la propria perdita, giuridica ed operativa.
Insomma: è decidere la perdita reale dello stato.
E ci fu il grande pericolo per il "Palazzo" nel dichiarare guerra alla "gens
du voyage": da una parte perdere la legittimità della propria violenza,
dall'altro di perdere sul piano della violenza pura...
... Quando l'obiettivo cosciente degli autori dell'Espulsione dei rom
è la salute dello stato, per sua simulazione.
Là dove aumenta il risparmio, cresce anche il pericolo.
I mezzi per questa simulazione di sovranità tramite la guerra interna in un
territorio pericolosamente pacifico era, una volta la cifra in nuce
definita: la messa in opera di circolari prefettizie per "zone di difesa e
sicurezza".
Queste zone sono le parti di una divisione eccezionale del territorio,
la cui funzione è di ottimizzare la cooperazione delle unità di difesa civile e
militare, il coordinamento delle operazioni da parte del ministero, la
circolazione rapida e diretta di informazioni e comandi tra il dipartimento e lo
stato.
L'amministrazione di un territorio così frammentato è un'amministrazione in
guerra.
Ma chi è questo nemico su cui si abbatte lo stato? Un mostro di cui ogni
singola cella è il teatro d'una guerra civile (Carthill). Il suo nome
burocratico: "gli accampamenti illeciti". Il suo nome sussurrato in un lapsus
governativo: "i Rom".
Da dove viene questo mostro? Dalla fabbrica del governo: la Legge; dal lavoro
meticoloso di piccoli gruppi di burocrati che da oltre un decennio mettono
l'eccezione nella legge.
I nemici-simili dell'Espulsione dei rom
sono da una parte lo stato che si salva dall'estinzione mostrandosi come un
mostro miracoloso, dall'altra parte i corpi simulati detti "rom" che inghiotte e
vomita. L'espulsione è la sua ruminazione.
In realtà lo stato si abbatte su se stesso. Il circo maschera
il suo nulla.
Lo stato è la guerra civile. La sua simulazione, il suo coperchio, sono il
limite. Sul fil di questo limite marcia tutto nudo il sovrano suonando il suo
flauto. Ovunque: il pericolo di vuoto, i freddi abissi della sua caduta. Da un
lato del filo, la scomparsa delle istituzioni nel nulla, la pace più
pericolosa, dall'altro, l'annientamento nella violenza.
Attorno, tra la folla che alza gli occhi, i funamboli, candidati alle
elezioni, guardano la sua caduta imminente e si preparano a salire sul
filo...
I "rom" del governo sono quelli per cui suona dissonante il flauto.
I bambini di strada.
Non sono i Rom. Non sono questo popolo transfrontaliero in formazione: prima
minoranza nazionale d'Europa ed in larga misura concentrati nell'Europa
Centrale, che vuole la nazione senza frontiere.
Sono una frazione prelevata da questo numero. La frazione
"accampamenti abusivi" o Baracche.
Lo strumento del prelievo è una lama affilata. E' col filo di questo
coltello che i burocrati tagliano i simulacri dove affiora il nome "rom". Questo
filo è pure quello appoggia il passo titubante di un pastore che cammina su una
lama. Dovunque taglia questa lama, lo spettro della guerra civile si riversa
nella sua realtà: la fine del circo. Un filo che nelle loro circolari
viene nominato come la principale preoccupazione: la proprietà privata.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicita'. Non puo' pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. In caso di utilizzo commerciale, contattare l'autore e richiedere l'autorizzazione. Ulteriori informazioni sono disponibili QUI
La redazione e gli autori non sono responsabili per quanto
pubblicato dai lettori nei commenti ai post.
Molte foto riportate sono state prese da Internet, quindi valutate di pubblico
dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla
pubblicazione, non hanno che da segnalarlo, scrivendo a info@sivola.net
Filo diretto sivola59 per Messenger Yahoo, Hotmail e Skype
Outsourcing Questo e' un blog sgarruppato e provvisorio, di chi non ha troppo tempo da dedicarci e molte cose da comunicare. Alcune risorse sono disponibili per i lettori piu' esigenti: