Cosa lega Pisa a Napoli (ed i campi rom di contorno)
Assemblea contro la guerra a Viareggio il 7 aprile 2011
Intervento del delegato rsu del comune di Pisa Federico Giusti
(9 Aprile 2011)
Per nessuna ragione avrei rinunciato a inviarvi un contributo alla discussione
di questa sera che ha come filo conduttore il tema della guerra.
Sarò estremamente schematico, a tratti anche provocatorio, ma sarebbe un grave
errore affrontare la tematica di questa sera solo da un punto di vista
ideologico o di analisi geo politica.
Sotto i nostri occhi è palese la sconfitta del movimento contro la guerra, la
sua incapacità di mobilitarsi, di creare opinione pubblica e coscienze.
La responsabilità è attribuibile solo a posizioni ondivaghe e contraddittorie
che hanno attraversato per lungo e per largo i movimenti contro la guerra?
Insomma, è colpa della non violenza, della scelta operata dal centro sinistra di
schierarsi a favore del conflitto in Libia , o l'assenza di mobilitazioni segna
la stessa sconfitta delle posizioni più radicali?
Io propendo per questa seconda ipotesi e proverò a dimostrare che l'assenza di
mobilitazione non è solo imputabile alle contraddizioni del movimento contro la
guerra o a scelte guerrafondaie, ma alla palese e sconcertante incapacità dei
movimenti antimperialisti di proporsi in termini propositivi ed egemonici, con
percorsi viziati da eccessi ideologici, da continue spaccature, dai vizi del
politicismo che annienta il confronto e il dibattito dietro alle estenuanti
querelle su elementi insignificanti, pronti a spaccare il capello su parole
d'ordine che poi scisse da una reale progettualità diventano prive di ogni
significato.
Partirei dalla militarizzazione del territorio che riguarda Pisa con l'Hub ma
attanaglia anche altre aree della penisola, per esempio il napoletano. Nel
novembre 2011 dovrebbe essere terminata la nuova base militare di Giugliano che
sorge a pochi chilometri da una altra base (Lago Patria) e vicino al Garigliano,
un deposito di scorie nucleari ad elevata pericolosità
La costruzione di questa area militare è stata preceduta da una pulizia etnica
che ha cacciato via campi rom e sinti, popolazioni provenienti dalle zone di
guerra del Kosovo. E' ormai accertato che dietro alle minacce, agli incendi e
alle aggressioni perpetrate contro rom e sinti ci fosse la mano dei clan
camorristici, gli stessi che ritroviamo invischiati nel business della base,
nella costruzione dei villaggi per militari, nella edificazione di aree
sottoposte in teoria a vincoli paesaggistici. Ebbene, la cacciata dei rom ha
preceduto di pochi mesi la costruzione di una nuova area militare, allora come
non scorgere un nesso inquietante con quanto accaduto sulla costa pisana al
Calambrone? La differenza è che a Napoli avevamo i clan camorristici, al
Calambrone quel tessuto sociale della destra che vede piccoli immobiliaristi,
proprietari di bagni,di attività commerciali, gli stessi che non hanno mosso un
dito quando c'era da difendere la costa tirrenica dal rigassificatore (una
minaccia ambientale), o tutelare la Pineta dalle discariche o difendere
l'occupazione degli alberghi del litorale dove i contratti a tempo indeterminato
vengono progressivamente trasformati in contratti precari.
Dietro a tutto ciò opera la Confcommercio, l'organizzazione dei commercianti e
vera testa di ponte della destra, associazione favorevole alla militarizzazione
del territorio.
Allora si capisce che la mancata saldatura della lotta per l'ambiente con la
difesa del territorio, della lotta antimilitarista con la solidarietà ai
migranti, la parcellizzazione dei percorsi ha finito con il regalare alla
destra, al razzismo e alla xenofobia un formidabile terreno di sperimentazione
dove attuare quella rottura sociale che porta acqua al mulino della destra.
La militarizzazione dei territori avviene silenziosamente senza che nessun
movimento la contrasti, del resto sta passando perfino una legge in Parlamento
che istituzionalizzerà la presenza dei militari nelle scuole italiane e, allora,
le visite in caserma (al tempo del duce ci portavano i balilla con il moschetto
di legno) sostituiranno le viste ai musei, i percorsi didattici saranno
soppiantati dai programmi di addestramento militare, insomma distruggeranno con
la costituzione italiana anche ogni riferimento all'Italia antifascista e
all'Italia che ripudia la guerra.
Parlavamo di analogie tra il pisano e il napoletano, infatti vicino al Calabrone
(a san Piero) sorge il Cresam dove guarda caso si trovano scorie nucleari, a
poche centinaia di metri la base militare Usa di camp darby, a pochi chilometri
ancora sorgerà l'Hub militare da cui le Forze armate vogliono far partire tutte
le missioni militari all'estero, imprese di guerra chiamate missioni umanitarie.
Ma le analogie non finiscono qui perchè a Napoli e a Livorno stazionano le
centrali nucleari galleggianti, i sottomarini a propulsione nucleare che in caso
di incidenti provocherebbero danni incalcolabili ben più gravi di quanto
avvenuto in Giappone nel 2008.
La parcellizzazione dei movimenti, l'assenza di un punto di vista qualificante e
unitario che leghi la militarizzazione del territorio al business economico che
si cela dietro alle industrie di armi e alle basi militari,la problematica
dell'immigrazione con le lotte dei territori, le campagne contro l'aumento delle
spese militari troppe volte promesse dai sindacati e mai mantenute(addirittura
la Cgil promuove il potenziamento della industria di guerra) e la difesa di
pratiche diffuse come quella dell'accoglienza , questi fatti fotografano la
nostra sconfitta.
Da qui bisogna ripartire e il convegno contro l'hub del 16 aprile a Pisa si
prefigge un obiettivo ambizioso come quello di tenere insieme le istanze di chi
lotta contro la militarizzazione dei territori con quanti obiettano contro
l'aumento delle spese militari, i pacifisti con gli antirazzisti, gli
antimperialisti con i genitori che si oppongono alle visite delle scuole in
caserma.
O si tengono insieme questi percorsi o si intraprendono strade minoritarie e
perdenti. La lotta contro la guerra oggi è pressochè inesistente perchè si pensa
che opporsi alla guerra non abbia ripercussioni sulla nostra vita quotidiana.
Chi del resto individua il nesso tra i tagli ai salari e alle pensioni e
l'aumento delle spese militari, con un ricorso strutturale alla guerra per
superare la crisi del sistema capitalistico? E una volta individuato il nesso,
non pensate che serva una pratica sociale, culturale e politica di massa che non
si limiti alle piattaforme giuste e alle manifestazioni minoritarie per
scegliere invece percorsi ampi e condivisi ?
Usciamo allora dal minoritarismo e navighiamo in mare aperto
federico giusti