Osservatorio Balcani e Caucaso - di Isotta Galloni 21 febbraio 2011
Già nel 2003 l'Unmik e il Tpi erano in possesso di testimonianze dettagliate su
presunti rapimenti e uccisioni di civili kosovari (soprattutto serbi) operati in
territorio albanese dall'Uck, anche per espiantare organi da "piazzare" sul
mercato. E' quanto emerge da documenti "riservati e sensibili" pubblicati la
settimana scorsa. Un nuovo tassello che rende sempre più urgenti indagini
approfondite
Non si trattava di semplici sospetti. Dal 2003 la missione delle Nazioni Unite
in Kosovo, Unmik, e il Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex
Jugoslavia con sede all'Aia (Tpi), erano in possesso di testimonianze
dettagliate, rilasciate da persone direttamente coinvolte, sui presunti
trasferimenti e soppressioni di prigionieri civili, principalmente serbi, messo
in campo in territorio albanese dall'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck),
dopo la fine del conflitto contro Belgrado, il 12 giugno 1999. Scopo di buona
parte di questi omicidi sarebbe stato quello di espiantare organi da "piazzare"
sul mercato internazionale dei trapianti.
E' quanto emerge da un documento Unmik "riservato e sensibile" che è stato
pubblicato – oscurato nelle parti riconducibili all'identità dei testimoni – il
16 febbraio scorso dalla tv France 24 e l'agenzia di stampa italiana, Tmnews. La
stampa locale ed internazionale ha ampiamente ripreso la notizia.
Questa la pista investigativa esplicitata nei documenti emersi, datati fine
2003: "i rapiti (in Kosovo), poi trasferiti in Albania centrale, sono stati
spostati ancora, in piccoli gruppi, in una casa privata a sud di Burrel
convertita in una clinica improvvisata. Qui equipaggiamento e personale medico
venivano usati per estrarre organi dai prigionieri, che poi morivano. I resti
venivano sepolti nelle vicinanze. Gli organi trasferiti all'aeroporto Rinas nei
pressi di Tirana e imbarcati per l'estero".
Come emerso a seguito dell'interesse sollevato dalla pubblicazione del 16
febbraio, una copia del documento era stata in realtà già pubblicata dal
quotidiano serbo 'Press', sul proprio sito web, il 28 gennaio 2011.
Dunque quasi venti giorni – un'era geologica per i tempi giornalistici – durante
i quali una notizia di tale peso resta inspiegabilmente 'congelata': fatti salve
due riprese dell'altro quotidiano serbo Politika e dell'agenzia Tanjug, non vi è
traccia dello scoop di Press, tanto nella stampa locale che extra regionale. Il
perché è solo uno degli interrogativi legati alla pubblicazione del documento.
Il contenuto dei documenti Unmik trapelati
Il documento Unmik non si può definire propriamente un report: sfogliandolo, si
comprende che si tratta, piuttosto, di un collage di parti di diverse
documentazioni, sottratte al medesimo dossier, e riunite in un corpo unico di 30
pagine, la cui numerazione è infatti ricostruita manualmente a penna, invece che
seguire quella informatica di un unico file.
Il 30 ottobre 2003, l'allora capo missione del Tpi a Skopje e Pristina, Eamonn
Smyth, trasmette all'Aia - al collega Patrick Lopez Terres, capo della sezione
Indagini - una serie di informazioni "confidenziali, non circolabili" che ha
appreso, a sua volta, il giorno precedente da Paul Coffey, direttore del
dipartimento Giustizia Unmik. Date, orari, tragitti, nomi e cognomi di vittime
e presunti carnefici.
E luoghi. Dal documento emerge infatti che nel 2003 gli investigatori non erano
solo in possesso delle coordinate Gps, ormai di pubblico dominio, della
tristemente nota 'casa gialla', presunto luogo materiale degli espianti che più
testimoni riconoscono, anche se ridipinta di bianco, tra dieci fotografie: "era
pulito è c'era un odore molto forte di medicinale. Mi ha ricordato quello di un
ospedale, dolciastro e mi ha dato fastidio", racconta un testimone (pag. 10/30).
Le descrizioni raccolte vanno ben oltre, consentendo agli inquirenti di
localizzare almeno tre siti in territorio albanese di presunte fosse comuni
delle vittime (pagg. 15 e 16/30).
"Parliamo anche dei dispersi, delle indicazioni che vi sarebbero fosse comuni in
tre aree dell'Albania settentrionale", scrive nel 2008 l'ex procuratore capo Tpi,
Carla Del Ponte, nel suo libro denuncia 'La caccia. Io e i criminali di guerra'
(Milano, Feltrinelli, 2008, pag.297). "Così, alla fine – riferisce Del Ponte del
buco nell'acqua a cui portò nel 2004 il sopralluogo in Albania del Tpi – i
procuratori e gli investigatori sui casi dell'Uck decidono che le prove per
procedere sono insufficienti. Senza le fonti e senza un modo per identificarle e
rintracciarle, senza i corpi, e senza prove che colleghino indiziati di alto
livello a questi atti, tutte le strade di indagine sono sbarrate".
Eppure in queste pagine ci sono fonti e sono identificate, anche se gli autori
vi si riferiscono sempre, per ragioni di sicurezza, attraverso numeri e lettere
e precisano che "la loro credibilità non è testata" e che "non hanno mai
assistito alle operazioni chirurgiche" (pag 29/30).
Ci sono i corpi. "Questa volta ho visto i corpi avvolti in coperte grigie
dell'esercito. Ho sentito l'odore del sangue, dunque so che erano freschi. (...)
Le fosse erano già scavate quando siamo arrivati. Due corpi per ogni fossa. Ho
impiegato un'ora e mezza per finire" è il drammatico resoconto di un
trasferimento di cadaveri dal Kosovo in Albania (pag. 7/30).
Ci sono le vittime. "Erano civili, serbi, paesani (...) Ho pensato che sarebbero
stati uccisi, ma vi erano ordini rigorosi di non trattare male i prigionieri, di
non picchiarli e dare loro cibo e acqua" (pag. 11/30). O ancora, "anche delle
ragazze furono portate nella casa (la casa/clinica) e usate come 'pezzi di
ricambio'. Ricordo di essere stato molto triste perché erano ragazze albanesi"
(pag 10/30).
Ci sono i medici, tra i quali viene riconosciuto da più fonti "un arabo". I
campioni di sangue, le cartelle cliniche.
Ci sono gli organi. "Dalla prima coppia di serbi vennero estratti solo due reni
e poi vennero uccisi. L'intenzione era di lanciarsi sul mercato. In seguito si
erano organizzati molto meglio e incassavano 45.000 dollari a persona",
riferisce un testimone. "Normalmente – prosegue – volavano (gli organi) su voli
di linea per Istanbul il lunedì e il mercoledì ". Lo scalo di partenza era
quello tiranese di Rinas, dove "alle persone che vi lavoravano venivano dati dei
soldi per chiudere gli occhi e stessa storia a Istanbul" (pag. 25/30).
Ci sono nomi e cognomi: "Ramush e Daut Haradinaj" - l'ex premier kosovaro e il
fratello - insieme ad almeno altre tre persone, vengono infatti indicati da un
testimone come architetti del macabro crimine. "L'operazione è stata sostenuta
da un uomo legato alla polizia segreta albanese operativa del precedente governo
di Sali Berisha", ricostruisce inoltre, nel suo sommario, l'allora capo missione
del Tpi a Skopje e Pristina, Smyth (pag. 2/30). Così, Del Ponte aveva riferito
nel suo libro del "possibile coinvolgimento di servizi segreti albanesi" (p.
297).
Reazioni e domande in cerca di risposta
Il nome che non compare mai è invece quello di Hashim Thaci, neo riconfermato
premier di Pristina, il quale sarebbe invece implicato secondo
il rapporto
pubblicato lo scorso dicembre dal senatore svizzero presso il Consiglio
d'Europa, Dick Marty. "No – ha confermato a France24 - non conoscevo il
documento e non l'avevo mai visto. D'altra parte mi erano noti i fatti
descritti". Perché mai in oltre due anni di indagini, nessuno ha condiviso con
Marty queste informazioni? "Siamo in diritto di interrogarci sull'efficacia
della cooperazione internazionale", risponde lui stesso.
Tra tante domande, infatti, c'è una certezza: "Unmik ovviamente conosceva il
documento perché lo ha generato, è in corso una indagine sulla fuga di notizie",
ha confermato l'ambasciatore Zannier a Tmnews. Ma il capo di Unmik precisa anche
che "la missione Eulex dispone del documento che è stato trasmesso al Capo
dipartimento Giustizia EULEX dell'epoca (Alberto) Perduca ed al procuratore capo
di EULEX dr Jacobs, nel marzo 2009". Pertanto, "gli elementi contenuti nel
rapporto del 2009 non sono stati nascosti", conclude il diplomatico italiano che
guida la missione Onu in Kosovo.
"E' vero che Unmik trasmise nel 2009 la documentazione sui crimini di guerra che
venne a sua volta inoltrata alla Procura speciale del Kosovo (Spkr, mista
Eulex-magistrati locali, competente esclusiva per crimini di guerra e altre
fattispecie, ndr)", conferma a Osservatorio Perduca, oggi Procuratore aggiunto a
Torino. "Sulla base di quelle informazioni, nel luglio 2009 Eulex chiese ed
ottenne dal magistrato autorizzazione ad avviare un'indagine sul traffico
d'organi: l'indagine è partita, resta aperta la questione dei risultati a cui ha
condotto".
Servono prove, servono i corpi e il solo posto dove cercare è l'Albania. Un
Paese membro della Nato, che ambisce al suo posto nell'Unione europea, ma da cui
la Comunità internazionale non è mai riuscita ad ottenere l'autorizzazione a
scavare nei presunti siti delle fosse comuni. O, invece, non ha mai voluto, non
con la forza e le pressioni necessarie perlomeno? Al di là degli adempimenti
formali, è lecito pensare che sia ancora in piedi quel 'muro di gomma'
sostanziale denunciato dalla Del Ponte nel suo libro?
Lo stesso che ha impedito ieri al Tribunale dell'Aia, oggi alla missione Eulex
di cercare un riscontro probatorio di informazioni tanto preziose, quanto vane
ai fini giudiziari finché resteranno nient'altro che pezzi di carta
'confidenziali'? Lo stesso dietro cui si nasconde Tirana, giustificandosi di non
essere stata né parte, né teatro dei conflitti balcanici degli anni novanta?