Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 01/05/2014 @ 09:00:36, in Europa, visitato 2220 volte)
30 Aprile, 2014, Nazzareno Guarnieri su
Fondazione Romanì Italia
Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera (vedi
QUI, ndr.) dall'amico di Spagna Juan De Dios
Ramirez-Heredia con alcune personali considerazioni sul recente summit sui rom a
Bruxelles promosso dalle istituzioni europee.
Riporto integralmente la lettera di Juan De Dios e ringrazio il prof. Marco
Brazzoduro per la traduzione in Italiano.
IL SUMMIT DI BRUXELLES SUI ROM E' STATO UN GRANDE INGANNO
Sapevo dal primo momento, e i miei timori sono stati confermati quando ho letto
i contenuti del programma, che ci troviamo ancora una volta di fronte a un
incontro di importanti uomini politici e di gagé "che ci amano tanto" e sono
pronti a parlare per conto nostro privando i presenti al summit della
possibilità di ascoltarci in quanto veri e insostituibili portavoce della nostra
identità e dei nostri interessi.
Per questo motivo ho deciso di non andarci, nonostante che sia stato
personalmente invitato. Non volevo avallare con la mia presenza questa
esibizione di politici che in periodo elettorale dichiarano a turno quanto siano
interessati alla nostra situazione.
Prima di scrivere queste note ho lasciato passare del tempo. Volevo informarmi
sulla questione ricorrendo a fonti rom, oneste ed equilibrate, per capire la
complessità del summit. I miei timori sono stati confermati.
Comunque desidero fare riferimento alla lettera che Rudko Kawczinski, presidente
del European Roma and Travellers Forum ha indirizzato a Viviane Reding,
Commissario alla Giustizia, a Schulz , Presidente del Parlamento europeo. Faccio
mie le sue parole quando ha detto:
"...Questo meeting di un giorno che consiste , prevalentemente, in una serie di
discussioni portate avanti da personalità non rom, crea serie preoccupazioni
riguardo allo scopo, ai contenuti e alla partecipazione".
Il summit è diventato un gioco di discorsi ripetitivi. E noi rom di ciò ne
sappiamo abbastanza perché siamo spesso infastiditi da quelli attorno a noi
dotati di spirito di redenzione e mani piene di euri ottenuti a nostro nome.
Pronti a salvare le nostre vite.
Rudko Kawczinski lo ha detto con grande chiarezza:
"Per noi è difficile capire quale sia esattamente lo scopo del summit e il suo
valore aggiunto in termini di quello che ha conseguito finora. Le piattaforme
tematiche creano politiche inclusive per i rom a livello locale e fanno arrivare
denaro dell'UE alle autorità locali e regionali per aiutarle a integrare i rom.
Fanno diventare l'integrazione dei rom una realtà locale anche negli stati
appena cooptati, tematiche che sono state dibattute in forum nazionali e
internazionali e hanno costituito l'oggetto di numerose raccomandazioni e
decisioni emesse dalla Commissione Europea e altri organismi internazionali. Non
sembra che la serie di discorsi di ministri e viceministri siano in grado di
generare quell'impegno così tristemente carente"
Perciò Rudko Kawczinski ha colto il punto chiave quando ha affermato:
"E' un peccato, per dire il minimo, che dopo anni di affermazioni secondo le
quali il lavoro dovrebbe essere compiuto dai rom e non per i rom, ci viene
offerta un'agenda dove in un elenco di 30 oratori non c'è quasi nessun rom (...)
D'altra parte si suppone che noi dovremmo ammirare le persone che conoscono e
seguono i consigli di un gruppo di partecipanti non rom, alcuni dei quali non
hanno mai conosciuto gli stessi rom o che non hanno mai visitato un insediamento
rom".
Un ampio numero di rom che vivono in Europa hanno alzato la voce per denunciare
la manipolazione cui sono assoggettati. Per la maggior parte delle istituzioni e
per una larga parte di quelli che vivono a spese del nostro nome noi siamo
considerati un gruppo di mendicanti analfabeti e affamati che debbono essere
salvati ad ogni costo. E, sempre in nostro nome, organizzano conferenze,
incontri e giornate come questa che finiscono quasi sempre in completi
fallimenti . E sapete perché ?
Ascoltate Rudko Kawczinski:
"Finora molti degli sforzi della Commissione Europea si sono conclusi con
risultati minimi o inesistenti. Questo accade sempre quando la comunità rom e i
suoi rappresentanti non sono stati né coinvolti e né consultati nella
progettazione dei programmi e delle iniziative".
Non pretendiamo di capire come fanno la signora Reding e il commissario Laszlo
Andor, responsabili per le materie sociali, il lavoro e l'integrazione. Hanno
consentito di essere presi in giro dagli organizzatori di questo spettacolo
volgare. Non é stato portato alla loro attenzione quello che l'European Roma and
Travellers Forum non ha visto, la più elevata rappresentanza dei rom in Europa,
la cui creazione è stata aiutata dal Consiglio D'Europa, dalla Commissione
Europea e dall'OSCE ?
"A peggiorare le cose - continua Rudko Kawczinski - la Commissione Europea ha
ritenuto opportuno invitare come oratore nella cerimonia di apertura del summit,
niente meno che Traian Basescu, Presidente della Romania, che è stato
recentemente condannato dalla Commissione Nazionale di Romania per la lotta alla
discriminazione, per i suoi commenti discriminatori verso la popolazione rom.
D'altra parte hanno invitato in alcuni dei già menzionati tavoli, rappresentanti
di città e regioni che hanno sistematicamente cacciato i rom dai loro territori".
Per concludere faccio mie le parole del Presidente del European Roma and
Travellers Forum:
"In queste circostanze crediamo che la nostra partecipazione in questo summit
sia stata meramente decorativa. Ciò è qualcosa che non possiamo accettare in
qualsiasi caso. Noi rom vogliamo una partecipazione reale ed onesta e non ci
auguriamo di essere usati solo come marionette in uno spettacolo".
Juan de Dios Ramirez-Heredia - Presidente dell'Unione Romanì spagnola
Già deputato al Parlamento europeo
Avvocato e giornalista
Deutsche Welle -
Autore: Nevena Cukućan.
Redazione: Jakov Leon
Serbia - Richiedenti asilo bugiardi, li chiamiamo così. In Germania, i
conservatori li hanno usati come spauracchio e gli abitanti dei Balcani temono
che per loro si chiuderanno le frontiere. Abbiamo qualche comprensione per le
persone senza il loro "posto al sole"?
Hamit Kurtehi (27), noto come Apu, è apparentemente un ragazzo normale,
attivista nel tempo libero, che ama suonare la chitarra e girare sui
rollerblade. Sarebbe un saldatore ma, come tanti altri suoi coetanei, è
disoccupato e vive coi genitori. Tuttavia, ciò che differenzia Hamit dai suoi
coetanei è la logorante esperienza come richiedente asilo. Lui e i suoi genitori
hanno aspettato 3 anni per ricevere asilo in Belgio. Dopo questo periodo pieno
di gioie e dolori, nel 2013, la famiglia Kurteshi è stata costretta a lasciare
il Belgio per ritornare in Serbia.
Kurteshi ed altri attivisti protestano per ottenere acqua potabile
DISCRIMINAZIONE: la famiglia di Hamit, composta da sei membri, è arrivata a
Zrenjanin dalla città kosovara di Lipljan negli anni ottanta. Lui è l'unico
membro nato a Zrenjanin ed ha subito discriminazioni dovute alla sua origine per
tutta la vita. A causa di scontri frequenti e dei compagni che lo insultavano,
Hamit non ha terminato la scuola primaria e si è ritirato presto anche dalla
scuola secondaria, cosa di cui è pentito. "Questo è uno dei nostri più grandi
errori, come rom" dice "perché così rimaniamo ignoranti e avere una vita normale
non ci è facile. È come quando si ha la febbre e, pur non conoscendone la causa,
si prendono comunque farmaci contro la febbre. Mentre in realtà hai un cancro
che ti uccide, ma non lo sai."
Prima di decidersi a richiedere l'asilo, la famiglia di Hamit aveva tentato di
ritornare in Kosovo, dove un tempo aveva una casa, andata bruciata nel 1999.
L'UNHCR aveva loro costruito una nuova abitazione, nella quale sono vissuti fino
al 2006. Dopo aver passato qualche tempo fuori Lipljan, hanno trovato la casa
bruciata al loro ritorno. Hanno così capito di non essere i benvenuti in Kosovo
e sono tornati a Zrenjanin, dove sono incorsi in un processo a causa
dell'alloggio in cui vivevano.
"Quando lasci la tua città e tutto quello che hai, soprattutto quando è contro
la tua volontà, arrivi in una nuova città e devi ricominciare da zero, ma tutto
ciò richiede tempo" dice Hamit. "Ora tutti dicono, la guerra è stata 15 anni fa,
ma dai, devi recuperare per il periodo in cui hai perso tutto. Nel posto in cui
hai vissuto prima è stato costruito qualcosa di nuovo e, se non l'hanno fatto,
lo faranno tra un anno. Poi tutti cercano di fare qualcosa, ma spesso non può
fare nulla, e fuggono via. Così abbiamo deciso di andarcene e di chiedere
asilo." Ha aggiunto che la situazione finanziaria era critica, perché
attualmente in Serbia "nessuno ha soldi ", ma che è stato soprattutto il
desiderio di una vita normale, nel quale non dovesse temere la reazione degli
altri alla vista della sua carnagione scura o al sentire la lingua in cui parla.
E lui parla serbo, romanes, albanese, olandese, inglese, tedesco e sta imparando
l'italiano.
Hamit di fronte al suo alloggio a Zrenjanin
PARTENZA: La prima tappa del viaggio della speranza della speranza era Aachen,
in Germania, dove Hamit e i suoi genitori hanno incontrato dei parenti, dopo di
che si sono diretti a Bruxelles per presentare la domanda d'asilo. Al colloquio
hanno dichiarato di non avere documenti e di essere arrivati direttamente in
Belgio dalla Serbia. "È stata una bugia giustificabile, a mio parere" dice Hamit
"Se avessimo avuto i passaporti ci avrebbero rimpatriati subito poiché, in
Serbia, ufficialmente non ci sono più violenze. In questo modo siamo stati in
Belgio per tre anni. Abbiamo visto persone richiedere asilo mostrando i
passaporti e sono state rimpatriate immediatamente."
All'epoca non parlava fiammingo ed ha trasmesso la sua storia alle autorità
tramite interprete. Quando ha imparato la lingua ha notato che lo scritto della
sua storia non coincideva con quelli degli altri membri della sua famiglia e
che, pur essendosi dichiarati tutti della stessa etnia, suo padre era stato
registrato come albanese, sua madre come rom e lui come serbo. "Ti rendi conto
troppo tardi che ti va bene solo se sei bravo con questo interprete. Ma quando
arrivi, non capisci nulla, e ti sembra di essere su un altro pianeta. Lui ti
porta a fare un giro, ti controllano i polmoni, ti prendono le impronte, la
prima per controllare se sei sano, poi segue una breve intervista e alla fine ti
danno una scheda con l'indirizzo a cui recarsi e ti mandano fuori " descrive
Hamit.
Così, la famiglia Kurteshi entrò in un campo profughi e vi rimase per quattro
mesi. Il campo si trovava in una vecchia caserma, dove le camerate erano divise
in piccole camere per più persone, le cui pareti prefabbricate non raggiungevano
il soffitto e mancavano molte finestre. Hamit e i suoi genitori erano alloggiati
in una piccola stanza di otto metri quadri. Questa camera era quasi un lusso,
per gli standard del campo. La famiglia era circondato da centinaia di persone
provenienti da tutto il mondo. Le risse, i feriti e i furti erano all'ordine del
giorno. Hamit ha imparato in fretta la lingua e ha iniziato a lavorare come
traduttore per i nuovi richiedenti asilo. Ha visto come tra loro ci fossero
anche quelli che non erano arrivati a causa di circostanze di vita che li
avevano costretti, ma solo per approfittare del sistema sociale belga. "Allora
ho cominciato a capire il motivo per cui belgi, tedeschi e tutti gli altri Paesi
ospitanti odino gli stranieri, perché arrivano, non fanno niente, prendono soldi
e questi ultimi vengono detratti dal tuo stipendio per darli a loro." dice.
Le condizioni di salute di suo padre stavano peggiorando e Hamit insistette che
i genitori si trasferisse nella "casa sociale" a Vorselar durante l'attesa del
verdetto sulla domanda d'asilo . Rimasero lì fino alla fine del 2013, quando
sono stati costretti a lasciarla. " La casa aveva due piani, tre camere da letto
al piano superiore, soggiorno, cucina , bagno e un grande giardino ... è stato
incredibile. Per la prima volta nella mia vita avevo la mia stanza." dice.
Giacché voleva che le cose funzionassero e poter guadagnare soldi per vivere,
Hamit ha presentato una richiesta per permesso di lavoro e l'ha ottenuto, per un
periodo di un anno. Ha trovato lavoro presso una fabbrica di lastre di cemento
prefabbricate dove è stato pagato tanto quanto gli altri lavoratori, salvo
rifiutarsi di ricevere una percentuale data dal suo stato di richiedente asilo.
"Volevo mostrare loro che ero diverso e che non volevo vivere sulle spalle degli
altri." dice, aggiungendo che è stato il suo periodo più bello, rovinato solo
dai problemi di salute di suo padre.
CARCERE: L'idillio non durò, la domanda di asilo fu respinta, e allo stesso modo
tutti i ricorsi e le lamentele presentate. Il permesso di lavoro era ampiamente
scaduto, ricevette un ordine di espulsione e la polizia arrestò i genitori Hamit
in sua assenza. Dopo di che, Hamit andò volontariamente alla stazione di polizia
disse di voler rimanere vicino alla sua famiglia, anche se sapeva che avrebbe
dovuto lasciare il Paese. "Allora vennero gli assistenti sociali e le guardie
del campo e ci hanno riportati lì, insieme con la polizia, ammanettati, come se
fossimo dei prigionieri" ricorda. "Durante le prime due settimane al campo non
ho parlato con nessuno, non volevo mangiare ne bere. Ho perso peso, da 80 chili
a 50. Nel mio file sono stato classificato come 'molto aggressivo', anche se non
ho parlato affatto." Ha lasciato il Paese più tardi del previsto, con una multa
per ogni giorno trascorso nello spazio Schengen, più di tre mesi. Lui e la sua
famiglia hanno vissuto tre anni in Belgio.
La storia di Hamit ha attirato l'attenzione dei media belgi, anche quando gli fu
concesso l'asilo. Nel maggio 2012 il giornale Gazet van Antwerpen disse che
Hamit e la sua famiglia dovevano lasciare il Paese. "Vicini e conoscenti non
capiscono perché debbano andarsene", dice il testo. Sui Somers, giornalista del
settimanale Humo pubblicato in fiammingo ha scritto su di lui chiamandolo
"l'opposto del richiedente asilo." Voleva far capire ai suoi lettori come ci
siano dei giovani richiedenti asilo disposti a guadagnare i loro soldi e a
contribuire alla società belga. "Non ho mai incontrato nessun richiedente asilo
così pieno di energia, così determinato ad avere successo in Belgio, così
disposto a fare. Penso che la sua espulsione sia una grande perdita per la
nostra società" dice Somers su DW. Dati dell'UNHCR indicano che solo il 6 per
cento delle richieste presentate da cittadini serbi vengono accettate in Belgio.
La giornalista Somers
Ricorda anche che, alla fine dello scorso anno, la Corte europea dei diritti
dell'uomo ha condannato il Belgio per la pratica dei rigetti di persone
provenienti da Paesi dilaniati dalla guerra come l'Afghanistan. "Vi è il caso di
due afghani che hanno richiesto asilo, trascorso diversi anni qui, imparato la
lingua, trovato un lavoro, ma a dispetto di tutto ciò sono stati rimpatriati.
Ciò ha causato un putiferio nel Paese e un grosso imbarazzo per il nostro
segretario federale per l'immigrazione, la liberale Maggie De Block." conclude
Somers.
MATRIMONIO: Ma non è tutto. "C'é la mia attuale ragazza, che ho conosciuto
quando ho visitato i parenti in Germania" continua Hamit. "Ho attraversato il
confine, ma i richiedenti asilo in Belgio non hanno il diritto di viaggiare,
dovevo rimanere in Belgio. Stavo passeggiando da solo, e la polizia tedesca mi
ha catturato, ora ho una condanna per questo." Ha detto che non avrebbe voluto
sposare una ragazza solo per risolvere il problema del suo soggiorno, ma che
nella sua attuale fidanzata ha trovato ciò che desiderava. Il matrimonio è stato
programmato, ma era necessario ottenere i documenti in Serbia. "Le ho detto che
torno per certo, e il suo unico commento è stato: " No, tu non vuoi tornare, ma
vuoi tornare da me.'"
Hamit allo skate park di Zrenjanin
Hamit stava progettando di andarsene volontariamente in Serbia e di ottenere i
documenti necessari, ma quei piani sono stati rovinati dall'arresto dei suoi
genitori. Quando, due mesi dopo il rimpatrio forzato a Zrenjanin, ha cercato
tornare in Germania con tutti i documenti necessari, gli è stato concesso di
attraversare il confine serbo ma non quello olandere, dove il suo aereo è
atterrato. Venne a sapere di avere un divieto di ingresso nell'Unione europea
fino al pagamento della multa. Ha trascorso tre giorni in un carcere olandese
per immigrati ed è tornato a casa.
Dal momento del suo ritorno, Hamit è preoccupato per malattia del padre che è
stato ricoverato in ospedale un mese fa. Ha intenzione di assumere un avvocato e
di avviare una richiesta per diminuire la condanna che ha ricevuto, non appena
la salute del padre migliorerà. Si sente ancora con la sua ragazza, lei lo
attende, e non pensa più molto all'asilo. "Fino a quando non superiamo il
passato non possiamo andare verso il futuro. Il mio passato, per me, è il
divieto che mi impedisce di avere indietro la mia amata." conclude. Nonostante
tutto, questo ragazzo non perde ancora non le speranze e dà l'impressione di
essere disposto a combattere tutto il tempo necessario.
Denny Lanza è il regista di
Jump, abita a Prato ed è un sinto di Prato. Proprio come
Angela Bosco, 19 anni, anche lei nata a Prato e candidata nella lista di
Sinistra Ecologia Libertà Prato per il consiglio comunale. Lo zio Ernesto
Grandini è presidente dell'associazione sinti italiani di prato; un altro cugino
pratese è stilista. Differenza? Si, ma ricchezza per tutti.
Di Fabrizio (del 06/05/2014 @ 09:00:42, in Italia, visitato 2311 volte)
Foto: Alessandro Imbriaco, Posted on 5 maggio 2014 di
progettosarsan
Vivere nei "campi rom", senza uno status giuridico, documenti
d'identità e possibilità di accedere ai servizi socio sanitari. La vita da
"invisibili" delle donne rom. Di Simona Hristian*
Quello che, entrando in un "campo rom", stupisce e sconcerta anche gli operatori
sociali con più esperienza è la situazione di totale "invisibilità" in cui si
trovano alcuni abitanti.
Sono persone nate e cresciute in Italia, dove hanno sempre vissuto e frequentato
la scuola, ma che sono prive di una cittadinanza e - nella maggior parte dei
casi - anche di un documento di identità. È una situazione che in Italia si
protrae da decenni e, considerando l'alto tasso di natalità in età giovanile
della popolazione rom, riguarda ormai due-tre generazioni.
Quindi non si tratta di migranti o di figli di cittadini di origine straniera
nati in Italia. Questi "cittadini senza cittadinanza" sono figli di persone nate
in Italia da genitori nati in Italia che però non li riconosce, così come non
sono riconosciuti dai nuovi stati dell'ex Jugoslavia da dove provenivano i loro
avi.
Vivono pertanto in un limbo giuridico senza la possibilità di lavorare, di avere
una casa, quindi senza una prospettiva di vita diversa da quella attuale.
I problemi maggiori, in particolare, riguardano le donne. Per loro, la vita
all'interno dei "campi", unita alla mancanza di uno status giuridico e di
documenti, si traduce nella conseguente difficoltà di accesso ai servizi
pubblici e alla ridotta disponibilità di adeguati strumenti educativi con il
rischio che i loro bambini vengano presi in custodia da parte delle istituzioni.
Si aggiungano poi la carenza di competenze genitoriali, dovuta alla giovane età
e a un ambiente sociale e familiare difficile, e la scarsa informazione sui
metodi contraccettivi che porta peraltro a complicazioni di natura ginecologica
che mettono a rischio la vita delle giovani donne.
Per venire incontro alle esigenze delle donne rom che vivono nei "campi"
autorizzati e negli insediamenti informali di Roma, le mediatrici culturali del
progetto Sar San 2.0 le incontrano regolarmente, all'interno degli stessi
"campi", per informarle, orientarle e, ove necessario,
accompagnarle verso
l'accesso ai servizi socio-sanitari del territorio. Attraverso l'organizzazione
di incontri con esperti, inoltre, viene offerto supporto e consulenza
socio-legale e alla cittadinanza soprattutto alle donne in età fertile o con
bambini molto piccoli.
Le donne, gli uomini e i bambini rom che vivono nei "campi", a Roma come
purtroppo in molte altre città italiane, continuano a vivere da "invisibili".
Allontanarsi dal "campo", anche per fare la spesa o portare i figli a scuola,
diventa un atto di coraggio: sono sempre accompagnati dalla paura di essere
fermati dalla polizia e trovati senza documenti. Per alcuni la soluzione
potrebbe essere la richiesta del riconoscimento della loro condizione di
apolidia anche se si tratta di un iter lungo e, dato che viene concessa in base
al principio di discrezionalità, come anche la cittadinanza italiana, è una
lotteria.
Alcuni potrebbero sperare di ottenere un permesso di soggiorno umanitario, ma
molti - troppi - non possono far altro che sperare che il loro paese di nascita
- l'Italia - decida di riconoscerli finalmente come cittadini.
Sarebbe non solo un atto di civiltà, ma anche di tutela per tutti i cittadini di
questo paese. In un paese che non riconosce i diritti, quindi non
responsabilizza i suoi cittadini, non si può parlare di una società sicura senza
cadere nella contraddizione e nella demagogia.
* Simona Hristian è una mediatrice culturale impegnata nel progetto Sar San 2.0
segnalazione di Sereno Gabrielli
Di Admin (del 08/05/2014 @ 09:02:08, in Kumpanija, visitato 12151 volte)
Da questa settimana Mahalla è anche un'associazione. Senza fine
di lucro, come avrete già capito.
Vediamo di rispondere ad alcune domande (se ne avete altre,
scrivete):
Chi siete?
Tra i fondatori troverete alcuni dei redattori di questo blog.
Siamo un piccolo gruppo composito per esperienze e provenienza.
Cosa fate?
Non vogliamo fare concorrenza alle tante altre associazioni
che fioriscono attorno al mondo dei Rom e Sinti. Che è un mondo complesso e
variegato, con diversi aspetti su cui operare. Nello specifico, l'associazione
Mahalla nasce da 9 anni di vita di questo blog - sommate ad esperienze
precedenti, quindi si occuperà principalmente di:
- informazione e divulgazione su Rom, Sinti, Caminanti e altre
popolazioni romanì;
- cercando ove possibile di privilegiare le "buone pratiche" e
le testimonianze dei diretti interessati;
- agirà in ambito tanto locale, quanto nazionale che internazionale (sin dove
le forze e le risorse ce lo permettono);
- senza chiudersi in qualche torre d'avorio, ricercando invece
la collaborazione con istituzioni ed enti pubblici, il mondo
dell'informazione, dell'associazionismo, dell'istruzione e
quello della cooperazione (sperando di non aver dimenticato
nessuno)
- non intende chiudere le sue cronache in un ghetto, per cui
affronteremo le questioni della coesistenza con la società
maggioritaria (e con le sue strutture), cercando interlocutori
(che potete essere anche voi)
Sì, ma praticamente..?
Stiamo iniziando. Due anticipazioni:
-
Come anticipato da un recente sondaggio (di
quelli che trovate nella colonna centrale) a breve partirà una
versione di Mahalla in lingua inglese, destinata ai lettori
dall'estero.
-
In un
post di metà dicembre, si accennava alla libreria di Mahalla
(sempre lei) e alle sue potenzialità. Scrittori, poeti,
saggisti, aspiranti cronisti o fotoamatori... se ci siete fatevi
vivi.
-
Altre novità ve le comunicheremo di volta in
volta. E infine, c'è tutto il vasto mondo inesplorato delle
vostre proposte, che aspettiamo e valuteremo.
Posso diventare socio?
Teoricamente, tutti possono diventare soci, basta versare la
quota sociale. Nel pratico, vi chiediamo (ci sembra ovvio) di condividere le
nostre finalità. Non siamo cacciatori di tessere alla ricerca di un grande
numero di soci, almeno all'inizio sarà più facile muoversi e ragionare sui
piccoli numeri. Dipende da voi... benvenuto comunque a chiunque possa portare
idee, capacità, esperienze e/o capitali
Posso almeno aiutarvi?
E ci mancherebbe!! E vi ringraziamo sino da ora. Se guardate
in alto, trovate una novità: il bottoncino PAYPAL in attesa delle vostre
donazioni, la cifra non importa, basta il pensiero. Ma non è bello chiedere
soldi in cambio di niente. Se volete aiutarci vi suggeriamo di dare un'occhiata
alla piccola
libreria di Mahalla (che da oggi è quella dell'associazione), troverete
diversi ebook grandi e piccoli, in cambio di una
piccola spesa avrete materiale interessante a iosa; che poi è la cultura di cui
vogliamo essere parte: fatta di grandi temi, ma è anche mangiare, giocare,
raccontare storie. E se per caso vi stiamo antipatici, troverete anche documenti
da scaricare gratis.
Cambierà qualcosa nel blog?
Certo: come è cambiato nel corso di tutto questo tempo. Speriamo cha cambi in
meglio... Se invece la domanda riguarda il rapporto del blog con la nuova
associazione: condividono solo il nome, ma sono indipendenti l'uno dall'altro
(resteranno comunque buoni amici).
Che altro?
Qui troverete:
Di Fabrizio (del 09/05/2014 @ 09:03:57, in Italia, visitato 2462 volte)
Mahalla 15.50
Stasera Angela Bosco in
chat
Angela 20.37
Buonasera a tutti...
Mahalla 20.39
Buonasera Angela, e buonasera a tutti. Se qualcuno è già online, intanto si
faccia vivo. Tra 15 minuti si da il via alle danze
Mahalla 20.52
Mentre aspettate, alcune notizie su cosa discuteremo stasera
QUA e
QUA.
A tra poco
Mahalla 21.00
Direi che ci siamo, Prima di tutto, Angela, benvenuta su Mahalla. Come va?
Angela 21.00
Benissimo grazie... E' stata una giornata caldissima e sono di buon umore.
Mahalla 21.01
Son contento: Sinta, 19 anni, candidata. Possiamo sapere qualcosa di più su di
te?
Angela 21.03
Aggiungerei FIERAMENTE sinta. Cosa dire di me? sono una ragazza come tante ma
con qualcosa da dire... con dei messaggi positivi da portare avanti... ho
studiato all'istituto professionale Datini, indirizzo alberghiero e sono, come i
giovani d'oggi, piena di sogni e di speranze.
Mahalla 21.04
E senza lavoro, se ho inteso bene. Da quel punto di vista com'è la situazione a
Prato?
Angela 21.05
Già, senza lavoro. Come migliaia di altri ragazzi della mia età. La crisi c'è e
si fa sentire. Il lavoro a Prato scarseggia. Però,dobbiamo fare qualcosa per
superare questi momenti negativi.... no? quindi, bisogna battersi in prima
linea.
Mahalla 21.06
Tu e il partito con cui sei candidata, avete delle proposte?
Angela 21.09
Io posso parlare per me... credo che oltre a rappresentare dignitosamente una
minoranza, come quella dei sinti, che merita di farsi sentire, mi batterei per
tematiche attuali e cercherei di contribuire per dare voce ai Giovani.
Mahalla 21.10
Prima hai detto: FIERAMENTE sinta; cosa significa per te quel FIERAMENTE?
Angela 21.11
Intendo dire che essere sinta per me è un onore. Il mio popolo,la mia
cultura,sono meravigliosi. Abbiamo valori e principi solidi,sani. sono fiera
d'essere sinta.
Mahalla 21.12
Questi principi e questi valori, puoi anche elencarli, possono essere condivisi
dagli altri cittadini di Prato?
#3501 21.14
Ciao sono Franco, per ora leggo.
Angela 21.14
io,come sinta sono legata alla famiglia, all'amicizia sincera, all'amore puro,
ai rapporti incondizionati da interesse personale... sono cosi come mi pongo e
le maschere le lascio ai rivenditori di accessori per carnevale.
Mahalla 21.16
Ciao Franco, se dopo vuoi intervenire, scrivi /n e poi il tuo nome, così si fa
meno confusione
Franco 21.16
Perché on SEL?
Mahalla 21.17
Quindi, Angela, perché SEL ti avrebbe chiesto di candidarti (è più o meno quello
che chiedeva Franco)
Angela 21.17
Perché rappresento una voce che non ancora non è stata espressa. semplicemente
per questo.
Franco 21.18
se sarai eletta hai già delle idee da realizzare?
Mahalla 21.19
Da sola o con quali altre forze?
Franco 21.20
Da sola è impossibile le idee si lanciano
Angela 21.20
Le idee sono tante... una su tutte è quella di far conoscere a tutti il popolo sinto... e far comprendere che la DIVERSITà equivale a RICCHEZZA PER TUTTI
Mahalla 21.22
La situazione generale dei Sinti a Prato com'è?
Franco 21.22
Era la domanda che stavo scrivendo....
Mahalla 21.23
si lavora in tandem Franco....
Angela 21.23
I Sinti hanno bisogno di ascolto,di persone che sappiano rappresentare al meglio
le loro esigenze. Le situazioni de campi nomadi sono spesso in degrado, i
Giovani hanno poche possibilità di sbocco... questi sono solo piccoli esempi...
Mahalla 21.24
Da dove si dovrebbe iniziare?
Franco 21.26
Forse a Prato la situazione lavoro per i sinti è diversa. Che lavori sono i più
diffusi?
Angela 21.26
Dall'ascolto. dalla conoscenza.
Mahalla 21.27
Vorrei capire meglio: si parte da zero o in passato qualcosa è stato fatto?
Angela 21.27
Siamo ex giostrai e oggi raccogliamo ferro per rivenderlo... ma siamo gente con
tanta determinazione e abbiamo voglia di farci valere.
Franco 21.28
Uguale a Verona
Angela 21.28
Più o meno si parte da zero. Se la situazione non è cambiata significa che se
qualcuno in passato ha fatto qualcosa è servito a poco....
Mahalla 21.29
Eppure Ernesto (Grandini) è attivo da anni. Come mai così pochi risultati?
Franco 21.29
Ci sono due mondi/modi fi fare ciò che desideri. Il mondo reale e quello
virtuale.
Angela 21.30
Esatto. Il modo virtuale è fatto da parole e pochi fatti. Non è più tempo di
parlare... è tempo di agire con cose concrete
Franco 21.31
Su quello reale hai bisogno di pratesi, su quello virtuale non è che ci si debba
fermare alle parole
Mahalla 21.32
Però, se permetti, quando stasera abbiamo provato ad entrare nel concreto (tipo
il lavoro o le proposte in merito) non ho visto proposte concrete. Vogliamo
ripartire da lì?
Franco 21.32
Il virtuale permette, se ben usato, lo scambio di idee ed esperienze
Angela 21.34
Ma sai, le proposte sono tante ma andrebbero affrontate caso per caso... Per
esempio... I campi nomadi sono spesso in degrado....perché non permettere ai
sinti di vivere nella loro cultura ma dignitosamente?
Mahalla 21.35
Cioè? In che modo?
Angela 21.35
Costruendo bagni e fosse biologiche nei campi nomadi per esempio
Franco 21.35
Potrebbero essere anche le microaree?
Angela 21.37
La cura delle microaree per le famiglia anche si...
Mahalla 21.38
(nel frattempo, chiederei se c'è qualcun altro online)
#213 21.39
si Giovanna
Mahalla 21.40
Ciao Giovanna, se vuoi intervenire, prima scrivi /n seguito dal tuo nome
Mahalla 21.41
Angela, a Reggio Emilia un'altra sinta è candidata alle elezioni comunali. Siete
in contatto? E riguardo a SEL, quanto ritieni che i tuoi ragionamenti siano
condivisi e discussi a livello regionale o nazionale?
Giova 21.42
mi associo alla domanda di Fabrizio
Angela 21.44
Noi sinti ci conosciamo più o meno tutti e credo che i bisogni siano più o meno
gli stessi. Credo che i miei ragionamenti inizieranno ad essere discussi da
ora... i tempi stanno cambiando. riguardo alla condivisione, credo che siano
talmente semplici da essere facilmente condivisi.
Angela 21.45
Ora devo lasciarvi perché il pc sta morendo...
Giova 21.45
Secondo me dovreste essere anche fortemente propositivi nel fare, nel
caratterizzarvi per iniziative
Franco 21.46
In bocca al lupo per le elezioni
Giova 21.46
Auguroni, un abbraccio
Angela 21.47
Grazie del consiglio Giovanna... davvero!
Angela 21.47
Crepi il lupo... Un abbraccio a tutti
Mahalla 21.47
Avevo altre domande, ma in effetti ti avevo chiesto solo un'ora. Il testo di
questa chiacchierata sarà online su Mahalla venerdì prossimo, e speriamo di
risentirci. Per il momento, grazie a tutti.
Giova 21.48
c'è tutto il sapere della manualita' che potreste prendere in
carico...
Giova 21.48
Grazie a voi
di Una Čilić,
Aida Halvadzija,
Erna Dželilović -
Fonte: International Justice
- ICTY
La discriminazione, la povertà e i problemi della comunità rendono difficile il
successo ai giovani rom.
Nehrudin Cikaric aiuta un bambino in matematica al centro diurno per bambini
in situazioni di vulnerabilità (Foto: Una Čilić)
Haris Husic, ora 23enne, ricorda con chiarezza come venne bocciato al suo
compito di matematica, all'età di dieci anni, nonostante fosse assente il giorno
in cui si svolse.
Quando chiese all'insegnante quando avrebbe potuto dare il compito, lei gli
rispose che gli aveva già dato l'insufficienza.
"Le chiesi come fosse possibile, visto che non ero nemmeno andato a scuola ma
lei mi disse 'non importa, la prossima volta prenderai un voto migliore'"
ricorda.
Storie
di transizione: Nehrudin - Video di Una Cilic, Aida Halvadzija ed
Erna Dzelilovic da Sarajevo.
Più avanti, Husic seppe che, quando gli mise l'insufficienza, la maestra
commentò "Quand'è che finiranno la scuola?"
"Loro" significa i rom, una minoranza impoverita in Bosnia ed Erzegovina (BiH),
trovatasi ai margini della società e oggetto di forti pregiudizi.
Husic, che vive nella piccola cittadina di Visoko, vicino alla capitale
bosniaca, sta ora studiando lingua e letteratura tedesca all'università di
Sarajevo.
Dice di essere spesso incappato nell'intolleranza, spesso basata sulla credenza
che i rom siano tutti ladri.
"Non mi vergogno delle mie origini" dice "Per me, tutte le persone sono uguali e
non le differenzio in nessun modo. Do sempre il meglio di me stesso per trattare
tutti bene, attitudine che mi ha aiutato a superare i miei problemi con la
discriminazione."
Non avendo entrate fisse in casa, Husic usufruisce di una borsa di studio
mensile di 100 marchi bosniaci (70 $) datagli dal Fondo per l'Educazione in
Bosnia ed Erzegovina per coprire le sue spese giornaliere ed alimentari.
"Non è facile ma non mi arrenderò mai. Darò il mio meglio per finire gli studi,
anche se dovessi camminare ogni giorno da Visoko a Sarajevo." dice.
Nonostante le attuali disposizioni del governo per aiutare i rom, il pregiudizio
diffuso e le tradizioni conservative della comunità stessa fanno si che vi siano
pochi progressi.
BASSI LIVELLI DI ISCRIZIONE ALLA SCUOLA SECONDARIA
L'educazione, soprattutto, è uno dei campi in cui i rom ancora non hanno
risultati.
Secondo i dati del Ministero per i Diritti Umani e i Rifugiati, vi sono 17.000
rom registrati in Bosnia-Erzegovina, anche se il numero reale è supposto essere
il doppio, visto che molti non hanno documenti di identità.
Secondo un report pubblicato dal Ministero vi sarebbero stati 3.000 bambini rom
frequentanti la scuola primaria nell'anno scolastico 2011/12, mentre solamente
243 avrebbero frequentato la scuola superiore quello stesso anno.
"Uno dei principali problemi dell'educazione dei bambini rom, oltre alla
povertà, è che l'istruzione non è molto valorizzata dalla società rom" dice
Dalibor Tanic, un giornalista rom che lavora per Start magazine "La media dei
genitori rom pensa che sia più importante per i loro figli aiutare nelle entrate
economiche della famiglia, piuttosto che perdere tempo a scuola."
"L'altro problema è che, per un bambino rom con genitori illetterati, risulta
molto difficile andare bene a scuola. Faticano a stare al passo con gli altri
bambini, che hanno frequentato l'asilo - cosa molto rara nella comunità rom - e
i cui genitori possono aiutarli nello svolgimento dei compiti per casa."
Alcuni giovani rom fuggono dalla loro comunità e dalle loro tradizioni per poter
partecipare in pieno alla società civile bosniaca.
"ROM ED ORGOGLIOSA DI ESSERLO"
Aldina Fafulovic, un'attivista di 24 anni, dice che molti rom evitano di
dichiarare le proprie origini per evitare discriminazioni.
"Sappiamo tutti che vi sono dei giovani universitari che si vergognano di dire
di essere rom e che decidono di nascondere le loro origini per evitare di essere
visti come diversi dai loro compagni di corso" dice.
Fafulovic, comunque, è determinata a non lasciare che questo stigma influisca
sulla sua vita.
"Sono rom ed orgogliosa di esserlo. Non mi vergogno di dirlo" dice.
Fafulovic è attiva nella comunità rom dall'età di 13 anni, quando il suo
interesse venne acceso durante la partecipazione ad un seminario sui problemi
dei rom a Spalato, in Croazia, al quale partecipo assieme al padre.
"Quando ebbi 20 anni, ebbi l'opportunità di partecipare ad una conferenza
mondiale sull'HIV/AIDS in Austria, dove incontrai persone provenienti da tutto
il mondo, dall'Africa, dall'Asia, dall'Europa e dagli Stati Uniti" dice "Ebbi
l'onore di partecipare a quella conferenza e di dire 'sono rom e lotto per i
diritti della mia gente.'"
Fafulovic è stata la prima donna rom ad iscriversi al corso universitario per
educatori dell'università di Sarajevo e la prima rom ad andare a vivere nel
dormitorio universitario.
È diventata specialista rom per la missione OSCE in Bosnia-Erzegovina ed è ora
membro e fondatore dell'associazione Mladi Romi (Giovani rom).
Il gruppo si dedica alla preservazione della cultura rom e, altresì,
all'educazione dei giovani rom a Vitez, città della Bosnia centrale, casa di
circa 125 famiglie rom per un numero totale di circa 500 persone.
Fafulovic è anche una degli assistenti rom del progetto Vrtic za Sve (Asilo per
tutti), mirato a supportare i bambini in condizioni di vulnerabilità.
"Molte persone, quando vedono un rom che chiede l'elemosina, pensano che tutti i
rom siano uguali" dice Fafulovic "Fortunatamente, non è così, perché solamente
nel nostro villaggio (Sofa) 85 bambini frequentano la scuola primaria, 12 la
scuola superiore e 2 di noi l'università"
Ma Fafulovic dichiara di aver dovuto affrontare l'opposizione della sua stessa
comunità, in cui molti leader rom vedono i giovani attivisti come un affronto
alla loro posizione.
"Nonostante ciò, sono riuscita ad ottenere qualcosa tramite il mio lavoro"
continua "L'anno scorso ho organizzato la donazione di 250 zaini contenenti
materiali scolastici utili per tutti i bambini a rischio della zona di Vitez."
Aldijana Dedic, 26 anni, dice che la discriminazione è sempre stata parte della
sua vita. Suo padre è rom e sua madre bosniaca musulmana.
"Le persone mi trattano diversamente quando scoprono che mio padre è rom" dice
"ogni volta che ho lavorato, anche se con successo, ho sempre sentito le persone
dirmi alle spalle 'sappiamo di chi è figlia, è la figlia di quello zingaro.'"
Dedic, che ha svolto il tirocinio come esperta rom all'OSCE e alla Commissione
Europea in Bosnia-Erzegovina, pensa che il pregiudizio contro i rom esisterà
sempre, non importa quale livello di educazione e quali professioni essi
otterranno.
"Viviamo in un ambiente nel quale la comunità internazionale ha ancora da
affermare che i rom debbano essere inclusi nella società" dice.
SUCCESSO LIMITATO DELLA POLITICA D'INCLUSIONE
Nel 2008, la Bosnia-Erzegovina ha aderito ad un'iniziativa internazionale volta
a migliorare le condizioni di vita dei rom.
Il Decennio per l'Inclusione dei Rom 2005-2015 ha riunito governi, organizzazioni
non-governative e la società civile rom nello sforzo di eliminare il gap tra la
comunità rom e il resto della società.
Venti Paesi hanno preso parte all'iniziativa, che si focalizza su istruzione,
lavoro, salute e abitazione e che impegna i governi del prendere misure nei
campi della povertà, della discriminazione e delle questioni di genere.
Sanela Besic, coordinatrice del Centro Informativo Rom di Sarajevo Kali Sara,
dice che il Decennio per l'Inclusione dei Rom ha portato a definire chiaramente i
documenti politici, redatti per la prima volta, col Consiglio dei Ministri e
allocanti 3 milioni di marchi bosniaci (2.1 milioni di dollari) per la sua
implementazione in questo anno.
Il successo più evidente è stato nel campo abitativo con 400 case ed
appartamenti costruiti per i rom per un costo di circa 12 milioni di marchi
bosniaci.
Comunque, solo 250 rom hanno finora trovato lavoro tramite del iniziative delil
Decennio, iniziata in Bosnia nel 2009.
"Molte famiglie rom non hanno ancora una casa, accesso alle cure mediche,
nemmeno un'alimentazione sufficiente" dice Besic, e aggiunge "È questo che
bisognerebbe cambiare nelil Decennio. Le famiglie in condizioni di povertà estreme
dovrebbero ricevere un sostentamento base."
La mancanza di un supporto finanziario limita le prospettive future di molti
rom.
Armina Ahmetovic, 20 anni, è stata la prima ragazza rom a finire i tre anni di
scuola professionale a Jablanica, nella Bosnia meridionale. Voleva studiare per
diventare infermiera ma, la mancanza di fondi, le ha reso impossibile il
viaggiare fino a Mostar, a 50 kilometri di distanza, per continuare la sua
istruzione e, alla fine, si è arresa.
Ahmetovic ha ora la patente e spera di trovare un lavoro. Continua a credere che
"l'educazione è molto importante e tutti quelli che hanno possibilità economiche
dovrebbero continuare a frequentare la scuola."
Il giornalista rom Tanic, che monitora attivamente i progressi delil Decennio per
l'Inclusione dei Rom, crede che sarà necessario molto più tempo per vedere dei
risultati visibili.
"I problemi del popolo rom si sono accumulati per decenni e, nel caso della
discriminazione, per secoli" dice "Non credo a nessuno che dice che siano stati
fatti grossi passi avanti grazie alil Decennio, specialmente in
Bosnia-Erzegovina."
Lui accusa i leader rom e le ONG di perdersi in conflitti interni che rallentano
i progressi.
"Certamente, sono stati fatti dei tentativi positivi, sono stati fatti dei
progetti, durante il Decennio, ma non hanno concluso molto per migliorare gli
standard di vita dei rom." dice "Vi sono alcune ONG che hanno fatto molto negli
abitati rom ma non è comunque abbastanza. Vi sono 5 o 6 organizzazioni dominanti
che impediscono ad altre organizzazioni di contribuire."
IL NUMERO TITOLI DI STUDIO PRIMARI NON SALE
Tanic spiega che, nonostante il supporto extra dato dal Decennio per
l'Inclusione dei Rom, il bambini della comunità rom che completa la scuola
primaria rimane basso.
"Durante il progetto, i bambini rom hanno ricevuto libri di testo gratis ma
questi benefici non sono stati sufficienti per tenerli a scuola" dice "anche se
il Decennio ha aumentato il numero di bambini rom iscritti a scuola non vi è un
numero maggiore di conseguimento di titoli di studio."
Tanic crede che "dopo il 2015 lo sforzo maggiore dovrà essere direzionato a
trovare impiego per i rom, perché, se almeno uno dei genitori lavorasse,sarebbe
più facile per i loro figli andare a scuola e conseguire un titolo di studio."
Dalila Ahmetovic di Kakanj è una dei successi della comunità rom. Laureatasi
alla facoltà di comunicazione all'università di Sarajevo, sta ora studiando alla
magistrale.
Come Husic, è beneficiaria di una borsa di studio dal Fondo per l'Educazione in
Bosnia ed Erzegovina, che ha distribuito borse di studio in Bosnia-Erzegovina
negli ultimi 15 anni, tra cui 8.360 tra bambini e ragazzi rom.
"Vivo in un ambiente in cui i rom che terminano gli studi superiori sono rari e
in cui l'istruzione universitaria è considerata una mosca bianca" dice Dalila,
che beneficia di supporto finanziario ed emotivo da parte dei genitori.
Gli attivisti ricevono conforto dal fatto che l'interesse nell'assegnare borse
di studio a giovani rom è in aumento, con l'Associazione riportante che, nel
2005-06, 69 giovani hanno fatto richiesta di un finanziamento, numero salito a
187 nel 2012-13.
Dalila sottolinea l'importanza dell'educazione.
"La maggior parte dei bambini rom non può andare a scuola a causa delle
condizioni di vita e della povertà estrema che impedisce loro di acquistare
libri e altri materiali scolastici." dice "Nonostante queste difficoltà, tutti i
bambini rom dovrebbero ricevere l'opportunità di andare a scuola e di
migliorarsi perché, come ho già detto, questo è il fattore chiave per lo
sviluppo della società rom."
"Solo i giovani istruiti possono fare qualcosa per se stessi e per tutta la
società, per un futuro migliore."
Il video che accompagna queste storie presenta Nehrudin Cikaric, un giovane
attivista rom che è passato dal chiedere l'elemosina, da bambino, al frequentare
regolarmente la scuola e a giocare a calcio e praticare boxe ad alti livelli.
Inoltre, fa il volontario al centro per bambini in situazioni di vulnerabilità
insegnando matematica ai bambini piccoli. Nehrudin spera di entrare nella
polizia bosniaca o nell'esercito una volta terminata la scuola.
Di Fabrizio (del 11/05/2014 @ 09:05:18, in Italia, visitato 2860 volte)
Sergio Bontempelli - 6 maggio 2014 su
Rom-anzi
"Non esiste una donna rom, come non esiste una donna
italiana: perché le donne sono donne, e basta... ognuna ha il suo carattere,
ognuna le sue difficoltà...". "A me fa paura sentir parlare di progetti solo per
donne rom... un giorno spero che non si vedrà questa differenza tra una donna
rom e una donna non rom... spero".
Sono le parole di Dzemila, mediatrice culturale romnì che opera a Roma. Dzemila
è stata scelta come testimonial della campagna "Per i diritti, contro la
xenofobia", promossa da Associazione 21 Luglio, Antigone, Lunaria e Associazione
Studi Giuridici Immigrazione (ne abbiamo già parlato
qui). La Campagna nasce in
occasione delle elezioni europee per "arginare" - sono parole delle associazioni
promotrici - "il rigurgito razzista e xenofobo che rischia di investire molti
paesi e orientare il discorso pubblico verso una progressiva marginalizzazione
dei diritti umani e delle libertà fondamentali".
L'iniziativa si articola, tra l'altro, in una serie di video-interviste a rom,
migranti e detenuti (le potete vedere qui). L'intervista a Dzemila occupa pochi
minuti, e vale la pena vederla dall'inizio alla fine. In poche densissime
parole, vengono rievocati i principali problemi vissuti dalle donne rom in
Italia: dalle condizioni di segregazione abitativa (i campi nomadi, gli
sgomberi, i centri di accoglienza sovraffollati e fatiscenti) alla vera e
propria marginalità nel mercato del lavoro (solo una donna rom su cinque è
occupata), fino alla discriminazione quotidiana.
Ma sono le parole riportate all'inizio che colpiscono di più: "un giorno spero
che non si vedrà questa differenza tra una donna rom e una donna non rom". E non
perché le differenze non siano una ricchezza, ma perché proprio la "diversità
culturale" (vera, più spesso presunta, troppe volte affidata a facili stereotipi
di senso comune) diventa un'arma per discriminare: "i rom sono diversi da noi,
le case non le vogliono, è bene che restino nei campi...". Se vogliamo davvero
valorizzare le "differenze" - ci dice in sostanza Dzemila - è bene partire dagli
elementi che ci accomunano: le donne sono sempre donne, siano esse "rom" o "non
rom". Buona visione, dunque.
Di Fabrizio (del 12/05/2014 @ 09:01:01, in Europa, visitato 3424 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso Nicola Pedrazzi | Tirana 7 maggio 2014 | foto di Nicola Pedrazzi
Sono circa otto milioni i rom europei, la maggior parte dei quali è
concentrata nell'Europa dell'est e nei Balcani occidentali. In Albania, una
delle comunità più numerose è stanziata a Fushë-Kruja, alle porte della
capitale. Un reportage
Prima di arrivare in Albania non mi ero mai interrogato sulla cultura rom, né
sul problema che essa pone al "buon governo". Mi era sempre bastato quanto
descritto in
Khorakhanè , struggente pezzo che Fabrizio De Andrè ha dedicato ai
rom del Kosovo giunti in Lombardia agli inizi degli anni Novanta. In buona
sostanza, mi ero sempre accontentato della poesia. Le parole, supreme, di quella
canzone, lasciano in chi la ascolta un vago senso di mistero, l'indefinibile
sensazione che quei nomadi in grado di "leggere il libro del mondo con nessuna
scrittura" custodiscano nella loro scelta di vita non proclamata un segreto
inesprimibile.
In effetti, la capacità dei rom di frequentare modernità e benessere senza
esserne conquistati genera stupore negli abitanti di tutte le città europee a
cui sono approdati: da un punto di vista filosofico, lo stile di vita di queste
genti incarna meglio di qualsiasi altro sistema culturale la domanda ancestrale,
il dubbio che in tutto il mondo le periferie dell'umanità pongono alle certezze
del mondo civilizzato, alle regole del suo sviluppo.
Purtroppo, nella ben più prosaica realtà di tutti i giorni, una volta che queste
persone varcano le soglie della civitas, si trasformano quasi sempre in piaga
sociale, in problema politico, in emergenza da risolvere: ad accoglierli, nella
migliore delle ipotesi, è un vago relativismo terzomondista ad uso e consumo
delle classi colte. Abitando a Tirana, il quotidiano mi ha fornito per la prima
volta un'alternativa alla poesia di De Andrè: per cercare di comprendere il
problema all'origine, affrontando senza sofismi il dubbio che i rom d'Albania
pongono oggi alle autorità e ai cittadini, ho pensato che potevo muovermi io: da
casa mia a casa loro.
I rom d'Albania
Di lontana origine indiana, provenienti dalla Persia e dall'Asia, popolazioni
rom approdarono nei territori dell'odierna Albania a partire dal XV secolo,
subito prima dell'invasione ottomana. Le comunità più numerose sono oggi
stanziate nel centro e nel sud-est del paese, all'interno o nell'hinterland
delle grandi città: Tirana innanzitutto (solo nei quattro distretti della
capitale vivono più di 5000 rom), ma anche Fier, Argirocastro, Korça e Berat.
Le tribù principali sono quattro, e si distinguono per l'attività
socio-economica che storicamente le caratterizza: i Meckars erano principalmente
contadini e pastori, i Kurtofs artigiani e venditori, i Kabuzis artisti e
musici, i Cegars commercianti nomadi. Lo standard di vita di tutte le minoranze
rom d'Albania ha risentito pesantemente della transizione post-comunista: il
collasso delle industrie statali in cui erano in larga parte impiegati,
combinato al disordine politico-sociale degli anni Novanta, ha contribuito alla
progressiva discriminazione dei rom, che proprio durante il regime avevano
invece conosciuto una sorta di assimilazione - dovuta principalmente
all'occupazione ma anche alla soppressione di tutte le differenze tradizionali e
religiose.
Non esiste una fotografia chiara dell'attuale situazione dei rom d'Albania. La
cinghia di trasmissione tra le raccomandazioni europee sulla tutela delle
minoranze - determinanti per la concessione dello status di paese candidato, al
momento ancora in forse - e le politiche nazionali è rappresentata da una fitta
rete di ONG, enti e organizzazioni internazionali; operatori che a vario titolo
e con diverse risorse implementano progetti su specifiche comunità. Diverse
organizzazioni producono diversi rapporti, e non è detto che le cifre
coincidano. Il documento più onnicomprensivo al momento disponibile sui Rom
d'Albania è stato redatto nel 2012 dal Segretariato della "Fondazione Decade of
Roma Inclusion".
Quest'ultima è un esperimento di cooperazione allo sviluppo
basato sull'impegno a lungo termine di 12 stati europei (tra cui tutti i paesi
balcanici) che per ridurre il gap esistente tra le popolazioni rom ed il resto
dei cittadini hanno accettato di collaborare sia con le organizzazioni
internazionali che con i rappresentanti della società civile rom.
Nel
Civil Society Monitoring Report (CSMR) 2012 dedicato all'Albania, sono
contenuti i risultati di questionari sottoposti direttamente ai rom residenti,
dati interessanti perché alternativi a quelli governativi, i quali non sempre
fotografano il reale livello di integrazione di queste persone. Una prova
evidente delle difficoltà del governo albanese in questo campo è rappresentata
dal censimento che l'Istituto Nazionale di Statistica (INSTAT) ha realizzato nel
2011, secondo il quale risiederebbero in Albania solamente 8.500 persone di
etnia rom, pari allo 0,3% della popolazione: una cifra irrisoria, lontanissima
da quelle indicate da altre fonti internazionali, alcune delle quali arrivano a
stimare 120.000-140.000 unità.
Buone leggi, cattiva applicazione
Come spesso accade in Albania, le carenze del sistema non sono strettamente
giuridiche. Lo stato albanese è firmatario dei più importanti trattati
internazionali che regolano il rispetto delle minoranze - nel 1991 ha ratificato
la Convenzione ONU sui diritti civili e politici, nel 1996 la Convenzione del
Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti umani e delle libertà
fondamentali - e sebbene i rom non vengano pubblicamente riconosciuti come
minoranza a sé stante, la Costituzione del 1998 accorda alle minoranze
etno-linguistiche presenti nel paese tutti i diritti di base.
Conformemente ai dettami costituzionali, nel 2010 il parlamento ha approvato una
legge contro la discriminazione, per altro in linea con le quattro direttive
europee in materia, dando poi vita a un gruppo di lavoro interministeriale sui
rom aperto alle ONG operanti sul territorio. A questi impegni legali
corrispondono però scarse politiche effettive e, quel che è più grave, i membri
delle varie comunità non conoscono né godono delle misure che il governo ha
attivato per loro.
La legge del 2010 prevede ad esempio la possibilità di denunciare i casi di
discriminazione alle corti locali: ad oggi nessuna segnalazione è stata
formalmente depositata, sebbene gravi episodi d'emarginazione abbiano avuto
luogo - nel febbraio 2011, ma è solo il caso più eclatante, 45 famiglie
accampate nei pressi della stazione dei treni di Tirana vennero rimosse con la
forza da comuni cittadini, nella totale noncuranza del governo e delle forze
dell'ordine.
Del resto anche sul piano europeo, la distanza tra normativa e realtà appare
drammatica: secondo quanto riportato nel CSMR, gli strumenti finanziari messi a
disposizione dall'Ue per migliorare l'inclusione sociale dei paesi in fase di
pre-accesso sono gestiti senza il coinvolgimento dei rappresentanti delle
minoranze: è opinione diffusa ad esempio tra i rom d'Albania che questi aiuti
non riguardino le loro condizioni di vita, e che gli unici beneficiari siano le
istituzioni: il fallimento del censimento 2011, finanziato e pubblicizzato dalla
stessa Unione europea, ha certamente rafforzato questa percezione.
Ad oggi, secondo le stesse fonti, il livello di povertà dei rom d'Albania è due
volte superiore a quello degli albanesi etnici, il tasso di disoccupazione tre
volte più alto della media nazionale ed il reddito del 37% delle famiglie rom è
inferiore ai 100 euro al mese. Circa l'87% della popolazione rom d'Albania si
dichiara insoddisfatta dei propri diritti ed il 59% non ha abbastanza soldi per
mangiare (solo il 4% degli albanesi etnici dichiara lo stesso).
I Rom di Fushë-Kruja e ADRA Albania
Fushë-Kruja è una piccola cittadina di circa 10.000 abitanti, trenta chilometri
a nord di Tirana. Teatro di una delle storiche battaglie di Skanderbeg, questa
piccola località di provincia è riemersa dall'anonimato grazie alla visita del
presidente americano George W. Bush, era il 10 giugno 2007. In questo comune è
stanziata una comunità rom di circa 1500 persone: una delle più grandi e
problematiche del paese.
Popolazioni rom abitano quelle zone dai primi anni Sessanta: stabilitesi
inizialmente nel villaggio di Halil, nel 1979 si spostano e si concentrano a
Fushë-Kruja. Non è scorretto affermare che questi rom vivono in un ghetto: le
loro abitazioni non sono certo lontane da quelle del resto della popolazione, ma
costituiscono qualcosa di più di un quartiere, fanno "città a sé". A
dimostrazione di ciò, vi è il fatto che non avrei potuto passeggiare nel
quartiere senza Erinda Toska, una guida (e un'amica) che mi ha aperto le porte e
i cuori dei locali, affatto abituati a ricevere visite dall'esterno.
Erinda ha lavorato per tre anni a stretto contatto con la comunità rom di
Fushë-Kruja: come project coordinator di
ADRA Albania, ONG attiva in altri 26
paesi europei, ha scritto e implementato diversi progetti educativi mirati alla
formazione, l'alfabetizzazione e l'emancipazione delle giovani donne e dei loro
figli. Le attività e i risultati di questi percorsi vengono pubblicati in tempo
reale su questo blog .
I problemi dei rom di Fushë-Kruja non sono diversi da quelli di altre comunità
albanesi - dalla mancanza di educazione igenico-sanitaria all'assenza di
istruzione, dal fenomeno delle spose bambine alla disoccupazione endemica -
tuttavia la dimensione, la chiusura e la posizione di questa comunità, alle
porte della capitale ma estremamente conservatrice, hanno contribuito alla sua
reputazione, che di bocca in bocca è giunta alle mie orecchie. "È una delle
realtà più complicate", conferma Erinda che, forse un po' stanca dei miei
interrogativi via WhatsApp, alla fine ha capitolato: "Se ti interessa così
tanto, un giorno ti ci porto".
Nel campo: il cuore rallenta, la testa cammina
È sabato 12 aprile, e il sole brilla sul cemento della capitale. Io, Eri e
Francesco fatichiamo a trovare un furgon - camioncini uso taxi su cui il governo
ha recentemente inasprito i controlli di sicurezza - ma una volta partiti non
c'è troppo traffico, e dopo mezz'ora di sorpassi siamo già a Fushë-Kruja. Ai
confini del quartiere rom ci aspetta la nostra guida. Fatmira Dajlani è una
ragazza rom che ha potuto studiare: collega ed amica di Eri, collabora con Adra
e con altre organizzazioni internazionali, fungendo da tramite tra i membri
della sua comunità e la realtà esterna.
Ci scambio due parole e tre sorrisi, questi ultimi dovuti principalmente al mio
albanese: quanto basta per farmi cogliere l'importanza di figure come Fatmira,
ambasciatrice della propria gente nel mondo e del mondo presso la propria gente.
Eri esce dal bar con due sacchetti di caramelle, ci avviamo su una sterrata in
direzione campagna. Il primo edificio che incontriamo è un mekanik (meccanico).
Intorno, solo uomini e alcuni bambini, che ovviamente corrono in braccio a Eri.
Mi intenerisco, ma vengo distratto dal lavorio degli uomini: gli strani mezzi
che stanno assemblando sono gli stessi che ho visto tante volte scorrazzare per
le strade di Tirana: tricicli a motore, composti da un motorino potenziato cui
al posto della ruota anteriore viene attaccato un carretto. Scopro finalmente il
nome di questo mezzo geniale: si chiama karrocë.
È con i karrocat, dunque, che i ragazzi rom svolgono buona parte delle loro
attività cittadine: dal trasporto frutta alla raccolta della plastica,
incentivata dal governo che paga a peso, ma che, di fatto, spinge i rom a
rovistare nella spazzatura, nel tentativo di recuperare ciò che poteva essere
differenziato prima. Mi fisso sull'oliaggio di una catena, operazione che ho
sempre delegato per laute somme, ma le guide mi chiamano, e interrompono i miei
pensieri. Prima di proseguire mi volto, la giornata è splendida, le montagne
dominano lo sfondo. Scatto una foto e decido in quel momento che non ne farò
altre.
Gli onori di casa li fanno i bambini. Frotte di bambini, spuntati da non si sa
da dove, ci prendono per mano e ci accompagnano verso le loro case. La scena si
ripete più volte: sbucano da in fondo alla strada, riconoscono Eri da lontano e
le corrono incontro con le braccia tese. Eri ci ha lavorato per anni, li conosce
uno ad uno, li chiama per nome, chiede loro se vanno a scuola; è da un po' che
non tornava al campo, e li trova cresciuti. Ci addentriamo nel quartiere. Là
dove mi aspettavo il fango, c'è un selciato perfettamente lastricato - "La
strada è merito di UNDP", sorride Erinda, leggendomi nel pensiero.
A destra e a sinistra si aprono cortili antistanti ad abitazioni colorate: un
cavallo rumina in un angolo, una mucca scuoiata è appesa all'ombra di un albero.
Una vecchia dalle rughe leggendarie ci viene incontro con aria solenne. Le mani
completamente viola, due occhi verdi ipnotici, gesticola con Eri per cinque
minuti e poi si congeda. "Mi ha chiesto le polverine per colorare le uova, ha il
rosa ma le manca il rosso". Trasecolo: ma i rom d'Albania non sono musulmani?
"Non tutti, loro sono ortodossi. In ogni caso per i rom la religione non ha
troppa importanza, mischiano volentieri le tradizioni. L'unico rito che conta
per tutti è la festa di Ederlezi...".
Nonostante non abbia mai sentito parlare il Romanì , la parola non mi suona
nuova, e solo con l'aiuto del telefono capisco il perché: "Ederlezi" è il titolo
di una celebre canzone che fino ad allora
avevo creduto di Goran Bregović,
famosissimo interprete di musica balcanica che in questo caso ha ripreso un
motivo tradizionale rom. Ignara delle mie elucubrazioni musicali, Eri prosegue
la sua spiegazione: " Ederlezi è una festa di origine serbo-ortodossa che è
stata adottata dai rom dei Balcani. Si festeggia il 6 maggio, giorno della
rinascita, della primavera. La festa segna l'inizio del bel tempo: a partire da
quel momento gli uomini della comunità partono per i villaggi dell'Albania,
della Grecia e del Kosovo, per vendere vestiti e scarpe di seconda mano, o per
raccogliere e rivendere metalli. Spesso si muovono con la famiglia, ma poi
ritornano...". Il racconto mi affascina e chiedo i dettagli: "Immaginati una
festa tradizionale: dopo la processione alla Chiesa di Laç le famiglie si
riuniscono, si addobbano le case, ci si veste eleganti, si balla, ma soprattutto
si cucina l’agnello che viene sgozzato e dissanguato giorni prima...".
Una giovane donna viene incontro a Eri, la abbraccia e la bacia. Si chiama
Mimoza, e solo da quattro anni abita a Fushë-Kruja, da dopo il suo matrimonio.
Prima viveva con la sua famiglia, a Tirana, in una casa che rimpiange perché
molto più grande. Ci invita ad entrare e a verificare di persona quanto ci sta
raccontando. La sua abitazione non è in muratura, è un tendaggio allestito nel
cortile di un altro stabile, quello sì in mattoni, probabilmente dei suoceri.
Mimoza ha due figli, e dorme con loro su un letto, su cui ci invita a sedere.
Una prolunga si arrampica sul soffitto, per portare luce a una lampadina
penzolante. C'è anche un TV. Cerco di immaginare come possa essere ripararsi lì
dentro in caso di pioggia, ma non ci riesco. Tuttavia l'odore non è cattivo,
l'ambiente è ordinato e tenuto con estrema cura. Mimoza ci mostra delle
calzature di lana di sua produzione, e invita Francesco a provarne un paio
arcobaleno: è certa che siano della sua taglia, ha ragione, ed esultante gliele
regala. Vista l'eccellente ospitalità, ingenuamente attendo le stesse
attenzioni, ma vado incontro a una delusione: Francesco è il burri (uomo,
marito) di Eri, a lui e solo a lui gli oneri e gli onori.
Ad attenderci fuori da casa ci sono sempre più bambini, sempre più festanti. Io
e Francesco cerchiamo un po' goffamente di farli divertire, di giocare con loro.
Facciamo il piacevole errore di accennare un vola-vola, e scateniamo una vera e
propria competizione. Alzo lo sguardo e noto un uomo in fondo alla strada:
l'ultimo maschio adulto lo avevo visto dal meccanico. Faccio un cenno di saluto
ma non sono ricambiato; Francesco, ben più esperto, anticipa i miei pensieri.
"Non accettare alcuna provocazione, spesso lo fanno apposta. Se ci pensi hanno
più che ragione: facciamo volare i loro figli, veniamo ricevuti dalle loro
donne... Ma noi chi siamo?".
Più ci addentriamo, più l'ostilità maschile risulta palpabile. Fatmira e Eri non
sembrano preoccupate, ma nel dubbio né io né Francesco ci avventuriamo lontano
da loro, esattamente come gli altri bambini. Eri mi spiega che il problema è ben
più profondo della questione territoriale maschile: "Tutte le nostre attività
hanno sempre dovuto vincere le resistenze degli uomini. Tendenzialmente le donne
sono disponibili, ci lasciano i loro figli e desiderano studiare in prima
persona. Molto spesso sono i mariti o le loro famiglie a proibirglielo. Quando
una ragazza si sposa, il che mediamente avviene molto presto, tra i 13 e i 14
anni, questa passa sotto la giurisdizione della famiglia del marito, in
particolare della suocera, che in sostanza ne dispone". I tasselli del mosaico
si ricompongono: capisco finalmente la tristezza della giovane Mimoza, lontana
dalla famiglia in uno spazio che non sente suo. Ovviamente, mi spiega Eri, non
tutte le famiglie hanno lo stesso approccio tradizionale, ma il dovere di
servire nella casa del marito non è discutibile, e quand'anche la situazione
risultasse inaccettabile - come nel caso di violenza fisica sulla giovane sposa
- la stessa famiglia d'origine non approverebbe il ritorno della figlia tra
loro: sarebbe al contrario una grande vergogna.
Centinaia di domande affollano la mia mente, ma le spiegazioni di Eri sono in
italiano, e dunque rapide, per non escludere dalla conversazione le persone che
ci vengono incontro. Suela Rama ha 16 anni e si è appena maritata. Eri mi
informa di questa novità in albanese, e abbozzo un gesto di congratulazione.
"Siamo orgogliosissimi del suo percorso. Suela ha sempre partecipato alle nostre
attività, e nonostante le pressioni della famiglia si è sposata "solamente"
adesso, a 16 anni. Per noi questo è un grande risultato".
Il fenomeno delle spose bambine, mi spiega Eri, è collegato al problema cruciale
di ogni comunità rom: quello dell'istruzione dei bambini. Teoricamente, i
bambini rom hanno il diritto di frequentare le scuole municipali albanesi, ma
raramente le scuole pubbliche rappresentano un luogo accogliente per i ragazzi e
le loro famiglie. La prima discriminazione che quei bambini incontrano è
linguistica: non solo perché il Romanì non è una lingua riconosciuta - nessuna
forma di istruzione è garantita nella lingua dei rom - ma anche a causa della
noncuranza dei genitori, i cui figli spesso crescono senza imparare l'albanese -
una scelta distruttiva, che esclude quei bambini da qualsiasi attività del paese
in cui abitano. Se già è complesso convincere i genitori ad occuparsi
dell'istruzione dei figli, si capisce come far studiare le giovani donne -
sottraendole alle dinamiche famigliari e facendo sì che si sposino un po' meno
bambine - risulti estremamente arduo: per un piccolo risultato, occorrono mesi e
mesi di lavoro e di frequentazione diretta.
Cogitando arriviamo al bar, ovvero "in centro": come in ogni agglomerato umano
del pianeta Terra. Finalmente un ragazzo mi saluta, sembra contento di vedermi.
Mi viene incontro sorridendo, e mi chiede in albanese da dove vengo. Alla parola
"Italia" si illumina, e mi dice che sta andando in Francia, partirà l'indomani
mattina. Gli faccio i migliori auguri e gli stringo la mano. Eri mi spiega che
in molti chiedono asilo politico in Francia, perché è più facile che negli altri
paesi. Ancora oggi, l'asilo politico rimane il miglior passaporto per chi è
disposto a partire: bisogna dimostrare di essere discriminati, il che, per chi
sa leggere e scrivere e mantiene contatto con gli internazionali, non è nemmeno
troppo difficile. A quanto pare in molti partono, ma altrettanti, alla fine,
ritornano.
Il sole splende meno alto su Fushë-Kruja, e per i turisti è giunto il tempo di
andare. I bambini ci hanno accolto e i bambini ci accompagnano fuori, come lo
strascico di una sposa. Mentre volto le spalle a tutto quello che ho visto,
penso a tutto, ma non saprei dire a cosa. Sono domande senza grammatica, in
lingua pensiero. A nulla valgono i libri, i viaggi, le canzoni: a nulla vale
quell'insieme d'informazioni diversamente accumulate che i sistemi educativi
della civiltà qualificano come "esperienze formative".
Caffè, acqua e sapone
Di fronte alla vita vera, il cuore rallenta, la testa cammina: De Andrè aveva
ragione. Ma la poesia omette per definizione la prosa: anche se nessun verso lo
ammetterà mai, al ritorno dalle periferie ci attende, inevitabile, il sapone.
Approfittando di una sosta al bar, sia io che Francesco visitiamo a turno il
bagno. Eri resta seduta e ordina il caffè. Mentre mi sciacquo le mani con cui
avevo fatto volare i bambini, un sottile senso di colpa mi attraversa il cuore:
come me e prima di me, in tanti hanno toccato, e in tanti si sono lavati le
mani. Chissà se, dopo aver scritto quest'articolo, mi occuperò mai più di quelle
persone.
|