Foto: Alessandro Imbriaco, Posted on 5 maggio 2014 di
progettosarsan
Vivere nei "campi rom", senza uno status giuridico, documenti
d'identità e possibilità di accedere ai servizi socio sanitari. La vita da
"invisibili" delle donne rom. Di Simona Hristian*
Quello che, entrando in un "campo rom", stupisce e sconcerta anche gli operatori
sociali con più esperienza è la situazione di totale "invisibilità" in cui si
trovano alcuni abitanti.
Sono persone nate e cresciute in Italia, dove hanno sempre vissuto e frequentato
la scuola, ma che sono prive di una cittadinanza e - nella maggior parte dei
casi - anche di un documento di identità. È una situazione che in Italia si
protrae da decenni e, considerando l'alto tasso di natalità in età giovanile
della popolazione rom, riguarda ormai due-tre generazioni.
Quindi non si tratta di migranti o di figli di cittadini di origine straniera
nati in Italia. Questi "cittadini senza cittadinanza" sono figli di persone nate
in Italia da genitori nati in Italia che però non li riconosce, così come non
sono riconosciuti dai nuovi stati dell'ex Jugoslavia da dove provenivano i loro
avi.
Vivono pertanto in un limbo giuridico senza la possibilità di lavorare, di avere
una casa, quindi senza una prospettiva di vita diversa da quella attuale.
I problemi maggiori, in particolare, riguardano le donne. Per loro, la vita
all'interno dei "campi", unita alla mancanza di uno status giuridico e di
documenti, si traduce nella conseguente difficoltà di accesso ai servizi
pubblici e alla ridotta disponibilità di adeguati strumenti educativi con il
rischio che i loro bambini vengano presi in custodia da parte delle istituzioni.
Si aggiungano poi la carenza di competenze genitoriali, dovuta alla giovane età
e a un ambiente sociale e familiare difficile, e la scarsa informazione sui
metodi contraccettivi che porta peraltro a complicazioni di natura ginecologica
che mettono a rischio la vita delle giovani donne.
Per venire incontro alle esigenze delle donne rom che vivono nei "campi"
autorizzati e negli insediamenti informali di Roma, le mediatrici culturali del
progetto Sar San 2.0 le incontrano regolarmente, all'interno degli stessi
"campi", per informarle, orientarle e, ove necessario,
accompagnarle verso
l'accesso ai servizi socio-sanitari del territorio. Attraverso l'organizzazione
di incontri con esperti, inoltre, viene offerto supporto e consulenza
socio-legale e alla cittadinanza soprattutto alle donne in età fertile o con
bambini molto piccoli.
Le donne, gli uomini e i bambini rom che vivono nei "campi", a Roma come
purtroppo in molte altre città italiane, continuano a vivere da "invisibili".
Allontanarsi dal "campo", anche per fare la spesa o portare i figli a scuola,
diventa un atto di coraggio: sono sempre accompagnati dalla paura di essere
fermati dalla polizia e trovati senza documenti. Per alcuni la soluzione
potrebbe essere la richiesta del riconoscimento della loro condizione di
apolidia anche se si tratta di un iter lungo e, dato che viene concessa in base
al principio di discrezionalità, come anche la cittadinanza italiana, è una
lotteria.
Alcuni potrebbero sperare di ottenere un permesso di soggiorno umanitario, ma
molti - troppi - non possono far altro che sperare che il loro paese di nascita
- l'Italia - decida di riconoscerli finalmente come cittadini.
Sarebbe non solo un atto di civiltà, ma anche di tutela per tutti i cittadini di
questo paese. In un paese che non riconosce i diritti, quindi non
responsabilizza i suoi cittadini, non si può parlare di una società sicura senza
cadere nella contraddizione e nella demagogia.
* Simona Hristian è una mediatrice culturale impegnata nel progetto Sar San 2.0