Ultimamente, ci sono stati parecchi cambiamenti in Mahalla. Visto che tra un
po' rischio di perdermi anch'io, provo a fare il punto della situazione:
Fate conto di essere in
un
paesino, nato dove una volta c'era un
accampamento. Il
paese è nato poco più di otto anni fa, e si è popolato di oltre 5.500 articoli e
segnalazioni. Il centro storico, da dove è partito il tutto a fine 1999, è
QUI.
Poi, cosa ci mettiamo in un paesino? Il
mercato, non può mancare. Aperto, democratico e con offerte da ogni dove.
Anche voi potete esporre la vostra mercanzia, senza tasse da pagare.
Nella colonna di destra InChat, il nostro personale Speakers
Corner. E poi c'è l'edicola: nella colonna centrale, potete richiedere, sempre
aggratis, la newsletter settimanale, che (se non ci sono intoppi),
riceverete ogni domenica mattina con email (la torta di mele e il
cappuccino li mettete voi). Se invece preferite leggerla sul browser, è
QUA. L'edicolante ormai non riesce più a star dietro a tutte le notizie, ma
se ci fosse chi non si accontenta, ogni giorno trova la
RASSEGNA INTERNAZIONALE,
sì... anche su
Facebook.
Ultimamente, è stata aperta la
LuluLibreria,
anche per le tasche provate dalla crisi, le rarità e tante altre cose sono
invece nella
biblioteca.
Cose vecchie e nuove, insomma. Quando ho iniziato, era un periodo in cui
sembrava che tutti dovessero avere un blog, un diario. Sapete com'è andata. Io
ho resistito, e quel piccolo blog è diventato tante altre cose. Virtuali o meno:
non crediate che passi la mia vita sul computer: Rom e Sinti continuo a
frequentarli, ovunque mi conceda il mio magro portafoglio, a volte qualcuno mi
invita pure. Insomma, se volete ci si può persino conoscere. Dove?
Non avete che da scegliere. Se non trovate la strada, c'è il
TOMTOM.
Ah, ecco... c'è anche una
guida, ma non è
che ci capisca granché...
Infine, se vi incamminate nelle tante periferie di Mahalla, ci sono posti
inesplorati, da ristrutturare forse, ma vi invito a visitarli almeno una volta.
Scoprirete che c'è anche una
scuola, un parco
giochi per i bambini e la
baby sitter che
racconta le storie, il
ristorante e la
trattoria..
NON FATEVI MANCARE NIENTE.
PS: una brutta notizia, per terminare. E' ricominciato lo spam
nei commenti. Sino a data da destinarsi sono disabilitati. In caso,
vi chiedo di scrivermi.
Di Fabrizio (del 29/06/2013 @ 09:06:47, in media, visitato 1631 volte)
Pensavo qualche sera fa: se io fossi un qualche "zingaro", in Italia starei
molto attento a dichiararmi. Perché, un qualsiasi autoctono
(vicino di casa, collega di lavoro, ecc.), magari simpatico, magari aperto e
democratico, se va bene mi guarderebbe strano, altrimenti si sentirebbe
autorizzato a chiamare la polizia.
E' RAZZISTA quel vicino, quel collega, che è pure simpatico, aperto e
democratico? NON NECESSARIAMENTE. Cioè: è perfettamente logico e normale: se tu
italiano (simpatico, aperto e democratico) vieni educato sin da piccolo agli
zingari che rapiscono bambini, rubano ecc. crescerai con questa convinzione. Non
è razzismo: è una vera e propria SCUOLA.
Sì, lo so che per voi la SCUOLA
significa tutt'altro, ma ragioniamoci qualche volta: continuiamo a ripeterci
(come per consolarci) che contro il razzismo occorre la cultura - NEI FATTI gli
operatori culturali nei secoli sono stati sempre i più strenui difensori del
razzismo.
Però, molti amici (anche loro simpatici, aperti e democratici) continuano a
chiedermi la cosa più importante per loro, già sapendo in cuor loro la risposta:
MA ALLORA, E' VERO CHE GLI
ZINGARI RUBANO? Cosa volete che risponda? CERTO!!! COSA VI ASPETTATE DA CHI VIVE
IN QUELLE CONDIZIONI? CHE FACCIANO GLI OPERATORI DI BORSA?
Ma, sia detto tra noi, il fatto che QUALCUNO DI LORO rubi, non mi ha
mai disturbato più di tanto, ho
buoni amici anche nella loro categoria e ORA non ho neanche più problema a
lasciare a casa loro lo zaino, dimenticarmi qualcosa e poi ritrovarlo
puntualmente; anche il ladro ha un suo onore. Perché IN ITALIA, il problema non
è il rubare, ma saper convivere col furto.
Perché, sia detto tra noi, dopo cinquanta anni e passa che vivo
nella bella penisola, non ho ancora capito se ci sono più indagati nel campo rom
sotto casa o nella passata giunta regionale in Lombardia. E quando sento parlare
male degli stranieri, noto che quando bevo il caffè nei bar gestiti dai cinesi,
mi hanno sempre fatto lo scontrino, altrettanto non posso dire dei miei
conterranei. In Italia, ruba l'antirazzista e ruba il leghista, ruba l'idraulico
e ruba il grande manager. SBAGLIO?
Se torniamo alla SCUOLA di cui accennavo sopra, ci ha inculcato un altra
nozione (una volta erano i media della destra ad occuparsene, ora direi che
destra e sinistra fanno a gara): gli zingari rubano e sono persone sporche,
brutte, che vivono in baracche e roulotte scassate. E il vicino, il collega,
l'amico... per anni e anni si è educato a non vedere i furti dei suoi simili,
delle persone a cui segretamente voleva assomigliare. O credete che
l'aspirazione dell'Italiano medio sia
vivere tra topi e macerie, senza acqua e
soldi? Ecco perché scriveva Gianni Biondillo:
Dio padre onnipotente, padrone delle nostre anime e protettore
dell'Occidente, grazie di avere inventato gli zingari. Popolo inutile, inetto,
nazione di servi, paria dell'umanità. Non ci hanno mai tradito, i nomadi, non ci
hanno mai deluso. (I materiali del killer - Guanda)
Senza zingari, non avremmo NOI l'illusione di crederci migliori di qualcun
altro. Soprattutto, dovremmo chiederci seriamente CHI RUBA? A CHI SI RUBA?
PERCHE' SI RUBA?
PS: è da un po' che ci ragionavo sopra, ma ho riordinato qualche pensiero
dopo
questa segnalazione di Barbara (redattrice di Mahalla,
ndr). Di quella testata mi giunse un'altra segnalazione un mese fa:
Zingari intercettati telefonicamente: "Venite in Italia, tutti rubano!!"
L'articolo è del 2013, ma se fate qualche ricerca, troverete che
l'intercettazione è di un po' di anni fa. Che senso ha riproporla PAROPARO se
non quello a scopo di indottrinamento?
Ma, ma... leggevo recentemente su
Corriere Immigrazione, un articolo di Daniele Barbieri, su come certi errori
(di traduzione, appunto) hanno rischiato di sfociare in tragedia. Stavolta,
nessuna tragedia, però mi viene da chiedermi, quel TUTTI RUBANO
dell'intercettazione di qualche anno fa, non potrebbe essere riferito al
comportamento standard di buona parte dei nostri amati (e onestissimi a prescindere) compatrioti?
"I Cechi non discriminano", affermava il mio
amico qualche settimana fa, tra le pivo (birre,
in originale nel testo
ndr.) di un pub di Praga. "Ora stiamo dando
la medesima considerazione al memoriale rom di
Lety, come alla tragedia di Lidice della II
guerra mondiale."
Avevo sentito dei miglioramenti al campo di
sterminio di Lety, ma dovevo ancora vederli.
Così il giorno dopo ho guidato sino a Lety con
quattro amici cechi, per scoprire cosa fosse
successo dopo che la Lidice Memorial Association
aveva assunto la gestione del memoriale di Lety.
Oltre alla non rimozione dell'allevamento di
suini costruito sopra il campo originale, in
spregio agli accordi di Helsinki, la mia più
grande lamentela è sempre stata la mancanza di
indicazioni stradali per il memoriale di Lety, o
un accesso adeguato dall'autostrada 19, la via
più vicina. Ma arrivando all'intersezione tra il
villaggio di Lety e l'autostrada Praga-Pisek,
fui contento di vedere un grande cartello
marrone indicante Lety
Pamatnik (Memoriale di Lety). A poche centinaia
di metri, un secondo cartello indica la strada.
Non è più stato necessario fermarsi e
chiedere ai passanti dove fosse il memoriale
Rom. Lungo tutto il percorso c'erano segnali
stradali ben disposti che ci hanno portato al
nuovo accesso asfaltato dall'autostrada 19.
Nel 1995, durante la conferenza stampa del
primo memoriale di Lety, avevo chiesto
all'allora ministroin carica, Igor Nemec, perché
non ci fossero segnali stradali o accesso ai
veicoli per il memoriale di Lety. Nemec aveva
replicato sarcasticamente che il governo ceco
aveva già pagato abbastanza per il memoriale
zingaro. Se gli zingari volevano segnali
stradali e un accesso adeguato, dovevano pagarli
di tasca loro.
Così, 18 anni dopo, è stato un vero
progresso. Ma i segnali stradali e un accesso
adeguato non sono stati i soli miglioramenti.
Raggiunto il sito, abbiamo trovato un parcheggio
asfaltato, servizi igienici pubblici, un centro
informazioni e due piccole cabine di legno, che
presumibilmente dovevano rappresentare le
baracche in cui gli zingari erano detenuti.
Anche se non c'era presente nessuno a
fornirci informazioni, ho capito che eravamo
agli inizi di maggio e che con la susseguente
"stagione turistica" ci sarebbe stato del
personale ad accogliere e informare i
visitatori, come indicato dai cartelloni.
Non posso essere soddisfatto, però, nel
vedere le piccole casette che si suppone
replichino le baracche dove erano confinati i
Rom. Le cabine erano grandi appena per contenere
due letti a castello e un lavabo. Secondo le
oltre 100 storie orali che ho raccolto tra il
1995 e il 1996 dai sopravvissuti di Lety, ogni
baracca conteneva tra i 50 e i 60 prigionieri.
Secondo le cronache su Lety tenute dal
municipio, la storia ufficiale nota che il campo
venne costruito per ospitare 80 prigionieri
d'inverno e 240 d'estate. Ufficialmente, ne
ospitava 600 all'anno anche se, secondo i
sopravvissuti, nel campo c'erano sempre diverse
migliaia di Rom. Se quelle cabine replicavano la
realtà, avrebbero dovuto essercene centinaia,
coprendo un'area diverse volte più grande
dell'attuale allevamento di suini.
L'altro "miglioramento" che abbiamo
incontrato è stato un grazioso sentiero di
ghiaia che porta ad alcune gradinate costruite
prima dell'ingresso al memoriale. Lì accanto c'è
il laghetto Schwarzenberg, dove molti
sopravvissuti sostengono che le guardie del
campo affogassero i bambini romanì, le nuove
gradinate si affacciano sul memoriale come in
attesa dell'inizio di un concerto.
Nel 1995 il piccolo cippo in onore di quanti
morirono a Lety, fu collocato vicino le tacche
di diverse tombe. Quando le trovai nel 1994, non
c'era altro che un campo circondato dalle
foreste di Schwarzenberg, dove molti dei
detenuti lavoravano come schiavi. Oggi il sito è
coperto da un prato ben tenuto simile al terreno
per un pic nic; non esattamente quel che si
intendeva negli accordi di Helsinki siglati dal
governo ceco... ma questa "valorizzazione" è
piaciuta ai miei amici cechi, che hanno
continuato a sottolineare la somma di soldi
spesi, perché quanto a cura Lety assomigliasse
in tutto a Lidice.
Sfortunatamente, la scheda d'informazioni in
tre lingue (ceco, romanés e inglese)
all'ingresso non è stata migliorata. La breve
storia dichiara che solo i Tedeschi furono
responsabili per Lety. Nessuna menzione alo
fatto che il campo fosse amministrato dai Cechi
e che tutte le guardie fossero Ceche, cosa
riconosciuta persino dal presidente Havel nel
suo discorso a maggio 1995, quando presenziò
alla prima commemorazione del memoriale.
Un'altra questione da risolvere è la puzza di
letame-ammoniaca proveniente dall'allevamento di
maiali. A seconda della direzione del vento,
sono ancora necessarie delle maschere a gas se
si vuole passare più di qualche minuto in visita
al memoriale. Comunque, ora sono stati degli
alberi tra il memoriale (oltre le innumerevoli
altre tombe) e l'allevamento, così da
nasconderne la vista.
I miei amici cechi non erano mai stati prima
a Lety, ma erano orgogliosi che il loro paese
finalmente stesse promuovendo e mantenendo Lety
attraverso un alto standard. Non potevano capire
perché sentivo ancora che il governo ceco non
stesse rispettando glii accordi di Helsinki a
mantenere e preservare questo sito
sull'Olocausto. Tutto ciò che potei fare, fu
suggerire di visitare la nuova "Lety Exhibition",
ora ospitata nello stesso edificio dell'unico
pub in città.
Se ero stato deluso per come il campo originale di Lety fosse stato
trasformato in un terreno da picnic, lo fui ancora di più dall'unica stanza
della Lety Exhibition. Praticamente consiste in due pareti coperte dal pavimento
sino al soffitto dalla storia fotografica delle guardie di Lety e di come
avessero sfidato gli ordini di maltrattare i prigionieri zingari.
Per non mettere in imbarazzo i miei amici cechi, non ho riso a quel tentativo
di mostrare alcune guardie del campo di sterminio come se fossero state dei veri
eroi. Questo nuovo eroe nazionale, Frantisek Kansky, secondo i documenti del
tribunale del 1946 era stato effettivamente chiamato come testimone a difesa
dell'accusato Vaclav
Hejduk, la più famigerata guardia di Lety che,
secondo molti sopravvissuti, spesso si aggirava nel campo in cerca di giovani
ragazzi e ragazze, da portare nella sua stanza dove poterne abusare sessualmente
o picchiarli a morte. Già nel 1947 Hajduck venne assolto, perché il giudice non
credeva ai testimoni "zingari".
Per quanto questa esposizione potesse essere scorretta, non ero preparato a
ciò che avrebbero trovato nella stessa stanza i miei amici. Mi chiamarono per
dare uno sguardo a cosa avevano scoperto, scritto di recente sul libro a
disposizione dei visitatori. Sulle prime, non compresi ciò che mi stavano
indicando. Anche se era proprio al centro della pagina, la mia mente non
registrò le parole in ceco, fin quando uno dei miei amici le tradusse: "Zingari
nelle camere a gas".
Avrei voluto afferrare il libro dei visitatori e marciare sino al piano
superiore (il municipio e l'ufficio del sindaco si trovano al secondo piano del
pub). Invece mi sono limitato a prendere una foto e lasciare il libro agli
altri, perché possano vedere cosa alcuni Cechi pensino dei Rom, ora come allora.
Se fosse vero quello che ha detto il mio amico di fronte alle nostre birre a
Praga, che i Cechi non discriminano, immagino che presto vedremo scritto sul
libro dei visitatori a Lidice che i Tedeschi avrebbero dovuto macellare più
Cechi. E che ora si dovrebbe impiantare un allevamento di maiali sul Lidice
Memorial, così da dare lavoro a cinque abitanti del posto, come a Lety.
Paul Polansky sta attualmente preparando la pubblicazione di un libro di
memorie sui rapporti e le interviste con testimoni locali dal campo di Lety,
raccolte tra il 1992 e il 1995, e il successivo insabbiamento da parte del
governo ceco.
Di Fabrizio (del 27/06/2013 @ 09:08:00, in sport, visitato 1848 volte)
Se Pirlo non ammetterà mai di essere Sinto (mah... ce ne
faremo una ragione), consoliamoci con un vero Manouche (ndr.)
Eric Cantona con la maglia dello United nel 1996.
A destra la copertina del libro di Daniele Manusia - Nel libro di Daniele Manusia
la parabola dell'ex campione
tra colpi di genio e gesti folli
FILIPPO FEMIA -
LA STAMPA
Come si diventa una leggenda del calcio? I piedi buoni e la classe non bastano,
questo è certo. Sono fondamentali carattere, istinto e genialità (dentro e fuori
dal campo). Ma anche una buona dose di follia. Tutte caratteristiche che nel
"pedigree" di Eric Cantona non mancavano. Anzi. Nel libro "Cantona, come è
diventato leggenda" in uscita il 27 giugno (Add Editore, 14 euro) Daniele
Manusia ripercorre la storia di un campione indimenticabile. Una parabola
lastricata di gol, polemiche, trionfi, scivoloni e ritorni trionfali. Senza
dimenticare quelli che Manusia definisce i "grandi brutti gesti", che hanno
segnato la carriera del francese. "Cantona è un calciatore che ha sbagliato, si
è redento, è inciampato di nuovo, ha deluso alcuni tifosi, ne ha mandati in
delirio altri: è un enorme contenitore di storie, una più complessa dell'altra",
spiega l'autore.
Il suo ego smisurato emerge già al liceo, quando i compagni lo vedono aggirarsi
per i corridoi urlando "I am the king!". A 17 anni e mezzo debutta nella serie A
francese con la maglia dell'Auxerre, dopo essere stato scartato dal Marsiglia
perché "troppo lento". Il rapporto con i compagni è problematico, quello con gli
avversari turbolento. Eric è un personaggio schivo: vive in mezzo a un bosco,
legge Freud, dipinge e scrive poesie. Ed è estremamente suscettibile. A farlo
infuriare è il senso dell'ingiustizia: quando crede che qualcosa stia prendendo
una piega sbagliata, sente di dover reagire. Spesso nel peggiore dei modi. Come
nel 1991, quando in disaccordo con alcune decisioni dell'arbitro gli scaglia il
pallone addosso. Viene squalificato un mese, poi dà degli idioti ai membri della
commissione disciplinare, che aumenta la pena a tre mesi. E' qui che Cantona
sorprende tutti: "Mi ritiro". Ha solo 24 anni.
Michel Platini, ct francese e suo grande estimatore, lo convince a fare marcia
indietro e a trasferirsi oltremanica. Lo compra il Leeds, dove diventa presto un
idolo dei tifosi. E rivoluziona un calcio ancorato alla vecchia tattica del kick
and rush: ha un'eleganza impensabile per il suo metro e ottantotto, un fisico da
panzer con movenze da cigno. Uno dei primi attaccanti moderni. "Cantona ha
mostrato cose che fino ad allora nessuno aveva provato. Era un visionario:
faceva gol e assist che tutti credevano impossibili", spiega Manusia. Un vero e
proprio esteta nel rettangolo di gioco: "Non sono ossessionato dal gol,
preferisco fare un assist che spingere il pallone in rete a porta vuota: godo
troppo a toccare il pallone per limitarmi a segnare", diceva il francese.
Manusia descrive con minuzia le magie sportive del francese, ma ha il merito di
indagarne il lato più intimo, il Cantona uomo. Dall'ossessione per la follia -
"Non potrò mai essere altro che pazzo, perché ne ho bisogno per essere felice",
ripeteva -, alla fragilità esorcizzata con le spacconate.
Il suo punto più alto - e più basso insieme - lo raggiunge a Manchester, dove si
consacra con la maglia dello United. Riporta al successo una squadra a digiuno
da 26 anni, aprendo uno dei cicli più travolgenti della storia inglese. E ha la
forza di ripartire anche dopo il famigerato calcio da kung-fu rifilato a un
tifoso del Crystal Palace, in seguito al quale è squalificato otto mesi. Poi
l'uscita di scena discreta, con quell'assist di "rabona" per Yordi Cruyff,
figlio del suo unico mito d'infanzia. Quando si ritira non ha neanche 31 anni.
"Ha lasciato al top, mentre era ancora protagonista, evitandosi il lento declino
di molti colleghi", dice Manusia. I tifosi, coscienti di aver potuto ammirare
uno dei calciatori più forti della storia, sono in lacrime. "Il Re se n'è
andato, lunga vita al Re", recitano i cori e gli striscioni. E inizia la
leggenda Cantona.
I cittadini non sono mai "nuovi", "vecchi" o a metà: è lo Stato a essere
in ritardo. Le riflessioni di Sveva Haertter, nata a Roma ma italiana solo dal
1983.
Sono nata a Roma nel 1965. Mia madre era italiana, ma siccome mio padre era
tedesco e in quegli anni lo "ius sanguinis" era anche sessista - e lesivo
degli articoli 3 e 29 della Costituzione - mi hanno dato la cittadinanza
tedesca. Non c'era ancora la Comunità Europea e quindi in Italia ero considerata
straniera a pieno titolo, mi serviva il permesso di soggiorno da rinnovare ogni
anno e per qualsiasi cosa era necessario presentare un mare di certificati.
Il 21 aprile 1983, dopo una sentenza della Corte Costituzionale e un parere del
Consiglio di Stato, venne fatta una nuova legge che poneva rimedio
all'illegittimità costituzionale di quella precedente, facendo sì che fosse
cittadino per nascita il figlio minore, anche adottivo, di padre o di madre
cittadini.
Il passaggio non era però automatico e quindi, una ventina di giorni dopo,
appena compiuti i 18 anni, feci domanda per ottenere la cittadinanza italiana.
Nel giugno 1983, diventata maggiorenne e italiana il mese prima, ho potuto
votare alle elezioni politiche. Sulle liste elettorali il mio nome era stato
aggiunto a mano all'ultimo momento e io non avevo ancora fatto in tempo ad
ottenere dei documenti italiani... Tutto sommato mi è andata bene e non avuto
particolari difficoltà, sicuramente anche perché ho la pelle bianca e questo
rende tutto più facile, in Italia come in tanti altri posti.
Ma non è una storia un po' assurda? Chiaro che, se non altro per fatto
personale, ritengo l'introduzione dello "ius soli" non solo necessaria, ma
urgente.
Altrettanto chiaro è però che anche se lo "ius soli" venisse introdotto oggi
stesso, resterebbe la legge Bossi-Fini, la tassa sul permesso di soggiorno, i
Cie, non sarebbe risolta la questione del diritto di asilo, né sparirebbero
automaticamente il razzismo e le discriminazioni e un mare di altri problemi che
non sto ora qui ad elencare, anche se in effetti non se ne può parlare mai
abbastanza.
Ma come si definisce una come me? Sono forse anch'io una "nuova cittadina"? E da
dove viene fuori questa espressione? Già semplicemente per il fatto che sono
passati 30 anni, come cittadina tanto "nuova" non sono...
Ne scrivo perché questa espressione mi da un po' sui nervi e non per ragioni
formali. Mi fa pensare a uno con il vestito della domenica, una cravatta
bruttissima e il sorriso a 32 denti che dice "Eccomi! Sono qui, sono buono e
voglio tanto integrarmi! Faccio tutto quello che volete!" o qualcosa del genere.
Ma soprattutto mi pare che sposti l'asse del ragionamento.
Se è corretto definire la cittadinanza come una condizione giuridica nella quale
ad una persona viene riconosciuta la pienezza dei diritti civili e politici,
come fa un cittadino a essere "nuovo"? Ce ne sono forse di "vecchi"? E quale
sarebbe la differenza? Certamente se una persona ha acquisito la cittadinanza da
poco, si può definire come "nuova" la sua condizione, ma che c'entra? Insomma,
penso che sia proprio sbagliato parlare di "nuovi cittadini", mentre sicuramente
è necessario rinnovare il concetto di cittadinanza in termini giuridici,
legislativi, sociologici, e via dicendo.
Secondo me parlando di "nuovi cittadini" si vuole proprio ottenere l'effetto di
spostare il ragionamento sul fatto che le persone, in quanto "nuove", devono
dimostrare il proprio valore, la propria utilità. Essere insomma sottoposte ad
una sorta di collaudo/rodaggio per poi finire magari nella condizione precedente
in caso di funzionamento insoddisfacente... E infatti in questo periodo si sente
dire di tutto. Si è parlato persino dell'ipotesi di legare lo "ius soli" a
percorsi di scolarizzazione. E a uno che ha la cittadinanza in base allo "ius
sanguinis", ma magari è analfabeta, qualcuno si è forse posto il problema di
toglierla?
Di includere poi la categoria degli "immigrati" in quanto tale nell'attuale
dibattito sulla cittadinanza, se non per quanto riguarda appunto i figli nati in
Italia, non se ne parla proprio e già è tanto se negli ultimi anni è assurta
fino allo status di "risorsa"...
In Germania si usa parlare di persone "mit Migrationshintergrund", che tradotto
significa grosso modo "persone che hanno alle spalle una storia di migrazione".
Non so se è corretto come modo di dire, comunque l'approccio mi pare un po' più
inclusivo.
E poi qualche eccezione che conferma la regola c'è sempre. Come me, che però
particolari problemi non ne ho avuti, anche se un po' spaesata forse a volte lo
sono, sia in Italia che in Germania.
Parliamo insomma di una questione di diritti da riconoscere alle persone che
nascono e risiedono in questo paese, con tutta la complessità che questo implica
e che non si può ricomprendere in un'espressione come "nuovi cittadini". Non ci
sono cittadini "nuovi" o "vecchi" o persone catalogabili per numero di
generazioni alla quale si presume appartengano (in base a quale criterio di
conteggio poi?) o altre cose ancora.
È semplicemente lo Stato ad essere in grandissimo ritardo. Forse è sufficiente
partire almeno da questo.
Sempre
tramite Teruzzi, vengo a conoscenza di questa risposta (a Teruzzi, non
a me):
Matteo
Riccardo Speziali(direttore di MBNews online)
Buonasera, se mi posso permettere le direi che semmai era più corretto dire che
Longo ha quel tipo di "ascendenza" e non la giornalista visto che le dice lui
quelle ipotesi di reato verso gli zingari. (E perchè non risponde a Longo
attraverso MBnews con una lettera al giornale, crede che non gliela pubblichi?
Si baglia!)
P.S.
Guardi che tra l'altro usa il logo di MB news in modo improprio. Lo levi,
grazie.
Il logo l'ho tolto (ci mancherebbe una guerra per un logo), poi fate voi...
Comunque, per completezza d'informazione, su Facebook salta fuori anche
questo:
Alessandro Gerosa: Dopo l'articolo in cui strizzavano
l'occhiolino anche troppo esplicitamente ai neofascisti che andavano a ricordare
mussolini a Predappio, la stessa giornalista si esibisce in un articolo in cui
si da spazio a commenti di stampo razzista e xenofobo contro i rom.
Il fatto più preoccupante? Che le venga ancora dato spazio per scrivere.
Di Fabrizio (del 24/06/2013 @ 09:06:15, in scuola, visitato 1439 volte)
20-06-2013 / SOCIETA' / di BRUNELLA MENCHINI
LUCCA, 20 giugno - Mandare i figli a scuola e rispettare le strutture che
verranno loro messe a disposizione, di questo hanno parlato l'assessore alle
politiche sociali della Regione Salvatore Allocca e il sindaco di Lucca
Alessandro Tambellini in visita ai due campi nomadi di Lucca. L'assessore, a
Lucca per la presentazione del secondo rapporto condizione abitativa - Abitare
in Toscana - Anno 2013, ha tenuto a conoscere di persona la situazione dei Rom e
Sinti presenti sul nostro territorio.
"Senza promettere niente - ha detto Allocca - il mio sogno sarebbe di vedere
qualche ragazzino che adesso risiede nei campi, andare avanti nel percorso
scolastico e perché no arrivare a farsi chiamare dottore. Per fare questo
potremmo provvedere con borse di studio".
"Stiamo facendo visite in tutta la regione per capire quali sono le
problematiche da affrontare, e con quali priorità. Un progetto quello della
Regione Toscana che si inserisce nell'attività della cabina di regia regionale e
nazionale che ha aderito al progetto europeo: un percorso che dura 10 anni e che
mira ad affrontare il problema non solo in termini di insediamento ma anche sul
terreno della salute, dell'istruzione, del lavoro.
"Tutte le cose che consentono di abbattere le condizioni di degrado e di
ricostruire gli elementi di sovrapposizione con la popolazione residente -
continua Allocca -. Quella dei Romanì in Europa è la minoranza più numerosa:
sono 11milioni di persone che non hanno rappresentanza e con cui si lavora come
politiche pubbliche poco in termini di integrazione".
"Abbiamo fatto incontri tra istituzioni e associazioni a livello regionale -
spiega l'assessore -, adesso facciamo incontri con le istituzioni sul territorio
per recepire i progetti e capire come e quando possono essere realizzabili. Le
risorse sono poche quindi dovremo fare una scala di priorità. Uno dei progetti
per Lucca potrebbe essere la costruzione di villaggi in auto costruzione. Ambiti
di insediamento non temporaneo ma permanente con caratteristiche particolari che
vanno incontro ai problemi che di solito troviamo: innanzitutto i problemi di
relazioni tra i gruppi perché dentro i campi non sempre c'è armonia poi di
rimetterli in relazione con il territorio. Una serie di problematiche che non
vanno più affrontate nell'ottica dell'emergenza e anche quando gli enti sono
chiamati a risolvere emergenze, come ê successo a Lucca di recente, le soluzioni
devono stare all'interno di un percorso di lungo respiro. La strategia europea
si da 10 anni: in tutto i Rom presenti in Toscana sono 2700: non è impossibile.
Dobbiamo fare un battaglia politica per cui ci si renda conto che le istituzioni
devono occuparsi di tutto nessuno escluso"
Di Fabrizio (del 23/06/2013 @ 09:06:10, in Italia, visitato 2139 volte)
Carissimi, mi viene un dubbio: non è che qualche amico che
leggerà l'articolo di sotto (puro BRIANZA-STYLE), vorrà dar seguito all'ennesima
denuncia per istigazione al razzismo?
Sentite: è domenica, fa caldo e non ho voglia di incazzarmi (se voi
volete, fate pure). Per una volta, piedi al fresco e Parole Crociatein mano, fatevi una risata su questi terribili ladri che sono gli zingari,
questa enorme piaga sociale, questa minaccia ai nostri chiavistelli... talmente
pericolosi da essere messi in fuga da un emulo di Macaulay Culkin!
E mentre vi sorbite una granita al limone, pensate a come
sta combinato l'ex presidente della Circoscrizione Uno di Monza, terrorizzato da
decine di zingari che piombano (URKA!!) in città col treno, e "li ha persino
visti entrare in chiesa..."
Settimana scorsa, parlavo con una romnì torinese: ho
scoperto che anche a lei hanno fregato la macchina. Gira con una Fiat a due
portiere, e ho paura che qualcuno le abbia portato via le portiere
posteriori. Poi, quando mi raccontava delle avventure con i gagé del suo
condominio, mi è venuto spontaneo di chiederle: "Ma in che quartiere vivi?
Tornatene in un campo!"
Conclusione: i gagé sono pazzi e prima di partire per le
ferie... chiudete bene casa!
MBNews: Bravissimo: mette in fuga i ladri come Kevin
-
Scritto da Laura Marinaro
Ricordate la pellicola del 1990 in cui un ragazzino veniva "dimenticato" a casa
dai genitori partiti per un viaggio che inscena di tutto in casa pur di far
fuggire una banda di ladri? Sembra incredibile ma ad imitarlo nella realtà è
stato un dodicenne residente a Cederna che, circa una settimana fa, è riuscito a
scampare una rapina mentre era in casa da solo.
In pratica era a casa a studiare mentre i genitori erano fuori, quando ha
sentito armeggiare nella toppa della porta di casa. Verificato dallo spioncino
che non si trattava di mamma e papà ma di due zingari, il piccolo ha iniziato a
fare rumore. Ha acceso la tv a tutto volume e gli elettrodomestici poi ha
iniziato a parlare come se in casa non fosse da solo. E dopo pochi minuti è
riuscito nel suo intento: i due malintenzionati si sono dati alla fuga.
Questo è il più curioso di una serie di altri furti in appartamento e su auto
che stanno funestando alcune zone centrali della città e non solo e che sono
stati riferiti dai diretti protagonisti a Massimiliano Longo, ex presidente
della Circoscrizione Uno e ancora attivo nella sua attività di monitoraggio del
territorio e accoglienza delle lamentele. Una serie di furti che, secondo Longo,
potrebbero essere legati alla presenza di famiglie intere di zingari che ogni
giorno si posizionano in diverse zone di Monza.
"Al mattino prendo il treno per andare al lavoro a Milano e tra le 7.30 e le
8.30 in stazione noto che gruppi di almeno dieci e anche più zingari piombano in
città - ha raccontato - sono donne, uomini e bambini che si mettono davanti alle
macchinette dei parcheggi a pagamento di piazza Cambiaghi e dovunque in centro,
e non solo: li ho persino visti entrare in chiesa...". Non è ovviamente provata
la connessione, ma secondo il rappresentante pidiellino è strano che
contemporaneamente a questa presenza in città e a carovane che stazionano nei
pressi dello Stadio Brianteo anche di notte, ci sia stato un aumento di furti in
appartamento e su auto. "Mi hanno chiamato dall'Oratorio del Duomo e da quello
di Cristo Re dicendomi di aver subito furtarelli di vario genere - ha detto
Longo - poi una coppia di anziani che conosco in via Libertà è stata appena
visitata di notte, addormentata e derubata nel sonno di tutto; ancora, nelle
villette in fondo al viale una donna che era in ospedale, è tornata a casa e
l'ha trovata ripulita; fortunatamente il ragazzino di Cederna che ha dodici anni
non si è perso d'animo e ha dato alla fuga i ladri". Le vie intorno al Liceo
Zucchi, quelle in zona San Gottardo e in centro sono invece funestate da furti
su auto soprattutto nell'ora dell'aperitivo: "Un amico mi ha raccontato che alla
sua Audi hanno portato via tutto il cruscotto - ha precisato - poi un altro mi
ha detto che gli hanno portato via la portiera e così via i furti sulle auto
parcheggiate in giro sono in aumento. Le vittime ovviamente hanno denunciato
alle autorità competenti. Ma quello che è da sottolineare è che non ci sono
abbastanza vigili in giro in centro e forze dell'ordine per la città. Chiederò
ai consiglieri di opposizione in Comune di presentare un'interrogazione al
sindaco; così non si può andare avanti".
Di Fabrizio (del 22/06/2013 @ 09:08:44, in Regole, visitato 1564 volte)
Da deputata EU a richiedente asilo in Canada: il lungo viaggio di una
Romnì - 16 giugno 2013 | Mirjam Donath | Reuters -
Chicago Tribune - (Reporting by Mirjam Donath; Editing by Claudia Parsons and Tim Dobbyn)
TORONTO (Reuters) - Meno di quattro anni fa, Viktoria Mohacsi si godeva la vita
da politica internazionale, mangiando nei costosi ristoranti di Bruxelles e
ottenendo premi come attivista dei diritti umani.
Oggi, trentotto anni e madre di tre figli, dorme sul pavimento di un
seminterrato di Toronto e rischia la deportazione. In quanto richiedente asilo,
spera di convincere il Canada che la vita di un ex membro del Parlamento Europeo
può essere in pericolo in un paese democratico come l'Ungheria.
Racconterà martedì la sua storia nel corso di un'audizione di fronte all'Immigration and Refugee Board.
Un banco di prova per la nuova politica migratoria del governo canadese, che
considera "sicuri" quasi tutti i paesi EU. Mohacsi, che è rom, sostiene che se
tornasse in Ungheria sarebbe a rischio di violenze da parte di gruppi razzisti e
di persecuzioni da parte del governo ungherese.
Se perdesse, sarebbe rimpatriata. Se vincesse, il suo caso darebbe speranza
agli altri richiedenti asilo della comunità rom dell'Europa centrale e
orientale, che attualmente alcuni in Canada considerano come migranti per
lavoro, o peggio - criminali che vogliono abusare di un sistema generoso.
Il governo conservatore a dicembre ha inasprito la legge sui rifugiati, per
dare un giro di vite a quello che dice essere un'ondata di falsi richiedenti
asilo dall'Unione Europea, che cercherebbero di trarre vantaggio dai generosi
programmi di welfare. Molti di questi sarebbero Rom. Jason Kenney, ministro
all'immigrazione, ha individuato l'Ungheria come principale sorgente dei
richiedenti asilo in Canada negli ultimi tre anni, anche se gli Ungheresi, in
quanto cittadini UE, possono girare liberamente all'interno del blocco.
Il governo canadese afferma che mentre desidera che il paese rimanga una
delle destinazioni preferite per i rifugiati, è sommerso da gente che finge di
fuggire da persecuzioni. Le cifre ufficiali mostrano che il Canada ha concesso
asilo negli ultimi quattro anni ad oltre 300 Ungheresi, la maggior parte dei
quali, dicono gli esperti di immigrazione, erano Rom. Il ministero non si
pronuncia sui singoli casi.
Il governo ungherese ha respinto l'ipotesi che qualsiasi suo cittadino,
compresa Mohacsi, possa trovarsi in pericolo in Ungheria. "Per quanto ci sia del
lavoro da fare nel combattere i pregiudizi contro le minoranze, la sicurezza di
una particolare comunità, in generale, non è in discussione," ha detto un
portavoce governativo. Ha poi aggiunto: "Se la signora Mohacsi ha le prove di un
piano criminale da parte delle forze di sicurezza ungheresi nel violare i suoi
diritti costituzionali, il governo le chiede di presentarle agli enti preposti."
CRESCITA RAPIDA
Per molto tempo Mohacsi è stata una delle Romnià più conosciute in Ungheria.
La sua ascesa da seduta nel fondo di un'aula scolastica in un piccolo paese
ungherese assieme ad altri scolari rom, a seduta nel semicerchio del Parlamento
Europeo, è stata rapida. A 20 anni, la piccola donna con gli occhi da cerbiatto
divenne la prima femmina rom presentatrice nella principale televisione
ungherese, prima di darsi alla politica
"Ero una dolce zingarella che non si poteva fare a meno di aiutare," dice
Mohacsi, parlando in ungherese durante un'intervista alla Reuters di Toronto.
"Fui sostenuta e ce la feci, entrai nella vita pubblica." Si sposò con Gabor Bernath,
direttore del Roma Media Center, con forti collegamenti con i circoli che
contano nel partito liberale ungherese.
Quando le elite politiche ungheresi finirono sotto pressione sulla questione
della piena rappresentazione delle minoranze, divenne commissario speciale per
il ministero all'istruzione, lavorando al programma per desegregare le scuole. A
29 anni, fu una delegata al Parlamento Europeo, madre di due bambini adottati e
"ambasciatrice" non-ufficiale dei Rom.
I problemi iniziarono con una serie di violenti attacchi contro i Rom,
attraverso tutta l'Europa all'inizio del 2008. Mohacsi viaggiò ossessivamente
per tutta l'Ungheria da una scena del crimine all'altra, raccogliendo
informazioni. Spinse le vittime che erano riluttanti per paura della polizia, a
farsi avanti e denunciare i crimini, spingendo la polizia ad indagare
Arrivò la mattina presto di uno scuro febbraio, nel villaggio di Tatarszentgyorgy
dove un uomo e suo figlio di 5 anni erano stai colpiti a morte, mentre fuggivano
dalla loro casa data alle fiamme. Un'indagine interna alla polizia confermò che
la scena del crimine non era stata resa sicura per ore. Si confrontò con la
polizia quando scoprì che avevano riportato che le vittime erano morte per
inalazione dei fumi e chiamò direttamente il capo dei "casi delicati"
all'Ufficio Nazionale Investigazioni.
"Quando esaminai le foto, vidi subito che lei aveva ragione (erano stati
colpiti da armi da fuoco)," disse Lajos Kovacs, detective ora in pensione a cui
si rivolse, aggiungendo che l''aiuto di Mohacsi fu "indiscutibile".
Due poliziotti dell'unità coinvolta hanno poi subito provvedimenti
disciplinari interni. Attualmente quattro persone sono sotto processo per una
serie di attacchi anti-Rom nel 2008-2009., incluso l'uccisione dell'uomo e di
suo figlio a Tatarszentgyorgy.
Il governo ungherese ha sottolineato quelle misure - come lo scioglimento del
gruppo paramilitare Guardia Ungherese, responsabile di assalti anti-rom - come
prova delle misure adottate a favore dei Rom dopo gli omicidi.
Facendo eco ai funzionari canadesi, il governo ungherese ha anche detto che
la criminalità organizzata coinvolta nel traffico di persone, sarebbe dietro ad
un numero cospicuo di richiedenti asilo in Canada, trovati con motivazioni non
genuine.
Alla richiesta di un commento su questa vicenda, il dipartimento della
polizia ungherese non ha risposto.
IN PERICOLO O NO?
Poco dopo aver parlato del caso Tatarszentgyorgy, dice Mohacsi, iniziò a
ricevere email minacciose in cui veniva chiamata "lurida zingara puzzolente" e
"sporco animale" che "presto [morirà] assieme a tutta la tua razza." Scatenò
critiche il suo commento che un giocatore di pallamano ucciso avrebbe provocato
i suoi assassini rom (che ora sono in prigione per omicidio). Chiese e ricevette
la protezione della polizia a casa.
Un elemento chiave negli argomenti di Mohacsi, che sarebbe posta in pericolo
dalle autorità in caso di ritorno, è la sua conoscenza di un rapporto
dell'Ufficio per la Sicurezza Nazionale riguardo gli attacchi anti-rom nel
2008-2009. Il rapporto pubblicato dal Comitato Parlamentare per la Sicurezza
Nazionale concludeva affermando che i servizi segreti avevano seguito gli
assalitori e avevano ampie informazioni su di loro, già anni prima che venissero
commessi omicidi seriali. Parte del rapporto è stato secretato.
Mohacsi dice di non aver visto il rapporto integrale, ma di avere avuto delle
conversazioni a riguardo, inclusa una con Jozsef Gulyas, capo del comitato che
aveva commissionato il rapporto.
Gulyas, allora politico dei liberali, e uno tra gli autori del rapporto, dice
di non vedere la ragione per cui una parto dello stesso sarebbe stata secretata
o perché Mohacsi debba aver avuto timori e lasciare il paese. Parlando al
telefono dall'Ungheria, ha detto che il rapporto indicava gli errori che i
servizi segreti avevano compiuto durante le indagini sugli attacchi contro i
Rom, fossero più che semplice negligenza. Ma aggiungeva: "Non ho mai detto che
le autorità abbiano partecipato direttamente agli eventi."
Dice Gulyas: "Sono d'accordo che per un Rom non è facile vivere in Ungheria,
ma che lei sostenga che la sua vita sarebbe a rischio, è un'esagerazione
poetica."
Kenney, ministro canadese all'immigrazione, ha visitato l'Ungheria ad
ottobre, dopodiché dei cartelloni avevano fatto la loro apparizione nella città
di Miskolc, patria di molti Rom, che anticipavano il cambiamento delle leggi
canadesi in materia di immigrazione, e aggiungevano che quanti non avevano
titolo per richiederla sarebbero presto stati rimpatriati. Secondo il ministero
dell'immigrazione, nei primi tre mesi del 2013, le richieste di asilo
dall'Ungheria, il paese in cima alla lista canadese, sono scese del 98% rispetto
al passato, con solo nove Ungheresi in cerca di asilo.
Il caso Mohacsi viene seguito con attenzione in Ungheria e in altri paesi
dell'Europa Centrale e Orientale che hanno significative presenze di popolazione
Rom.
Aladar Horvath, importante attivista e primo Rom del parlamento ungherese, ha
visitato Toronto questa primavera, per operare come testimone esperto in un
altro caso di asilo.
Dice che una decisione positiva nel caso Mohacsi "rovescerebbe la posizione
politica che l'Ungheria è un paese sicuro."
I nomadi che abitano il campo di Giugliano denunciano il degrado dell'area
circondata da rifiuti e gas nauseabondi. Padre Zanotelli: "Se ci saranno
conseguenze per la salute di queste persone riterremo responsabili i commissari"
"Non possiamo più rimanere qui, la puzza è insopportabile e abbiamo paura per la
salute dei nostri bambini". È l'appello di una delegazione di Rom del campo
comunale di Giugliano che nei giorni scorsi ha incontrato i commissari
prefettizi del Comune per chiedere il trasferimento lontano da alcune discariche
da cui "continuano a fuoriuscire gas nauseabondi". "Se ci saranno conseguenze
per la salute di queste persone riterremo responsabili i commissari", dice il
padre comboniano Alex Zanotelli in rappresentanza del Comitato campano per i Rom
che riunisce diverse associazioni.
UN CAMPO DI 400.000 EURO TRA I RIFIUTI - Il gruppo di Rom, circa 400, è stato
trasferito in località Masseria del Pozzo due mesi fa dopo un esodo di due anni
nelle campagne della cittadina campana. Il campo provvisorio, dicono le
associazioni, è costato circa 400mila euro, tre centimetri di ghiaia e asfalto
per separare un insediamento umano da terreni in cui negli anni è stata sversata
ogni sorta di rifiuti, legali e illegali. Un'area, spiegano i comitati, di 30
chilometri su cui c'erano 6 discariche in cui sono finiti, negli anni, rifiuti
speciali, tossici e nocivi e che è diventata simbolo del disastro ambientale in
Campania. Secondo i comitati, le analisi dell'Arpac hanno riscontrato nella
falda acquifera un massiccio inquinamento da manganese, ferro, piombo, benzene,
idrocarburi, toluene, tetracloroetilene e persino consistenti anomalie
magnetiche "attribuibili alla presenza di materiali ferromagnetici nel
sottosuolo". Gran parte dell'area in questione è posta sotto sequestro
giudiziario.
COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA - Una situazione ambientale disastrosa
ricostruita nel dettaglio dalla relazione della Commissione parlamentare
d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che avrebbe
dovuto fare da premessa a un piano urgente di bonifiche redatto, approvato, ma
mai attuato. "Ci chiediamo come sia possibile una discrepanza così evidente con
le analisi ambientali, dicono i portavoce del Comitato per i Rom, che
sottolineano anche che il campo è stato costruito dal Comune in accordo con la
Prefettura e con il parere favorevole dell'Asl. "Venga fatta chiarezza, ma
intanto si cerchi una soluzione alternativa in tempi rapidi", concludono.
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