L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Di Fabrizio (del 21/05/2013 @ 09:00:56, in Kumpanija, visitato 1430 volte)
[..] Ebbene: in tal senso io sono come un negro in una società razzista che
ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante. Sono, cioè, un "tollerato".
La tolleranza, sappilo, è solo e sempre puramente nominale. Non conosco un
solo esempio o caso di tolleranza reale. E questo perché una "tolleranza
reale" sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si "tolleri" qualcuno
è lo stesso che lo si "condanni". La tolleranza è anzi una forma i condanna più
raffinata. Infatti al "tollerato" - mettiamo al negro che abbiamo preso ad
esempio - si dice i far quello che abbiamo preso ad esempio - si dice i far
quello che vuole, che egli ha il pieno diritto di seguire la propria natura, che
il suo appartenere a una minoranza non significa affatto inferiorità eccetera
eccetera. Ma la sua "diversità" - o meglio la sua "colpa di essere diverso" -
resta identica sia davanti a chi abbia deciso di tollerarla, sia davanti a chi
abbia deciso di condannarla. Nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria
coscienza il sentimento della "diversità" elle minoranze. L'avrà sempre,
eternamente, fatalmente presente. Quindi - certo - il negro potrà essere negro,
cioè potrà vivere liberamente la propria diversità, anche fuori - certo - dal
"ghetto" fisico, materiale che, in tempi di repressione, gli era stato
assegnato.
Tuttavia la figura mentale del ghetto sopravvive invincibile. Il negro sarà
libero, potrà vivere nominalmente senza ostacoli la sua diversità eccetera
eccetera, ma egli resterà sempre dentro un"ghetto mentale", e guai se uscirà a
lì.
Egli può uscire a lì solo a patto i adottare l'angolo visuale e la mentalità
di chi vive fuori dal ghetto, cioè della maggioranza.
Nessun suo sentimento, nessun suo gesto, nessuna sua parola può essere
"tinta" dall'esperienza particolare che viene vissuta a chi è
rinchiuso idealmente entro i limiti assegnati a una minoranza (il ghetto
mentale). Egli deve rinnegare tutto se stesso, e fingere che alle sue spalle
l'esperienza sia un'esperienza normale, cioè maggioritaria.
[...]
Perché non parlo di fascisti. Parlo di "illuminati", di "progressisti". Parlo
di persone "tolleranti". Dunque, ecco provato quanto ti dicevo: fin che il
"diverso" vive la sua "diversità" in silenzio, chiuso nel ghetto mentale che gli
viene assegnato, tutto va bene: e tutti si sentono gratificati della tolleranza
che gli concedono. Ma se appena egli dice una parola sulla propria esperienza di
"diverso", oppure, semplicemente, osa pronunciare delle parole "tinte" dal
sentimento della sua esperienza di "diverso", si scatena il linciaggio, come nei
più tenebrosi tempi clerico-fascisti. Lo scherno più volgare, il lazzo più
goliardico, l'incomprensione più feroce lo gettano nella degradazione e nella
vergogna.
[...]
Pier Paolo Pasolini: GENNARIELLO in Lettere Luterane -
L'Unità Einaudi (pagg. 23-26)
Di Fabrizio (del 22/05/2013 @ 09:03:29, in Italia, visitato 1490 volte)
19 maggio 2013 |
di Clelia Bartoli
Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
e direi anche un po' qualunquista,
E per questo vi avviso: per carità, abroghiamo il reato di clandestinità,
lo voglio cancellare perché intasa i tribunali e non fa perseguire i veri
criminali.
Poiché il gratuito patrocinio costa assai alla collettività
e preferisco che le mie tasse paghino a mio figlio la borsa di studio
all'università.
Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
Sono pure impaurito, a tratti perfino atterrito.
E proprio per questo non voglio aree ghetto, campi rom, una degradata periferia,
perché l'emarginazione alimenta disperazione, devianza e anarchia.
In virtù del mio egoismo voglio città includenti, direi addirittura accoglienti,
dove l'angoscia è sopita, la rabbia gestita,
dove a fregarmi ci pensi se viviamo a fianco, se sediamo allo stesso banco.
Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
e lo dico con orgoglio che penso al mio portafoglio.
Per tale motivo vi dico: non siate contrari, regolarizziamo tanti
extra-comunitari.
Se del lavoro nero c'è l'emersione, riuscirò a finanziare la mia pensione.
E poi vi faccio presente che questi CIE costano assai e servono a niente.
Soggiorni in custodia a spese del contribuente, la gente marcisce e le procedure
son lente.
Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
la crisi mi ha avvilito e ho bisogno che qualcun altro muova un dito.
Ho pensato che si potrebbe dare ai figli di immigrati la cittadinanza,
che cos'è questa disuguaglianza?
Sono giovani e in forze, il paese è allo stallo. Che "nuovi italiani" si mettano
in ballo.
Sono stanco, sfibrato, frustrato voglio passare il testimone ad altre persone,
e non me ne frega se loro nonno era di Marrakesh o di Pordenone.
Sono un vero egoista, né buono, né tantomeno buonista,
bado molto al mio orto, ma non ho lo sguardo corto.
Non voglio più che arrivino straccioni e barconi,
date fondi veri alla cooperazione, ma soprattutto basta far confusione nei paesi
di emigrazione.
Dove ci sono i conflitti non vendete armamenti, non fatte patti con despoti
presidenti,
non inquinate i fiumi e i mari dei pescatori e smettete di rubare le terre agli
agricoltori,
perché ve lo dovete aspettare che qualche giorno verranno da queste parti ad
elemosinare.
E, poi, se nei paesi "in via di sviluppo" ci sarà libertà e prosperità
avrò un bel posto dove emigrare se le cose qui si mettono male.
Inchiesta esclusiva di Mattia Pelli* sul recente
sgombero avvenuto nella zona di Trento Nord (ex Sloi) da parte delle forze
dell'ordine e del personale dell'azienda sanitaria. Le immagini e il video
girato dall'unico giornalista presente sul posto - 20 Maggio 2013
Cadenti costruzioni in cemento, simbolo passato di una fede mortifera nel
progresso; fitta vegetazione dal verde inquietante, debordante dai vecchi muri;
una strana processione guidata da uomini con mascherina seguiti da un piccolo
drappello di miserabili. Questo avrebbero visto coloro che si fossero trovati a
passare davanti alla ex Sloi di via Maccani a
Trento lo scorso mercoledì 15
maggio. E appena girato l'angolo, due ambulanze e un piccolo concentramento
composto da assistenti sociali del comune, polizia in borghese, personale
sanitario, vigili urbani. E poi loro: 40 Rom rumeni, uomini e donne, giovani e
anziani (ma non minori), che da anni ormai vivono nell'area che fu un tempo sede
della produzione di piombo tetraetile, ancora presente in pericolose quantità
nel terreno. Ma alle cinque di mattina di passanti in via Maccani ce ne sono
proprio pochi e gli stessi organi di stampa non erano stati avvertiti
dell'operazione coordinata dalla Questura.(Guarda il video di Mattia Pelli).
I Rom accampati all'ex Sloi sono stati svegliati verso le cinque del mattino da
poliziotti in borghese che - coadiuvati dagli assistenti sociali del Comune di
Trento, dal personale sanitario, dai vigili urbani e da una mediatrice culturale
(circa 25 persone in tutto) - hanno convinto nove di loro a recarsi all'ospedale
S. Chiara per sottoporsi ad esami radioscopici e verificare se erano affetti da
tubercolosi, malattia estremamente pericolosa e - in alcune fasi - molto
infettiva, in grado di mettere a rischio la salute del portatore e di chi gli
sta intorno.
Una donna è risultata positiva al test radiografico, ma ulteriori esami hanno
mostrato come la malattia non fosse in fase contagiosa e quindi la Rom è stata
lasciata andare. Gli altri sono stati tutti portati in Questura e identificati.
Ventisette di loro sono stati colpiti da un provvedimento di allontanamento,
come prevede la legislazione italiana nei confronti di cittadini comunitari che
dopo tre mesi non abbiano richiesto e ottenuto un certificato di residenza e non
possano dimostrare di possedere i mezzi di sostentamento necessario. Dovranno
quindi lasciare l'Italia e se trovati nonostante questo sul territorio del
nostro paese potranno essere puniti con la reclusione da uno a sei mesi e con
un'ammenda da 200 a 2000 euro.
L'operazione, presentata dalla Questura come necessaria per preservare la salute
non solo dei Rom ma di tutta la cittadinanza e prevenire la microcriminalità
solleva però alcuni dubbi: per quale motivo un'iniziativa volta alla tutela
della salute pubblica è stata portata a termine attraverso l'intervento delle
forze dell'ordine e non - come succede solitamente - dal personale dei servizi
sociali del comune di Trento e dai sanitari dell'Azienda provinciale per i
servizi sanitari? Perché al termine dell'operazione 40 persone sono state
identificate e 27 di esse hanno ricevuto un'ordinanza di allontanamento? Quale
efficacia può avere un'operazione volta a risolvere un potenziale problema di
salute pubblica condotta con l'intervento della Polizia di Stato e conclusasi
con severe misure repressive?
Rispondere a queste domande riveste una certa importanza, dal momento che la
recrudescenza dell'infezione da Tbc (che colpisce al 50% italiani e stranieri)
desta allarme nelle istituzioni sanitarie e l'operazione svolta dalla polizia
mercoledì scorso appare assolutamente inedita a livello nazionale,
rappresentando un significativo precedente. In questo articolo si cercherà di
ricostruire i contorni della vicenda grazie a fonti ben informate e alla
presenza diretta sul luogo dell'operazione, unico giornalista testimone dei
fatti.
Il precedente
Tutto ha inizio qualche settimana fa, quando all'Ospedale S. Chiara di Trento
arriva un Rom al quale i medici diagnosticano la Tbc. L'uomo viene curato per
due settimane, poi se ne va, probabilmente ritorna in Romania, ma intanto il
caso di tubercolosi - come succede per tutte le malattie epidemiche contagiose -
viene segnalato all'Azienda sanitaria, che si attiva per rintracciare tutti
coloro che possono essere venuti a contatto con il malato. Viene trovato il
figlio dell'uomo, al quale viene proposto il test per verificare se è stato
contagiato dalla malattia, che risulta negativo.
La notizia giunge a conoscenza della Questura, la quale aveva già intenzione -
secondo fonti ben informate - di portare a termine un'operazione di sgombero
all'area ex Sloi, che non era però attuabile senza una denuncia del
proprietario, dal momento che si tratta di una proprietà privata. In assenza di
denuncia si decide allora di porre tutta l'operazione sotto il segno della
prevenzione, sanitaria e di sicurezza pubblica.
Sul posto mercoledì scorso l'atmosfera era tranquilla, quasi rilassata, almeno a
prima vista: sorrisi sui visi degli assistenti sociali e degli agenti della
polizia; indifferenza di chi è abituato ad essere al centro dell'attenzione
delle forze dell'ordine di tutta Europa sul viso dei Rom, raggruppati prima di
essere portati in questura per essere identificati.
Nonostante l'evidente intento di tenere il più possibile celata la vicenda, come
prova l'orario dell'operazione, tipica da sgombero, sul posto sono arrivati una
decina di militanti del centro sociale Bruno, che hanno dato vita a una sorta di
improvvisato presidio democratico a garanzia dei diritti dei Rom. Con loro anche
Antonio Rapanà, operatore del
centro Astalli per i rifugiati politici, noto per
il suo impegno a favore dei diritti degli immigrati.
La sostanziale assenza di tensione che si respirava mercoledì scorso solleva una
prima domanda: era proprio necessario mobilitare la Polizia di stato per
affrontare una questione relativa alla salute? Questo modo di intervenire è
quello più efficace per proporre a persone con un retroterra culturale tanto
diverso una visita medica e - semmai - una cura contro la Tbc della durata di
sei mesi che necessità di continuità e di reciproca fiducia tra istituzioni
sanitarie e paziente?
Colpisce poi il fatto che gli operatori dell'Unità di strada, il cui compito è
dare assistenza a bassa soglia a persone in difficoltà e che hanno spesso avuto
a che fare con i Rom accampati all'ex Sloi, non erano stati avvertiti
dell'operazione e non erano dunque presenti sul posto. "Conosco e apprezzo il
lavoro dell'Unità di strada - spiega il Questore di Trento Giorgio Iacobone - ma
mi pare che si occupino soprattutto del problema della tossicodipendenza".
Il coordinatore Christian Gatti spiega di avere troppi pochi elementi per
valutare la bontà dell'operazione di mercoledì scorso ma alla domanda se
all'Unità di strada sia mai successo di intervenire congiuntamente alle forze di
polizia dice: "Di solito il nostro intervento si svolge prima".
Andrea Galli, medico di strada e volontario del
Naga di Milano, associazione di
volontariato nata nel 1987 e volta a promuovere e tutelare i diritti di tutti i
cittadini stranieri e di Rom e Sinti, abituato a lavorare nei campi nomadi del
capoluogo lombardo e a confrontarsi con i problemi sanitari di Rome e Sinti
spiega: "Arrivare con la Polizia di Stato in un campo nomadi non aiuta certo a
costruire un rapporto di fiducia con coloro ai quali si deve proporre una cura".
Il medico milanese sottolinea anche di non aver mai avuto in precedenza notizia
di operazioni di questo tipo portate a termine dalla Polizia di Stato: "Di
solito qui a Milano sono svolte da personale sanitario accompagnato da
assistenti sociali e dai vigili urbani, che rappresentano il Comune". E Milano -
insieme a Roma - è la città in cui si riscontra ogni anno il maggior numero di
casi di tubercolosi.
Tra l'altro i Rom dell'area ex Sloi non sono degli sconosciuti e i Servizi
sociali hanno altre volte organizzato degli interventi senza il coinvolgimento
delle forze dell'ordine. Antonio Rapanà, presente sul posto durante l'operazione
non ha dubbi sulla sua natura: "L'azione di prevenzione sanitaria, che mai
prevede la mobilitazione delle forze dell'ordine, era in realtà il pretesto per
mascherare l'ennesima operazione di controllo del territorio - certamente
concordata con le autorità di governo della città - con accompagnamento ed
accertamenti in Questura da concludere con l'adozione di provvedimenti di
allontanamento."
La selezione e gli accertamenti
Anche dal punto di vista sanitario l'intervento di mercoledì scorso solleva
molti dubbi. Secondo quali criteri sono stati individuati i nove Rom poi
convinti a recarsi in ospedale per sottoporsi agli esami? Spiega il Questore:
"Le persone accompagnate in ospedale sono quelle che hanno dichiarato al momento
dell'operazione di essere state a contatto con il malato". Se così fosse,
significherebbe che l'individuazione dei soggetti da visitare non ha seguito
il
protocollo stabilito dal Ministero della Salute, spiegato dall'Azienda
sanitaria provinciale in un
documento rintracciabile sul suo sito web: "Se
trattasi di una forma polmonare contagiosa, l'Azienda Sanitaria rintraccia le
persone che sono state a contatto stretto con il malato (familiari, conviventi,
colleghi di ufficio, compagni di scuola, ecc) per accertare, mediante dei test,
se vi è stata trasmissione dell'infezione; il test più frequentemente usato è il
test cutaneo tubercolinico di Mantoux." Questo consiste in un'iniezione
intradermica sull'avambraccio di una piccola quantità di tubercolina. Dopo circa
72 ore viene eseguita la lettura del test da parte di personale sanitario e
soltanto in caso di test positivo il paziente viene sottoposto a ulteriori
analisi, tra cui quella radiologica, che presenta comunque un certo grado di
invasività.
Il test di Mantoux, però, non è stato svolto: per quale motivo? "Il dubbio -
spiega una fonte medica bene informata - è che le forze dell'ordine non
cercassero di stabilire veramente chi potesse essere stato contagiato, ma solo
chi era infettivo, mettendo così in evidenza non una preoccupazione per lo stato
di salute dei Rom, ma soltanto la necessità di escludere le possibilità del
contagio". La positività al test di Mantoux rende certa l'avvenuta trasmissione
dell'infezione tubercolare e impone successivi test, così come un eventuale
intervento terapeutico, ma non determina se l'infezione è nello stadio
contagioso, cioè trasmissibile ad altre persone. Questo significa che tra le
nove persone visitate - e anche tra gli altri Rom identificati - è possibile (e
probabile) che ve ne fossero altre contagiate dall'infezione che però non era a
uno stadio tale da venire identificata attraverso una radiografia. Anche nei
loro confronti i medici avrebbero quindi dovuto valutare la necessità di una
presa in cura. Ma così non è stato.
Inoltre, secondo quanto stabilito dal Ministero della Salute nelle sue Linee
guida per il controllo della malattia tubercolare, "È molto importante
utilizzare il verificarsi di un caso per incidere in situazioni particolarmente
difficili; la ricerca attiva dell'infezione, pertanto, va estesa anche ai
contatti non stretti, se questi ultimi appartengono a gruppi a rischio che hanno
difficoltà ad accedere ai servizi sanitari". Quindi, restando nell'ottica della
prevenzione di una possibile diffusione dell'infezione, il test di Mantoux
avrebbe dovuto essere proposto a tutti i Rom presenti al momento
dell'operazione.
Altro aspetto sul quale riflettere relativo al "blitz" condotto mercoledì scorso
e sottolineato dalla nostra fonte sta nel fatto che con tutta probabilità gli
organizzatori dell'operazione avevano escluso di trovare qualcuno di
effettivamente contagioso. I malati infetti e contagiosi richiedono infatti
particolari accorgimenti per la loro ospedalizzazione: devono essere posti in
stanza singola e in isolamento respiratorio.
E' quindi probabile che sarebbe stato molto difficile convincere eventuali
malati contagiosi rilevati tra i Rom visitati a sottoporsi alle cure, rendendo
necessario il ricorso al Tso (Trattamento sanitario obbligatorio), che comporta
che l'ammalato venga piantonato per almeno le due settimane necessarie ad
eseguire la prima parte della terapia, della durata totale di sei mesi, con il
rischio che una interruzione prematura delle cure possa dare vita a ceppi di
Tbc
ancora più forti e resistenti ai medicamenti.
Le strutture sanitarie e le forze dell'ordine erano pronte all'eventualità che
vi fossero magari due, tre malati in questa condizione da sorvegliare per due
settimane 24 ore su 24? Su questo la nostra fonte esprime seri dubbi e giunge
anch'essa alla conclusione che - in realtà - la minaccia di una potenziale
diffusione di Tbc non fosse che una scusa per nascondere uno sgombero vero e
proprio.
In effetti tra i Rom accompagnati in Ospedale per il test radiologico una donna
è risultata affetta dalla malattia. Le è stato quindi chiesto di rimanere in
ospedale per ulteriori accertamenti, cosa alla quale lei si è opposta, chiedendo
di potersene andare.
A quel punto i toni si sono accessi e alcuni testimoni parlano di un'aggressione
verbale da parte di un agente della polizia nei confronti della Rom, circostanza
negata dal capo della squadra mobile Roberto Giacomelli, coordinatore
dell'operazione, che ha dichiarato: "Non mi risulta nulla del genere, si è
cercato invece di convincere la donna". La Rom è stata quindi sottoposta a
un'ulteriore analisi, quella del catarro, per stabilire se la malattia era a uno
stadio infettivo, ma in questo caso l'esito è stato negativo e la donna è stata
quindi lasciata andare via, ben sapendo che difficilmente si sarebbe sottoposta
alla cura.
Assenti in Ospedale gli assistenti sociali del Comune, presenti solo all'area ex
Sloi: Forse il loro intervento per convincere e rassicurare le persone portate
in ospedale sarebbe stato importante, anche per dare seguito all'intervento del
Comune su questa questione.
Gli allontanamenti
Nel corso dell'operazione di mercoledì il capo della squadra mobile Giacomelli
rassicurava i presenti sul carattere non repressivo dell'azione della polizia,
cercando di sdrammatizzare. Richiesto di spiegare i motivi del trasferimento dei
Rom in questura per essere identificati e se essi si fossero resi colpevoli di
un qualche reato, Giacomelli spiegava trattarsi di una normale procedura non
legata ad infrazioni di legge di alcun tipo: "Così cominciamo a conoscerli".
Secondo quanto detto dal capo della squadra mobile, gli identificati sarebbero
stati subito rilasciati e avrebbero potuto tornare sull'area ex Sloi se lo
avessero voluto, cosa che si è rivelata solo in parte vera, dal momento che 27
di loro hanno ricevuto un'ordinanza di allontanamento, che impone loro di
lasciare l'Italia.
Nessun reato, quindi. E allora perché la polizia ha bisogno di "conoscere"
questi Rom (tra l'altro cittadini europei) e perché alcuni dei Rom identificati
hanno ricevuto un'ordinanza di allontanamento? In che modo l'identificazione e
il successivo allontanamento erano legati all'obiettivo primario conclamato
dell'operazione, cioè quello di curare le persone malate e di prevenire un
possibile problema di salute pubblica?
Il Questore di Trento, Giorgio Iacobone, difende questa scelta, motivandola con
il ruolo di prevenzione che compete alla Questura e alla Polizia di Stato, sia
sul piano della salute pubblica, sia su quello della sicurezza. Iacobone si è
detto preoccupato non solo della presenza di un possibile focolaio di Tbc, ma
anche della possibilità che la presenza dei Rom possa portare a un aumento della
microcriminalità e che dietro ad essi - impegnati quotidianamente a chiedere la
carità in città - vi siano organizzazioni criminali che controllano la raccolta
del danaro e gestiscano il loro arrivo in Italia. Alla domanda se si tratti - in
quest'ultimo caso - di un sospetto o di una certezza, il Questore ammette di non
avere prove ma aggiunge: "Proprio per questo è necessario conoscere chi sono
queste persone, che cosa fanno e dove finisce il danaro che raccolgono".
Iacobone lancia anche un appello a non fare la carità ai Rom presenti a Trento e
sottolinea la sua preoccupazione per persone che paiono refrattarie a qualsiasi
tentativo di intervento dei servizi sociali. Eppure chiedere la carità non è un
reato e - anche ammesso che dietro ai Rom vi siano organizzazioni criminali -
appare dubbio che misure repressive come quelle dell'allontanamento, che
colpiscono solo le vittime di un presunto racket, possano avere qualche
efficacia ed equità.
Così, se un'intervento era sicuramente auspicabile (ma non certamente da parte
della polizia e con ben altri presupposti sanitari), le argomentazioni fornite
per giustificare i provvedimenti repressivi contro i Rom paiono piuttosto fumose
e la presenza di possibili casi di Tbc suonano più come una scusa per
giustificare un intervento preparato da tempo.
Anche l'identificazione dei Rom in quanto gruppo come possibile fonte di
contagio, sia di malattie sia di microcriminalità, risponde a quei meccanismi
discriminatori ben descritti dalle scienze sociali: gli "zingari", i nomadi,
vengono presentati come soggetto alieno, portatore di disordine che va espulso
dalla "comunità".
Ma uno sgombero e un provvedimento di allontanamento non fanno che occultare un
problema che riemergerà, ancora e ancora. Difficilmente infatti le persone
colpite dal provvedimento di allontanamento se ne andranno: con tutta
probabilità ritorneranno all'ex Sloi e continueranno a fare la carità in città,
solo ancora un po' più deboli di prima. Fino alla prossima "operazione".
Quello che è certo è che la commistione tra intervento per cause di salute
pubblica e intervento repressivo è negativa allo scopo di un buon successo della
prima: quale fiducia nel personale sanitario e negli assistenti sociali possono
avere i Rom se questi sbarcano tra le loro baracche accompagnati da poliziotti
in borghese? Così, prima di lamentarsi della sostanziale refrattarietà di queste
persone agli interventi proposti dai servizi sociali, sarebbe forse utile
interrogarsi sulle modalità con le quali questi interventi vengono portati a
termine.
In questo senso la scelta del Comune, attraverso i suoi Servizi sociali, di
avallare un'operazione repressiva della polizia mascherata da intervento
sanitario è assolutamente criticabile e pericolosa, perché rischia di
depotenziare l'efficacia dei servizi stessi, ai quali ci si deve poter rivolgere
senza paura di eventuali ripercussioni dal punto di vista legale.
Questo vale anche per le autorità sanitarie e il loro personale, che hanno
l'obbligo di fornire a tutti i malati o potenziali tali il massimo delle
opportunità di cura e per farlo devono cercare di costruire un rapporto di
fiducia con i propri pazienti, che di certo mercoledì scorso ha ricevuto un duro
colpo.
Ma - forse - quello che colpisce di più in questa vicenda è che le esigenze
sanitarie dei 40 Rom al centro dell'operazione probabilmente interessavano a
pochi. In fondo si tratta pur sempre di zingari, i più miseri, denigrati,
discriminati, nostri concittadini europei.
La conclusione alla quale giunge Antonio Rapanà, operatore del centro Astalli
per i rifugiati politici e tra i pochi presenti all'operazione di mercoledì
scorso apre alla necessità di un diverso modo di intendere la sicurezza: "Se è
vero che non ci sono risposte semplici né soluzioni certe alla domanda di
sicurezza che viene dalla comunità, proprio per questo la strategia per la città
sicura - che -si-cura- deve essere finalmente riportata al centro di uno spazio
pubblico di analisi e di discussione collettiva che non si arrenda alle facili e
fallimentari suggestioni del pensiero unico che riduce la questione complessa
della sicurezza urbana a mero problema di ordine pubblico."
L'autore. Mattia Pelli Giornalista professionista, ha lavorato per Radio Dolomiti e per il
quotidiano "l'Adige" di Trento. Laureato in Storia contemporanea all'Università
di Bologna è ricercatore presso la Fondazione Museo Storico del Trentino e
collabora con la Fondazione Pellegrini Canevascini di Bellinzona. Ha pubblicato
nel 2005 il volume "Dentro le montagne: cantieri idroelettrici, condizione
operaia e attività sindacale in Trentino negli anni cinquanta del Novecento".
Blitz con sagome in 16 città per la nuova campagna di sensibilizzazione
ROMA - Sagome di cartone bianche e rosse raffiguranti bambini che lanciano
accuse tremende, come "mi hanno rubato l'aria pulita", "mi hanno rubato la mensa
scolastica", "mi hanno rubato una casa tutta mia", "mi hanno rubato il futuro",
posizionate in punti strategici dei centri storici: con questa azione
"aggressiva" è partita in 16 città italiane la campagna di Save the Children
"Allarme infanzia", che vuole accendere i riflettori sulla condizione dei minori
in Italia.
Secondo un rapporto dell'organizzazione, infatti, siamo agli ultimi posti in
Europa - peggio solo Grecia e Bulgaria - per "povertà di futuro" di bambini e
adolescenti, deprivati di opportunità, prospettive e competenze. In un dossier
lanciato oggi in concomitanza con l'inizio della campagna, dal titolo "L'Isola
che non sarà", Save the Children denuncia che il nostro Paese è sette volte in
fondo alla lista nell'Ue a 27 sui principali indicatori relativi all'infanzia.
Quattro le principali "ruberie" ai danni di bambini e adolescenti: il taglio dei
fondi per minori e famiglia, la mancanza di risorse per una vita dignitosa, il
basso livello di istruzione e il lavoro. L'Italia è al 18mo posto per la spesa
per l'infanzia e la famiglia, pari all'1% del pil. Quasi il 29% di bambini sotto
i 6 anni vive ai limiti della povertà, tanto che il nostro paese è al 21mo posto
in Ue per rischio povertà ed esclusione sociale fra i minori di età 0-6 anni e
il 23,7% vive in stato di deprivazione materiale. Ancora, il nostro Paese è al
22mo posto per quanto riguarda il basso livello d'istruzione, per dispersione
scolastica ed è all'ultimo posto per tasso di laureati.
Quanto al lavoro, i giovani disoccupati sono il 38,4% degli under 25, il quarto
peggior risultato a livello europeo, mentre i neet (giovani che non lavorano e
non sono in formazione) sono 3 milioni e 200.000 e posizionano l'Italia al
25esimo posto su 27. Save the Children ha voluto anche sondare le paure per il
futuro dei ragazzi e dei genitori, in una nuova indagine realizzata da Ipsos,
che attesta come il 25% degli adolescenti ritenga che il proprio futuro sarà più
difficile rispetto a quello dei genitori e che un ragazzo su 4 (il 23%) pensa di
andare all'estero per assicurarsi un'opportunità e l'80% dichiara di aver fatto
delle rinunce a causa della crisi. Preoccupante è il dato sull'aumento delle
disuguaglianze per l'accesso all'università: il 30% dei genitori non ce la fa a
pagare la retta dei figli. Per il 41% di madri e padri gli aiuti economici
diretti alle famiglia dovrebbero essere la più urgente misura anti-crisi del
governo. Solo il 16% dei genitori pensa che i figli riusciranno a realizzare i
loro sogni e ad avere una vita migliore della propria.
"Il generale impoverimento delle giovani generazioni - commenta il direttore
generale di Save the Children Italia, Valerio neri - va in parallelo con una
colpevole e annosa disattenzione nei loro confronti, che si sta traducendo in
una gravissima privazione di prospettive e, in una parola, di futuro. Cancellare
il futuro di bambini e ragazzi significa compromettere il futuro dell'intero
Paese". L'organizzazione chiede dunque un piano specifico di contrasto alla
povertà minorile, un piano d'investimento a favore dell'istruzione pubblica e un
nuovo piano per l'utilizzo dei fondi europei.
L'allarme di Save the Children è stato subito raccolto dal Garante per
l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora, che si augura che "la paura di
cui parla Save the Children, e che personalmente confermo dal mio punto di vista
di istituzione che si occupa dei diritti dei minori, possa finalmente servire da
stimolo a tutti noi per intraprendere quanto prima decisioni utili a interventi
urgenti e strutturati in favore delle politiche per i minori e i giovani. Il
loro diritto a una vita piena di speranza deve essere un nostro dovere".
E anche il sottosegretario all'Istruzione, Marco Rossi-Doria, prende impegni
concreti: "possiamo cominciare dalla scuola - dice - estendendo le azioni messe
in campo contro la dispersione scolastica, aumentando il tempo scuola e le
occasioni di socialità positiva nelle aree difficili. Porterò avanti questo
impegno come sottosegretario all'Istruzione".
Giovedì 6 giugno 2013 alle 21,00, ingresso ad offerta libera CGIL Salone Di Vittorio - Piazza Segesta 4, con ingresso da
Via Albertinelli
14 (discesa passo carraio) a Milano
"Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen" di Laura Halilovich - Italia - 2009 -
con la presenza di Frances Oliver Catania, che ha seguito la
comunità di Pessano con Bornago (quella della nonna della regista, raccontata nel film)
Il film fa parte della rassegna HO INCONTRATO ANCHE DEGLI ZINGARI FELICI V
Edizione, dedicata alle donne Rom, organizzata dall'Associazione La Conta in collaborazione con: l'Associazione
"Aven Amentza - Unione di Rom e Sinti", Associazione "ApertaMente di Buccinasco"
e la Redazione di Mahalla - Rom e Sinti da tutto il mondo
Di Fabrizio (del 26/05/2013 @ 09:02:59, in media, visitato 1567 volte)
Recentemente, mi è stato chiesto un parere su Rom, Sinti e la loro
percezione da parte dei media. TRANQUILLI, non intendo ammorbare anche
voi con le mie considerazioni... solo coinvolgervi nella lettura di due pezzi
che guardacaso ho letto proprio qualche giorno dopo quella richiesta.
Premessa: per chi ha già estratto dal cassetto il formulario
delle denunce, non c'è scritto niente di apertamente razzista in quei due pezzi,
e gli autori magari sono anche bravissime persone. Non c'è nessuna rilevanza
penale in quanto scrivono, ma giorno dopo giorno questo tipo di cronaca permette
che gli articoli razziali possano proliferare. In pratica, i (metaforici) tiri
in porta di un Borghezio vengono resi possibili dal lavoro di squadra delle
cronache da Catania e Positano (note metropoli di origini celte).
E gli zingari? Sono ingrediente indispensabile della ricetta!
Passiamo agli articoli, e ricordate, può darsi che il mio
sia il parere di una persona prevenuta, che vede razzismo e pregiudizi
dappertutto, ma quanto scriverò è rivolto, ripeto, a quanti giudicano il
razzismo soltanto come una forma di violenza esibita, senza curarsi del
retroterra culturale che lo genera.
In realtà si tratta di una non-notizia: l'aeroporto di
Catania (come tutti gli altri) è tenuto ad autocertificare
annualmente il livello della "sicurezza percepita" da parte di
pubblico e passeggeri. E, secondo voi, chi doveva intervistare?
Pubblico e passeggeri, appunto. I risultati di questa inchiesta
sono stati "stranamente" soddisfacenti, e questo non va giù ad
AvioNews che in passato aveva denunciato come
l'aeroporto si fosse via via riempito di "zingari". Quindi,
contrattacca la testata, l'indagine non ha valore, e sarebbe
stato meglio sentire polizia o altri mezzi di informazione
(questi ultimi, probabilmente, avevano ripreso per solidarietà
il lancio giornalistico di AvioNews, senza neanche controllare).
E il pubblico, i passeggeri, gli interessati insomma? Il bravo
giornalista forse si è lasciato sfuggire LA VERA NOTIZIA:
nonostante i vari appelli securitari, la gente si dimostra più
civile dei mezzi d'informazione, e non si ritiene minacciata da
questa ipotetica "invasione zingara".
Sì, mi direte, ma se non fosse proprio così? "Che ne
so?", tocca rispondervi, per questo passiamo al
secondo articolo. Sorrento, perla turistica, è invasa
dai zingari e poco di buono; questa la tesi dell'articolo che
fornisce anche dei suggerimenti su cosa dovrebbe fare
l'amministrazione.
Andrò per punti, cercando di spiegare perché, RAZZISMO O NO, questo è
esattamente quello che un giornalista NON DEVE FARE.
Esordisce l'articolo scrivendo che i problemi sono tanti, e
c'è anche... Quali sono gli altri problemi, così per curiosità?
Può sembrarvi una richiesta arrogante, ma andando avanti con la
lettura capirete che, a me, sembra un articolo dove le cose non
scritte sono più di quelle scritte.
Ad un certo punto salta fuori, a proposito di chi viene
accusato, il termine "personaggi". Personaggi??? Ma come scrivi?
Se proprio vuoi fare l'originale, usa: marziani, robot,
cercopitechi o elefanti gialli a pallini rosa!!
Andando avanti, cito letteralmente: "sotto gli occhi dei nostri Vigili Urbani e delle Forze
dell'Ordine, che raramente intervengono" E se intervenissero?
Concedete una malignità quasi-razzista anche a me: ma se le
gloriose FdO intervenissero (o meglio si dessero una mossa),
non è che tra i tanti problemi, potrebbero avere a che
fare con scontrini non dati, evasione fiscale diffusa, mercato
delle seconde case? Insomma, i problemi, altrettanto veri, di
una qualsiasi località turistica in Italia.
Cito ancora: "I cittadini, sebbene mal sopportano..."
ho capito (ettecredo!) ma, porta pazienza, in assenza di dati o
dichiarazioni, potrebbe essere una ripetizione dell'effetto
Catania: magari i cittadini sopportano...
"Bisogna agire in tal senso, soprattutto i cittadini non si
devono lasciare ingannare dal loro stato pietoso, dietro al
quale si nasconde in genere una organizzazione malavitosa che
sfrutta tali persone..." Chiusa obbligata dei pensieri
del nostro giornalista. Che l'organizzazione criminale può anche
starci (non conosco persone innocenti a prescindere), ma se la
stessa affermazione SENZA UNO STRACCIO DI PROVA fosse stata
rivolta a qualsiasi altro cittadino, chissà quanti griderebbero
allo scandalo o alla cattiva informazione. E, per favore, se
esistono anche solo SOSPETTI in tal senso, li si denunci a
queste benedette FdO, ai propri amici giornalisti, a chi deve
intervenire. Altrimenti, si sta zitti e si lavora ad un'inchiesta.
Di Fabrizio (del 27/05/2013 @ 09:05:09, in Italia, visitato 1503 volte)
Il caso "sposa-bambina" di Coltano non ha tregua, alimentato anche dal
torpore e dall'indifferenza cittadina. Il Comune di Pisa, attraverso i dirigenti
di Città Sottili (esiste ancora?) continua la persecuzione della famiglia rom,
assolta dal Tribunale di Pisa dalle diffamanti accuse alimentate da il Tirreno
di Pisa.
La mamma Rom si racconta in questa lunga intervista e svela le macchinazioni e
le trame.
Vi invito a leggerla con attenzione e calma, diffondetela... rivela le verità
rom tenute nascoste e la discriminazione subita da questa famiglia ad opera del
comune di Pisa. Una vergogna. E' ora di dire basta, le politiche sociali verso i
rom a Pisa devono cambiare.
Questa l'idea rappresentata in aula dalle consigliere Lampis e Accardo. Mentre Bernardi ha suggerito l'idea di San Marco, in
particolare del capannone della Sardegna Crystal dove i rom potrebbero vivere e
lavorare con le loro attività
24/05/2013 16:11:21
ALGHERO -Ieri si sono riunite, in maniera congiunta, le due commissioni
presiedute da Giampietro Moro e Valdo Di Nolfo per discutere del campo nomadi,
in particolare della sua ubicazione. Presenti anche gli assessori Caula, Riva,
Scanu e Canu che ha illustrato la posizione della Giunta.
Dall'amministrazione, come segnalato più volte in maniera critica
dall'opposizione, non è giunta una proposta chiara e definitiva, anche se però
c'è da dire che dagli interventi dei vari relatori di centrosinistra si è capito
quello che è l'indirizzo del governo cittadino: creare dei mini-campi ubicati a
ridosso dell'area urbana. Questa l'idea rappresentata in aula dalle consigliere
Lampis e Accardo. Mentre Bernardi ha suggerito l'idea di San Marco, in
particolare del capannone della Sardegna Crystal dove i rom potrebbero vivere e
lavorare con le loro attività.
Come detto il centrodestra ha attaccato la maggioranza per l'assenza di una
progettualità chiara e definitiva e soprattutto applicabile anche per i termini
di legge. Intanto si vocifera che tra le varie zone individuate dal
centrosinistra per fare i campi ci sarebbe la vetreria alla Pietraia, l'area
della Scaletta dopo l'ufficio dell'Entrate e Maria Pia. Tutte ipotesi ancora al
vaglio. Intanto lo sgombero è slittato ad ottobre.
Di Fabrizio (del 29/05/2013 @ 09:05:41, in media, visitato 1469 volte)
Dopo l'azione di sistema TRE ERRE (3R) - comunicazione-formazione-istruzione,
la Fondazione romanì Italia avvia l'azione di sistema "ROMA cultural magazine",
un marchio registrato per sviluppare articolate azioni di
informazione/formazione, di promozione/produzione culturale e politica, di
produzione lavoro.
Nei prossimi giorni in dieci città Italiane, presso alcune stazioni della Metro,
piazze e semafori, 13 persone rom distribuiranno il cartaceo di n. 10.000 copie
della rivista ROMA cultural magazine, co-finanziata dal Programma Fundamental
Right and Citizenship dell'Unione Europea (progetto: just/2011/FRAC/AG/2743).
Blitz di protesta del movimento studentesco "Lotta Studentesca" in tre scuole di
Cagliari.
Lunedì 27 maggio 2013 13:20 - Un blitz destinato a far discutere. Durante la
notte, tra domenica e lunedì, alcuni esponenti del movimento "Lotta Studentesca"
(Forza Nuova) hanno chiuso simbolicamente tre scuole medie di Cagliari, la Manno,
il Cima e Pier Luigi da Palestrina. Qui verranno svolti i corsi scolastici per
il conseguimento della licenza media riservati ai rom adulti, finanziati con
20mila euro dal Comune di Cagliari (soldi statali "bloccati" e destinati a
progetti per l'integrazione dei rom): il finanziamento servirà per pagare i
libri e le lezioni speciali per i nomadi. Diecimila euro andranno al “Co.sa.s”,
associazione di volontariato che metterà a disposizione insegnanti di Italiano,
per interventi individualizzati e di sostegno disciplinare, oltre i libri di
testo, materiali didattici e altro. Il Piano di inclusione sociale firmato dal
sindaco e presentato all'assessorato regionale alla Sanità per ottenere un
finanziamento di 695 mila euro in tre anni, ha tre punti fondamentali: case,
formazione professionale, finanziamento di eventuali attività imprenditoriali.
La Regione ha stanziato per il momento 300mila euro.
Le scuole sono state "chiuse" con del nastro bianco e rosso. Poi sono stati
affissi dei volantini: "Stop ai rom. Prima gli studenti cagliaritani". E ancora:
"Scuola gratis? Diventa rom". Messaggi forti che rischiano di arroventare ancora
di più il clima attorno alle popolazioni nomadi presenti in città. "L'iniziativa
sostenuta dall’amministrazione Zedda", attacca il movimento studentesco, "è una
vergogna: gli studenti e le famiglie cagliaritane sono ancora in attesa dei
rimborsi scolastici relativi all’anno 2011; nel mese di dicembre 2012, il Comune
informava gli stessi studenti e le loro famiglie del ritardo del finanziamento
promesso per mancanza di fondi sufficienti. Ora si viene a sapere della
disponibilità di queste risorse. Non vengono però assegnate alle famiglie
cagliaritane: il Comune le usa per finanziare un progetto a tutela di una
minoranza. Quella dei rom appunto. In questo periodo di forte crisi economica
Lotta Studentesca ritiene irresponsabile il modo in cui si governa la città,
perché crea forti tensioni sociali e perché non considera una priorità
salvaguardare il diritto allo studio dei propri ragazzi, che si sostiene anche
attraverso la garanzia di questi rimborsi ad hoc".
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