Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.
L'istruzione, elemento centrale nel progresso del popolo rom
E' notorio per tutti l'importanza fondamentale che ricopre l'istruzione, nello
sviluppo della persona e delle popolazioni.
C'è un ampio consenso tra professionisti e rappresentanti delle diverse comunità
rom, quanto all'importanza fondamentale dell'istruzione rispetto alla crescita
sociale. Allo stesso modo, c'è consenso nell'evidenziare le difficoltà
incontrate per abbordare in modo efficace le situazioni maggiormente
problematiche in questo campo.
"Se dai un pesce a un uomo affamato, lo nutri una giornata. Se gli insegni a
pescare, lo nutrirai per tutta la vita". (Lao-tsé)
Nel caso delle comunità gitane, si continua a constatare un certo disavanzo. L'abandono
prematuro del sistema scolastico, nello specifico durante la transizione tra la
scuola primaria e secondaria, gli alti indici di assenteismo, il limitato
accesso ai nidi e alla scuola materna, o la percentuale bassa di promossi verso
i livelli medi e superiori, sono motivi di preoccupazione per tutti gli
operatori implicati.
Un approccio della situazione della popolazione gitana Navarra, in relazione al
sistema dell'istruzione, rileva l'esistenza di diverse situazioni:
Situazioni di accesso normalizzato al sistema scolare tra i 3 e 16 anni, che
si riscontra in un gruppo che incomincia il suo percorso dal prescolare e
termina la scuola dell'obbligo, benché tuttavia con scarsi casi di promozione ai
livelli superiori.
Situazioni di inserimento nel sistema scolastico, che presentano però problemi
riguardo all'assistenza regolare e la continuità nell'ultima fase
dell'insegnamento dell'obbligo.
Situazioni di gravi esclusioni dal sistema scolare, come la descolarizzazione
di minori durante il percorso relativo alla scuola dell'obbligo (6-16 anni),
l'assenteismo protratto, l'irregolarità nell'assistenza e l'abandono precoce
senza giungere fino alla tappa delle classi secondarie.
La mancanza di accesso ai nidi e alla scuola materna (0-6 anni), comporta
importanti effetti di svantaggio rispetto agli alunni che si sono inseriti già
durante questa tappa. Nonostante l'accesso dei bambini e bambine gitani a questi
livelli si stia incrementando, non può però essere considerata una tendenza
maggioritaria né durante il ciclo pre-scolare (0-3 anni), né tantomeno nel ciclo
della materna (3-6 anni).
"La grandiosità dell'imparare qualcosa, sta nel fatto che nessuno può
togliercelo". (B.B King)
Uno degli obiettivi del
Piano di Assistenza Globale alla Popolazione Rom di
Navarra è quello di aumentare le competenze del corpo insegnante, e
dell'insieme degli operatori che agiscono nell'ambito educativo, con lo scopo di
migliorare l'efficacia degli interventi riguardo agli alunni rom.
Uno dei mezzi contemplati dal Plan è quello di introdurre e diffondere in aula
diverse risorse, mirando a una particolare attenzione nei confronti della
diversità.
Il ministero dell'educazione adatterà e svilupperà insieme all'alunno rom
alcuni sistemi validi che abbiano ottenuto risultati positivi nelle aule
(materiale interculturale, pedagogico ecc ...).
Il ministero dell'educazione includerà nella sua offerta formativa, una
formazione specifica del corpo insegnante in merito alla cultura gitana,
adattamento curriculare e particolare attenzione nei confronti della diversità.
Si realizzeranno azioni di sensibilizzazione insieme alle famiglie rom, con lo
scopo di stimolare la loro implicazione nello sviluppo dell'istruzione dei
propri figli(e)
Si svilupperanno attività scolastica dei genitori, con lo scopo di stimolare
la partecipazione degli stessi alle attività dei vari centri e APYMAS
(associazioni di padri e madri).
"Insegnare ai bambini a contare è buono, però insegnar loro quello che realmente
conta è ancora meglio" (Bob Talbert)
"IO VADO A SCUOLA"/"K-I SKÒLA 3AV"/"ESKOLARA NOA", è una campagna di
sensibilizzazione che pretende di contribuire a ridurre le disugualianze
educative esistenti tra la comunità rom e il resto della società, ciò per mezzo
di questo documentario.
Questo documentario riflette testimonianze di bambini e bambine, adolescenti,
giovani, donne e uomini adulti, ognuno protagonista della propria campagna di
sensibilizzazione. In queste testimonianze loro esprimono le loro opinioni e il
loro vissuto rispetto all'istruzione formale.
Il suo formato audiovisivo e di breve durata permette di farlo giungere a
tutta la popolazione.
Apporta esempi, opinioni, riflessioni, che ci aiuteranno a lavorare su questo
tema.
E' stato progettato ed elaborato dalla comunità rom.
Solo colui che sa è libero, è maggiormente libero colui che sa di più...
Solo la cultura dona libertà...
Non proclamare la libertà di volare, piuttosto dona delle ali; né quella di
pensare, piuttosto dona pensieri.
La liberà dei popoli è la cultura.
(Miguel de Unamuno)
Milioni di Rom in tutta Europa sperimentano pregiudizi, esclusioni,
sgomberi forzati, segregazione a scuola, mancanza di accessi ai servizi pubblici
e odio che può portare alla violenza. Come comportarsi con la discriminazione
giornaliera che ancora continua? Cosa li spinge a sperare che il futuro sia
migliore? Ecco quattro attivisti romanì che parlano della loro lotta per
i diritti umani, i diritti dei loro figli e delle loro comunità.
Lotta contro la segregazione nell'istruzione: "Ci avete dato la
forza"
Peter e Marcela vivono a Levocha, in Slovacchia. Grazie ad Amnesty
International, hanno recentemente ottenuto che i loro figli non fossero più
segrgati in classi epr soli Rom, anche se questa pratica continua tuttora.
Peter: Mi sento Slovacco, ma sono Rom. Non mi piace essere
etichettato come Rom o zingaro. Appartengo a questa società, come i miei figli.
Il loro fututo sarà migliore. Frequentano classi miste - hanno più opportunità
ed hanno un approccio differente alla scuola. Spero che ci sia un cambiamento.
Le classi separate vanno abolite. E' giusto che la gente lo sappia - se non se
ne parla, non cambierà o non si risolverà niente. Quindi, è stato un bene di
sicuro operare con Amnesty, perché a Levocha e altrove le cose ora sono
cambiate.
Marcela: Mi sono battuta non solo per i miei figli, ma per
tutti i bambini. Sarei così felice se il Ministero dell'Istruzione abolisse
tutte le scuole e le classi separate. E vorrei che si battessero anche gli altri
genitori, come abbiamo fatto io e mio marito. Lavorare con Amnesty International
mi ha dato tanta forza ed energia. Se voi non foste stati con noi, non avrei
saputo da dove partire. Per me è stata una grande esperienza. Avete dato la
forza per andare avanti con la nostra lotta.
Combattere gli sgomberi forzati: "Non posso arrendermi"
Claudia Greta e la sua comunità sono state allontanate a forza da Cluj-Napoca,
in Romania, a dicembre 2010 e risistemati alla periferia della città, accanto
alla discarica municipale. La storia fu descritta nella nostra pubblicazione Write for Rights
del 2012. Claudia e gli altri attivisti ora stanno conducendo una campagna con
Amnesty International per essere nuovamente riportati in città e con un adeguato
alloggio.
Il giorno dello sgombero mi ha segnata per il resto della vita. Da allora ci
siamo battuti per mostrare che dovremmo avere gli stessi diritti legali di
tutti. Voglio mostrare al mondo intero che non ci arrenderemo, anche se abbiamo
la pelle di colore più scuro. Non importa - siamo tutti umani. Non voglio che i
nostri bambini passino l'infanzia in un inferno.
Voglio che la gente veda che siamo persone normali: mandiamo i bambini a
scuola, andiamo a lavoro, i nostri bambini vanno all'asilo. Facciamo cose
normali come qualsiasi etnia. Siamo esseri umani.
Andare a Varsavia con Amnesty International ha avuto su di me un grande
impatto. Un bambino di 10 anni mi ha mostrato la lettera che aveva scritto per
noi, e mi ha toccato profondamente. Ora sentiamo che non siamo soli. Ogni
lettera mostra che altri lottano accanto a noi. Quando vedo così tante lettere
di incoraggiamento, non posso arrendermi. Neanche la morte mi fermerà. Qualcuno
prenderà il mio posto e continuerà.
Quando la Romania ha aderito all'Unione Europea, erano inclusi Rom e
Ungheresi, Ebrei e tutti gli altri gruppi etnici che vivono qui. Quindi, anche
noi siamo parte dell'Unione Europea. Se la UE vedesse discriminazioni nel nostro
paese, allora dovrebbe intervenire.
Rita Izsak, è una romnì dell'Ungheria. Ora è consulente indipendente ONU
sulle questioni delle minoranze.
Il cognome di mia madre era Orsos, che è tradizionale tra i Rom. Per tutta la
vita, quando ho dovuto indicare nei documenti ufficiali il suo cognome, è stato
chiaro che appartenevo al gruppo rom.
Quando ero studentessa, lavoravo part-time come organizzatrice d'eventi e fui
licenziata senza ragione. Sentii che il mio capo aveva scoperto che mia madre
era rom, e non poteva permettersi che la compagnia fosse rappresentata da una
Romnì. Non importava che studiassi legge, che parlassi fluentemente due lingue,
che fossi pulita e gentile; l'unica cosa importante è che mia madre avesse
origine rom.
Mi arrabbiai ed entrai nell'European Roma Rights Centre. Divenni un'attivista
per i diritti dei Rom. Ero stata messa di fronte ad una terribile verità e ciò
fece di me una combattente.
Vedo segnali positivi - per esempio, la mia organizzazione in Ungheria ha
appena fondato un club femminile rom, dove incontro dozzine di Romnià molto
promettenti, giovani, altamente istruite e di talento che lavorano per la loro
comunità.
Penso che ciò che manca davvero è un linguaggio chiaro su cosa sta
succedendo. Non ci sono abbastanza discussioni franche, che permettano alle
persone di digerire cosa sta succedendo. I politici spesso hanno troppa paura
per usare parole come "segregazione" o "violenza" o "omicidi di Rom". C'è
silenzio.
Nell'Europa occidentale l'odio e i discorsi che incitano al razzismo sono in
aumento, non solo contro i Rom, ma anche contro altri gruppi come gli ebrei e i
musulmani. Ma i Rom si distinguono perché siamo il bersaglio in quasi tutti i
paesi dove viviamo. La grande difficoltà è che manchiamo di potere politico,
economico o nei media.Così è importante trovare piattaforme per mostrare
solidarietà. C'è sempre un modo per entrare in contatto con queste comunità.
Dobbiamo agire ora per evitare la perdita di un'altra generazione di Rom, le
cui uniche aspettative siano vivere in povertà, discriminati ed esclusi.
ACT NOW
Il 4 aprile, Amnesty International lancia una nuova campagna in tutta Europa per
fermare la discriminazione contro il popolo romanì. Unitevi alla campagna!
Visitate amnesty.org/roma
Di Fabrizio (del 03/04/2013 @ 09:09:27, in Europa, visitato 1220 volte)
Da Roma_Francais (Augurandovi di essere usciti tutti interi dalla
scorsa settimana santa, ho beccato un articoletto a tema)
I Rom sono pericolosi alla salute dei morti - 29 marzo
2013 par
Philippe Alain
Il sindaco di Villeurbanne è quello che si dice un socialista disinibito.
La scorsa estate aveva firmato su Le Monde una piattaforma a sostegno della
politica razzista del governo e chiedendo lo smantellamento mirato degli
accampamenti rom. Per lui, l'importante non è la rosa, non è nemmeno
l'accampamento, ma proprio il campo rom.
Fine agosto: assegna quindi al tribunale un centinaio di persone che avevano
trovato rifugio in fondo ad un parco naturale. Allora, per giustificare la
domanda d'espulsione, il sindaco precisava che i Rom minacciavano... le specie
protette.
La richiesta in effetti precisa: "Il parco naturale della Feyssine ospita
delle specie protette la cui protezione può essere minacciata da questo tipo di
occupazione."
In Francia è più importante proteggere gli animali che i bambini rom.
Il giudice ordina l'espulsione immediata e le famiglie si spostano su altri
due terreni, sempre a Villeurbanne, tanto per dimostrare l'assurdità di questa
politica che sposta senza risolvere assolutamente niente.
Ancora, i due terreni sono oggetto di una procedura d'espulsione, lanciata a
fine agosto 2012.
Durante tutti i 6 mesi in cui sono occupati dalle famiglie, nessuno di questi
terreni è fatto oggetto dell'applicazione della
circolare interministeriale del 28 agosto, inviata a tutti i prefetti.
E' la circolare che prevede la messa in opera, prima dell'espulsione, di una
diagnosi e sostegno alle famiglie.
Probabilmente, il prefetto di Lione non riceve le circolari
interministeriali. O forse non le legge, troppo occupato, senza dubbio, ad
affrontare la questione degli
elefanti da sottoporre ad eutanasia, che si trascina da mesi.
Per giustificare la sua domanda d'espulsione, il sindaco di Villeurbanne, in
mancanza di specie animali da proteggere trova un nuovo argomento: "Questa
occupazione, se dovesse prolungarsi, porrebbe immancabilmente gravi problemi
d'igiene tanto per gli occupanti che per gli abitanti attorno."
Bon, mi direte, è un classico, è l'argomento abituale... Salvo che... I
vicini delle famiglie installate sul terreno di Villeurbanne non sono dei vicini
così comuni. Sono morti.
Eh sì, morti e sepolti. Cacciate da tutte le parti, minacciati dai vicini che
a volte bruciano le loro baracche, queste famiglie si sono installate a lato di
un cimitero. Pensando, senza ombra di dubbio, che almeno qui non rischiano di
svegliare i vicini facendo troppo rumore.
Invece no. Il sindaco di Villeurbanne ritiene che i Rom, dopo aver minacciato
specie protette, minaccino l'igiene delle persone sepolte. Forte, vero?
In Francia l'igiene dei morti è più importante di quella dei bambini rom.
Ieri, 28 marzo 2013, sotto una pioggia gelata, il prefetto del Rodano, a
seguito della richiesta del sindaco di Villeurbanne, ha dunque provveduto
all'espulsione di 80 persone, la metà delle quali sono bambini. Tutto è successo
molto in fretta. La polizia è arrivata con i bulldozer che hanno spaccato tutto.
Gettate sul marciapiede, le famiglie si sono fermate per un momento a guardare
la Francia distruggere tutto ciò che possedevano, cioè: poca roba.
La sera stessa, alla televisione, François Hollande, dall'alto del suo 29% di
popolarità, ci spiegava che rinunciava al socialismo. L'avevamo capito, grazie.
L'associazione Sucar Drom, insieme alla
Federazione Rom e Sinti Insieme,
invita tutti alla manifestazione con corteo "IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER
TUTTI" per riaffermare il diritto alla casa per i Cittadini italiani,
appartenenti alle minoranze linguistiche sinte.
Partecipa anche tu per manifestare contro le discriminazioni istituzionali che
colpiscono i sinti sull'abitare. I singoli e le associazioni possono aderire
alla manifestazione scrivendo a
info@sucardrom.eu
Nel mese di febbraio 2012 il Governo italiano ha adottato il documento
"Strategia d'inclusione dei rom,dei sinti e dei camminanti" in ottemperanza alla
Comunicazione n.173/2011 della Commissione europea. Nel documento si chiede
esplicitamente alle Amministrazioni comunali di regolarizzare le abitazioni
(roulotte) delle famiglie sinte nelle aree agricole (pagina 85). Questa
richiesta è motivata dal fatto che le famiglie a partire dagli Anni Ottanta
hanno acquistato piccole proprietà con l'obiettivo di non entrare od uscire
dalle logiche ghettizzanti e assistenzialistiche proprie dei cosiddetti "campi
nomadi", in particolare nel Nord Italia. Le piccole proprietà sono state
acqusitate agricole per due motivi:
1) la legge permetteva di posizionare le strutture mobili sulle aree agricole,
2) la limitata capacità economica delle famiglie.
Dal 2005 il posizionamento di strutture mobili su terreni agricoli è diventato
illegale, ma nessuna norma è stata predisposta per regolarizzare le piccole
proprietà abitate dalle famiglie da decenni. Il Comune di Mantova colpevolmente
non ha attuato nessuna azione per ricercare delle soluzioni e tutte le proposte
presentate dall'associazione Sucar Drom in questi anni sono state rifiutate.
Nel mese di maggio 2012 sono stati presentati i dati dell'indagine "The
situation of Roma in 11 Ue Member States" che ha coinvolto 11 Paesi membri
dell'UE, tra cui l'Italia e Mantova ed è stata curata dell'Agenzia dell'UE per i
diritti fondamentali (FRA) e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite
(UNDP). In Italia e a Mantova l'indagine è stata coordinata da Sucar Drom, dalla
Federazione Rom e Sinti Insieme, da Demaskopea e ha coinvolto decine di giovani
e meno giovani sinti e rom come rilevatori. La relazione finale si basa su due
indagini che analizzano la situazione socioeconomica di rom e sinti e dei loro
concittadini abitanti nelle stesse zone, in undici Stati membri dell’Unione
europea e in paesi europei limitrofi. Secondo la relazione molti rom e sinti
continuano a essere oggetto di discriminazione ed esclusione sociale in tutta
l’Unione europea. In media, la situazione dei rom e dei sinti è peggiore di
quella dei loro concittadini che vivono nelle strette vicinanze. Secondo la
relazione, negli undici Stati membri dell’UE considerati, che ospitano la
stragrande maggioranza dei cittadini rom e sinti dell’Unione europea, la
situazione scolastica, occupazionale, abitativa e sanitaria dei rom e dei sinti
è in media peggiore di quella degli altri abitanti nelle stesse zone. Inoltre,
rom e sinti continuano a subire discriminazioni e non hanno una conoscenza
sufficiente dei diritti garantiti dalla legislazione dell’Unione europea.
Il 26 marzo 2013 con un'azione spettacolare il Comune di Mantova, insieme alla
procura di Mantova, ha posto sotto sequestro le piccole proprietà dove vivono
tante famiglie sinte a Mantova. Noi diciamo no a questo scempio e alla
criminalizzazione di intere famiglie.
Di Fabrizio (del 05/04/2013 @ 09:05:12, in Europa, visitato 1967 volte)
Foto di Fulvia Vitale -
LE PERSONE e la DIGNITA' di Riccardo Noury "Riguarda l'Europa. Riguarda te".Questo è lo slogan
ufficiale del 2013, Anno europeo dei cittadini.
Circa la metà dei 10-12 milioni di rom che vivono in Europa si trova nei paesi
dell'Ue.
Otto famiglie rom su 10 sono arischio povertà. Solo
un rom su sette ha terminato le scuole di secondo grado. A livello dei singoli stati membri, le
comunità rom si collocano al di sotto di quasi tutti gliindici di sviluppo sui
diritti umani.
Lo dice il fatto che a distanza di oltre un decennio dall'adozione della
Direttiva sull'uguaglianza razziale del 2000 e di quattro anni dall'entrata in
vigore della
Carta dei diritti fondamentali, mai una volta la Commissione
europea ha ritenuto di dover avviare qualche azione a sostegno dei diritti dei
rom.
Che l'Europa non riguardi i rom, lo pensano anche alcuni cittadini degli stati
membri.
In un
sondaggio effettuato nel 2012, il 34 per cento degli europei riteneva che
i cittadini dei loro paesi si sarebbero sentiti a disagio, e il 28 per cento
"mediamente a loro agio" se i loro bambini avessero avuto dei rom come compagni
di classe.
In Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, dal gennaio 2008 al luglio
2012, vi sono stati oltre 120 attacchi gravi contro i rom e le loro proprietà,
tra cui sparatorie, accoltellamenti e lanci di bombe Molotov.
Gli sgomberi forzati continuano a costituire la regola, e non l'eccezione in
molti paesi europei, tra cui Francia, Italia e Romania. L'istruzione è segregata
in Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia, in contrasto con le leggi nazionali ed
europee che proibiscono la discriminazione razziale.
Ecco la situazione, nel dettaglio, in alcuni paesi:
In Bulgaria si stima che i rom siano 750.000, il 9,94 per cento della
popolazione. Più del 70 per cento dei rom dei centri urbani vive in quartieri
segregati. In 14
attacchi contro persone rom e/o loro proprietà, portati a segno
tra settembre 2011 e luglio 2012, sono morte almeno tre persone e altre 22, tra
cui una donna incinta e due minori, sono rimaste ferite.
I circa 200.000 rom presenti nella Repubblica Ceca costituiscono l'1,9 per cento
della popolazione. Più o meno un terzo (dalle 60.000 alle 80.000 persone) vive
in 330 insediamenti per soli rom, all'interno dei quali la disoccupazione è
superiore al 90 per cento. I bambini e le bambine rom costituiscono il 32 per
cento del totale di coloro che sono assegnati a
scuole per "alunni con lieve
disabilità mentale" e che seguono programmi scolastici ridotti. Nel corso degli
attacchi violenti verificatisi tra il gennaio 2008 e il luglio 2012 sono stati
uccisi almeno cinque rom e almeno 22, tra cui tre minorenni, sono rimasti
feriti.
In Francia vivono circa 500.000 traveller, molti dei quali cittadini francesi.
Vi sono poi altri 15.000 - 20.000 rom provenienti da Bulgaria e Romania. I
migranti rom dei campi e degli insediamenti informali sono oggetto di
sgomberi
forzati e di espulsione verso i paesi d'origine. Nel 2012 sono stati eseguiti
11.803 sgomberi, l'80 per cento dei quali aventi caratteristiche di sgombero
forzato. Ieri, ce n'è stato
un altro, che ha coinvolto oltre 200 persone. Solo
il 10 per cento dei rom ha completato gli studi secondari.
Dei circa 750.000 rom residenti in Ungheria, il 7,49 per cento della
popolazione, solo il 20 per cento ha un'istruzione superiore al primo grado,
rispetto alla media nazionale del 67 per cento. Solo lo 0,3 per cento ha
conseguito un diploma universitario. Tra gennaio 2008 e settembre 2012, vi sono
stati 61
episodi di violenza contro i rom e le loro proprietà, che hanno causato
la morte di nove persone, tra cui due minorenni, e decine di feriti, 10 dei
quali in modo grave.
I circa
150.000 rom, sinti e caminanti presenti in
Italia costituiscono lo 0,25
per cento della popolazione del paese. Le comunità rom comprendono persone
provenienti da altri paesi dell'Ue (soprattutto la Romania) e dai paesi dell'ex
Jugoslavia, un numero imprecisato di apolidi e circa un 50 per cento di
cittadini italiani. Solo il 3 per cento è costituito da gruppi itineranti. Oltre
un quarto dei rom presenti in Italia, circa 40.000 persone, vive in campi,
informali o autorizzati ma comunque a rischio di sgombero forzato. Negli ultimi
sei anni, a Roma e a Milano, ne sono stati eseguiti oltre 1000, quasi uno al
giorno e nella stragrande maggioranza dei casi si è trattato di sgomberi
forzati. Il 51 per cento della popolazione italiana ritiene che la società non
trarrebbe beneficio dalla migliore integrazione dei rom.
In Romania si stima vivano 1.850.000 rom, l'8,63 per cento della popolazione.
Circa l'80 per cento dei rom vive in povertà e quasi il 60 per cento risiede in
comunità segregate e senza accesso ai servizi pubblici essenziali. Il 23 per
cento delle famiglie rom (su una media nazionale del 2 per cento) subisce
multiple privazioni relative all'alloggio, tra cui il mancato accesso a fonti
d'acqua potabile e a servizi igienico-sanitari così come l'assenza di titoli
comprovanti la proprietà dei loro alloggi.
I circa 490.000 rom presenti in Slovacchia costituiscono il 9,02 per cento della
popolazione. Un terzo dei bambini e delle bambine rom, il 36 per cento, si trova
in
classi segregate per soli rom, il 12 per cento è assegnato a scuole speciali.
Nello spazio di una generazione, il numero degli alunni rom assegnati alle
scuole speciali è più o meno raddoppiato. Tra il gennaio 2008 e il luglio 2012
vi sono stati 16
attacchi contro i rom o le loro proprietà: cinque rom sono
stati uccisi e altri 10 feriti.
In Slovenia i rom sono circa 8500 e costituiscono lo 0,41 per cento della
popolazione. A differenza della percentuale nazionale che arriva quasi al 100
per cento, i rom che vivono nel 20-30 per cento degli insediamenti nel sud-est
del paese sono privi di accesso all'acqua. Mentre i litri d'acqua per uso
personale sono in media 150 al giorno (con punte del doppio nei centri urbani),
alcune famiglie rom hanno accesso solo a 10 - 20 litri d'acqua a persona.
Sul sito di Amnesty International Italia, è online da stamattina
un appello
indirizzato alla Commissaria europea per la giustizia, i diritti fondamentali e
la cittadinanza, Viviane Reding, per chiederle di porre fine alla
discriminazione nei confronti dei rom nell'Ue.
Nei prossimi giorni si svolgeranno numerose iniziative, organizzate sia da
Amnesty International che dall'Associazione 21 luglio, in
Italia e in
Europa.
Il Consiglio direttivo dell'associazione Sucar Drom, ieri e questa mattina,
ha avuto dei contatti informali con il Sindaco del Comune di Mantova, Nicola
Sodano. I colloqui avvenuti con una delegazione del Consiglio direttivo hanno
aperto un confronto che riteniamo serio e costruttivo, capace di superare
l'attuale grave momento, maturato dopo il blitz del 26 marzo 2013 che ha
coinvolto alcune famiglie mantovane, appartenenti alla minoranza linguistica
sinta.
Il Consiglio direttivo ribadisce le azioni legali già preannunciate contro le
modalità del blitz e contro il Consigliere comunale Luca De Marchi. Inoltre, si
preannuncia che sarà organizzata per venerdì 12 aprile 2013 un'assemblea
pubblica a cui si chiederà al Sindaco di Mantova, a tutte le forze politiche e a
tutta la Società civile di partecipare, in cui verranno spiegate le
problematiche abitative vissute dalle famiglie mantovane, appartenenti alla
minoranza linguistica sinta.
Altresì il Consiglio direttivo ritiene di accogliere l'invito del Sindaco di
Mantova ad un incontro istituzionale e pubblico il giorno mercoledì 10 aprile
2013, presso la sede comunale di via Roma. Di conseguenza, sentita anche la
Federazione Rom Sinti Insieme, viene revocata la manifestazione "IA CHER PAR
KROLL - UNA CASA PER TUTTI".
Il Consiglio direttivo, congiuntamente all'intera Comunità Sinta Mantovana,
chiede che venga al più presto riattivato il Tavolo Abitare, convocato dal
Comune di Mantova, all'interno della Strategia locale "Men Sinti". Inoltre, il
Consiglio direttivo auspica che tutti i componenti della Strategia "Men Sinti"
si adoperino per trovare nel più breve tempo possibile soluzioni partecipate e
condivise per le problematiche presenti.
Il Consiglio direttivo ringrazia tutte le persone, le associazioni e le forze
politiche che in questi giorni hanno voluto essere vicine alla Comunità Sinta
Mantovana.
Di Fabrizio (del 07/04/2013 @ 09:01:36, in conflitti, visitato 2063 volte)
Voice of AmericaI Dom: rifugiati invisibili dalla Siria - Cecily Hilleary -
March 22, 2013
Una famiglia dom si accampa, Turchia meridionale
Oltre 70.000 persone sono state uccise e centinaia di migliaia lasciate senza
casa dalla guerra civile in Siria, che sta spargendo miseria tra tutti i gruppi
etnici e religiosi della nazione.
Ma c'è una minoranza etnica che ha subito oltre la propria quota di
sofferenza - sia durante i combattimenti odierni e nei secoli precedenti - e
pochi fuori dalla Siria ne conoscono qualcosa. Il gruppo è quello dei Dom ed è
presente in Siria da prima dell'impero ottomano.
Spesso etichettati col peggiorativo "zingari", i Dom prendono il nome dalla
loro lingua, il domari, che significa "uomo". Si sono aggiunti all'esodo di
cristiani, musulmani ed altri Siriani, rifugiatisi in Giordania, Libano, Turchia
e altrove. Ma dovunque vadano, si trovano di fronte ad un benvenuto men che
tiepido. Come ci ha detto una fonte: "Sono le persone più disprezzate del Medio
Oriente."
Chi sono i Dom?
Complicati ed incompresi, i Dom sono presenti in Medio Oriente da almeno un
migliaio di anni. La maggior parte delle informazioni su di loro proviene dalla
lingua stessa, il domari, una variazione dell'hindi. E' simile al romanì, la
lingua dei Rom europei, il che suggerisce una comune radice indiana.
Sia il romanì che il domari sono disseminati di imprestiti da altre lingue,
riflesso di una storia di migrazione dall'Iran e altrove. A parte questo, si sa
poco della loro origine - o manca l'accordo tra gli studiosi.
Durante il periodo ottomano, i Dom si spostarono liberamente in tutto il
Medio Oriente come nomadi "legati al commercio", fornendo servizi alle comunità
ovunque si insediassero. La caduta dell'impero ottomano in seguito alla I guerra
mondiale, portò alla formazione degli stati nazionali con confini propri, cosa
che limitò notevolmente i movimenti dei Dom.
In Siria, e altrove nella regione, vengono chiamati Nawar - probabilmente una
parola derivata da "fuoco", riferita al loro lavoro tradizionale come fabbri
ferrai. Ma negli anni la parola "Nawar" si è evoluta in peggiorativo, finendo
coll'indicare una persona
ignorante e incivile.
I Dom si differenziano anche in base alla regione abitata o al lavoro svolto.
Ad Aleppo e Idlib, sono chiamati Qurbat e lavorano come fabbri o
dentisti non diplomati. I cosiddetti Riyass vivono a Homs e Hama,
dove vendono manufatti o come intrattenitori alle feste. Alcune donne, chiamate
Hajiyat, danzano nei
night
di Damasco, mendicano o predicono il futuro.
I numeri
"La popolazione ufficiale dom potrebbe essere superiore alle stime,
perché molti di loro si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni."
Kemal Vural Tarlan
E' quasi impossibile stimare la popolazione dom in Siria, in quanto spesso
nascondono la loro identità per paura di essere stigmatizzati. Secondo
International’s Ethnologue
sarebbero 37.000 i Dom siriani che parlano il domari, assieme all'arabo. Ma per
il giornale siriano Kassioun nel 2010 forniva il doppio di quel numero.
Kemal Vural Tarlan
è un fotografo, documentarista, scrittore e attivista che si focalizza, dice, su
quanti vivono ai margini della società, principalmente Dom e Rom. E' anche
autore del sito
Middle East Gypsies.
Dice che i Dom sono visti come estranei e intrusi, perciò sono quasi
universalmente discriminati, Quindi spesso nascondono la loro origine etnica,
attraverso ciò che chiamano la capacità dell'invisibilità,
che li aiuta a spostarsi dentro e fuori le comunità.
La popolazione dom ufficiale potrebbe essere di parecchio superiore alle stime,
perché molti Dom si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni," dice Tarlan.
Qualunque sia il loro numero, ne vivono in Siria più che da qualsiasi altra
parte del Medio Oriente.
Fotogalleria
Dom rifugiati in Turchia
La Turchia è stata la patria degli "zingari" sin dall'epoca
bizantina, e nel 2005 l'ACNUR
stimava la popolazione Rom-Dom in 500.000. Kemal Tarlan ha passato diverso
tempo nelle ultime settimane sul confine, per documentare l'afflusso dei Dom
dalla Siria. I Dom si sono insediati nelle città della Turchia meridionale di Kilis, Gazientep and
Shanliurfa.
"Inizialmente hanno potuto registrarsi nei campi profughi ufficiali," dice, "ma
ora non è più possibile, perché sono pieni."
Alcuni Dom sono andati ad abitare con el famiglie in città. Quelli che non hanno
un posto dove andare, vivono in tenda come nomadi. Tarlan dice che ricevono poca
assistenza dal governo, così mendicano per sopravvivere o cercano lavoro nei
campi.
"Ma la maggior parte è disoccupata," dice, e questo ha portato a tensioni
locali. Recentemente, dopo che i cittadini di Shanliurfa hanno iniziato a
lamentarsi dell'aumento dei piccoli furti, le autorità hanno
smantellato e dato alle fiamme un'improvvisata tendopoli. I mezzi di
comunicazione si riferivano a loro come "i Siriani". Ma Tarlan dice che la
maggior parte erano Dom.
Nel Libano
"Vivono tutti in condizioni disastrose. Non trovano lavoro, eccetto che nel
riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che
sopravvivere."
Catherine Mourtada, Tahaddi
Con Beirut a sole 65 miglie di distanza, molti Dom da Damasco sono scappati in
Libano. Catherine Mourtada è cofondatrice di
Tahaddi (Sfida) una OnG
che offre assistenza ai diseredati di Beirut, tra cui ci sono molti Dom.
"Sono esclusi dal normale sistema scolastico, anche perché non soddisfano i
criteri di ammissione o perché le scuole pubbliche sono piene. Così, vengono da
noi," dice Mourtada.
Mourtada ha visto crescere il numero dei Dom provenienti dalla Siria, che
cercano di rimanere presso i loro parenti libanesi.
"Sono già molto poveri, e ora devono accogliere altri membri della loro famiglia
molto poveri, che arrivano dalla Siria, quindi per loro è molto dura. Vivono
tutti in condizioni terribili," dice. "Non trovano lavoro, eccetto che
nel riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che
sopravvivere."
In alcuni casi, i Dom di Beirut sono costretti a mandare via i loro parenti
siriani. "Così devono trovare da qualche parte una stanza in affitto. Sono
fortunati se riescono a trovare un bagno o acqua corrente," continua Mourtada.
Dato che in Libano non ci sono campi profughi ufficiali, come invece in
Giordania o in Turchia, Mourtada dice che i Dom hanno iniziato ad insediarsi in
tendopoli nella valle della Bekaa.
In Giordania
Nel 1999, Amoun Sleem fondò la
Domari Society,
un centro culturale ed educativo nel quartiere di Shu'fat a Gerusalemme Est. Dom
lei stessa, racconta di aver sperimentato sulla propria pelle la
discriminazione, la marginalizzazione culturale e la povertà che per molti Dom
sono il risultato dell'analfabetismo.
Dice: "Ogni volta che un disastro colpisce il Medio Oriente, nessuno si da
pensiero di quale sarà l'impatto sui Dom."
Sleem aggiunge di aver ricevuto notizie su molti Dom rifugiati che vivono nel
campo di Zaatari o nelle sue vicinanze, a Mafraq, in Giordania. Sta tentando di
ottenere un permesso per visitare il campo, ma per questo sta incontrando
diverse difficoltà. Nel contempo, sta cercando di incoraggiare le famiglie Dom
giordane ad ospitare i rifugiati.
"Non è molto facile," dice, "ma se accadesse, sarebbe davvero una cosa molto
buona."
Di Fabrizio (del 08/04/2013 @ 09:03:34, in Italia, visitato 1665 volte)
Intervista a Dolores Barbetta - Laura Eduati,
L'Huffington Post | Pubblicato: 07/04/2013 13:04 CEST
Al liceo i compagni di classe si stupivano che non portasse le gonne lunghe
delle zingare e che vivesse in una casa con quattro mura e un bagno. D'altronde
suo padre, operaio Fiat a Melfi, quando era piccola le ripeteva che avrebbe
sempre incontrato persone ottuse e ignoranti. Glielo diceva in romanés, la
lingua dei rom, la stessa con la quale ora Dolores Barbetta si rivolge alle
nomadi che chiedono l'elemosina in metropolitana: lontane anni luce dalla sua
esperienza di vita ma vicine nella tradizione culturale.
"Non sono mai entrata in un campo rom", confessa questa ragazza di 27 anni,
laureata in lettere e residente a Roma, che lunedì varcherà il portone di
Montecitorio per incontrare la presidente Laura Boldrini in occasione della
Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. Con lei un gruppo di ragazzi rom
dell'Associazione 21 luglio: una vittima degli sgomberi forzati, uno studente di
Milano, una madre residente in un campo rom romano e un apolide. Dolores dice
che in quel momento, mentre entrerà alla Camera, si sentirà "una mosca bianca":
"So che la mia vita, la mia realtà, le mie giornate sono completamente diverse e
molto più fortunate della stragrande maggioranza dei rom che vivono in Italia".
Dolores sta frequentando un corso di ripresa e montaggio: vorrebbe girare presto docu-film. Legge con passione i romanzi di Irène Némirovski e Haruki Murakami.
Come moltissimi suoi coetanei, teme di dovere fare le valigie e andare
all'estero per trovare un lavoro. E sulla crisi politica dice: "Grillo era una
grande speranza e invece sta facendo il despota".
Cosa dirà a Laura Boldrini?
Dirò che i rom hanno bisogno di integrazione e gli apolidi, nati in Italia da
profughi della ex Jugoslavia, hanno bisogno della cittadinanza italiana. I
bambini che vivono segregati in questi ghetti vengono portati a scuola da
autobus con una R sulla fiancata, vivono molto lontani dai centri abitati e non
possono giocare e fare i compiti con i loro compagni
come succedeva a me, a
Melfi.
A Melfi esiste una nutrita comunità rom. La sua famiglia ha subito
discriminazioni?
I rom vivono a Melfi dal 1600. Viviamo tutti negli appartamenti, siamo italiani
e abbiamo naturalmente la cittadinanza. Eppure i gagé (i non-rom, ndr) ancora
oggi ci guardano con diffidenza. Per esempio i miei nonni materni non volevano
che mia madre sposasse "uno zingaro" ma poi il matrimonio si è celebrato
ugualmente. E quando si gioca a calcio e arriva una squadra da un'altra città
allora partono i cori dei tifosi contro gli zingari. Da piccola mi vergognavo di
essere rom ma poco a poco ho capito che questa è la mia cultura di appartenenza
e ne sono orgogliosa: i miei bisnonni erano realmente nomadi e giravano la
Puglia in carovana, mio nonno lavorava con i cavalli, le mie zie hanno molti
figli, una addirittura 13. Io invece sono figlia unica. Ma sogno di avere almeno
tre o quattro bambini. Per noi la famiglia è importante, un rifugio che ripara
anche dalla diffidenza ma che può ostacolare l'integrazione.
Fatica a dire che è rom agli estranei?
No. Lo dico con orgoglio, non mi nascondo. Per fortuna ho amici che mi vogliono
bene e raramente ho incontrato persone razziste. L'episodio che mi ha fatto
soffrire maggiormente è capitato a quattordici anni, quando un ragazzino che si
era invaghito mi scrisse un messaggio per invitarmi a uscire. Gli risposi che
non mi andava, e allora si sfogò: "Sei solo una brutta zingara, perché te la
tiri tanto?". I miei genitori mi hanno sempre parlato delle discriminazioni che
avrei potuto subire.
Perché non ha mai visitato un campo rom?
Lo farò presto. Sto frequentando un corso di montaggio e regia, la mia passione,
ma potrei cominciare a lavorare come mediatrice culturale perché conosco il
romanés. E quando incontro una nomade che chiede l'elemosina non riesco a
sopprimere la mia curiosità, mi avvicino e comincio a parlare con lei per
sentire parlare la nostra lingua. È il legame che unisce le comunità rom,
un'eredità che non riuscirò a trasmettere ai miei figli: la capisco bene ma la
parlo male. E non c'è modo di recuperarla, perché è una lingua non scritta, non
esiste una grammatica.
Come si sente quando i rom vengono definiti ladri e criminali?
È una strumentalizzazione politica. Lo so che i rom non sono tutti santi, ma è
come se dicessimo che tutti gli ebrei sono ricchi. Penso che se i rom finalmente
potessero vivere nelle case, se gli italiani capissero che un rom può laurearsi
e vestirsi come tutti gli altri, allora le cose cambierebbero.
Vive a Roma da molti anni, sarà per sempre?
Roma è una grande città del Sud, una mamma che ti vizia troppo e ti culla.
Questo mi fa felice. Ma è anche una città immobile, i romani stanno sempre in
macchina, pigri e arrabbiati. Potrei andare a vivere a Milano oppure a Berlino.
Se non troverò un lavoro dovrò andarmene, come tanti. Ho votato a sinistra e
pensavo che Grillo fosse una speranza ma si sta rivelando un despota. L'Italia
ha bisogno di cambiare in fretta.
(Claudio Stasolla, il presidente dell'associazione 21 luglio che ha
organizzato l'incontro dei rom con Laura Boldrini, suggerisce a giornalisti e
lettori di sostituire durante la lettura dell'articolo la parola "ebreo" alla
parola "rom". Soltanto così, dice, è possibile comprendere l'abisso di
discriminazione subita dai cosiddetti nomadi).
Nel più grande campo profughi dei Balcani, i rom fuggiti dalla guerra del Kosovo
hanno passato mesi in container di metallo senza elettricità, dopo che le
baracche in cui vivevano erano andate a fuoco. (Questo articolo è stato originariamente pubblicato da
Balkan Insight il 13
marzo 2013, col titolo
Montenegro's Container Camp Refugees Survive Winter
Freeze)
Le file di scatole bianche di metallo sono l'unico segno di ordine in mezzo al
caos del campo di Konik, impantanato nel buio del tardo pomeriggio nonostante il
clamore dei bambini che giocano e la musica proveniente dai container i cui
abitanti sono riusciti a 'prendere in prestito' elettricità dalle case vicine.
Siamo nel più grande campo profughi dei Balcani, situato alla periferia della
capitale montenegrina, dove vivono 1.500 profughi rom che hanno lasciato il
Kosovo durante il conflitto fra le guerriglie albanesi e le forze del governo
serbo nel 1999.
Valjdet Ramaj è uno degli abitanti del campo. La sua famiglia viveva in una fra
le tante fatiscenti baracche di legno disposte su un terreno abbandonato coperto
di spazzatura, ma è stata trasferita in una tenda quando la maggior parte di
queste strutture sono bruciate nell'incendio che ha devastato il campo a luglio
dell'anno scorso. Nel mese di novembre 2012, il governo montenegrino ha fornito
oltre 200 container da utilizzare come abitazioni temporanee, promettendo che
l'elettricità sarebbe stata installata. Ma, all'inizio dell'inverno,
l'elettricità non è arrivata.
"Le capanne erano migliori, più calde", ha dichiarato Ramaj a BIRN, affermando
che vivere in un container è "quasi come vivere in un congelatore".
Diverse decine di persone hanno protestato davanti alla sede della delegazione
UE a Podgorica nel mese di gennaio, chiedendo l'installazione dell'elettricità.
"I miei figli vanno a scuola. Quando tornano la sera, non possono fare i
compiti. È buio. Non vogliono andare a scuola. Non riescono a leggere. Non
riescono a vedere", ha detto a BIRN un altro residente del campo, Gasi Gani.
Una bolletta da 800.000 euro
Prima dell'incendio, gli abitanti di Konik avevano usato elettricità senza
pagare fino ad accumulare un debito di 800.000 euro nei confronti dell'Elektroprivreda
Crne Gore (compagnia elettrica del Montenegro, a maggioranza statale): una somma
che è improbabile i rifugiati possano mai possedere. Il problema è ora sulla via
di soluzione, anche se Zheljko Shofranac, direttore dell'Ufficio per i rifugiati
del Montenegro, ha avvertito che "nessuno può essere più esentato dall'obbligo
di pagare l'elettricità".
Molti dei rifugiati che vivono nel campo sono ancora in attesa che le autorità
risolvano la questione del loro status giuridico in Montenegro, e non hanno
quindi i documenti necessari per ottenere posti di lavoro. Ma dopo aver
trascorso la maggior parte dell'inverno al freddo, Ramaj dice di essere pronto a
firmare un contratto con la società di energia elettrica, anche se non è ancora
sicuro di come riuscirà a pagare le bollette.
"Cercheremo una soluzione, faremo qualcosa... faremo la fame, ma almeno saremo
in grado di vedere quello che mangiamo e beviamo", dice Ramaj.
Anche se manca poco alla primavera e all'arrivo della luce, per alcuni dei
rifugiati le serate sono destinate a rimanere buie. Non c'è luce nelle nove
baracche di legno sparse sulla terra senza erba, fra enormi pozzanghere, in
fondo al campo: le uniche case sopravvissute all'incendio dello scorso anno. A
differenza di chi sta nei container, le 350 persone che vivono qui non avranno
elettricità fino a quando i residenti del campo non avranno saldato il debito.
"Il debito deve essere pagato perché loro possano usare l'elettricità", ha
dichiarato SHofranac, che ha promesso: "Il governo è consapevole del problema e
sta cercando una soluzione con l'azienda elettrica".
Una luce nelle tenebre
Alcuni residenti di Podgorica sembrano simpatizzare con la difficile situazione
dei rifugiati: "Una società si misura dal modo in cui tratta i suoi membri più
deboli", ha dichiarato a BIRN un abitante del luogo.
Ma la situazione al campo Konik è il segno di un problema più ampio che affligge
il Montenegro da anni. Anche se il paese è riuscito a evitare alcune delle più
dure conseguenze delle guerre degli anni novanta, alla fine di quel decennio
oltre il 10 per cento della popolazione era costituita da rifugiati. Ora vanno
affrontate le questioni abitative di quei rifugiati che hanno deciso di restare,
dato che sia il governo che le organizzazioni internazionali sono consapevoli
del fatto che né i container né le baracche di legno rappresentano una soluzione
al problema.
I funzionari di Podgorica sperano di ottenere il denaro necessario per
migliorare la situazione attraverso le donazioni di un progetto internazionale
istituito lo scorso anno in una conferenza a Sarajevo, che ha raccolto finora
270 milioni di euro, nel tentativo di risolvere i problemi logistici dei
profughi in Bosnia, Croazia, Montenegro e Serbia.
Nel marzo dello scorso anno, dopo un accordo tra il Montenegro e l'Unione
europea, tre milioni di euro sono stati stanziati per la costruzione di 90
appartamenti e un community center per le famiglie che vivono nel campo di Konik.
"Questo progetto dovrebbe essere un indicatore dei risultati raggiunti e degli
standard che dobbiamo raggiungere per avviare i progetti che saranno realizzati
attraverso il processo di Sarajevo", ha dichiarato Shofranac.
Altri due progetti volti a fornire alloggi per i rifugiati del Kosovo sono stati
proposti per il sostegno dei donatori di Sarajevo. Uno di questi prevede la
costruzione di 62 appartamenti a Nikshic, seconda città del Montenegro, e un
altro dovrebbe fornire ulteriori 42 appartamenti per i residenti del campo di
Konik.
I lavori di costruzione dovrebbero iniziare nel settembre di quest'anno. Ma fino
a quando le nuove case non saranno ultimate, la maggior parte dei profughi
continuerà a vivere nei container di metallo e guardare con invidia alle case di
pietra e mattoni dei loro vicini.
Di Sucar Drom (del 10/04/2013 @ 09:05:16, in blog, visitato 1308 volte)
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Sucar Drom, dopo il "blitz" delle Forze dell'Ordine che ha visto coinvolte
alcune famiglie mantovane, appartenenti alla minoranza linguistica sinta...
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Mantova, manifestazione CHER PAR KROLL
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Mantova, revocata la manifestazione IA CHER PAR KROLL – UNA CASA PER TUTTI
Il Consiglio direttivo dell'associazione Sucar Drom, ieri e questa mattina, ha
avuto dei contatti informali con il Sindaco del Comune di Mantova, Nicola
Sodano. I colloqui avvenuti con una delegazione del Consiglio direttivo hanno
aperto un confronto...
Venerdì 12 aprile, 2013, h. 17.30. Piazza San Leonardo a Mantova, presso il
Teatro del Palazzo del Mago Invitiamo tutti a partecipare alla pubblica assemblea
"IA CHER PAR KROLL - UNA CASA PER TUTTI" per riaffermare il diritto alla casa
per i Cittadini italiani, appartenenti alle minoranze linguistiche sinte.
Partecipa anche tu per conoscere le problematiche vissute dai sinti sul tema
dell'abitare. I singoli e le associazioni possono aderire all'assemblea pubblica
scrivendo a info@sucardrom.eu
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
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