Di Fabrizio (del 13/01/2013 @ 09:06:47, in conflitti, visitato 1301 volte)
Giovedì 17/01 a Torino
E' passato poco più di un anno da quando, a fine 2011, la bugia di una ragazza,
che aveva raccontato di essere stata violentata da due Rom, è diventata la scusa
per trasformare la Continassa di Torino in un vero e proprio Pogrom. Pochi
giorni dopo Sandra ritrattò, spiegando di aver avuto paura, ma da allora i
riflettori continuano ad accendersi e spegnersi ai margini dei margini del
capoluogo torinese, sullo sfondo di uno Juventus Stadium che ha una parte nella
storia di intolleranze e di razzismi molto simile a quella di altre città
italiane.
Una storia complessa e articolata, perfettamente raccontata da due tra le
migliori esperte della materia: Carla Osella, sociologa, pedagogista e
scrittrice, appartenente alla Comunità delle Figlie di S. Angela Merici e membro
del Comitato Nazionale di Servizio di RnS, che cammina accanto a rom e sinti da
oltre 40 anni, attraverso l'AIZO, Associazione Italiana Zingari Oggi, e
Mara
Francese, docente di Antropologia Culturale nella Facoltà di Lingue e
Letterature Straniere di Torino, in cui svolge anche attività di ricerca sui
movimenti migratori e sull'identità, nonché consigliere circoscrizionale proprio
alla Continassa.
Il risultato di questo fortunato incontro è il Pogrom della Continassa, nuova
uscita della collana TRACCE di sabbiarossa ED, in distribuzione in questi
giorni, che verrà presentato in anteprima nazionale il prossimo giovedì, 17
gennaio, alla libreria Coop di piazza Castello 113 a Torino, ore 18. Nelle 152
pagine, corredate da tavole a colori per esaminare la percezione dei bambini
torinesi nei confronti del popolo Rom, sarebbe stato facile transigere ad accuse
o denunce. La scelta delle autrici, invece, è stata quella di far parlare i
fatti e le persone, lasciando ai lettori la possibilità di stabilire da che
parte stanno torto e ragione. Il volume, rilegato con cucitura a mano, in filo
refe, con bandelle laterali, è impreziosito dall'immagine originale di
copertina, realizzata, come ogni cover di sabbiarossa EDIZIONI, dall'artista
torinese Caterina Luciano, che ha scelto, per la collana
TRACCE, la tecnica dei diorama. Sarà presente anche lei, con gli editori, al
battesimo ufficiale del libro che inaugura il 2013.
Nel blog
Il Pogrom
della Continassa, si legge, tra i tanti
contributi, quello di Marius: «Vorrei sognare come tutti e svegliarmi al mattino
in una casa riscaldata, poter prendere il caffè seduto su una sedia comoda.
Vorrei che i miei figli potessero frequentare ogni giorno la scuola, avere un
lavoro bello e importante, in cui impegnarsi. Vorrei aver studiato da bambino ed
essere capace di leggere e scrivere, vorrei poter sognare come i miei coetanei,
che vedo passare per le strade, ma non posso sognare.
Perché? Io non posso svegliarmi al mattino al caldo, perché abito in una baracca
alla periferia di una grande città, se voglio che sia riscaldata sono obbligato
ad alzarmi ed accendere il fuoco, e se non ho messo la legna sotto una tettoia,
l'umidità della notte la bagna. Se voglio fare il caffè, devo avere acceso il
fuoco, se mi siedo devo fare attenzione che la sedia, raccolta di recupero, non
si rompa sotto il mio peso».
Ulteriori approfondimenti sul sito della casa editrice,
www.sabbiarossa.it
Di Fabrizio (del 12/01/2013 @ 09:04:46, in casa, visitato 1441 volte)
BBC newsA Leicester i siti per i Traveller dovrebbero essere vicino
alla casa del sindaco
Jubilee Square viene proposta come sito per traveller e zingari
[...] I risultati del
sondaggio sono stati resi pubblici mentre la città si interroga sulla
costruzione di ulteriori siti autorizzati e sulla rimozione di quelli illegali.
Il sindaco Peter Soulsby ha detto di non pensare che siano suggerimenti "seri".
In 100 questionari, gli intervistati hanno suggerito che i siti dovrebbero
essere anche vicino alle abitazioni dei consiglieri, edifici comunali o spazi
pubblici.
"Posso capire che la gente non voglia questi siti vicino a casa propria, ma non
penso di cover intendere seriamente questi suggerimenti," ha detto Soulsby.
"Il fatto è che questo è un problema dove non siamo in grado di trovare una
soluzione che soddisfi il 100%"
La consultazione pubblica è stata fatta per esaminare tre siti - Greengate Lane,
Beaumont Way e Red Hill Way - scelti dai consiglieri su una rosa di otto, a
seguito di una iniziale valutazione ufficiale di circa 350 proprietà comunali.
Tipologie Siti permanenti offrono ai residenti una residenza stabile in
modo simile alle case popolari. I residenti sono tenuti a versare le imposte per
l'affitto, l'acqua, l'elettricità e quelle comunali.
Siti di transito possono essere aperti tutto l'anno, ma
forniscono solo alloggio temporaneo ai loro residenti, di solito non più di tre
mesi. Hanno strutture più basiche. I residenti sono responsabili per il
pagamento di affitto, acqua ed elettricità.
Aree temporanee di sosta sono di solito utilizzate per un periodo inferiore ai
28 giorni, di solito nei periodi in cui c'è molta richiesta, ad esempio quando
hanno luogo fiere ed eventi culturali.
"Ulteriori indagini"
Nelle risposte al questionario sono stati suggeriti oltre 50 siti alternativi
Secondo la relazione c'erano 100 suggerimenti di situarli al "New Walk Centre,
piazza del Municipio, Jubilee Square o presso le case dei consiglieri o del
sindaco".
Al
New Walk Centre attualmente ci sono gli uffici comunali. Town Hall Square è
accanto al municipio e Jubilee Square è un dovrebbe diventare uno spazio
pubblico da 4 milioni di sterline, vicino agli uffici della BBC di Leicester.
La relazione raccomanda altri due suggerimenti - Hoods Close e Braunstone
Lane East - che vantano "potenziale e sono degni di ulteriore approfondimento e
consultazione, se fossero richiesti ulteriori si ti di transito / sosta
temporanea."
Il rapporto consiglia Red Hill Way e Greengate Lane come entrambe adatti a siti
"permanenti" o "di transito", per un massimo di piazzole ciascuno.
Il gruppo d'azione LE4 ha presentato a luglio una petizione a Peter Soulsby
Beaumont Way
è "potenzialmente adatto" per un sito di transito di sei piazzole, questo viene
dichiarato.
Peter Soulsby ha detto che considererà il rapporto prima di prendere una
decisione.
"Abbiamo un problema maggiore con gli accampamenti dei traveller illegali e
non autorizzati," ha detto.
"Bisogna fare qualcosa a riguardo, e l'unica cosa fattibile è di installare
alcuni accampamenti legali e assicurarsi che i traveller li usino."
Terry McGreal, del gruppo d'azione LE4, ha detto di accettare la richiesta
del consiglio di identificare spazi per zingari e traveller, ma che le località
scelte sono inappropriate.
Dice che andrebbero invece scelte aree brulle e dismesse.
Secondo voi è un articolo "serio" o no? Mi ricordo che
qualcosa di simile accadde un po' di anni fa proprio a Milano, ad uno dei
padri nobili
della Mahalla. Il tutto finì in maniera inaspettata
Di Fabrizio (del 11/01/2013 @ 09:04:06, in Europa, visitato 1754 volte)
IL VOSTRO PORTAFOGLIO AI RAGGI X Ogni settimana (o quasi), Eco Rue89 apre un report grazie ad alcuni volontari in
materia di entrate e spese...
Rue89Eco - Le nouvel Observatorpar Camille Polloni
Dragomir, Rom, 25 anni, da 0 a 70 euro al giorno in una bidonville Puntata speciale: un raid della polizia ha interrotto la nostra intervista a Dragomir.
Dragomir davanti al suo rifugio, nella baraccopoli di Ris-Orangis (Camille
Polloni/Rue89)
Nel fango denso di questa baraccopoli a Ris-Orangis (Essonne), gli agenti
in uniforme scivolano a piccoli passi nel viale principale tra le baracche.
Dalla sua finestra della sua capanna in pallets, Dragomir li vede avanzare.
"Vuoi che andiamo a vedere?", gli chiedo. "No, verranno loro."
Serein, giovane rom di 25 anni, ci ha fatto l'abitudine. Già la settimana
scorsa, la polizia nazionale era passata a controllare i documenti. "Hanno
spaccato porte e finestre."
Non se ne parla neanche di lasciare di propria volontà il calore della stufa.
Non si muove, nonostante l'ordine di uscire, intimato ad alta voce.
Nella baracca (Camille Polloni/Rue89)
Dalla finestra si sporgono una mano ed un volto per scrutare all'interno, poi
la porta si apre. Un po' sorpreso di trovare un visitatore, il poliziotto
annuncia che dovranno "procedere ad un censimento" delle baracche e degli
abitanti, e ripete: tutti davanti alle baracche.
Cinque minuti dopo, senza che nessuno abbia capito bene a cosa serva questo
approssimativo censimento, le uniformi ripartono con un derisorio "buon Natale e
felice anno nuovo". Sempre flemmatico, Dragomir riprende il suo posto accanto
alla stufa.
"Bruciare la miseria"
Un po' più tardi, sono i pompieri dell'Essonne a sbarcare, allertati da un
grosso rogo di spazzatura nel campo. Spiegano i Rom: stanno bruciando "la
miseria", cioè i r5ifiuti accumulati in un enorme tumulo di cui il sindaco non
vuole sbarazzarli.
Nel mucchio, c'è della plastica. Fa parecchio fumo, sopra la vicina statale.
La pompa serpeggia nella bidonville per spegnere il fuoco.
"Capisco perfettamente le loro buone intenzioni, ma non posso tollerare
questa puzza," taglia corto il direttore dell'ufficio del sindaco di Ris, venuto
assieme all'assistente alla sicurezza.
Bandiera europea capovolta e posata come tetto su una catapecchia (Camille
Polloni/Rue89)
Sciarpa annodata al collo, giacca impeccabile e jeans, il direttore rimane
arroccato su una roccia all'ingresso del campo, per non coprirsi di fango le
eleganti scarpe nere. Dragomir rimira la scena con un bambino:
"Manderò un lustrascarpe, perché le calzature del direttore dell'ufficio
siano ben lucidate."
Due vigili vanno a controllare se il fuoco s'è spento, sotto l'occhio
divertito delle famiglie. E' sette mesi che sono accampati su questo terreno
comunale, addossato ad uno stadio in costruzione.
E' Sébastien Thiéry,
dell'associazione PEROU,
a guidarci da Parigi a Ris-Orangis. Ci va una, due, tre volte a settimana,
quando ha tempo.
Ci presenta Dragomir.
Tre bambini a scuola
Rom di nazionalità rumena, Dragomir è arrivato in Francia nel 2004. Sa
costruire una casa in tre ore, "se ho il materiale": pallets, tavole, lamiere,
moquette per il pavimento. Ha vissuto in diverse baraccopoli e luoghi di fortuna
a Parigi,, Villemomble (Seine-Saint-Denis) e diverse città dell'Essonne.
Al massimo, un'occupazione è
durata due anni, presso la gendarmerie abbandonata di Viry-Châtillon,
sgomberata a gennaio. I suo figli, 5 e 6 anni, e la figlia della sua compagna,
12 anni, vanno ancora alla scuola di quel comune.
Dragomir parla un buon francese, a differenza dei suoi vicini, tutti
provenienti dallo stesso villaggio in Romania. Per lui è più facile parlare con
i giornalisti, le associazioni ed i poteri pubblici.
Entrate: tra 0 e 70 euro al giorno
I ricavi di Dragomir provengono esclusivamente dall'economia informale:
riciclo, lavoro in nero ed accattonaggio. Sono irregolari ed imprevedibili, per
questo è impossibile fare una media.
Per ora, la circolare che
ha abolito l'imposta applicata all'impiego di Rumeni e Bulgari non ha avuto
alcun impatto sulla sua situazione. In questo momento, non sta guadagnando
niente. E' la moglie che racimola un po' di soldi.
Ferraglia: massimo 30 euro al giorno
Dragomir ha un furgone del 1986, acquistato con 400 euro su LeBonCoin.fr (in
stazione si può usufruire di Internet da un telefono pubblico).
Con suo fratello minore raccoglie metalli nei cantieri per venderli ad un
rottamaio:
"A volte ce li lasciano nei cantieri, oppure li raccogliamo per strada, nelle
discariche, quello che la gente abbandona."
Tutto mischiato, il rottame è valutato 15 centesimi al chilo. Escluso il
rame, che vale 5 euro a chilo, "ma non se ne trova molto". In sostanza, con la
ferraglia si possono fare "dai 100 ai 200 euro a settimana".
"Da cui vanno tolti cibo, sigarette e il gasolio per il furgone."
Ma da un mese, il vecchio camion ha reso l'anima. Si tratta della cinghia
della trasmissione, e Dragomir ha poche speranze di riuscire a ripararla.
Da allora ha lasciato perdere i rottami.
Vendita di giornali: 1,5 euro al numero
Prima dei rottami, Dragomir vendeva il giornale "Sans abri" (Senzatetto,
ndr.). Lo si acquista in anticipo a 50 centesimi a numero, prima di
rivenderlo a 2 euro.
"Ne acquistavo circa 50 al mese. Non è facile venderli tutti, ma d'altro
canto ci sono Francesi che danno i soldi senza prendere il giornale."
Lavoro in nero: da 60 a 70 euro la giornata
"Sui cantieri, i padroni vogliono operai in regola, coi documenti. Per noi
non è possibile. Ma se trovo privatamente in n ero, posso guadagnare dai 60 ai
70 euro al giorno. Così sono riuscito a lavorare 14 giorni in tutto."
Mendicando: tra 15 e 20 euro al giorno
"Non è un suo compito. Aveva paura di essere arrestato e di non poter andare a prendere i figli a scuola. Ma sua moglie mendica di tanto in tanto. Si possono rimediare dai 15 ai 20 euro al giorno, meno di quelli che suonano."
Al mercato: da 30 a 40 euro al giorno
"Anche lì, se ne occupa la moglie di Dragomir, una o due volte la settimana. Spiega lui: "Nel frattempo, bado ai bambini."
Vende scarpe e vestiti rimediati nella spazzatura, al
"mercato della miseria" alla
porta di Clignancourt, a nord di Parigi, dove si reca col
RER (espresso metropolitano. ndr.).
Assegni familiari: una volta nel 2007, 800 euro
"Nel 2007, per tre mesi mi hanno dato gli assegni familiari. In tutto saranno stati 800 euro. Dopo la CAF (l'assistenza reddituale francese, ndr.) m'ha detto che s'era sbagliata, perche non avevo i documenti."
Dragomir e la sua famiglia non hanno diritto alle
prestazioni sociali: né disoccupazione, né RSA (sussidi
all'impiego, ndr.), né indennitàfamiliari.
Beneficiano solo dell'assistenza medica statale (AME)
che "da il diritto alla presa in carico del 100% delle cure mediche e di
ricoveri ospedalieri, in caso di malattia o maternità, nei limiti delle tariffe
della sicurezza sociale, senza ulteriori oneri".
La famiglia vi ha fatto ricorso una sola volta, quando la moglie di
Dragomir ha dovuto essere ricoverata per una gravidanza difficile.
Costi: da 75 a 725 euro al mese
Alloggio: 0 euro
Tutti i materiali e i tappeti adoperati per la costruzione della baracca
sono stati recuperati. Dragomir vive in circa 15 mq. con sua moglie e tre
bambini, su un terreno che può essere sgomberato in qualsiasi momento.
In totale, sono un centinaio a vivere in questa baraccopoli al lato della
strada, in una quarantina di casupole. Se necessario, Dragomir può prestare
denaro a suo fratello, e viceversa.
Carburante: 20 euro al giorno, finché il furgone ce
l'ha fatta
Sino al mese scorso, Dragomir metteva ogni giorno 20 euro di carburante nel
camion. Si occupava lui stesso delle riparazioni.
Elettricità: 15 euro al mese
Le associazioni che aiutano i Rom di Ris-Orangis, hanno installato un
gruppo elettrogeno per tutta la bidonville. Funziona a benzina, circa 15 euro al
giorno, pagati a turno tra tutti gli abitanti.
Sébastien Thiéry, dell'associazione PEROU, lo ritiene un notevole
progresso:
"Prima avevano generatori individuali, che potevano costare sino a 250 euro
al mese ad ogni famiglia".
Vestiti e cibo: forniti dalle associazioni
Per cibo e vestiti Dragomir spesso fa ricorso al
Secours populaire ed a Restos du cœur. Quando può, compera al mercato i vestiti
per i suoi bambini.
"A volte i bambini chiedono quaderni, zaini di scuola o scarpe da
ginnastica, ma non posso offrirgliele. Fanno sport come sono vestiti
normalmente.
Non mi parlano quasi mai di soldi. A volte vedono che non ho i soldi per le
sigarette o niente da mangiare per me. Ma loro, sicuro, hanno sempre da
mangiare. E' la priorità."
Spesa: da 60 a 100 euro al mese
"Compriamo da mangiare una volta al mese, quando è possibile. Diciamo che sono in media da 60 a 100 euro al mese."
Mensa: 0 euro
Il pranzo dei bambini a scuola è gratis, grazie all'intervento di un
assistente sociale.
Telefono: 10 euro al mese
Dragomir ha un telefono portatile, con la ricarica. Quando non ci sono più
soldi, non c'è più il telefono.
Trasporti: 0 euro
Dragomir e sua moglie prendono il bus e la RER senza pagare.
Invio di soldi in Romania: variabile
"A volte mando dei soldi alla mia famiglia rimasta in Romania: mio padre, mia madre, mio fratello. Dipende da quanto mi resta e da quanto hanno bisogno. Per esempio, invio se sono malati."
PREMESSA: Una decina di anni fa, le elites intellettuali
romanì si resero conto di rappresentare un popolo senza stato, ma che era sparso
in tutta Europa, diviso ma forte della consistenza di 10-12 milioni di persone
(praticamente, corrispondente alla popolazione di Belgio, o Ungheria, o Austria
o Danimarca). L'Unione Europea e l'abbattimento delle frontiere sembravano
un'opportunità politica da sfruttare per l'integrazione socio-economica ed il
riconoscimento dei loro diritti. Si ragionava allora in sede comunitaria
dell'allargamento a Est, e una delle richieste ai nuovi stati membri era proprio
quella del riconoscimento dei diritti dei Rom.
Dieci anni dopo, la scommessa di allora sembra persa. L'allargamento a Est
non ha fermato le discriminazioni, ma solo generato aumento dei prezzi, tagli
del lavoro e dei servizi sociali. Cose che stiamo sperimentando da tempo anche
in tutto il ricco occidente. Ma nel contempo, questo ha rinvigorito flussi
migratori che c'erano già da tempo. Ed i migranti hanno scoperto così che
l'occidente in crisi non era la terra promessa che si aspettavano: i diritti
erano sulla carta, le discriminazioni simili e il lavoro una spietata
concorrenza con chi c'era già prima.
I FATTI: I Rom rimangono la più grande minoranza europea, e
visto che come occidentali ci riteniamo ancora superiori ai nuovi arrivati,
i sacri principi europei devono essere fatti salvi. Applicandoli? Questo
sarebbe difficile... ci basta incolpare gli altri di non farlo.
Assisto ad un fenomeno curioso: mentre i media italiani diffondono notizie su
persecuzioni in Romania, Bulgaria, Slovacchia ecc. la stampa di quei paesi ci
ricambia il favore, illustrando spesso le terribili condizioni di vita dei Rom
scappati in occidente.
La cronaca recente ripete questo gioco delle parti: in Ungheria un
giornalista vicino al partito di governo ha definito i Rom come "animali". In neanche un giorno, la notizia si diffonde a macchia d'olio:
gruppi mediatici,
ANSA,
Giornalettismo,
blog.
CONSIDERAZIONI: Cos'avrebbe detto quel giornalista di così
dirompente da scandalizzarci? Qualcosa che in Italia abbiamo letto (se non
pensato, magari vergognandocene) chissà quante volte.
Però, l'Ungheria è un paese che era già povero di suo, è stato illuso da un
boom economico terminato prima che altrove, e si trova in una macroregione
europea dove i Rom costituiscono dal 7 al 10% della popolazione (e sono
naturalmente i più colpiti dall'attuale crisi). In occidente costituiscono l'1-2 per mille
della popolazione, e ci lamentiamo che sono troppi! Aggiungo che la crisi
ungherese ha portato al governo un partito di centrodestra, il FIDESZ, che
politicamente sente la concorrenza di una destra estrema, a tratti violenta,
nazionalista e antisemita come lo JOBBIK (quasi il 17% dei voti). Mi sembra
abbastanza logico che in questa situazione, il partito di governo si aggrappi
anche ad artifizi retorici di questo genere, come lo farebbe qualsiasi politico
nostrano.
Perché ci scandalizziamo, ripeto? Cattiva coscienza, mi rispondo.
Faccio un altro esempio: la Serbia, che ultimamente è
diventata un paese sotto l'occhio di Amnesty International e
dell'onnipresente galassia Soros. Hanno ragione a battersi per i diritti dei Rom, ne
sono convinto. Ma la nostra lettura dovrebbe comprendere anche altri parametri.
Ad esempio, in Serbia e nella ex Jugoslavia i Rom hanno storicamente visto
riconosciuti più diritti che in tante altre nazioni. Ma se quel paese si ritrova
a dover vivere alla giornata, dopo 10 anni di guerra, quasi altrettanto di
sanzioni, un territorio più che dimezzato e profughi (Rom e no) che sono
arrivati da ogni dove, ha un problema pratico - prima che politico: con le buone
dichiarazioni non si mangia.
CATTIVA COSCIENZA: E' colpevole la Serbia se i rifugiati
vivono in baraccopoli schifose, sgomberate senza alternative? Certo! Ma possiamo
noi rimproverarglielo, quando nel pratico (Italia, Francia) siamo noi i maestri
che hanno esportato (ed esportiamo) queste politiche? Se la Serbia, con le sue
pezze al culo, non sa più dove mettere i rifugiati, dal 2008 gli stati più
ricchi d'Europa (Svezia e Germania), rimandano forzatamente in Serbia e Kosovo i
rifugiati dell'allora ex Jugoslavia che provenivano da lì. Senza assistenza,
senza diritti, senza domande sul loro futuro.
IL COLPEVOLE: Lo so chi è, non lo dico e ognuno si risponda
per sé. La realtà (quella ci interessa tutti) è che chi rimandiamo indietro,
tornerà ancora, nonostante muri, leggi, divieti e montagne di parole. Volevamo
braccia, sono arrivate persone? Le persone non sono pacchi postali.
Di Fabrizio (del 09/01/2013 @ 09:08:40, in sport, visitato 1329 volte)
Most, 3.1.2013 15:58, (ROMEA)
Tifosi cechi spargono voci su sussidi al calcio dei Rom - ryz,
Mostecky' deni'k, translated by Gwendolyn Albert
--ilustrachni' foto--
Il giornale Mostecky' deni'k riporta che diversi tifosi dell'Accademia
Calcistica di Most hanno lanciato accuse contro la locale associazione romanì,
che secondo loro beneficerebbe ingiustamente dei contributi comunali.
L'associazione civica Aver Roma (Jini' Romové - Altri Rom), che per il
secondo anno sta prendendosi cura dei giovani nella residenza di Cha'nov che
abbiano talento calcistico, respinge l'accusa che il municipio stia "buttando un
sacco di soldi" in questo lavoro.
"E' una sciocchezza. Non riceviamo questi importi mozzafiato. Come gli altri
club sportivi, non otteniamo una singola corona più di quanto non ci sia
dovuta," dice Petr Badzo di Aver Roma.
L'associazione ha ricevuto 27.500 corone (1.089 euro) nel 2011, anno in cui
iniziò a lavorare con 80 bambini, per finanziare le sue attività e comprare le
divise. Badzo dice che è stato il maggior contributo ricevuto, a cui sono seguiti
contributi del tutto ordinari per coprire le spese di trasporto.
Scrive il giornale che la squadra di Cha'nov ha terminato terza in classifica
lo scorso campionato. Gli è stata anche conferito il titolo di "squadra più
corretta". Ai bambini viene permesso di giocare a calcio purché siano
soddisfatti i loro obblighi scolastici.
DIRITTI GLOBALIFONTE: ANDREA TARQUINI - LA REPUBBLICA | 02 GENNAIO 2013
Sul podio il maestro Sahiti, profugo dal Kosovo
BERLINO. Sono tutti bravi, strappano sempre grandi applausi e standing ovation.
E sono tutti Rom. "Suoniamo soprattutto per mostrare che non è vero che se sei
un Rom sei un criminale", è il loro motto. Girano di continuo l'Europa in
tournée, sfidando anche pericoli in situazioni come quella ungherese, dove gli
ultrà di destra e le loro milizie tipo Magyar Garda hanno le violenze razziste
anti-Rom come attività quotidiana. Di orchestre sinfoniche ce ne sono tante ma
questa è la storia di un'orchestra unica al mondo. Si chiama Frankfurter
Philharmonische Verein der Sinti und Roma. Esiste da dieci anni, fondata dal
musicista rom nato in Kossovo Riccardo Sahiti, oggi cinquantunenne. A
Francoforte, nella metropoli finanziaria della democrazia tedesca, ha base
sicura ma viaggia di continuo per portare in musica il suo messaggio
antirazzista.
"L'idea mi venne perché all'inizio, io fuggito dal Kosovo in guerra e con una
robusta formazione musicale sulle spalle, avevo difficoltà a farmi accettare
nelle orchestre", ha spiegato Riccardo Sahiti alla Sueddeutsche Zeitung,
l'autorevole quotidiano liberal di Monaco che all'orchestra sinfonica rom ha
dedicato un reportage a tutta pagina. "Ho cercato e contattato colleghi ovunque,
sapevo che musicisti sinti o rom erano attivi in orchestre importanti, dalla
Wiener Staatsoper, all'Orchestra sinfonica della MDR (la tv pubblica dell'est
tedesco) a Lipsia, all'orchestra nazionale romena".
Così nacque il progetto, nel novembre 2002 a Francoforte. Adesso a Praga hanno
appena incassato il tutto esaurito suonando, tra l'altro, il Requiem per
Auschwitz, composto da Roger Moreno, sinto di origine svizzera. "Nel maggio
scorso", narra Moreno, "lo abbiamo eseguito ad Amsterdam e la regina Beatrice ci
ha poi invitati a un caffè a palazzo reale per dare l'esempio contro i
razzisti".
Non è facile farsi avanti, neanche nell'arte, se appartieni a una minoranza mal
vista un po' ovunque. Sahiti è di buona famiglia, i genitori spesero tutto per
il suo talento musicale, gli regalarono un pianoforte, riuscirono a mandarlo a
studiare a Belgrado e poi a Mosca. Poi vennero le guerre volute dal dittatore
serbo Slobodan Milosevic, i massacri etnici e gli stupri etnici di massa della
sua soldataglia, asili e ospedali bombardati dai suoi Mig. Sahiti fuggì,
appunto. E nel 2002, appena costituita, l'orchestra sinfonica Rom tenne proprio
a Francoforte, gran pienone, il suo primo concerto.
"Aver creato l'orchestra vuol dire non perdersi di vista" spiega il violinista
Johann Spiegelberg. "Ognuno di noi o quasi ha nella memoria brutte esperienze.
Io una volta ero in una grossa città dell'est tedesco, alla fine d'un concerto,
ancora in frac, arrivai a una pompa di benzina per fare il pieno con la mia
vecchia Mercedes. Due giovinastri mi si sono avvicinati, mi hanno detto “eccolo
là, il kanak (termine razzista per straniero usato dai neonazisti ma anche da
gente comune nell'ex Ddr, dove tre generazioni vissero prima sotto Hitler poi
sotto lo stalinismo, senza cultura democratica e quasi senza ribellarsi fino
all'ultimo al contrario di polacchi o cecoslovacchi o ungheresi, ndr).
Ecco un altro kanak, bè kanak che ne dici, è sempre comodo per voi vivere bene
qui a spese nostre e a casa nostra, no?”. Io non mi lasciai provocare".
"Ogni tournée è come un'allegra gita scolastica, eppure ce la mettiamo tutta".
Musica sinfonica, classica, non folklore. E naturalmente anche musiche di opere
ispirate al mondo Rom, da Carmenal Gobbo di Notre-Dame.
"Quella per noi è una nostra eredità culturale da tramandare". Il rischio, dice Jitkà Jurkovà, attivista dei gruppi antirazzisti cèchi che li aiuta a
organizzare concerti, è che vengano visti come spettacolo esotico, e che il
messaggio politico non sia capito appieno. Ma è un rischio che per il maestro
Sahiti e i suoi orchestrali val la pena correre. Tanto da suonare il Requiem per
Auschwitz anche in Germania.
Di Fabrizio (del 07/01/2013 @ 09:08:55, in media, visitato 1630 volte)
APERTURA - ANNA CURCIO
Il libro collettivo "La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti" Un'analisi
comparata su come cinema, fumetti e letteratura veicolano il razzismo in Italia
e negli Usa
Portare la razza al centro del dibattito italiano su razzismo e antirazzismo.
Questo il meritorio obiettivo di Parlare di razza. La lingua del colore tra
Italia e Stati Uniti a cura di Tatiana Petrovich Njegosh e Anna Scacchi (ombre
corte, pp. 318, euro 25), volume che si inserisce in un filone di studi,
ancora relativamente giovane in Italia, rivolto soprattutto a sfatare il tabù
della razza.
Dismessa dal dibattito politico e dal linguaggio di tutti i giorni da quello
che è stato definito "il paradigma antirazzista dell'Unesco" che negli anni
Cinquanta del Novecento reinterpretava il razzismo alla luce della violenza
nazifascista e riconduceva i conflitti razziali a nozioni scientificamente false
proliferate nell'ignoranza, la razza come categoria scientifica e analitica per
leggere il razzismo ha solo di recente trovato nuova legittimità in Italia e
nell'Europa continentale. In particolare grazie all'iniziativa di editori
sensibili - tra questi senz'altro ombre corte - e il contributo di studiosi e
studiose che, riprendendo gli insegnamenti di Frantz Fanon e delle correnti più
radicali del movimento per i diritti civili americano, hanno assunto nello
studio del razzismo una dimensione di attivismo volta al cambiamento.
In questo senso la razza, finalmente dismessa la sua supposta connotazione
biologico-naturalista è stata assunta come costruzione sociale capace di
ridefinirsi al mutare delle congiunture storico-politiche. È una categoria
sociale "simbolica" ricorda Petrovich Njegosh, che mostra al contempo
indiscutibili ricadute materiali pesando sulla vita dei soggetti in termini di
opportunità, condizioni di vita e aspettative. Stabilisce cioè privilegi e forme
di subordinazione che investono l'intero corpo sociale. Sebbene, dunque,
socialmente costruita, la razza si presenta come concreto dato di realtà che
occorre "nominare" per svelarne il potenziale di violenza. Così facendo diventa
possibile rovesciare l'idea ancora oggi dominate del razzismo come vizio
ideologico o patologia sociale legata all'ignoranza, da "curare" attraverso
l'istruzione e l'educazione.
Il volume, all'interno di un approccio teorico eterogeneo complessivamente
riconducibile all'americanistica, riflette sulle significazioni del termine
razza tra Italia e Stati Uniti. Più precisamente, all'interno di una dimensione
comparata assume la traduzione tra sistemi linguistici e culturali differenti
come punto d'osservazione privilegiato per cogliere i punti di contatto tra un
paese storicamente attraversato dal razzismo come gli Stati Uniti e l'Italia che
dietro la vulgata di un "colonialismo minore" e degli "italiani brava gente" ha
per lungo tempo rimosso dalla narrazione nazionale il passato colonial-razzista.
I saggi - che si occupino di letteratura, fumetti, cinema, poesia, linguaggio
romanzesco o più complessivamente della cultura di massa - si concentrano sulla
funzione svolta dal linguaggio nella strutturazione delle relazioni sociali e
dell'identità razziale in Italia. In questo senso, mostrano la razza in
traduzione come strumento di mediazione culturale, come dispositivo di
addomesticamento che riporta personaggi, linguaggi e modi di fare all'interno di
stereotipi riconoscibili nel nostro paese (è il caso di alcune traduzioni di
poesia afroamericana, del doppiaggio cinematografico o della reazione italiana
al fenomeno Obama che ha dato origine al volume). Nello stesso tempo vengono
evidenziati esempi storici che testimoniano una continuità nella costruzione del
racial thinking tra Italia e Stati Uniti. Il Dictionary of Race or People che
per tutta la prima metà del Novecento ha orientato le scelte statunitensi in
materia di immigrazione e naturalizzazione, sulla base di una precisa
differenziazione razziale che insisteva sull'inferiorità degli europei
meridionali e orientali, trovava fondamento "scientifico" nella teoria delle
"due Italie" di Alfredo Niceforo e negli studi della scuola italiana di
antropologia positivista da Sergi a Lombroso.
L'intera storia italiana e la costruzione della sua identità nazionale, sin
dagli anni immediatamente successivi all'unificazione, è dunque opportunamente
reinterpretata in relazione alla categoria di razza, intesa precisamente come
supremazia "inalienabile" della bianchezza assunta quale principio dell'ordine
sociale. È "Il capitalismo razziale moderno", per riprendere l'efficace
definizione di Cedric Robinson che, dentro la più complessiva costituzione
coloniale della modernità capitalistica e della costruzione degli stati
nazionali, funziona, anche in Italia, come dispositivo strutturante della
narrazione nazionale.
Peccato che il volume trascuri quasi del tutto questo aspetto. La costruzione
dell'italianità e i connessi processi di "sbiancamento" non vengono infatti qui
legati al piano più complessivo dei rapporti sociali e produttivi, cosicchè la
razza è assunta esclusivamente "come rappresentazione culturale, linguistica e
identitaria". Viene cioè perso di vista il nesso inscindibile tra classe e razza
che connette il razzismo e i processi di razzializzazione con i rapporti di
produzione e le loro trasformazioni storiche. E non si tratta, in questo senso,
di assumere un punto di vista economicista, né di rimandare a un approccio
deterministico; al contrario tale sguardo permette di ripensare i rapporti di
produzione a partire dal processo di razzializzazione insistendo sulla loro
inevitabile "articolazione" o "surdeterminazione" nel contesto sociale
capitalistico. Si tratta, seguendo Marx, di analizzare il capitale come rapporto
sociale e fare della lotta al razzismo un progetto complessivo contro lo
sfruttamento e dunque di liberazione.
È la costruzione di un comune terreno di lotta fra coloro che sono "razzialmente
neri" e la più ampia composizione del lavoro vivo contemporaneo. E fare,
riprendendo l'insegnamento delle lotte anticoloniali e di quelle antirazziste in
America, degli studi su razza e razzismo, non un progetto di educazione
universale, ma un terreno di militanza politica per la trasformazione radicale.
Un deputato di Alba Dorata guida il secondo assalto in pochi mesi contro un
quartiere abitato da rom nel comune di Etolikon. La polizia arresta quattro
nazisti e ne ricerca altri nove.
Continuano gli attacchi degli squadristi di Alba Dorata contro gli immigrati e
le minoranze presenti in Grecia. L'ultimo assalto risale a venerdì, nella
località di Etolikon, nell'ovest del paese. Una settantina di persone, tra cui
alcuni abitante del piccolo comune, con il volto coperto da passamontagna o
comunque incappucciati, hanno attaccato un quartiere abitato in prevalenza da
rom, ed hanno incendiato sei case e quattro automobili. Non si ha notizia di
feriti nell'attacco, anche perché all'arrivo della squadraccia neofascista la
maggior parte degli abitanti del quartiere aveva abbandonato le proprie case.
A fornire la scusa ai neonazisti per il pogrom una lite, avvenuta poco prima,
tra due abitanti del paese e due rom, durante la quale un 24enne era rimasto
ferito. Poco dopo la Polizia aveva arrestato e portato in commissariato i due
cittadini di origine rom. Ma il tam tam aveva portato decine di persone davanti
al commissariato, e presto il presidio si è trasformato in spedizione punitiva.
Molti abitanti di Etolikon tendono a sminuire la gravità di quanto accaduto,
definendola una questione locale, una resa dei conti interna al piccolo centro.
Ma molti testimoni affermano che all'aggressione hanno partecipato parecchi
militanti di Alba Dorata, tra questi anche un deputato della formazione
neonazista al Parlamento di Atene, Konstantinos Barbarusis, da tempo attivo
contro i rom. Il che fa pensare che il pogrom fosse stato organizzato in
precedenza, in attesa di qualche occasione per poterlo mettere in pratica. Nel
mese di agosto, nello stesso comune di Etolikon, si era già verificata
un'aggressione di massa contro il quartiere abitato dai rom, e quella volta a
parteciparvi furono addirittura 200 persone, furono usate anche armi da fuoco e
ci furono 5 feriti tra gli aggrediti. Al deputato squadrista Barbarusis il
parlamento aveva già deciso di ritirare l'immunità parlamentare dopo che
nell'autunno era stato riconosciuto mentre partecipava ad una delle tante
aggressioni contro i venditori ambulanti di cui Alba Dorata si è resa
protagonista negli ultimi mesi.
Ed oggi la polizia greca ha arrestato quattro dei responsabile del pogrom anti
rom di venerdì a Etolikon, e ha avvertito che altri nove potrebbero essere
fermati nelle prossime ore.
Leggevo a Capodanno un articolo su MicroMega di
Barbara Befani: Quel che non si dice della Montalcini, in cui la tesi
grossomodo era che sulla stampa e sugli onnipresenti social network non ci si
dimentica mai di indicare se l'autore di una malefatta sia (a torto o
ragione) di etnia-religione ebraica, ma se si tratta della morte di un premio
Nobel da tutti osannato e rispettato (se escludiamo Grillo, Storace e gente di
solito poco politically correct), nessuno ricorda che questa premio Nobel,
scienziata, senatrice a vita e altro ancora era non solo di origine ebraica (per
quanto atea), ma in più riprese aveva pagato il suo essere ebrea.
Noto dai commenti (i commenti sono sempre indispensabili, anche quando si
ha niente da dire) che da una parte c'è la rimozione del fatto che IN
QUESTO CASO la sua origine sia scomparsa, dall'altra (i commentatori non
sono tenuti a rispondere nel merito, sono un po' come il sale nella minestra,
basta non abbondare) non sapendo che dire, si ritorni al vecchio argomento
(ho detto vecchio, non che sia giusto o meno) dei crimini israeliani.
Non prendete la mia chiusa come irriverenza verso un morto, ma mi
torna in mente un fatto di cronaca di un paio di mesi fa:
Audace colpo dei soliti ignoti - cioè quando c'è un furto spesso e sovente
appare la nota "si sospetta che il furto sia stato commesso da un gruppo di
zingari..." In quel caso dove forse i ladri sarebbero potuti risultare
simpatici, quella nota STRANAMENTE mancava.
Di Fabrizio (del 05/01/2013 @ 09:01:24, in sport, visitato 1346 volte)
... ma soprattutto un BRAVO al Milan. Per due ragioni (le stesse che mi
hanno spinto a scrivere COCCI):
il razzismo non è un problema che riguarda solo chi ha una
pelle, una religione, diversa. Coinvolge tutti: neri e bianchi,
zingari e gagé;
una squadra, un collettivo, una società, non sono tali solo
quando c'è da dividere soldi e gloria, ma soprattutto nei
momenti difficili. Lo sono anche e soprattutto per difendere lo
stare assieme, che il bersaglio sia il fuoriclasse o un
raccattapalle. E si deve reagire ASSIEME.
E dato che non siamo ancora in par condicio, trovo che Renzo Ulivieri,
presidente dell'Assoallenatori,
centri perfettamente il punto: "E' stata una cosa importante, credo che
vada fatta anche nelle partite ufficiali. Credo che al di là della politica si
debba cercare di riappropriarsi del nostro 'mestiere' di cittadini. Purtroppo lo
abbiamo dimenticato, c'è una deriva ma tutti dovremmo chiederci: 'e io cosa ho
fatto per evitarla?'".
Basterà questo soprassalto di civiltà a contrastare secoli di malcostume?
Leggo:
Abbiamo ricevuto numerose mail di persone che confondono il sito del Pro
Patria Club con quello della società. L'oggetto delle mail è per tutti lo
stesso: come avere il rimborso per la gara interrotta.
In queste mail si coglie occasione per esprimere giudizi su quanto accaduto e
spesso ci si lascia un po' andare. Chiudiamo gli occhi, ma non su tutto, e
pubblichiamo quanto scritto da Milena T..... che scrive testuali parole:
[...]
La sottolineatura è mia. Le "testuali parole" le trovate sul sito del
Pro Patria Club.
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