Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.
Nell'introduzione leggiamo: "Quelli di cui parlo non sono Rom
immaginari o da rotocalco, ma persone reali con cui ho agito, discusso, riso,
litigato per anni". Quale è la Sua esperienza personale con la comunità rom?
Quella di una comunità piccola, rinchiusa ed assediata. Al di là di questo,
composta da gente che ha, come me o come il mio vicino di casa, problemi,
aspettative, guai e speranze...
Ho ritrovato un post che fece scandalo nella sonnacchiosa comunità dei
blog di Tiscali, del 17 marzo 2005:
Vittorio: "Per come è oggi la situazione, è meglio vivere in
un appartamento, soprattutto per i nostri figli. Nei campi spesso c'è troppa
violenza, e la situazione igienica non è certo delle migliori".
Rita, sua moglie: "Certo, io pur non essendo una zingara
preferivo la vita nei campi. Anche i nostri bambini stavano meglio. Quando ci
siamo trasferiti in appartamento non riuscivano a dormire, si sentivano
soffocare e poi sentivano la mancanza dei loro amici. Nei campi si vive tutti
insieme, in questi palazzi, invece, ognuno pensa per sé".
Ivan: "Tutte le mattine devo timbrare il cartellino alle otto.
È mio padre che tutte le mattine mi accompagna all'autobus in macchina. La mia
vita è cambiata completamente, vivo con i miei e prima andavamo avanti col
contagocce, oggi ho dodici mensilità, tredicesima e quattordicesima. Sul posto
di lavoro nessun problema, essere zingaro non ha provocato reazioni negative fra
i miei colleghi. I miei colleghi non sono bambini, sanno che vivo in un
accampamento, ma non è un problema." testimonianze da: Zingari a Milano di Laura Tajoli, Roberta Lorenzetti,
Giliola Verza ed. Vivereoggi – Comune di Milano
Francesco: "La nuova sistemazione abitativa ha fatto emergere
anche nuovi problemi cui devo dedicare la mia attenzione e il mio impegno. Devo
occuparmi degli attacchi della luce, delle giovani coppie in cerca di casa e dei
rapporti tra il nuovo quartiere e gli altri cittadini di Cosenza.
Non è facile il mio ruolo; mentre prima della realizzazione del villaggio mi
occupavo della sola questione abitativa, ora affronto tutti i problemi, sono un
mediatore 'globale', usando una parola imparata dei miei amici del Movimento per
la Pace che ho frequentato da quando siamo usciti dalla baraccopoli e viviamo
più intensamente la vita cittadina.
L'uscire dall'emarginazione mi ha permesso di acquistare maggior sicurezza nelle
mie capacità. La responsabilità acquisita, grazie all'incarico di mediazione
dell'Opera Nomadi, mi ha spinto a partecipare con consapevolezza a tutti gli
incontri con le autorità, come ad esempio il Giorno della Memoria, organizzato
insieme al Comune di Cosenza per ricordare i Rom e i Sinti sterminati dal
nazi-fascismo.
L'arrivo nella nostra città di un gruppo di Rom, provenienti dalla Serbia, è
stata l'occasione per conoscere la lingua che parlavano i miei nonni: quel
romanès che vorrei portare nelle scuole." atti del convegno: LA MEDIAZIONE CULTURALE, una scelta, un diritto –
Istituto di Cultura Sinta – Mantova 2004
Parlando con un amica al campo: "Quand'ero più giovane, sono
andata a chiedere l'elemosina. Non perché mi piacesse, ma perché non c'erano
alternative. Adesso qualche volta lavoro, non lo farei più. I miei genitori
erano analfabeti, io ho studiato in collegio. Le mie figlie adesso frequentano
le superiori. Ecco: non voglio che loro debbano mai chiedere l'elemosina,
sarebbe l'unico motivo per tornare a farlo io!
Loro sono diverse da me: figurati che adesso si preoccupano della linea! E poi,
io alla loro età mi vestivo come capitava, loro vanno a scuola e vogliono non
sfigurare di fronte alle loro amiche gagi. Così, mi chiedono i soldi per i
vestiti. Ma di soldi, ne girano sempre pochi. Così ho risposto: la mattina
andrete a scuola, il pomeriggio a lavorare. Anche come lavapiatti, non importa.
Non torno a chiedere la carità per comperarvi vestiti."
I tifosi avversari lo chiamano così, pensando di insultarlo. Viene da una
famiglia che lavora i metalli secondo la tradizione Rom. E che nel tempo ha
creato un piccolo impero siderurgico. A cui anche lui si dedica appena esce dal
campo
(14 maggio 2012) "Andrea Pirlo resterà con noi e finirà la sua carriera al
Milan", disse Silvio Berlusconi nell'agosto 2009. Un impegno concreto, uno dei
tanti. Due anni dopo, il centrocampista italiano più forte dell'ultimo decennio
- non è un giudizio, è un'evidenza - è stato ceduto alla Juventus. A Torino è
stato decisivo per uno scudetto che chiude il periodo infernale per la Juve,
condannata per Calciopoli, privata del titolo del 2005 e del 2006, retrocessa in
serie B e reduce da due settimi posti indegni della tradizione gobba.
Un autogol di mercato così clamoroso non si vedeva dal 2001, quando l'Inter di
Massimo Moratti cedette al Milan il centrocampista italiano più forte del
decennio a venire. Cioè, sempre Pirlo. L'estate scorsa a Milanello dicevano che
il regista di Flero (Brescia) era vecchio, che era rotto e che costava caro. Non
più caro, rotto e vecchio di tanti altri rossoneri, come si è potuto notare. Di
sicuro, più orgoglioso di molti compagni e per ragioni che vanno oltre le righe
di un campo di calcio.
L'uomo chiave dello scudetto juventino non è solo un grande giocatore. E' anche
un industriale siderurgico di etnia politicamente scorretta e sospette simpatie
progressiste. Così, quando Adriano Galliani gli ha chiesto di ridursi lo
stipendio a 2 milioni di euro netti, Andrea metallurgico ferito nell'onore ha
fatto il borsone ed è partito alla volta dello Juventus stadium, dove un altro
Andrea, di cognome Agnelli, gli ha offerto il doppio dell'ingaggio: 4 milioni
netti più bonus legati ai risultati. Risultati che sono arrivati subito, prima
ancora di quanto lo stesso Agnelli pensasse. Tra industriali ci si intende,
fatte salve le proporzioni.
Il gruppo Pirlo è composto da una mezza dozzina di aziende tra Flero e Castel
Mella, dove inizia la Bassa bresciana, terra piatta e nebbiosa molto diversa
dalle valli dei tondinari a nord della città. La capogruppo, guidata dal padre
Luigi, si chiama Elg steel e, nell'insieme, tiene piuttosto bene in tempi di
recessione. I ricavi dalla produzione di tubi tondi e quadrati sono passati dai
41 milioni del 2004 ai 63 del 2010 con un picco di 72 milioni nel 2008. I
bilanci sono in equilibrio e le spese per il personale si aggirano intorno ai 4
milioni di euro, la metà di quello che la Juventus spende, a costi aziendali,
per il solo centrocampista con la maglia 21, stesso numero che porta in
Nazionale.
Nella società fondata dal padre trent'anni fa, Andrea ha una piccola quota
attraverso la sua holding personale Ap 10. Poteva limitarsi a quello e agli
investimenti in immobiliare che fanno tutti i calciatori. Che fa anche lui, del
resto. E che fa bene. Il patrimonio di Ap 10 supera i 15 milioni di euro, in
larga parte edifici a Brescia, una villa a Forte dei Marmi, un appartamento in
via Moscova a Milano e un intero edificio acquistato a marzo del 2011
nell'altrettanto pregiato corso Magenta al civico 10. Non poteva mancare
l'azienda vitivinicola, la Pratum Coller sempre nella bassa bresciana, dove
Pirlo si esibisce con uve marzemino, sangiovese e trebbiano messe in botte nelle
cantine di una cascina medievale.
Ma l'amore per la siderurgia è una passione fisica dominante. Non c'è altro modo
per spiegare quello che passa per la testa di un tizio che il 23 maggio 2007
vince la finale di Champions league contro il Liverpool ad Atene e meno di
quarantotto ore dopo, il 25 maggio 2007, sì e no il tempo di tornare dalla
Grecia, fonda a Brescia la Fidbon che di mestiere fucina, imbutisce (sic),
stampa e profila metalli per circa 3 milioni di euro di ricavi annuali.
La ragione profonda di questo attaccamento va al di là di una logica di
investimenti diversificati ed è legata alle origini della famiglia del
calciatore che, dal lato paterno, avrebbe discendenza sinti, una delle etnie
romanì, la stessa del chitarrista jazz Django Reinhardt. Il commercio e la
lavorazione dei metalli è uno dei mestieri tradizionali delle comunità romanì.
Negli stadi li chiamano zingari e, di solito, la definizione è seguita da
apprezzamenti razzisti. Il giocatore non ha mai voluto commentare la questione,
alquanto problematica in un ambiente dove ancora si lanciano le banane ai
giocatori africani e alcune curve espongono simboli nazifascisti. Senza
dimenticare il sindaco di Chieti che, lo scorso marzo, ha definito con disprezzo
"mezzo rom" l'allenatore boemo
Commento di Pavel Pospěch: I Rom "sull'attacco a Brno" -
Pavel Pospěch, translated by Gwendolyn Albert
Prague, 11.5.2012 20:32, (Originally published in Czech at Blog RESPEKT. Published with the
kind consent of the author)
La criminalità rom sta uscendo di controllo e ogni giorno ci sono violenze
per le strade. Inoltre, i media sono dalla parte dei Rom ed ignorano
completamente il problema. Questo significa che noi gente comune dobbiamo
condividere le nostre esperienze e quanto sappiamo, così che sempre di più i
politici sappiano che non siamo indifferenti agli attacchi dei Rom!
Vi dirò cos'è successo ai miei amici. Qualche sera fa, stavano bighellonando
per le strade di Brno, cercando un posto aperto dove poter continuare la loro
appassionata discussione davanti ad una birra. Per strada si aggregò un
compagno, dall'apparenza piuttosto malmessa e probabilmente senza un tetto sulla
testa. Aveva bevuto e non interloquiva granché con gli altri, anche se quella
allegra compagnia nel mezzo della notte sembrava averlo attratto. Si unì ai miei
quattro amici, rimanendo un po' indietro alla compagnia.
E' successo tutto d'improvviso. Hanno udito dei passi rapidi, e dal nulla
sono apparsi due Rom ben piazzati. Avevano seguito i miei amici, forse da una
strada vicina. Sono saltati addosso al senzatetto e l'hanno sbattuto a terra con
diversi pugni. C'è voluto solo un istante. Il senzatetto giaceva a terra, i miei
amici erano lì in piedi senza sapere che fare. Sorridendo, anche i Rom erano lì
in piedi. "E' un vostro amico?" chiese uno di loro. "Pensavamo fosse qualcun
altro," disse con un bel sorriso, quasi scusandosi. "Allora, cosa volete fare?"
chiese ai miei amici. "Lo lasciate così?" I miei amici non sapevano che dire.
Erano tre uomini e una donna, tutti mingherlini, di fronte a tre massicci
criminali rom, che non aspettavano altro che di iniziare una rissa. "Gli daremo
20 corone, d'accordo?" minacciò un altro Rom. "Dovrebbero bastare, giusto?" Si
stavano divertendo moltissimo. Avevano picchiato un barbone per puro
divertimento e ora stavano umiliando chi era insieme a lui.
I miei amici hanno fatto l'unica cosa possibile in quel momento. Hanno
chiamato la polizia e segnalato l'incidente, ma quando la pattuglia è arrivata
sulla scena, tutto era già terminato. Il senzatetto malmenato si era rialzato e
seduto sul marciapiedi ed i Rom erano spariti. Forse erano andati a brindare il
successo del loro divertimento con una bevuta. O forse a cercare qualche altra
vittima. Di notte le strade sono piene di obiettivi solitari.
E' una storia vera, ma...
Tutto ciò che ho scritto è successo veramente. Solo una cosa non è corretta:
gli assalitori non erano Rom; erano Cechi bianchi, come voi e me. Un segno
particolare: avevano le teste rasate.
Non Rom, ma dei "bianchi". Qual è la differenza? Beh, probabilmente sono
cresciuti in una casa o un appartamento normali, non un ostello con 10 persone
per stanza. Non in un edificio in rovina nel quartiere peggiore della città.
Probabilmente non hanno frequentato scuole "speciali". Hanno frequentato la
scuola dell'obbligo normale, come voi o io, e hanno potuto scegliere dove
continuare gli studi. I loro genitori e fratelli non sono andati alla scuola
"speciale", quindi quel gruppo non è dovuto crescere tra gente la cui unica
istruzione proveniva dalla scuola "speciale". La loro lingua madre è
probabilmente il ceco, che a scuola è naturalmente un vantaggio. I loro parenti
non sono in prigione e la loro famiglia non sta pagando interessi mortali agli
usurai. Il colore della loro pelle è uguale a quello di tutti gli altri. Le
guardie di sicurezza non li pedinano nei supermercati. Se salgono sul tram, il
controllore non risale tutta la vettura solo per loro. Probabilmente non
soffrono di disagi materiali. Non vivono in mezzo a gente in dipendenza da
droghe o gioco d'azzardo. Niente di tutto questo può spiegare il motivo per cui
assalgono delle persone. Se picchiano la gente, è solo per divertimento.
Qual è la differenza più grande? Se fossero stati Rom, avreste appreso di
questa storia dalle prime pagine dei giornali. Le testate online si sarebbero
precipate sulla scena del crimine. La gente avrebbe condiviso e diffuso queste
notizie attraverso Internet. Gli inserzionisti si starebbero fregando le mani
dalla gioia, nel trovare i loro annunci accanto ad articoli che sollevano tanto
interesse. La Gioventù Lavoratrice avrebbe indetto una marcia attraverso Brno.
Però... non erano Rom, quindi la maggior parte di voi leggerà quanto è
accaduto su di un blog come questo. Dopo tutto, Dio sa cosa è successo davvero.
I miei amici, erano ubriachi persi, e chissà cosa hanno visto. Forse sono stati
loro a provocare. Cosa ci facevano nel mezzo della notte. Perché il senzatetto
era con loro? Tutto ciò non deve sorprendere affatto.
Se gli autori non sono Rom, non è una notizia per la prima pagina di
iDNES.cz, solo una banale storia da pub. Quel gruppo violento può con tutto
comodo continuare a malmenare i senzatetto e chiunque altro capiti nelle loro
mani. A fine settimana indossano le loro t-shirt nere, quelle che indossano per
le occasioni speciali, e si spostano a Břeclav o in qualche altra città dove i
media staranno tenendo un'altra lezione sulla "violenza romanì". Lì, durante un
corteo organizzato dal Partito dei Lavoratori, o di una delle sue varianti,
protesteranno ad alta voce contro i Rom che hanno picchiato qualcuno.
La guerra di Marius, contro una vita di campi provvisori che l'avevano
condannato a un'esistenza di analfabetismo e marginalita'. Arrivato a 16 anni a
Milano dalla Romania senza mai aver messo piede in una scuola, nonostante otto
sgomberi ha imparato a leggere e a scrivere in italiano con una borsa di studio
della Comunità di Sant'Egidio e delle mamme e maestre di Rubattino. Ora il suo
rifugio in città è una una biblioteca comunale (quella di via Valvassori Peroni,
zona Rubattino-Lambrate): "Anche quando non avevo dove andare venivo qui… è il
posto migliore che ho conosciuto". Il video di Christine Pawlata e Nicola
Moruzzi è stato premiato domenica al Salone del libro di Torino al concorso
nazionale "A CORTO DI LIBRI. I cortometraggi raccontano le biblioteche"
LA STORIA L'HANNO ACCUSATA DI ESSERE «UNA DELINQUENTE COME TUTTI GLI ZINGARI»
Il Tempo Rom cacciata dai compagni di scuola
La professoressa: «Una ragazza intelligente. Per fortuna è tornata»
Stefano Buda Le tensioni seguite all'omicidio di Domenico Rigante hanno lasciato
il segno.
Nelle scuole della città, qualcosa si è spezzato nel percorso di crescita comune
tra italiani-italiani e italiani di origine Rom. Dalle scuole della città
occorrerà ripartire, per abbattere i muri del pregiudizio e ricostruire il
dialogo tra culture. Dopo la morte dell'ultrà biancazzurro, per diversi giorni,
il processo d'integrazione ha subito un corto circuito. Un fenomeno che ha
colpito soprattutto i più giovani, ragazzi e ragazze come la giovane studentessa
Rom, di 17 anni, che chiameremo Anna. Anna frequenta un noto istituto di scuola
secondaria, non lontano da Rancitelli, il quartiere dove vive con la sua
famiglia. Una compagna di classe, sull'onda del clima da caccia alle streghe che
ha pervaso Pescara, la accusa di essere «una delinquente, come tutti gli
zingari». Anna è esasperata. La sera prima ha chiamato la polizia, avendo visto
«facce strane» bighellonare attorno a casa, e ormai nota una luce diversa negli
sguardi della gente. Reagisce male, difendendosi e contrattaccando con veemenza.
Dopo la lite decide che non andrà più a scuola. «È già molto difficile che una
donna Rom prosegua gli studi dopo l'età dell'obbligo - spiega una sua insegnante
- sarebbe stato un vero peccato perdere una ragazza intelligente come lei, che
ha compreso l'importanza dell'istruzione come forma di riscatto e dimostra
grandi doti e capacità». Anna per fortuna ci ripensa e dopo alcuni giorni torna
in classe. È lei a chiedere scusa. «Nonostante non fosse stata lei a scatenare
la lite - prosegue la professoressa - ha avuto la forza e l'umiltà di
riconoscere l'errore, dimostrando che la scuola aiuta a compiere progressi,
modificando anche certe attitudini tipiche di alcune culture»". La vicenda di
Anna non rappresenta un caso isolato. Molti altri ragazzi Rom, che frequentano
l'istituto, nei giorni scorsi sono rimasti a casa. Avevano paura. Per fortuna,
lentamente, il clima si sta rasserenando. «Non si erano mai verificati episodi
simili in precedenza - osserva l'insegnante - il processo d'integrazione è
sempre stato pacifico e armonioso, anche grazie al coinvolgimento dei genitori
italiani e Rom, nel corso dei frequenti colloqui». È da qui che occorrerà
ripartire, per sanare le ferite inferte a una convivenza che, dopo l'omicidio di
Domenico Rigante, appare sempre più difficile. Intanto il sindaco Mascia ha
chiesto al prefetto Vincenzo D'Antuono l'istituzione di un Tavolo tecnico.
«Occorre eliminare quei piccoli, grandi fenomeni di abusi, soprusi, angherie che
molti sono costretti a subire ogni giorno da poche famiglie che pensano di poter
vivere al di fuori delle leggi e delle regole del vivere civile». Ricomincerà a
breve lo sfratto agli inquilini abusivi grazie all'erogazione di 100mila euro
stanziato dalla Regione Abruzzo, da destinare all'Ater.
L'attuazione dell'"emergenza nomadi" ha condotto a gravi violazioni dei
diritti umani di migliaia di donne, uomini e bambini rom residenti nei campi e
ha permesso una maggiore impunità per le violazioni di norme internazionali in
materia di alloggio adeguato.
Centinaia di famiglie rom in Italia sono intrappolate in un circolo vizioso di
sgomberi forzati. Bambini, uomini e donne che vivono in campi informali vengono
sgomberati ogni giorno senza alcuna tutela giuridica, molto spesso restando
senzatetto e vedendo aumentare ulteriormente la discriminazione nei loro
confronti.
Anche le persone rom che vivono nei campi autorizzati e tollerati sono a rischio
di sgomberi illegali. I piani per la chiusura di diversi campi a Roma e Milano
sono stati stabiliti durante l"emergenza nomadi", un provvedimento
discriminatorio adottato dalle autorità nazionali nel maggio 2008. Anche se
l"emergenza nomadi" è stato ufficialmente dichiarata illegittima lo scorso
novembre dal Consiglio di stato, le autorità italiane sono ancora impegnate a
portare avanti questi piani, invece di fornire rimedi per coloro che hanno
subito le violazioni, attraverso gli sgomberi forzati, la segregazione in campi
inadeguati e l'insicurezza della loro condizione abitativa.
Il governo italiano ha la responsabilità di rispettare, proteggere e garantire
la realizzazione dei diritti umani delle persone rom, compreso il loro diritto a
un alloggio adeguato. Tuttavia, a sei mesi dal suo insediamento, il governo deve
ancora dimostrare il suo impegno per la tutela dei diritti umani delle persone
rom non solo con le parole, ma con i fatti.
Anna Maria Cancellieri
Ministero dell'Interno
Palazzo Viminale
Via Agostino Depretis 7,
00184 Roma
Email: scrivialministro@interno.it
Prof. Andrea Riccardi
Ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione
Largo Chigi 19
00187 Roma
Email: segreteria.ministroriccardi@governo.it
Egregio Ministro,
Sono un simpatizzante di Amnesty International, l'Organizzazione non governativa
che dal 1961 agisce in difesa dei diritti umani, ovunque nel mondo vengano
violati.
Vorrei esprimere la mia preoccupazione per il fatto che centinaia di famiglie
rom sono intrappolate in un circolo vizioso di sgomberi forzati in Italia.
Bambini, uomini e donne che vivono nei campi informali sono stati sgomberati
senza una previa consultazione né un adeguato preavviso e senza accesso a un
alloggio alternativo accettabile o via di ricorso efficaci.
Mi preoccupa inoltre il fatto che le autorità locali sembrino impegnate a
portare avanti i piani di chiusura dei campi anche se l"emergenza nomadi" è
stata dichiarata illegittima dal Consiglio di stato lo scorso novembre, e che
nel febbraio 2012 il governo abbia presentato ricorso contro questa decisione
alla Corte di Cassazione.
I piani di chiusura dei campi autorizzati e tollerati a Roma e Milano hanno già
portato a continui sgomberi forzati, al sovraffollamento, alla segregazione
delle persone rom in campi inadeguati e a una sempre maggiore insicurezza della
loro condizione abitativa. Queste azioni violano trattati internazionali e
regionali sui diritti umani di cui l'Italia è parte.
Le scrivo per chiederle di fare tutto in quanto in suo potere affinché:
vengano interrotti immediatamente gli sgomberi forzati e sia promossa una nuova
legislazione che ne recepisca il divieto, per garantire che tutti gli sgomberi
forzati siano effettuati nel rispetto del diritto e degli standard
internazionali;
vengano adottate misure, incluse linee guida, per garantire che tutti i
funzionari coinvolti negli sgomberi forzati siano dotati di indicazioni chiare
sulle garanzie che devono essere prese in considerazione affinché uno sgombero
avvenga legalmente, in conformità con gli obblighi esistenti;
siano sospesi i piani per la chiusura dei campi "autorizzati" e "tollerati",
stabiliti a livello locale in base all'"emergenza nomadi", tra cui quelli di
Roma e Milano, fino a quando piani alternativi che rispettino pienamente i
diritti umani siano stati sviluppati in consultazione con tutte le persone
interessate;
sia ritirato il ricorso contro la decisione del Consiglio di stato del novembre
2011 e forniti rimedi efficaci, attraverso la creazione di meccanismi e
procedure adeguate, a tutti coloro che hanno subito violazioni dei diritti umani
come conseguenza dell'"emergenza nomadi".
Sabato 26 maggio faremo al Terradeo la 6^Festa del Quartiere. Venite a
conoscerli (ma portatevi la vostra ragione), per capire e giudicare coi vostri
occhi quanto è miserabile il pregiudizio.
VIA DEI LAVORATORI 2 (zona industriale)
*Sabato 26 maggio 2012
Ore 10.30 Messa al campo
Ore 11.30 Incontro con le Autorità e i Visitatori, presentazione e visita del
Quartiere Terradeo
Ore 12.00 Rinfresco
Ore 14.30 Giochi per i bambini e merenda
*Domenica 27 maggio 2012
Apertamente e Punto Parco Terradeo alla Festa delle Associazioni in Cascina
Fagnana.
I Sinti (e i Rom, e tutti gli altri discriminati) non li vorrei né eroi né
vittime delle abituali persecuzioni. Mi piacerebbe che fossero così considerati,
come li conosco da tanti anni, semplicemente persone. Vorrei che, come
ogni persona ne ha diritto, fossero giudicati per quel che sono ciascuno di
loro, come ognuno di noi.
La realtà è, invece, che sono giudicati in blocco da gente che ha il
cervello annebbiato dal pregiudizio e dall’incapacità di conoscere e capire.
Loris, un giovanotto sinto, simpatico e lavoratore, è in giro per raccogliere il
ferro: l’unico quasi ormai tra i lavori che la crisi e il discrimine lasciano a
quelli come lui, che di lavori ne ha fatti tanti, per provvedere alla sua
famiglia, anche più d’uno contemporaneamente. Vede un uomo che si getta nel
Naviglio, a Trezzano, dal ponte gobbo. Spegne il motore del camioncino,
si toglie le scarpe, si getta in acqua. Con lui ci sono due cognati che lo
aiuteranno a portare a riva l’aspirante suicida, un uomo anziano, che
recuperando la vita non ha certo risolto i suoi problemi. Loris e i due cognati
risalgono in cabina, riavviano il motore e se ne vanno. Tutto qui.
La notizia gira, i giornalisti si fanno giustamente vivi, qualcuno lo avverte
anche la nostra associazione fondata da sinti e non sinti, "ApertaMente di
Buccinasco", del cui Consiglio Loris fa parte, con sede nel Quartiere Terradeo
di questa Città (vedi QUI ndr)
Per l’opinione corrente è un po’ come l’uomo che morde il cane: una stranezza.
Un grande scrittore ha detto: sfortunato quel popolo che ha bisogno di eroi.
Di quanti Loris ha bisogno il popolo sinto perché cambino idee e comportamenti
nei suoi confronti?
Ernesto Rossi, presidente di "ApertaMente di Buccinasco"
Di Fabrizio (del 20/05/2012 @ 07:25:18, in Italia, visitato 1480 volte)
Sabato 26 maggio 2012 Palazzina Liberty – Largo Marinai D'Italia 1 – Milano
dalle 15.30 alle 19.30
Naga – Gruppo di Medicina di Strada presenta
ROM E GAGI: ABITARE INSIEME LA CITTÁ
Da secoli la convivenza di rom e sinti con le popolazioni dei paesi nei
quali hanno vissuto è stata segnata da pregiudizi e discriminazioni. Solo un
anno fa, la campagna elettorale del sindaco uscente e dei suoi alleati si è
incentrata sul pericolo che Milano diventasse una "zingaropoli". In diversi
casi, in varie città italiane, vi
sono stati episodi ancora più gravi di intolleranza e violenza contro gli
abitanti dei campi rom.
Medicina di strada, composta da volontari del Naga che lavorano da più di dieci
anni nei campi irregolari e regolari di Milano, occupandosi della salute e dei
bisogni delle famiglie rom che vi vivono, vuole proporre uno sguardo diverso
sulla cultura e sulla realtà dei popoli rom e sinti, nella convinzione che per
rom e "gagi"
(termine che in lingua romanì indica "non rom") abitare insieme la città sia
possibile.
All'incontro partecipano, oltre ai volontari del Naga, famiglie rom,
associazioni che rappresentano e che operano con i rom, esponenti
dell'amministrazione comunale, dei consigli di zona e delle associazioni di
quartiere.
Programma:
L'identità e la storia di rom e sinti
Giorgio Bezzecchi (Vice Presidente nazionale Federazione Rom e Sinti Insieme)
La vita nei campi irregolari a Milano e la storia degli sgomberi negli
ultimi anni
Racconti, testimonianze e proiezione di video
L'intervento del Naga
Per i volontari di Medicina di Strada: Andrea Galli, Cinzia Colombo, Simonetta
Jucker e Tina Aiolfi
"La discriminazione contro di noi supera tutte le frontiere": leggi,
ordinanze, sgomberi e antiziganismo
Marzia Barbera (Naga Medicina di Strada)
Dibattito
Interverranno: musicisti, comici, registi rom
Aperitivo rom
D'intesa con la Presidenza del Consiglio Comunale di Milano - Ingresso libero - www.naga.it –
naga@naga.it – 349.1603305
ROMA - Un milione e 600 mila euro. Questa la spesa sostenuta dal Comune di Roma
per finanziare tre progetti di reinserimento socio-lavorativo rivolto a 125 Rom.
Ma solo per 16 di loro la «borsa lavoro» si è concretizzata in un contratto
vero, con un costo pro capite di centomila euro. Sono i numeri di «Lavoro
sporco», la ricerca elaborata da Angela Tullio Cataldo dell'Associazione 21
luglio. Dallo studio emerge che per il progetto della "pulizia dei campi", una
grossa quantità di denaro pubblico è stato elargito a pioggia e senza un reale
controllo da parte dell'amministrazione. Somme ingenti, più di un milione di
euro, secondo l'associazione stanziati senza progettualità. Addirittura c'è il
sospetto che siano finiti nelle tasche di sedicenti rappresentati delle diverse
comunità Rom per ottenere una cosa specifica in cambio: lo spostamento
dell'insediamento.
IL PROGETTO - Non c'è un nome del progetto per la pulizia dei campi attrezzati,
che ha fatto emergere il sospetto di accordi poco limpidi tra le amministrazioni
e i rappresentanti delle comunità Rom. A fronte dei finanziamenti, sostiene la
ricerca, non ci sono stati risultati in termini di miglioramento della
condizione lavorativa e sociale per chi vi ha partecipato. Grazie alle
testimonianze di alcuni Rom si è ipotizza che lo scopo principale del progetto
sia stato quello di facilitare lo sgombero degli insediamenti presenti in città.
Nel 2010 la Martora viene chiusa e 250 Rom vengono trasferiti a Castel romano, a
30 chilometri dalla città. «Avevano garantito un lavoro a 18 di noi se avessimo
promosso lo spostamento del campo – recita una testimonianza presente nel
dossier – ma queste promesse non sono mai state onorate e ci siamo ritrovati
senza niente, lontani dalle scuole e dalla possibilità di un lavoro». Le
cooperative Rom che dovevano pulire il campo venivano ricompensate con circa 40
mila euro al mese, ma il denaro veniva versato direttamente al rappresentante
che, nella maggior parte dei casi, assumeva solo famigliari e non rispettava gli
accordi presi per lo svolgimento del lavoro.
TOR DE CENCI - Sembra che sia successo a Tor de Cenci. Proprio il campo per cui
continua ad essere chiesta la chiusura per trasferire i residenti nel nuovo
villaggio attrezzato de La Barbuta. «Il Comune ha affidato la pulizia alla
comunità - racconta un rappresentante dei Rom - senza che vi sia un controllo
dei fondi spesi: si vuole favore la chiusura di un campo che avrebbe bisogno
solo di una manutenzione ordinaria». Infatti le condizioni igienico-sanitarie
sono inquietanti e l'insediamento sembra essere totalmente abbandonato dalle
amministrazioni.
LO STUDIO - Nella ricerca sono stati presi in considerazione i parametri base
per la determinazione della funzionalità di ogni progetto. Fra i tre progetti
finanziati tra il 2010 e il 2011, solo il primo denominato Resit ha avuto una
reale inclusione socio-lavorativa, perché l'unico a non essere stato elaborato
specificatamente per la comunità Rom, ma in generale per le fasce più deboli
della società. Oltre a questo, il progetto Retis è stato anche l'unico ad avere
un reale svolgimento all'esterno del campo. «Il reinserimento nel mondo del
lavoro è una condizione fondamentale per ogni persona, perché garantisce la
possibilità di spostamento ed emancipazione – spiega la responsabile della
ricerca – C'è la necessità di superare la logica del campo, presente solo nel
nostro Paese, che oggi crea una forte discriminazione tra chi vi abita. Il
lavoro offre una possibilità d'uscita e proprio per questo è importante mandare
avanti quei progetti che hanno avuto successo». Carlo Stasolla, presidente di 21
luglio, fa sapere che il testo sarà consegnato all' assessore alle Politiche
sociali del Comune, proprio per «spingere l'amministrazione a effettuare
maggiori controlli e a favorire il progetto Retis, l'unico che abbia realmente
ottenuto dei risultati».
Nel 2001 la nonna di una decina di bambini Rom che quest'anno hanno iniziato a
frequentare per la prima volta la scuola elementare, ha trascorso, gravemente
malata, gli ultimi due mesi della sua vita ospite di un ortolano del quartiere,
nella baracca di un orto abusivo sulle sponde del Sangone.
Dieci anni dopo i suoi figli vivono in una condizione non dissimile alla sua,
anche se, grazie ad un progetto avviato nell'estate del 2011 che coinvolge
cinque famiglie Rom, i suoi nipotini frequentano le scuole del quartiere, con
una frequenza superiore alla media cittadina.
Eppure, ancora oggi, queste famiglie vivono per strada, con tutti i disagi che
ne conseguono sia per loro che per il territorio.
In questi mesi, oltre l'accoglienza dei bambini da parte delle scuole, alcune
realtà e volontari hanno stretto un fragile cordone di solidarietà a sostegno di
questa esperienza. Alcuni hanno messo a disposizione un posto nel cortile, altri
un bagno, altri ancora il latte per la colazione o un po' di semplice vicinanza
umana.
Questo sforzo, che sta già dando frutti miracolosi, anche grazie a qualche
sostegno da parte delle istituzioni, ha bisogno dell'intervento di chi, a
livelli più alti, può consentire il pieno successo di questa piccola esperienza
di tolleranza e convivenza a Torino.
Come operatori e come abitanti ci rivolgiamo quindi alle autorità cittadine per
tre questioni su cui i nostri sforzi sono stati finora vani:
1. identificare e autorizzare una collocazione provvisoria delle famiglie,
distribuita in postazioni singole, perché non siano oggetto di continui
sgomberi;
2. sostenere le procedure necessarie all'ottenimento dei documenti per chi sia
nella condizione di apolidia, consentendo così l'avvio di regolari percorsi
lavorativi;
3. concedere spazi o locali per l'accoglienza abitativa delle famiglie, nella
prospettiva di consentire la maturazione dei requisiti per il successivo
ingresso in casa.
Non crediamo che la realizzazione di un nuovo campo nomadi possa sostenere
efficacemente l'inserimento e l'integrazione di queste famiglie.
Ci auguriamo che sia possibile intraprendere un percorso che dia a queste
famiglie un futuro di emancipazione dalla povertà e dall'esclusione sociale.
Al Prefetto di Torino
S.E. Alberto Di Pace
Al Sindaco di Torino
Piero Fassino
All'Arcivescovo di Torino
Mons. Cesare Nosiglia
Loro sedi
To the kind attention of Mr Alberto Di Pace Prefect of Turin
To the kind attention of Mr. Piero Fassino
Mayor of Turin
To the kind attention of Bishop Cesare Nosiglia Archbishop of Turin
ROMA FAMILIES IN SOUTH-MIRAFIORI
In 2001, the grandmother of ten Roma children who started attending the primary
school for the first time in the year 2011-2012, has passed, seriously ill, the
last two months of her life hosted by a gardener of South-Mirafiori, inside an
illegal orchard's shack along the banks of Sangone creek.
Ten years later, her sons and daughters live in conditions not different from
the one she experienced. That even if, thanks to a project involving five Roma
families, started in Summer 2011, her grandchildren are attending local primary
schools, with a frequency higher than the average of Turin. Yet, even today, these families live on the streets, with personal and
social disadvantages for them and the territory, as well.
In these last months, local schools welcomed children in their classes.
Furthermore, a slight solidarity supporting this experience has been forwarded
by some local entities and volunteers: some of them hosted Roma families with
campers in their courtyards, others offered the possibility to shower, and some
others gave milk for breakfast or simply human neighborhood. This effort, already bearing some unexpected results, thanks also to
the support given by the institutions, needs the support of someone at higher
levels allowing the full success of this little experience of tolerance and
cohabitation in Turin. We, workers and residents of South-Mirafiori, wish to submit to the
city authorities these three issues on which our efforts have not reached the
expected results:
1. to identify and authorize a temporary accomodation for these families. Every
family should stay in individual location, in order not to undergo continuous
evictions;
2. to take charge of the procedures necessary to obtain the documents for
stateless people, allowing to start regular working projects;
3. to provide spaces or to house these families, so that they can qualify for
entering a real future home. We do not believe that creating a new Roma camp can effectively support
the inclusion and the integration of these families.
We hope that we can undertake a way to give these families a future of
emancipation from poverty and social exclusion.
Di Fabrizio (del 22/05/2012 @ 09:03:36, in Italia, visitato 1454 volte)
Ricevo da Marco Brazzoduro
Il 15 maggio 2012, una delegazione di giovani rom, nati in Italia ma
cittadini stranieri, ha incontrato il presidente della commissione diritti umani
del Senato, Pietro Marcenaro, e gli ha consegnato un appello per il capo dello
Stato, Giorgio Napolitano. E' stato stimato che ci sono in Italia almeno 14 mila
ragazzi di origine rom che, nati da genitori apolidi o residenti irregolarmente
nel nostro Paese, si sentono parte integrante della società, pur essendo nei
fatti degli "estranei".
Ecco, qui di seguito, il testo integrale della lettera:
Caro Presidente. Siamo in tanti, ragazzi e ragazze del popolo Rom nati in
Italia, di seconda, a volte anche di terza generazione, da genitori apolidi o
residenti irregolarmente nel nostro Paese. Ci rivolgiamo a Lei perché ancora una
volta abbiamo apprezzato le parole chiare che ha inteso indirizzare al Sindaco
di Nichelino, che ha avuto la sensibilità di concedere la cittadinanza onoraria
a 450 ragazzi nati da genitori stranieri in quel territorio.
Siamo italiani, ma stranieri. Ci sentiamo "parte integrante della nostra
società", ma viviamo quotidianamente il disagio di essere considerati
impropriamente stranieri. Disagio doppio e particolarmente pesante per noi
ragazze e ragazzi Rom. Non è assolutamente facile, ci creda, per tanti di noi
regolarizzare posizioni giuridiche, ottenere un permesso di soggiorno, fare
richiesta di cittadinanza, perché veniamo da famiglie che vivono da sempre
situazioni precarie, per la difficoltà di reperire la necessaria documentazione,
in particolare per quelli di noi i cui genitori e nonni sono nati e provengono
da luoghi che hanno vissuto recenti e drammatiche vicende belliche.
Eppure abbiamo frequentato le scuole. Una situazione difficile, quella che
viviamo, di "stranieri in patria". Che rende precaria la nostra vita e non
agevola l'integrazione sociale e l'accesso al lavoro, nonostante molti di noi
abbiano frequentato le scuole e, soprattutto, vorrebbero inserirsi regolarmente
e legalmente nella comunità civile. In tanti abbiamo vissuto la violenza degli
sgomberi dei campi e l'umiliazione della reclusione nei CIE, i Centri di
identificazione per l'espatrio. Ed in tanti viviamo in case popolari o case
proprie o ancora piccole aree autocostruite. Ma espatrio verso dove, se è
l'Italia la nostra patria? Ci creda, sono esperienze dure e drammatiche, che
spingono, purtroppo, tanti giovani verso la marginalità, l'illegalità ed il
rifiuto delle regole civili. Che ricacciano le nostre comunità verso
l'esclusione sociale ed una inaccettabile discriminazione.
Le risposte da un Governo che guarda all'Europa. Dal Governo Monti, signor
Presidente, governo che guarda all'Europa ed ai suoi valori fondanti di
accoglienza, di solidarietà e di inclusione sociale, ci aspettavamo finalmente
un provvedimento che ponesse fine a questa ingiustizia. Abbiamo anche apprezzato
le aperture del Ministro Riccardi, espressione della Comunità di Sant'Egidio, i
cui volontari frequentano i campi e conoscono bene le nostre difficoltà. Ma
ancora una volta dobbiamo prendere atto che nulla è successo.
Speriamo nella sua lungimiranza. Non possiamo che appellarci a Lei, affinché con
la determinazione e la lungimiranza che tutti le riconoscono intervenga su
Governo e Parlamento per porre fine ad una discriminazione che produce solo
tensioni e disagi, che è palese ingiustizia, che tradisce i valori della Carta
Costituzionale. Siamo, ci sentiamo, vogliamo essere riconosciuti cittadini
italiani.
Confidando in Lei, le porgiamo i più distinti e cordiali saluti.
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