Tratto da un recente
scambio di opinioni:
Nell'introduzione leggiamo: "Quelli di cui parlo non sono Rom
immaginari o da rotocalco, ma persone reali con cui ho agito, discusso, riso,
litigato per anni". Quale è la Sua esperienza personale con la comunità rom?
Quella di una comunità piccola, rinchiusa ed assediata. Al di là di questo,
composta da gente che ha, come me o come il mio vicino di casa, problemi,
aspettative, guai e speranze...
Ho ritrovato un post che fece scandalo nella sonnacchiosa comunità dei
blog di Tiscali, del
17 marzo 2005:
Vittorio: "Per come è oggi la situazione, è meglio vivere in
un appartamento, soprattutto per i nostri figli. Nei campi spesso c'è troppa
violenza, e la situazione igienica non è certo delle migliori".
Rita, sua moglie: "Certo, io pur non essendo una zingara
preferivo la vita nei campi. Anche i nostri bambini stavano meglio. Quando ci
siamo trasferiti in appartamento non riuscivano a dormire, si sentivano
soffocare e poi sentivano la mancanza dei loro amici. Nei campi si vive tutti
insieme, in questi palazzi, invece, ognuno pensa per sé".
Ivan: "Tutte le mattine devo timbrare il cartellino alle otto.
È mio padre che tutte le mattine mi accompagna all'autobus in macchina. La mia
vita è cambiata completamente, vivo con i miei e prima andavamo avanti col
contagocce, oggi ho dodici mensilità, tredicesima e quattordicesima. Sul posto
di lavoro nessun problema, essere zingaro non ha provocato reazioni negative fra
i miei colleghi. I miei colleghi non sono bambini, sanno che vivo in un
accampamento, ma non è un problema."
testimonianze da: Zingari a Milano di Laura Tajoli, Roberta Lorenzetti,
Giliola Verza ed. Vivereoggi – Comune di Milano
Francesco: "La nuova sistemazione abitativa ha fatto emergere
anche nuovi problemi cui devo dedicare la mia attenzione e il mio impegno. Devo
occuparmi degli attacchi della luce, delle giovani coppie in cerca di casa e dei
rapporti tra il nuovo quartiere e gli altri cittadini di Cosenza.
Non è facile il mio ruolo; mentre prima della realizzazione del villaggio mi
occupavo della sola questione abitativa, ora affronto tutti i problemi, sono un
mediatore 'globale', usando una parola imparata dei miei amici del Movimento per
la Pace che ho frequentato da quando siamo usciti dalla baraccopoli e viviamo
più intensamente la vita cittadina.
L'uscire dall'emarginazione mi ha permesso di acquistare maggior sicurezza nelle
mie capacità. La responsabilità acquisita, grazie all'incarico di mediazione
dell'Opera Nomadi, mi ha spinto a partecipare con consapevolezza a tutti gli
incontri con le autorità, come ad esempio il Giorno della Memoria, organizzato
insieme al Comune di Cosenza per ricordare i Rom e i Sinti sterminati dal
nazi-fascismo.
L'arrivo nella nostra città di un gruppo di Rom, provenienti dalla Serbia, è
stata l'occasione per conoscere la lingua che parlavano i miei nonni: quel
romanès che vorrei portare nelle scuole."
atti del convegno: LA MEDIAZIONE CULTURALE, una scelta, un diritto –
Istituto di Cultura Sinta – Mantova 2004
Parlando con un amica al campo: "Quand'ero più giovane, sono
andata a chiedere l'elemosina. Non perché mi piacesse, ma perché non c'erano
alternative. Adesso qualche volta lavoro, non lo farei più. I miei genitori
erano analfabeti, io ho studiato in collegio. Le mie figlie adesso frequentano
le superiori. Ecco: non voglio che loro debbano mai chiedere l'elemosina,
sarebbe l'unico motivo per tornare a farlo io!
Loro sono diverse da me: figurati che adesso si preoccupano della linea! E poi,
io alla loro età mi vestivo come capitava, loro vanno a scuola e vogliono non
sfigurare di fronte alle loro amiche gagi. Così, mi chiedono i soldi per i
vestiti. Ma di soldi, ne girano sempre pochi. Così ho risposto: la mattina
andrete a scuola, il pomeriggio a lavorare. Anche come lavapiatti, non importa.
Non torno a chiedere la carità per comperarvi vestiti."