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Di Fabrizio (del 05/12/2011 @ 09:33:04, in Kumpanija, visitato 1639 volte)

Segnalazione di Voijslav Stojanovic

Noi come loro, un secolo fa Albania News - 02 Dicembre 2011 - Da Esmeralda Tyli

Se mi si domanda di definire la prima generazione di immigrati, oserei dire "silenziosa, invisibile e individualista per troppo tempo". Ne sono consapevole che una tale definizione non susciterà troppe simpatie e consensi.

Sia per un po' d'orgoglio, sia perché come tutti gli umani, siamo più propensi a gettare le colpe sempre sugli altri, in pochi condivideranno questa mia opinione.

Essere schietti e leali, prima di tutto vuol dire esserlo con se stessi. Fare un bel esame di coscienza individuale e generazionale non guasterebbe, anzi, aiuterebbe ad uscire prima possibile da quel guscio in cui ci siamo rifugiati dal momento in cui siamo approdati in questa terra, ancora succubi delle condizioni socio-politiche che avevamo lasciato nei paesi d'origine.

Era ovvio che la paura e le diffidenze non ci avrebbero abbandonato subito. Educarsi con la nozione e la realtà "Democrazia" non è fenomeno che si realizza automaticamente appena metti piede in un paese democratico. È un processo lungo e non sempre facile se non aiutato da politiche adeguate per l'integrazione. Ma siamo arrivati in Italia, paese che storicamente va avanti a forza di decreti legge per le emergenze..emergenza abusivismo, emergenza corruzione.

Persino emergenza mafia, anche se la mafia esiste da un bel po' di tempo ormai. Sempre emergenza in vista. Così fu e ancora lo è con il fenomeno immigrazione. L'emergenza albanesi che ha liberato i polacchi dal peso della definizione "il male dell'Italia", passandoci la staffetta . Poi i jugo, (le popolazioni della ex- Yugoslavia che scappavano dai feroci conflitti che stavano sprofondando la penisola balcanica in una guerra senza fine) e poi e poi di nuovo gli albanesi, i rumeni, cinesi, subsahariani nordafricani rom un'eterna emergenza.

Sono entrata in questo paese con la legge Martelli..e non mi si domandi se ricordo tutte le leggi che si sono susseguite risponderei di no. Ho perso il filo nella giungla di leggi e decreti speciali. Un immigrazione alquanto selvaggia per il fatto che le politiche per l'integrazione erano totalmente assenti. L'integrazione era questione di noi altri.

"Se vogliono, che s'integrino" - la frase più ricorrente che usciva come perla di saggezza dai politici, i giornalisti, persino dal panettiere sotto casa. L'integrazione, al massimo era una questione che dovevano risolvere le varie associazioni e organizzazioni non governative.

Qualche spiraglio c'era in qualche realtà di amministrazioni locali, ma molto fiacca per mancanza di mezzi e di conoscenza del fenomeno. E non ne parliamo degli attacchi immediati provenienti dalla politica e dai media,rivolti ad una nazionalità specifica, in caso che un membro di essa compiva un crimine, minore o grave che fosse. Iniziava (e inizia ancora ),una campagna denigratoria senza fine. A tal punto che la nazionalità in questione emetteva un sospiro di sollievo in caso di altro crimine compiuto da italiani o da membri di nazionalità diverse.

Incredibile, offensivo e fuori da ogni logica umana ma vero!!! Era l'unico modo per salvarsi almeno per un po' da definizioni diffamatorie che toglievano le forze Dopo aver detto tutto ciò, può nascere spontanea la domanda:- "Che c'entra la prima generazione in questa situazione caotica?"

Penso che noi, cittadini di origine non italiana, dobbiamo riconoscere la nostra colpa per la formazione e lo sviluppo di questo terreno fertile di attacchi a più non posso dei media e della politica, specialmente nei momenti cruciali della nazione. Un terreno fertile anche per un certo indifferentismo e apatia nel trattare la questione Immigrazione come un problema, una questione scomoda da prendere con le pinze.

La nostra colpa? Subire in silenzio per anni, cercando di proteggere noi stessi. Subire in silenzio, non reagire in maniera organizzata rispondendo agli attacchi in modo immediato e difendendo la parte sana, (che è anche la maggioranza) degli immigrati che non ha niente a che fare con la delinquenza e le azioni lesive verso la società. Aspettare che le cose cambiassero in positivo passivamente e che questi cambiamenti arrivassero dagli altri come la mana del cielo, non riconoscendo subito il nostro ruolo da veri cittadini di questa nazione e permettere che fossimo trattati solo come braccia da lavoro Ecco, questo è in parole povere la nostra colpa.

Subire e indignarci in silenzio, rischiando di ghettizzare persino l'anima, senza reagire adeguatamente, basandosi sui mezzi che la democrazia ci concede.
La mancanza per molti lunghissimi anni dell'attività reale e organizzata, appoggiando le lotte quotidiane di quella parte della società italiana che aveva ed ha le stesse aspirazioni, gli stessi concreti ideali per una società migliore, non era di certo la strada giusta per combattere l'inadeguatezza delle politiche sull'immigrazione e integrazione, e per non permettere l'uso da parte dei media dell'immigrato come il male che infetta questo paese. Per moltissimo tempo abbiamo permesso passivamente di vedere buttarci addosso le colpe delle vari momenti difficili della nazione, abbiamo permesso che l'integrazione sia trattato come un problema e non come una strada da percorrere insieme. Abbiamo aspettato troppo.

Abbiamo aspettato troppo per gridare BASTA!! con la nostra voce potente che è ugualmente valida e ha la stessa forza di quella dei nostri compagni di viaggio italiani, nella giusta strada del miglioramento e dello sviluppo di questa società. Perché..perché spesso e volentieri abbiamo avuto
la percezione che questa società non ci apparteneva, e non appartenevamo ed essa.

Sì, sono molto critica, prima di tutto verso me stessa e verso tutti noi, verso il silenzio e la rassegnazione della cosiddetta prima generazione degli immigrati. Troppi silenzi, testa nascosta nella sabbia come lo struzzo, rassegnazione e paura di esprimersi.. Facile nascondersi dietro l'alibi delle mancanze legislative ma noi proprio noi, cosa abbiamo fatto per rispondere adeguatamente a queste mancanze? Parlo di una generazione, nella maggior parte con un bagaglio culturale e d'istruzione molto alta rimasta nascosta per troppo tempo.

Ci siamo ribellati..sì..è vero, ma una ribellione bisbigliata dentro le mura delle proprie abitazioni, oppure spesso neanche bisbigliata ma solo soffocata. Abbiamo mormorato BASTA solo dentro di noi, in silenzio, mettendo maschere d'indifferenza e non abbiamo fatto i conti che, un giorno, i nostri silenzi sarebbero caduti sulle spalle dei nostri figli.

Le parole del Presidente Napolitano sul diritto di cittadinanza per i ragazzi nati e cresciuti in Italia ci rincuorano, ci danno ottimismo. Si parla dei nostri ragazzi, di coloro che vengono definiti seconda generazione.

Ma di noi di noi che siamo i genitori, gli zii o semplicemente amici di famiglia, non se ne parla. Quasi come se questa seconda generazione fosse nata dal nulla. E questo nulla lo abbiamo creato anche noi, con la nostra indifferenza, i nostri silenzi la nostra non partecipazione.

Abbiamo cercato di integrarsi con le nostre forze, con la nostra grande volontà. Questo fatto ci fà onore. Abbiamo educato i nostri figli con dei principi sani, occupandosi di dare a loro anche una giusta istruzione, pretendendo i risultati massimi a scuola. Abbiamo cercato di vedere in loro il nostro riscatto per le ingiustizie subite in tanti anni. E non ce ne siamo accorti che forse l'ingiustizia più grande lo abbiamo fatto noi a se stessi, con i silenzi prolungati nel tempo, con la rassegnazione, rischiando di diventare fantasmi viventi.

Se domandi ancora oggi giorno un natìo italiano chi sono questi esponenti della prima generazione, all'inizio lo vedrai pensarci su, e poi spesso ti risponderà:- "Quelli che venivano in gommoni, in barconi semidistrutti.. Eh loro portavano la droga, le donne per venderle in strada" e altre cose del genere. Spesso lui ignora la presenza del muratore straniero che ha ristrutturato la sua casa, la colf che gli ha cucinato il ragù meglio di una massaia emiliana, la babysitter che gli ha cresciuto i figli con tanto amore, insegnando a loro a scandire bene la parola "mamma" e a fare i primi passi verso quella cosa così bella che si chiama vita.

Perché perché il muratore o la colf sentivano in silenzio i commenti che si facevano nelle case su questi stranieri, (e non aggiungo le definizioni non proprio simpatiche che accompagnavano il termine stranieri), su questi stranieri che "vengono qua e dettarci legge e a rubarci il lavoro e i mariti ". In silenzio e senza fiatare inghiottendo spesso le lacrime. Ecco il massimo della ribellione di noi, la prima generazione. E in silenzio abbiamo costruite le case nel paese d'origine, dove andiamo una volta all'anno e dove ci fermiamo sempre di meno.

E ce ne siamo resi conto solo tardi, molto tardi che, la vera costruzione della nostra vita noi lo facevamo lì dove producevamo ogni giorno, lì dove i nostri figli crescevano e si formavano come persone e come cittadini in una società, la quale ancora non se ne rendeva conto della nostra voce, della nostra esistenza, del nostro contributo nello sviluppo della società stessa.

Ce ne siamo accorti molto tardi che stavamo diventando immigrati a tempo indeterminato, rischiando che i nostri figli diventassero una seconda generazione di immigrati a vita. Ci ha dovuto pensare il Presidente per dare una scossa alle nostre coscienze che ormai si stavano svegliando dal letargo ma un po' apatiche, ancora non trovano la strada giusta per attivarsi nella lotta quotidiana per i diritti.

Per dirla tutta e all'onor del vero, negli ultimi 3-4 anni, la partecipazione sempre più numerosa e sempre più attiva dei cittadini di origine non italiana nelle varie manifestazioni, iniziative concrete, nelle lotte quotidiane dimostra che finalmente il risveglio delle coscienze è una realtà. Abbiamo iniziato a riconoscerci il ruolo importante di membri attivi di questa società.

Un tardivo risveglio?? Forse sì! Ma forse, forse proprio questo dà ancora più forza alla nostra voce. Perché difendiamo il nostro diritto di essere trattati alla pari nei doveri e nei diritti con i cittadini italiani. Così agendo, facciamo comprendere alla società che questo paese lo rispettiamo, lo amiamo, lo chiamiamo CASA. È la casa dei nostri figli e nipoti,la maggior parte dei quali qui ci sono nati, crescono e maturano. E la casa la si difende e la si migliora continuamente, investendo energie concrete, investendo il proprio lavoro, il proprio sudore, la propria mente e la propria passione.

Ce ne ribelliamo più apertamente e in modo attivo verso le leggi discriminatorie della Destra, (la legge Bossi-Fini, con il suo contenuto disumano è un ostacolo quasi insormontabile per una vera e naturale integrazione), e ci rallegriamo per l'attivazione concreta della Sinistra nel cercare di dare al fenomeno immigrazione la dignità e l'attenzione che merita, senza abbassare la guardia e il tenore degli sforzi quotidiani a questi intenti. Sto cercando di rimanere il più possibile neutrale e razionale su questo punto, perché in queste mie personali riflessioni non vorrei fare un'analisi politica né dell'una e né dell'altra parte, anche se a chi mi conosce è noto il fatto su da che parte sto per quanto riguarda lo sviluppo politico italiano. Non è stato mai un segreto e ne sono consapevole delle mie scelte e le mie convinzioni.

Ma, anche dalla parte politica che io stessa appoggio, c'è una certa falla per quanto riguarda la prima generazione. Forse il mio è un richiamo a noi e proprio a loro. Siamo dei quarantenni, con delle risorse ancora inesplorate e non messe alla disposizione.

Abbiamo un mondo ricco dentro di noi, che si può sfruttare in tutti i campi. Il futuro è dei nostri figli, dei giovani ma noi esistiamo in questo presente. Esistiamo e viviamo non siamo dei vegetali.

Abbiamo molto da dare prima di tutto la nostra energia e il nostro sapere, la nostra esperienza inestimabile. Abbiamo coscienza e per di più siamo degli adulti che come dovere primario conosciamo il ruolo di guida per i nostri ragazzi. Non siamo solo una definizione di un aspetto dell'immigrazione, siamo attivi. Non scordate la nostra presenza, perché siamo proprio noi le radici di questa seconda generazione.

Ci siamo!!! E vogliamo che si riconosca il nostro ruolo attivo in questa società, in tutti i campi per preparare un terreno fertile per la crescita e lo sviluppo delle nuove generazioni. Rendiamo attiva questa prima generazione, rendiamola utile proprio ora che la sua coscienza è risvegliata. Perché si è lasciata ed è stata lasciata per troppo tempo in disparte per ragioni sopra menzionate. Sennò rischiamo di vedere una seconda generazione riconosciuta come cittadini in tutti gli effetti, che come radice ha una generazione ghettizzata.

L'esempio dei ragazzi di origine nord-africana di cittadinanza francese che fischiano l'inno nazionale, ci deve fare riflettere. Già il mondo lavorativo tratta i quarantenni e i cinquantenni come peso morto Che la politica non faccia lo stesso errore!!!

Chiudo queste riflessioni personali, prendendo spunto da due passaggi che citerò:
1. "Ho provato ad affermare un principio: l’integrazione non riguarda gli altri. Riguarda noi, tutti. Noi tutti che condividiamo il destino di vivere nello stesso spazio e nello stesso tempo. Indipendentemente da dove siamo nati, in quale lingua sogniamo, quale sia il nostro credo religioso, il nostro orientamento sessuale, la nostra età, il nostro genere o la nostra condizione sociale ed economica. Noi che usiamo gli stessi mezzi pubblici, le stesse piazze, gli stessi luoghi di lavoro, gli stessi giardinetti dove giocano i nostri figli

2. Lavoriamo perché l'Italia sia un paese per tutti, per i bimbi e per i loro genitori, qualsiasi sia la loro origine.

Visti così, sembrano i passaggi dello stesso discorso, della stessa persona. Invece appartengono a momenti diversi e a persone diverse. Il primo è di Ilda Curti, Assessore delle Politiche per l'Integrazione di Torino. E il secondo appartiene a Marco Pacciotti, Coordinatore Nazionale del Forum Immigrazione PD, in un intervento congiunto con Piero Ruzzante, Vicepresidente della Commissione Bilancio di Regione Veneto.

Comunque la si pensi dal punto di vista politico, si può trarre la conclusione che, la società che vogliamo è proprio questa, dove c'è un posto e un ruolo per tutti, e dove la politica mette in centro del suo lavoro il cittadino.

Noi, di prima generazione lo siamo!!! E vogliamo riconoscere e vedere riconosciuto il nostro ruolo nella società e nello sviluppo di essa. Ne vale il nostro presente e il futuro delle generazioni che verranno.

Esmeralda Tyli Ha studiato "Letteratura italiana" presso l’Università di Tirana

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Di Fabrizio (del 05/12/2011 @ 09:14:28, in media, visitato 1371 volte)

Da Czech_Roma

František Kostlán, translated by Gwendolyn Albert - Prague, 2.12.2011 18:08
Intervista con Milan Uhde, presidente del consiglio d'amministrazione della Televisione Ceca

Ha preso una piega inaspettata il caso della denuncia presentata da Anna Šabatová e Petr Uhl al Consiglio delle Trasmissioni Radio e Televisive Ceche (Rada pro rozhlasové a televizní vysílání - RRTV) riguardo l'uso del termine "inadattabili" in televisione. Michal Heldenburg, capo del dipartimento legale della Televisione Ceca, ha fornito una risposta con diverse generalizzazioni ed interpreta la società democratica come una sorta di regola della maggioranza che non tiene conto della minoranza. La lettera cita anche argomenti irrilevanti usando un peculiare vocabolario "legale" come in questo caso: "Nella Televisione Ceca lavorano degli zingari. Uno di loro è anche presentatore del telegiornale. Non è questo un esempio concreto di rottura degli stereotipi?" (vedi nostri rapporti precedenti).

Anna Šabatová ha detto a Romea.cz che la risposta di Heldenburg è "arrogante ed offensiva e manca l'essenza del problema che stiamo sollevando. E' indegna, la Televisione Ceca è uno strumento mediatico che influenza ogni giorno milioni di persone."

Petr Uhl considera la risposta di Heldenburg incompatibile con l'approccio europeo verso i differenti gruppi di persone. "Sto parlando del trattamento di qualsiasi gruppo, non soltanto dei Rom. Attribuisco questo comportamento inumano ed antisociale all'eredità dei 40 anni della nostra storia prima del novembre 1989. Qui l'ambiente è simile a quello del secondo dopoguerra, e l'intolleranza di interi gruppi di popolazione a quel tempo portò ad ingiustizie evidenti," ha detto a Romea.cz.

Abbiamo intervistato Milan Uhde, presidente del consiglio d'amministrazione della Televisione Ceca, riguardo alla lettera di Heldenburg. Uhde non sa ancora se la commissione esaminerà la lettera durante la prossima riunione, perché era malato e non ha potuto partecipare alla stesura dell'agenda. Tuttavia, ci ha comunicato le sue opinioni personali sulla questione.

Cosa ne pensa di questa lettera di Michal Heldenburg in risposta alla denuncia sull'uso del termine "inadattabili"?

Quella lettera è mostruosa. Un avvocato della televisione pubblica non deve farsi coinvolgere in simili tecniche comunicative.

Protesterà in qualche modo?

Lunedì porterò la lettera del dottor Heldenburg all'attenzione del direttore generale, Petr Dvořák. Non gli chiederò quanto non è di mia competenza, ma gli darò la mia opinione, cioè che ciò è fuori dalle regole. Gli chiederò di leggerla lui stesso e vedere l'impressione che farà su di lui.

Nella lettera, Heldenburg difende l'uso del termine dicendo che  "Gli zingari lavorano nella Televisione Ceca"...

Non si tratta solo del suo vocabolario. La lettera mostra che non ha imparato nemmeno le basi della logica elementare. Anche se nella Televisione Ceca lavorassero un migliaio di Rom, questo non avrebbe niente a che fare col motivo del dibattere. E' la stessa cosa di scrivere che non si è razzisti perché si ha un amico rom. E' il tipo di argomenti usati spesso dagli antisemiti: "Guarda, non sono antisemita, qualche volta ho pranzato con un ragazzo ebreo." Tutto ciò non ha niente a che fare col fatto che i Rom lavorino o meno nella Televisione Ceca. Anna Šabatová e Petr Uhl si sono lamentati per l'uso dell'aggettivo "inadattabili", non per la mancanza di personale rom nella Televisione Ceca.

Il che ci porta al commento di Heldenburg su quella espressione...

L'espressione "inadattabili" implica inequivocabilmente che la persona così etichettata vuole esserlo, "inadattabile". Il termine, semplicemente, non descrive la situazione di quanti sono così etichettati dai media. Le persone socialmente escluse non hanno scelto la loro situazione, sono state obbligate dalle circostanze. Sono finite nell'esclusione sociale per motivi concreti. Una persona "inadattabile" sarebbe un criminale che intenzionalmente non segue le regole, non una persona socialmente esclusa.

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Di Fabrizio (del 04/12/2011 @ 09:26:32, in Italia, visitato 2008 volte)

Parto dalla fine, la mia (personale) delusione per il teatrino visto in 6 mesi. In questo periodo ha visto, cercato, contattato, persone importanti e meno, ascoltato le loro dichiarazioni e poi le loro smentite, ho trovato tanti che volevano PARLARE, ma quasi nessuno che cercasse di DIALOGARE.

Settimana affollata di eventi, quella appena passata:


PRESIDIO A PALAZZO MARINO
Campi rom, trattative e stop agli sgomberi
Un tavolo di confronto entro Natale e, nel frattempo, niente sgomberi. L' accordo con la Consulta rom e sinti è arrivato per voce di Paolo Limonta, della segreteria del sindaco, che ieri pomeriggio è intervenuto al presidio organizzato davanti a palazzo Marino. Prima una ventina, poi sempre più numerosi, i rom hanno chiesto una moratoria per gli sgomberi («Quando fa freddo anche le Nazioni Unite indicano di sospenderli») e di fermare il piano Maroni. Circa 2 mila in tutta la città, i rom chiedono attraverso la portavoce Diana Pavlovic di aprire un confronto con il Comune. Insorge però l'opposizione di centrodestra. «Lo stop agli sgomberi dei campi nomadi è sconcertante, e ancor più lo è il ruolo dell' onnipresente Paolo Limonta che ha concluso la trattativa in nome e per conto dell' amministrazione comunale», osservano i pidiellini Carlo Masseroli e Pietro Tatarella.
Pagina 7 - (2 dicembre 2011)


Venerdì 02 Dicembre 2011 - 09:17 di Michela Corna
ROM, IL REBUS DEGLI SGOMBERI. GRANELLI: "BISOGNA INTERVENIRE SUBITO"
MILANO - È la rivincita dei rom con lo stop agli sgomberi? Ieri, una trentina di nomadi, capeggiati dalla consulta rom e sinti, ha manifestato davanti Palazzo Marino per chiedere «una moratoria agli allontanamenti forzati durante l'inverno». «Quando fa freddo anche le Nazioni Unite indicano di sospenderli», han detto. Quindi, gli sgomberi programmati entro dicembre, come in via Bonfadini, saranno rinviati? A incontrare i nomadi è stato Paolo Limonta, della segretaria del sindaco, ma senza ruolo istituzione all'interno della giunta, che si sarebbe impegnato, «a istituire un tavolo di confronto entro Natale e, nel frattempo, bloccare le ruspe». Una novità per l'assessore alla sicurezza Marco Granelli che sostiene «di non aver firmato nessun accordo»: «Credo che proprio per il bene delle persone che vivono nei campi sia necessario procedere più celermente in modo che non trascorrano l'intero inverno in situazioni poco dignitose e fortemente rischiose per la vita. Il campo di via Novara, per esempio, presenta delle condizioni igieniche-sanitarie pessime e gli impianti elettrici sono pericolosi. Vogliamo evitare una possibile tragedia e superare la logica dei campi, proponendo soluzioni di tipo abitativo per intere famiglie. Abbiamo già approvato progetti d'inserimento in case e cascine per venticinque famiglie di via Novara, via Bonfadini e via Idro, utilizzando i percorsi promossi dal Piano Maroni». Granelli incontrerà oggi Matteo De Bellis di Amnesty International, dopo l'accusa di «non aver rispettato gli standard internazionali dei diritti umani». L'assessore è chiaro nella sua posizione: «Ritengo di non aver svolto azioni contro i diritti umani, ma riconosco come istituzione umanitaria Amnesty e voglio stabilire un dialogo diretto»


di Karma Mara (Zona Autonoma Milano)
Presidio della Consulta Rom davanti a Palazzo Marino
Si è tenuto nel tardo pomeriggio di ieri il presidio voluto dalla Consulta rom e sinti davanti a Palazzo Marino, presidio che ha visto la presenza dei rappresentanti dei diversi campi, regolari e non, della città.
In piazza tante donne e tanti bambini aspettavano insieme una probabile uscita dal consiglio Comunale, riunito in seduta, di Paolo Limonta, collaboratore del sindaco sulle questioni più spinose che emergono dalle relazioni con la città.
Nel comunicato lanciato in rete la Consulta richiedeva all'amministrazione un incontro per discutere il tema dei continui sgomberi e per chiedere l'apertura di un tavolo di lavoro sulla questione rom e sinti.
Verso le cinque e trenta Paolo Limonta ha raggiunto il presidio ed è stato accolto da due bimbe rom che gli hanno consegnato il comunicato-documento della Consulta e una letterina scritta da una bimba rom di 11 anni risiedente in uno dei campi sottoposto a futuro sgombero.
I rappresentanti delle comunità presenti, tra cui quelle di via Novara e via Negrotto, hanno fatto richiesta a Limonta di un segno di discontinuità da parte di questa amministrazione rispetto alla politica della precedente; segno che fino alle dichiarazioni di ieri dell'assessore Granelli di una probabile sospensione degli sgomberi, non c'era stato.
E' stata fatta dunque richiesta di una moratoria degli sgomberi per l'inverno e di una deroga perché nei ricoveri comunali si accolgano le famiglie senza dividerle.
Limonta durante l'incontro ha tenuto a precisare che : "Questa giunta a differenza della precedente vi considera persone e non numeri, tanto che come avete visto i nostri sgomberi non avvengono ne in tenuta antisommossa né tantomeno con la presenza di ruspe… che sappiamo tutti cosa possono creare nell'immaginario dei bambini".
Dichiarazione subito smentita dall'intervento di un volontario operante nei campi che sollevando il problema dei campi non regolari ed in particolare quello di Bonfadini, gli ha ricordato come nell'ultimo tentato sgombero, proprio del campo irregolare di via Bonfadini, fossero presenti due ruspe e due camion Amsa.
Riguardo questo particolare campo è singolare come da poco si sia saputo che è decaduto l' originario motivo dello sgombero, sembra infatti essere notizia ufficiale che la strada statale Paullese di lì non passerà più, tanto che ci si domanda se quindi lo sgombero previsto per il 12 Dicembre sarà effettivo o meno.
Limonta si farà relatore per il sindaco sulla questione, ha promesso, e ha richiesto alla Consulta di fornirgli un resoconto che descriva le diverse realtà rom presenti sul territorio e le loro richieste; la Consulta ha accettato, ma ha richiesto l'apertura di un tavolo di lavoro sulla questione con una veduta più lunga sul futuro e una interrogazione su tutti gli atti dichiarati illegittimi dall'ultima sentenza del consiglio di Stato che dichiarava illegittimo il decreto emergenza.
Di fatto, rimane incerto il futuro per le comunità rom di questa città.
Di fatto, fino a quest'ultima sollecitazione, l'amministrazione non aveva realizzato un intervento conoscitivo sulle diverse comunità e le loro richieste, ma aveva applicato quasi alla lettera la politica della precedente, finendo così con il non differenziarsi su un tema delicato come il rapporto con una delle minoranze della città più bersagliate negli ultimi anni.
Ci piacerebbe che la scuola delle bimbe rom che hanno accolto ieri Limonta, sulla cartina di Milano all'opposto rispetto alla scuola elementare in cui lui insegna, formino in futuro un asse e non due linee parallele che non si incontrano mai.


e siamo a dicembre...

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Di Fabrizio (del 03/12/2011 @ 09:23:25, in Kumpanija, visitato 2434 volte)

Al Jazeera Le comunità tradizionalmente nomadiche di fronte alla discriminazione statale ed ai violenti tentativi di abolire il loro modo di vita
James Brownsell and Pennie Quinton

Le comunità viaggianti come quella di Dale Farm sono spesso distrutte col pieno appoggio delle autorità statali [GALLO/GETTY]

Viaggiate dovunque nel Medio Oriente e potrete essere accolti con queste parole: Ahlan wa sahlan wa marhaban. Letteralmente "Benvenuti su questo pezzo di terra", un ritorno al tempo in cui la cultura araba era per natura tradizionalmente più nomade ed i visitatori potevano aver avuto un lungo viaggio periglioso prima di raggiungere i loro amici.

Ma l'immagine romantica del viaggiatore errante è ben lontana dalla realtà quotidiana sperimentata dalle comunità nomadi. Da Est ad Ovest, la loro è più spesso una vita piena di discriminazioni, violenza ed oppressione portata avanti dalle autorità di stato, che tentano di costringerle a conformarsi con lo stile di vita urbano.

"E' stata un'esperienza che non dimenticherò più, la polizia che ci attaccava, ci picchiava, usava le scariche elettriche," dice Pearl, della comunità di Dale Farm.

Lei fa parte di un gruppo di oltre 200 Traveller irlandesi cacciati a forza dai loro terreni vicino a Basildon nell'Essex, Inghilterra del sud-est, da una serie di sgomberi violenti che si dice siano costati sino a 18 milioni di sterline ($29m).

L'isolamento della loro comunità, fondata negli anni '70, ha paragoni inquietanti con quella dei Beduini residenti nel Negev, che hanno subito frequenti minacce dai funzionari di Israele sin dalla fondazione dello stato - col diniego di servizi infrastrutturali ai villaggi "non riconosciuti" o semplicemente rasi al suolo dalle ruspe.

Dale Farm è un'ex discarica, venduta dal consiglio di Basildon alla comunità Traveller irlandese quando la loro vita nomade venne messa fuorilegge dal Criminal Justice Act nel 1994, che abrogava le precedenti garanzie legali ai diritti dei Traveller. Al suo culmine, Dale Farm ospitava circa 1.000 persone.

La legge del1994 abolì l'obbligo da parte dei comuni di fornire siti ai Traveller, riducendo così drasticamente i posti dove le comunità nomadi potevano sostare durante i loro spostamenti.

Attivista solidale a Dale Farm regge un crocifisso davanti alle barricate in fiamme [GALLO/GETTY]

Le autorità locali incoraggiarono allora le comunità viaggianti ad acquistare terreni per ovviare alla situazione: Dale Farm nacque appunto così. Ma la comunità di Dale Farm non si aspettava ciò che hanno descritto come un pregiudizio arbitrario mostrato dal consiglio di Basildon a guida Tory, che ha rifiutato ripetutamente i permessi di edificabilità per parcheggiare rimorchi e case mobili, e costruire casette sul sito, con la scusa che quell'ex discarica inquinata facesse parte della fascia protetta detta "green belt".

Si riferisce che durante lo sgombero, una cappella cattolica eretta in loco - intitolata a san Cristoforo patrono dei viaggianti - sia stata distrutta dalla compagnia degli ufficiali giudiziari, Constant & Co. Padre Dan Mason, il prete del posto, era a Dale Farm quel giorno.

"Ero lì... a visitare i miei parrocchiani e vedere come stavano. E' stato molto traumatico," ha detto all'Independent Catholic News.

"E' stata ferita una donna. Mi hanno detto che è stata spinta contro un muro e presa a calci. Ha subito un infortunio alla schiena. Questo è quello che mi han detto. E' stata portata in ospedale ma non l'hanno trattenuta perché non c'erano posti letto. E' tutto completamente surreale. Conosco bene quel sito. Le famiglie sono così ospitali. Ci siamo seduti in una roulotte per una tazza di tè. Non credevo ai miei occhi. Dappertutto vedevo poliziotti, elicotteri, manifestanti - sembrava una zona di guerra."

John Baron, eletto Tory al Parlamento nella circoscrizione di Basildon ed ex banchiere, ha difeso lo sgombero come applicazione della legge sui suoli.

"Non dimenticate, queste sono famiglie che hanno infranto la legge, ha detto alla BBC. "Non possiamo permetterlo in questo paese... se dovessimo semplicemente concedere a questi viaggianti di rimanere, dopo aver infranto tutte le leggi, che messaggio arriverebbe a tutti gli altri? Chiunque direbbe -Bene, se loro possono farla franca, perché non noi?- Ed avremmo il caos."

Durante lo sgombero a Richard Howitt, eletto Laburista al Parlamento Europea nella circoscrizione Inghilterra Est, non è stato permesso di osservare lo svolgersi delle azioni, dicendogli che il consiglio di Basildon aveva ordinato al personale addetto alla sicurezza di farlo spostare nello spazio riservato ai media, accanto a Dale Farm. Era stato invitato dalla televisione regionale, col permesso scritto della polizia, ed aveva correttamente ed in anticipo informato il consiglio di Basildon; quindi ha presentato una denuncia formale sulle azioni del consiglio e sull'attacco alla sua persona.

Il parlamentare si era in precedenza offerto per mediare tra Traveller e consiglio, come avevano fatto gruppi di chiesa ed organizzazioni statali. Persino le Nazioni Unite avevano condannato l'azione prevista, "esprimendo il profondo rammarico per l'insistenza del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord nel procedere con lo sgombero di famiglie zingare e viaggianti a dale Farm nell'Essx, prima di identificare e fornire una sistemazione culturalmente appropriata."

Distruggere le case di circa 86 famiglie senza fornire "sistemazione culturalmente appropriata" va contro il diritto internazionale, ha detto Amnesty International. Nel contempo, sono stati identificati due siti alternativi dalla Britain's Homes and Communities agency, ma il consiglio di Basildon ha deciso lo stesso di spingere per la liquidazione di Dale Farm, prima di considerare i permessi di edificazione su questi siti.

I residenti di Dale Farm hanno dichiarato di non aver altro posto dove andare dopo lo sfratto [GALLO/GETTY]

Il clamore sullo sgombero aveva attirato al sito numerosi attivisti solidali. Hanno aiutato i residenti a costruire barricate e si sono incatenati ad una torre d'osservazione costruita in fretta da loro stessi.

"La prima cosa che è successa, la polizia antisommossa ha fatto irruzione attraverso la recinzione ed hanno usato le pistole a scariche elettriche [Taser], prima ancora che i loro piedi fossero sul sito," ha detto un'attivista di nome Jenny durante un incontro alla Fiera del Libro Anarchico di Londra, una settimana dopo lo sgombero.

"Quelli che si erano incatenati alla torre, sono stati staccati da una "squadra di arrampicatori" molto brutale ed è stata tagliata l'elettricità, inclusa la casa di una persona che ne aveva bisogno per le apparecchiature mediche che gli sono indispensabili... Altri che erano rimasti incatenati [al cancello, alla torre] erano ancora lì 24 ore dopo. I lucchetti sono stati scardinati in una maniera rischiosa - quando le televisioni ed i media se ne erano andati. [...]"

Il giorno dopo, i Travellers decisero che era giunto il momento di andare. Racconta Jenny: "Non volevano vedere nessun altro colpito. Hanno deciso di andare con dignità e ci hanno chiesto di uscire assieme a loro... Siamo partiti in dignità e solidarietà."

Tony Ball, leader del consiglio di Basildon, ha detto alla stampa: "E' molto incoraggiante vedere i Traveller ed i loro sostenitori lasciare Dale Farm in maniera pacifica e dignitosa, cosa che ho sempre sollecitato ed auspicato. Purtroppo, questo si sarebbe potuto ottenere molti anni fa e senza le scene di violenza a cui abbiamo assistito nelle ultime 48 ore, e con queste spese a carico dei contribuenti."

Residenti, testimoni ed attivisti lamentano che lo sgombero si è svolto in maniera illegale e che, nonostante le battaglia legale condotta dai residenti, le regole di condotta emanate dall'Alta Corte non siano state seguite dalla polizia o dagli ufficiali giudiziari - che ora stanno rendendo il sito inabitabile, accumulando macerie e rifiuti sui terreni di proprietà della comunità. La compagnia [degli ufficiali giudiziari] dedica un'intera sezione del suo sito alla rimozione dei Traveller, evidenziando che "i procedimenti del tribunale significano ritardo" e promettendo "un'azione alternativa e veloce".

Contesto internazionale

Il Comitato ONU sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale ha notato [PDF] che "Tuttora Viaggianti e zingari subiscono notevoli discriminazioni ed ostilità da parte della società maggioritaria... e quesyo potrebbe peggiorare a causa delle azioni intraprese dalle autorità nell'attuale situazione".

Infatti, un rapporto del 2008 [PDF] di Human Rights First nota che parte delle discriminazioni viene approvata dallo stato stesso:

[in Italia] Migliaia di Rom sono stati allontanati dalle loro case nel 2007, quando la folla ha attaccato. picchiando i residenti ed incendiando i loro insediamenti che sono stai rasi al suolo, mentre viene riferito che in diversi casi la polizia non è intervenuta a protezione delle vittime. Alcuni politici italiani hanno favorito quanti chiedevano che i Rom fossero espulsi dalle città e deportati.

Episodi di violenza sono stati riportati anche in Bulgaria, Repubblica Ceca, Federazione Russa, Serbia e Slovacchia.

Lo stesso rapporto annota anche le dichiarazioni razziste espresse ufficialmente dal prefetto di Roma, Carlo Mosca, nel dichiarare i propri intenti di firmare i decreti di espulsione senza esitazioni. "E' necessaria la linea dura," dice, "per agire contro queste bestie".

Sono stati firmati "Patti di sicurezza" dai sindaci di Roma e Milano, che "prevedono lo sgombero forzato di 10.000 Rom" dalle due città, ignorando le regole di migrazione UE.

Nella Repubblica Ceca, Liana Janáèková, senatrice e sindaco, ha detto che il problema degli insediamenti rom potrebbe essere risolto con "la dinamite", che i Rom hanno troppi bambini, e che dovrebbero essere ""tenuti dietro una recinzione elettrica".

Tuttavia, è in Israele che lo stile di vita nomade è stato maggiormente criminalizzato, col pretesto di "aiutare" le comunità nomadi a diventare più "civilizzate".

Sono state dispiegate le guardie di frontiera, mentre le ruspe demolivano il villaggio beduino di al-Arakib [GALLO/GETTY]

Khalil al-Amour ha 46 anni ed insegna matematica ad al-Sira, uno dei 45  villaggi beduini "non riconosciuti" nel deserto del Negev, Israele meridionale.

"[I funzionari israeliani] hanno ordinato la demolizione di tutte le case del villaggio nel 2006," ha detto ad Al Jazeera. "Ci sono circa 70 famiglie e 500 persone ad al-Sira."

Le loro case non sono state ancora demolite (a differenza di altri villaggi beduini) ed il caso viene dibattuto in tribunale. Ma la loro comunità resta senza nessuno dei servizi statali che collegano i villaggi attorno, come la rete elettrica o le strade asfaltate.

"La gente ha usato i generatori per anni," dice. "Ora sto cercando di convincere sempre più persone ad usare sistemi e pannelli solari - che [sono] molto costosi. D'altra parte, anche il carburante usato per i generatori è molto caro."

Ci sono circa 80.000 beduini che vivono nei villaggi "non riconosciuti".

La loro comunità è sempre stata semi-nomade; migrano stagionalmente con le loro mandrie in cerca di pascoli e tornano ai loro villaggi ogni anno.

Ma quando Israele ha approvato le sue leggi su pianificazione e sviluppo nel 1965, vennero esclusi i villaggi beduini del Negev, "anche se i beduini erano una popolazione indigena e lì vivevano da secoli," dice Doni Remba, co-direttore della Campaign for Bedouin-Jewish Justice in Israele.

La sua campagna, un progetto dei Rabbini per i Diritti Umani in America del Nord e della Jewish Alliance for Change, sottolinea che, oltre a non avere servizi di infrastrutture, i beduini vivono sotto minaccia costante di sgombero forzato che [...] "si basa su una legge fondamentalmente discriminatoria".

"L'esempio più recente sono state una serie di demolizioni nel villaggio beduino di al-Arakib, nel Negev," dice Remba ad Al Jazeera.

"In questo caso, il governo israeliano ha inviato ben 1.300 poliziotti paramilitari, per espellere violentemente oltre 300 uomini, donne e bambini. Il villaggio è stato distrutto e ricostruito quasi 30 volte, soltanto nell'ultimo anno e mezzo."

Una donna beduina seduta sulle macerie della sua casa ad al-Arakib, distrutta dalle ruspe israeliane [GALLO/GETTY]

In più, sono in corso piani che secondo i funzionari israeliani saranno una risoluzione completa sullo status dei beduini di tutto il Negev.

"Il Piano Praver [dal nome dell'ex collaboratore di Netanyahu, Ehud Praver] riguarda la demolizione di 20 villaggi non riconosciuti e l'espulsione di 20-40.000 residenti, se questi non accettassero un'offerta di compensazione piuttosto scarsa ed inadeguata," dice Remba.

L'obiettivo del piano, aggiunge, era di concentrare l'intera comunità beduina in sette "riserve" riconosciute dal governo,  nella regione che attualmente ospita circa 100.000 persone che, aggiunge, sono già state sgomberate dalle loro terre.

"Il governo li discrimina e trascura, perché i beduini sono tra le popolazioni di Israele più economicamente svantaggiate sotto ogni parametro socio-economico."

"Anche nei villaggi approvati dal governo, quindi legali e non a rischio di demolizione... i tassi di disoccupazione, povertà, criminalità, istruzione e mortalità infantile sono tra i più sfavorevoli."

"Il tasso di mortalità infantile è quattro volte superiore a quello delle comunità ebraiche lì accanto, ad una o due miglia di distanza - e tutto a causa dell'estrema discriminazione delle condizioni di vita."

"Il governo intende "cancellare" i villaggi beduini e rimpiazzarli con comunità ebraiche, "per controllare il territorio...  in collegamento a ciò che il primo ministro Netanyahu chiama - mantenimento della maggioranza ebraica nel Negev-," ha detto Rembo ad Al Jazeera.

Come nel caso dei residenti di Dale Farm, i funzionari dicono che la rilocazione "aiuterà" i residenti a rispettare le leggi di pianificazione. Ma, mentre lodava il suo nuovo piano, persino Netanyahu notava che i beduini sono stati allontanati dalla terra su cui hanno vissuto per generazioni.

"Dopo anni in cui i loro bisogni non erano trattati sufficientemente, questo governo ha deciso di prendere in mano la situazione ed arrivare ad una soluzione a lungo termine della questione," ha detto.

"Il piano permetterà ai beduini, per la prima volta, di stabilizzare i loro beni e tramutarli da capitale morto a vivo - di essere proprietari della terra, cosa che permetterà loro di costruire case nel rispetto della legge e lo sviluppo di imprese e posti di lavoro. Questo sarà un progresso per la popolazione e darà loro l'indipendenza economica."

"Il nostro stato sta balzando verso il futuro e voi dovete essere parte di questo futuro. Vogliamo aiutarvi a raggiungere l'indipendenza economica. Questo piano è volto allo sviluppo ed alla prosperità. E' un'opportunità storica che non dobbiamo perdere."

Comunque, questo tipo di retorica non piace a molti beduini.

"Il problema del piano è che ci sradicherà tutti dalla nostra terra ancestrale, per metterci nelle città più povere," dice al-Amour, leader beduino di al-Sira.

"Stiamo per essere sradicati, per perdere le nostre tradizioni, la nostra vita, la cultura ed i valori - andando in queste città - questa è l'antitesi del nostro essere, come beduini. E' per questo che ci opponiamo al piano. Gli ebrei hanno il diritto di scegliere dove vogliono vivere. Possono vivere in città, in un villaggio, in un moshav, in un kibbutz. Ora i beduini dovrebbero vivere solo in città. E' ridicolo, è incredibile."

Ridicolo forse, ma non incredibile. Difatti, molti beduini ed i loro sostenitori dicono che il Piano Praver è soltanto la continuazione della politica di stato portata avanti da decenni.

Nel 1963, l'allora ministro dell'agricoltura Moshe Dayan mostrava il suo disprezzo per i beduini ed il loro modo di vita, dicendo ad Haaretz:

"Dobbiamo trasformare i beduini in lavoratori urbani... Significa che il beduino non vivrà più sulla sua terra col suo gregge, ma si urbanizzerà, tornerà a casa nel pomeriggio e si metterà le pantofole. I suoi figli si abitueranno ad un padre che indossa pantaloni, senza un pugnale, che non si spulcia in pubblico. Andranno a scuola con i capelli pettinati. Sarà una rivoluzione, ma si può fare in due generazioni. Senza coercizione, ma con la guida dello stato. La realtà è che i beduini spariranno."

Campagna in corso

Al-Amour è stato insegnante per 28 anni, ed è anche docente di sistemi informatici di rete, ha un master in amministrazione dell'istruzione ed ha appena terminato il secondo anno di studi in legge.

Dice ad Al Jazeera che continuerà a lottare per la sua comunità, senza abbandonare mai il suo stile di vita nomade.

"Andrò a Ginevra per prendere parte alla riunione del Comitato ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, e dopo a Berna, ed incontrerò dei sostenitori a Losanna. Sarò sempre in movimento, per rappresentare la mia comunità ed il mio popolo."

Difatti, lui - e migliaia come lui - hanno sostenitori in tutto il globo.

Doni Remba, di New York, ha detto che la discriminazione contro i beduini deve finire.

"Se noi crediamo che Israele sia una democrazia, come pretende di essere, il minimo che deve ai propri concittadini beduini è dar loro gli stessi diritti ed opportunità dei cittadini ebrei."

"E' ciò che Israele promise nella sua dichiarazione d'indipendenza - di sviluppare il paese per il beneficio di tutti i suoi abitanti... [il Piano Praver] è una violazione dei principi democratici base israeliani, e del suo impegno per l'eguaglianza - lo vedo come una violazione dei valori morali base ebraici."

"Penso anche che sia estremamente negativo e che infiammerà le relazioni tra ebrei ed arabi in Israele - e questo non può portare ad un buon finale."

Tornando all'Essex, una volta usciti da Dale Farm, gli ex residenti hanno reso omaggio ai loro sostenitori e richiesta una solidarietà continuata con le comunità viaggianti, dato che gli ufficiali giudiziari hanno continuato a distruggere le loro case:

"Stanno facendo cose che non si immaginava potessero fare," dice un residente di nome Clen. "Stanno sfasciando tutto, gli ufficiali giudiziari stanno facendo un gran casino nel mezzo del sito. I residenti stanno gridando. Ma se siete venuti a Dale Farm, siete venuti ad appoggiare una causa, perché sapevate che quanto stava accadendo era sbagliato. Vi voglio bene con tutto il cuore. Prima d'ora nessuno si era erto per i Traveller, avete fatto la storia."

Conclude Pearl: "Voglio bene a qualsiasi attivista nel mondo, senza di loro il mondo sarebbe un posto duro e malvagio."


NdR: Contemporaneamente, è uscito un articolo molto simile, su un sito di un'organizzazione ebraica americana, ma già il testo di Al Jazeera era lungo, e lo tradurrò un'altra volta. Segnalo anche questo.

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Da Sinti Italiani in viaggio per il diritto e la cultura

Una microarea

* Rom e sinti, tra falsi allarmi e integrazione: il docufilm "Mandiamoli a casa"
Davide Casadio, Sinti Italia Mez-Italia - Verso la Strategia Nazionale, Roma, 6 dicembre
Circa la metà di coloro che risiedono nel nostro Paese sono italiani. Lo dice il rapporto della Commissione Diritti Umani del Senato, che ha redatto il primo rapporto sulla situazione di Rom e Sinti in Italia, di cui fa parte integrante il docufilm "Mandiamoli a casa" (vedi il servizio su Rai News, ndr). In studio con Luce Tommasi e Josephine Alessio, il senatore Roberto Di Giovan Paolo del Pd, componente della commissione Diritti Umani e Francesco Mele, uno degli autori del filmato.

* Rui commenta il docufilm su rom e sinti "Mandiamoli a casa"
Riceviamo da Irene Rui e pubblichiamo un suo commento a Rom e sinti, tra falsi allarmi e integrazione: il docufilm "Mandiamoli a casa"
La copertina così come il video è interessante e permette di lanciare un sassolino nell'informazione riguardante i rom e i sinti, ciò che da qualche anno cerco di fare in seno locale. Devo però fare una critica ai due interlocutori Francesco Mele e al Senatore Roberto Di Giovan Paolo, poiché ancora una volta dimostrano di ragionare da gagé e di non comprendere le culture rom e sinti.
Affermare che visto che ci sono rom che vivono nelle case, anche coloro che ora risiedono nei campi devono integrarsi e andare ad abitare nelle case ci mostra una miopia culturale e un poco rispetto di queste minoranze. Culturalmente i sinti e non i "camminanti" (mezzi gagi e mezzi sinti o rom), sono abituati a vivere all'aperto, costringerli a vivere all'interno di mura domestiche o capannoni, significa fare a molti una violenza psicologica e culturale. Altra cosa per i rom italiani, che sono da sempre almeno negli ultimi secoli, abituati a vivere in casa. Non si possono accumunare la cultura sinti con quella rom, perché pur per alcuni aspetti simili, sono diverse. Integrazione non significa che altri soggetti si devono omologare alla maggioranza dei residenti di un Paese, bensì significa scambio culturale ed interazione fra i popoli. Spero che il 6 dicembre al Workshop si tenga conto di questo e che la soluzione per uscire dai ghetti e dall'emarginazione sono per i sinti le microaree e una politica di inserimento occupazionale per coloro che non esercitano più la professione dello spettacolo viaggiante o di raccolta del materiale ferroso.


Nota: Rom e Sinti: Verso la Strategia Nazionale

clicca sull'immagine per scaricare l'invito. L'evento su Facebook

La Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica e Open Society Foundation in collaborazione con FIERI, organizzano un workshop dal titolo "Rom e Sinti, verso la strategia nazionale", presso il Senato della Repubblica, Aula della Commissione Difesa, Martedì 6 dicembre, alle ore 9,00 in Via degli Staderari, 2. Per gli uomini, obbligo di giacca e cravatta.

Intervengono:

  • Andrea Riccardi (Ministro per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione)
  • Massimo Serpieri (Vicedirettore dell'unità Justice D4 della Commissione Europea)
  • Isidro Rodriguez (Direttore della Fundacion Segretariado Gitano)
  • Zeljko Jovanovic (Direttore del Roma Initiatives Office dell'Open Society Foundations)
  • Jeroen Schokkenbroek (Special Representative of the Secretary General for Roma Issues for the Council of Europe)

Modera:

  • Henry Scicluna (Advisor for Roma Issues, Council of Europe)

Conclusioni:

  • Pietro Marcenaro (Presidente della Commissione diritti umani)
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Di Fabrizio (del 02/12/2011 @ 09:41:57, in Regole, visitato 1671 volte)

Segnalazione di Elvis Asti. Mi immagino le facce nella redazione 8 - ) ma già godo a leggere i commenti. Ricordate che è lo stesso "giornale" che da spazio a queste notizie...

Furono sgomberati da Maroni Ora i rom chiedono i danni
Milano, caos nelle baraccopoli. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato, centinaia di nomadi sono pronti ad azioni legali

I rom sono pronti a chiedere i danni per gli sgomberi e le espulsioni subite all'interno dei campi regolari negli ultimi tre anni. È il primo effetto collaterale della sentenza del consiglio di Stato che ha azzerato il piano nomadi dell'ex ministro Maroni: i giudici hanno dichiarato «illegittimi» gli atti firmati dal prefetto Gian Valerio Lombardi in qualità di commissario e demolito il concetto stesso di emergenza. «La presenza di seimila rom a Milano non giustificava norme straordinarie».

A cascata, diventa carta straccia anche il regolamento approvato in era-Moratti per garantire la sicurezza delle aree attrezzate. Il principio messo nero su bianco: fuori dai campi chi ha precedenti, chi delinque, chi ospita amici e parenti fuori dagli orari dell'area attrezzata. Decine di nomadi - seguendo alla lettera le nuove norme - sono stati cacciati dagli insediamenti per mettere in pratica l'agognato «alleggerimento dei campi». il verbo del consiglio di Stato, però, sbianchetta tutto. «Chi ha subito un danno ora potrà rivalersi verso le istituzioni» dice Alberto Guariso, uno degli avvocati che ha seguito la battaglia giudiziaria contro il piano Maroni. «Se il regolamento è un atto illegittimo, perché bastavano le norme ordinarie, è giusto chiedere un risarcimento per gli allontanamenti».

Al Tar, ad esempio, è ancora pendente il ricorso di quattro rom italiani di via Idro espulsi dal campo perché avevano subito condanne penali in un periodo antecedente all'entrata in vigore del regolamento (oggi polverizzato). Chiosa Guariso: «A questo punto credo che vinceranno la causa, come tutti quelli che si faranno avanti nella stessa situazione». Diverso il caso degli sgomberi dei campi irregolari, resi possibili anche dalla legislazione ordinaria e perciò a prova di ricorso. E le case Aler? Le cascine nel Pavese acquistate con il sostegno economico del Comune? I rimpatri profumatamente pagati? Quelli, ironia della sorte, non si toccano. «I vantaggi sono acquisiti» sottolinea Guariso, «servirà piuttosto un riassestamento di competenze da parte delle istituzioni per correggere la catena di comando». Il piano nomadi, oltre alla messa in sicurezza dei campi e alle telecamere, promuoveva anche l'integrazione abitativa dei rom. «La sentenza è un atto politico gravissimo» dice l'assessore provinciale Stefano Bolognini. «Per risolvere le situazioni di degrado dei campi rom servivano poteri straordinari.

Il piano Maroni seguiva il buon senso, i numeri lo dimostrano». Le presenze sono scese fino a quota 1.200, le quattro aree infernali del Triboniano sono state chiuse. Di «sentenza politica» parla anche Romano La Russa, assessore regionale alla Sicurezza. «I giudici confondono il loro ruolo con quello dei politici. È una sentenza in perfetta armonia con l'orientamento della giunta Pisapia, che ha allentato i controlli nei campi tollerando anche quelli abusivi». L'ultimo cambio di rotta è arrivato ieri nella baraccopoli illegale di via Bonfadini, un campo satellite di quello autorizzato: lo sgombero dei cento occupanti, previsto per ieri mattina, è stato rinviato al 12 dicembre. «Hanno rifiutato la sistemazioni dei nostri servizi sociali» dice l'assessore Marco Granelli. «Queste settimane serviranno loro per trovare una soluzione».

di Massimo Costa - 23/11/2011

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Di Fabrizio (del 01/12/2011 @ 09:43:56, in Italia, visitato 1667 volte)

di Pino Petruzzelli - 30 novembre 2011

I bambini rom dovrebbero essere tolti alle rispettive famiglie e dati tutti in adozione?

Stando alla ricerca di Carlotta Saletti Salza, professoressa presso l'Università di Verona, su un totale di 8.830 procedure di adottabilità, i minori rom e sinti dichiarati adottabili in sette sedi di Tribunali Minorili italiani nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005 sono stati 258. Quello che è oggi uno dei maggiori studiosi di cultura romanì in Italia, il professor Leonardo Piasere, commenta i dati: "Se consideriamo che la popolazione dei rom e dei sinti in Italia ammonta allo 0,15% circa della popolazione totale, capiamo che la percentuale di procedure di adottabilità dello 0,15%, cioè in sintonia con la proporzione della popolazione, corrisponderebbe a circa 13 procedure sulle 8.830. Ora il numero di procedure riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a tale cifra!"

Questo mio intervento non è contro il sistema delle adozioni, perché, lo dico chiaramente, ci sono casi in cui togliere il bambino a una famiglia rom o sinta è cosa sacrosanta.

Ciò che mi interessa è porre alcune domande.

Stando alla legge italiana sono dichiarati in stato di adottabilità i minori di cui sia accertata la situazione di "abbandono" (legge 184 del 2001), ma nella legge 149 dello stesso anno, si dice che:

"1) Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.

2) Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei famigliari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia…."

L'interpretazione del termine "abbandono" è così lasciato alla discrezionalità del Tribunale dei Minori. Ma cosa si intende per abbandono?

Ipotizziamo ci siano due bambini rom di sette e dieci anni, Alin e Mari, che a causa della povertà dei genitori sono costretti a vivere sotto un ponte. Vengono sgomberati e i Vigili Urbani li portano sotto un altro ponte. Lì assistono all'incendio della loro baracca e all'orribile morte di quattro amichetti. Vengono sgomberati nuovamente e ritornano sotto il primo ponte. I genitori non trovano lavoro (chi di noi assumerebbe uno zingaro che vive sotto un ponte?) e tirano avanti solo con gli aiuti che forniscono loro alcuni volontari della Caritas e dell'Arci. Ogni mattina i genitori di Alin e Mari, però, accompagnano i figli a scuola dove i bambini arrivano sempre puliti e ben vestiti anche grazie all'aiuto dei sopra citati volontari. Aggiungo che i bambini, a detta delle maestre, seguono con sufficiente profitto le lezioni. I pomeriggi dei bambini, però, trascorrono sotto il ponte.

Voglio ora porre alcune domande:

1) Se vedessimo Alin e Mari sotto il ponte e non sapessimo nulla di loro, penseremmo giusta l'affidabilità? E sapendo la loro storia e la loro quotidianità, riterremmo lo stesso giusto toglierli alla famiglia e darli in adozione?

2) Può un'Amministrazione pubblica, di qualunque appartenenza politica, sentirsi priva di responsabilità nel lasciare che una famiglia di rom continui a sopravvivere sotto un ponte?

3) La famiglia di Alin e Mari va sgomberata? E, se si, può lo sgombero di un sottoponte, senza una reale alternativa abitativa, bastare a tutelare i minori che vi abitano?

4) Cosa si fa per prevenire le situazioni di estrema miseria in cui sono costretti a vivere alcuni bambini rom e sinti?

5) Togliere un bambino alla propria famiglia deve essere l'ultima strada percorribile o la prima? E se deve essere l'ultima, perché il numero di procedure riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a quello delle procedure totali nelle sette sedi dei Tribunali dei Minori che ha preso in esame la professoressa di Verona nel suo libro "Dalla tutela al genocidio?"

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Di Fabrizio (del 01/12/2011 @ 09:14:54, in Regole, visitato 1375 volte)

 Amnesty.it

"Ogni volta che mi sgomberavano dai campi ero molto dispiaciuto... perché non pensavo che era un campo, pensavo che era la mia casa. Era il mio posto che adoravo, dove arrivavo la sera e mi mettevo al caldo... nella casa, nella baracca".

Marius ha 16 anni. È arrivato in Italia oltre un anno fa ed è stato sgomberato già otto volte. Il suo sogno era di "andare avanti", di lavorare, di "essere un ragazzo molto, molto bravo". Ma per lui non è facile.

Nemmeno per Giuseppe, italiano di etnia rom che ha vissuto per oltre 20 anni in un campo autorizzato a via Idro, è semplice. È venuto sapere che le autorità di Milano vogliono ridurre il numero di abitanti del campo e trasformarlo in un "campo di transito". Né lui né la sua famiglia sono stati consultati su questo piano e temono di dover andar via senza un'alternativa adeguata.

Da un po' di tempo si sente sempre più indesiderato nella sua città natale, Milano.

In questa città, le autorità da decenni attuano politiche che sembrano considerare i campi l'unica soluzione abitativa per le persone rom, disinteressandosi inoltre del fatto che queste persone vivano in container sovraffollati, con sistemi fognari vecchi e infestati dai topi. Ma negli ultimi anni, la loro situazione è addirittura peggiorata.

L'"emergenza nomadi", dichiarata dal governo italiano nel 2008, ha permesso alle autorità di Milano di sgomberare forzatamente dai campi non autorizzati tantissime famiglie. Le conseguenze sono state devastanti, soprattutto per centinaia di bambine e bambini rom, la cui frequenza scolastica è stata interrotta.

Anche i campi autorizzati sono stati presi di mira. Una nuova normativa fortemente discriminatoria ha permesso di programmare la chiusura di quasi tutti i campi autorizzati in cui risiedono i rom, anche per consentire l'esecuzione di progetti connessi all'Expo, che si terrà a Milano nel 2015. I progetti infrastrutturali per questo evento internazionale hanno già portato alla chiusura di due campi autorizzati.

Per Amnesty International, dichiarare uno stato di emergenza su basi infondate nei confronti di una minoranza etnica e mantenerlo per tre anni e mezzo è stato uno scandalo!

L'"emergenza nomadi", illegale e discriminatoria in base al diritto internazionale, non avrebbe dovuto mai essere dichiarata. E adesso che anche il Consiglio di stato, il più alto organo amministrativo del nostro paese, ha dichiarato la sua illegittimità, occorre un'inversione di rotta!

Il governo Monti deve porre i diritti umani in cima alla sua agenda, fornendo rimedi alle persone colpite da sgomberi forzati e da altre violazioni dei diritti umani.

Le nuove autorità di Milano devono immediatamente fermare tutti gli sgomberi forzati, mettere a disposizione di tutte le persone sgomberate che non sono in grado di provvedere a se stesse ripari di emergenza, sospendere e rivedere i piani per la chiusura dei campi autorizzati e assicurare che rispettino in pieno gli standard internazionali sui diritti umani.

È il momento di un cambiamento reale per le donne, i bambini e gli uomini rom di Milano!

clicca sull'immagine per scaricare il rapporto

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