Se mi si domanda di definire la prima generazione di immigrati, oserei dire
"silenziosa, invisibile e individualista per troppo tempo". Ne sono consapevole
che una tale definizione non susciterà troppe simpatie e consensi.
Sia per un po' d'orgoglio, sia perché come tutti gli umani, siamo più propensi a
gettare le colpe sempre sugli altri, in pochi condivideranno questa mia
opinione.
Essere schietti e leali, prima di tutto vuol dire esserlo con se stessi. Fare un
bel esame di coscienza individuale e generazionale non guasterebbe, anzi,
aiuterebbe ad uscire prima possibile da quel guscio in cui ci siamo rifugiati
dal momento in cui siamo approdati in questa terra, ancora succubi delle
condizioni socio-politiche che avevamo lasciato nei paesi d'origine.
Era ovvio che la paura e le diffidenze non ci avrebbero abbandonato subito.
Educarsi con la nozione e la realtà "Democrazia" non è fenomeno che si realizza
automaticamente appena metti piede in un paese democratico. È un processo lungo
e non sempre facile se non aiutato da politiche adeguate per l'integrazione. Ma
siamo arrivati in Italia, paese che storicamente va avanti a forza di decreti
legge per le emergenze..emergenza abusivismo, emergenza corruzione.
Persino emergenza mafia, anche se la mafia esiste da un bel po' di tempo ormai.
Sempre emergenza in vista. Così fu e ancora lo è con il fenomeno immigrazione.
L'emergenza albanesi che ha liberato i polacchi dal peso della definizione "il
male dell'Italia", passandoci la staffetta . Poi i jugo, (le popolazioni della
ex- Yugoslavia che scappavano dai feroci conflitti che stavano sprofondando la
penisola balcanica in una guerra senza fine) e poi e poi di nuovo gli albanesi,
i rumeni, cinesi, subsahariani nordafricani rom un'eterna emergenza.
Sono entrata in questo paese con la legge Martelli..e non mi si domandi se
ricordo tutte le leggi che si sono susseguite risponderei di no. Ho perso il
filo nella giungla di leggi e decreti speciali. Un immigrazione alquanto
selvaggia per il fatto che le politiche per l'integrazione erano totalmente
assenti. L'integrazione era questione di noi altri.
"Se vogliono, che s'integrino" - la frase più ricorrente che usciva come perla
di saggezza dai politici, i giornalisti, persino dal panettiere sotto casa.
L'integrazione, al massimo era una questione che dovevano risolvere le varie
associazioni e organizzazioni non governative.
Qualche spiraglio c'era in qualche realtà di amministrazioni locali, ma molto
fiacca per mancanza di mezzi e di conoscenza del fenomeno. E non ne parliamo
degli attacchi immediati provenienti dalla politica e dai media,rivolti ad una
nazionalità specifica, in caso che un membro di essa compiva un crimine, minore
o grave che fosse. Iniziava (e inizia ancora ),una campagna denigratoria senza
fine. A tal punto che la nazionalità in questione emetteva un sospiro di
sollievo in caso di altro crimine compiuto da italiani o da membri di
nazionalità diverse.
Incredibile, offensivo e fuori da ogni logica umana ma vero!!! Era l'unico modo
per salvarsi almeno per un po' da definizioni diffamatorie che toglievano le
forze Dopo aver detto tutto ciò, può nascere spontanea la domanda:- "Che c'entra
la prima generazione in questa situazione caotica?"
Penso che noi, cittadini di origine non italiana, dobbiamo riconoscere la nostra
colpa per la formazione e lo sviluppo di questo terreno fertile di attacchi a
più non posso dei media e della politica, specialmente nei momenti cruciali
della nazione. Un terreno fertile anche per un certo indifferentismo e apatia
nel trattare la questione Immigrazione come un problema, una questione scomoda
da prendere con le pinze.
La nostra colpa? Subire in silenzio per anni, cercando di proteggere noi stessi.
Subire in silenzio, non reagire in maniera organizzata rispondendo agli attacchi
in modo immediato e difendendo la parte sana, (che è anche la maggioranza) degli
immigrati che non ha niente a che fare con la delinquenza e le azioni lesive
verso la società. Aspettare che le cose cambiassero in positivo passivamente e
che questi cambiamenti arrivassero dagli altri come la mana del cielo, non
riconoscendo subito il nostro ruolo da veri cittadini di questa nazione e
permettere che fossimo trattati solo come braccia da lavoro Ecco, questo è in
parole povere la nostra colpa.
Subire e indignarci in silenzio, rischiando di ghettizzare persino l'anima,
senza reagire adeguatamente, basandosi sui mezzi che la democrazia ci concede.
La mancanza per molti lunghissimi anni dell'attività reale e organizzata,
appoggiando le lotte quotidiane di quella parte della società italiana che aveva
ed ha le stesse aspirazioni, gli stessi concreti ideali per una società
migliore, non era di certo la strada giusta per combattere l'inadeguatezza delle
politiche sull'immigrazione e integrazione, e per non permettere l'uso da parte
dei media dell'immigrato come il male che infetta questo paese. Per moltissimo
tempo abbiamo permesso passivamente di vedere buttarci addosso le colpe delle
vari momenti difficili della nazione, abbiamo permesso che l'integrazione sia
trattato come un problema e non come una strada da percorrere insieme. Abbiamo
aspettato troppo.
Abbiamo aspettato troppo per gridare BASTA!! con la nostra voce potente che è
ugualmente valida e ha la stessa forza di quella dei nostri compagni di viaggio
italiani, nella giusta strada del miglioramento e dello sviluppo di questa
società. Perché..perché spesso e volentieri abbiamo avuto
la percezione che questa società non ci apparteneva, e non appartenevamo ed
essa.
Sì, sono molto critica, prima di tutto verso me stessa e verso tutti noi, verso
il silenzio e la rassegnazione della cosiddetta prima generazione degli
immigrati. Troppi silenzi, testa nascosta nella sabbia come lo struzzo,
rassegnazione e paura di esprimersi.. Facile nascondersi dietro l'alibi delle
mancanze legislative ma noi proprio noi, cosa abbiamo fatto per rispondere
adeguatamente a queste mancanze? Parlo di una generazione, nella maggior parte
con un bagaglio culturale e d'istruzione molto alta rimasta nascosta per troppo
tempo.
Ci siamo ribellati..sì..è vero, ma una ribellione bisbigliata dentro le mura
delle proprie abitazioni, oppure spesso neanche bisbigliata ma solo soffocata.
Abbiamo mormorato BASTA solo dentro di noi, in silenzio, mettendo maschere
d'indifferenza e non abbiamo fatto i conti che, un giorno, i nostri silenzi
sarebbero caduti sulle spalle dei nostri figli.
Le parole del Presidente Napolitano sul diritto di cittadinanza per i ragazzi
nati e cresciuti in Italia ci rincuorano, ci danno ottimismo. Si parla dei
nostri ragazzi, di coloro che vengono definiti seconda generazione.
Ma di noi di noi che siamo i genitori, gli zii o semplicemente amici di
famiglia, non se ne parla. Quasi come se questa seconda generazione fosse nata
dal nulla. E questo nulla lo abbiamo creato anche noi, con la nostra
indifferenza, i nostri silenzi la nostra non partecipazione.
Abbiamo cercato di integrarsi con le nostre forze, con la nostra grande volontà.
Questo fatto ci fà onore. Abbiamo educato i nostri figli con dei principi sani,
occupandosi di dare a loro anche una giusta istruzione, pretendendo i risultati
massimi a scuola. Abbiamo cercato di vedere in loro il nostro riscatto per le
ingiustizie subite in tanti anni. E non ce ne siamo accorti che forse
l'ingiustizia più grande lo abbiamo fatto noi a se stessi, con i silenzi
prolungati nel tempo, con la rassegnazione, rischiando di diventare fantasmi
viventi.
Se domandi ancora oggi giorno un natìo italiano chi sono questi esponenti della
prima generazione, all'inizio lo vedrai pensarci su, e poi spesso ti
risponderà:- "Quelli che venivano in gommoni, in barconi semidistrutti.. Eh loro
portavano la droga, le donne per venderle in strada" e altre cose del genere.
Spesso lui ignora la presenza del muratore straniero che ha ristrutturato la sua
casa, la colf che gli ha cucinato il ragù meglio di una massaia emiliana, la
babysitter che gli ha cresciuto i figli con tanto amore, insegnando a loro a
scandire bene la parola "mamma" e a fare i primi passi verso quella cosa così
bella che si chiama vita.
Perché perché il muratore o la colf sentivano in silenzio i commenti che si
facevano nelle case su questi stranieri, (e non aggiungo le definizioni non
proprio simpatiche che accompagnavano il termine stranieri), su questi stranieri
che "vengono qua e dettarci legge e a rubarci il lavoro e i mariti ". In
silenzio e senza fiatare inghiottendo spesso le lacrime. Ecco il massimo della
ribellione di noi, la prima generazione. E in silenzio abbiamo costruite le case
nel paese d'origine, dove andiamo una volta all'anno e dove ci fermiamo sempre
di meno.
E ce ne siamo resi conto solo tardi, molto tardi che, la vera costruzione della
nostra vita noi lo facevamo lì dove producevamo ogni giorno, lì dove i nostri
figli crescevano e si formavano come persone e come cittadini in una società, la
quale ancora non se ne rendeva conto della nostra voce, della nostra esistenza,
del nostro contributo nello sviluppo della società stessa.
Ce ne siamo accorti molto tardi che stavamo diventando immigrati a tempo
indeterminato, rischiando che i nostri figli diventassero una seconda
generazione di immigrati a vita. Ci ha dovuto pensare il Presidente per dare una
scossa alle nostre coscienze che ormai si stavano svegliando dal letargo ma un
po' apatiche, ancora non trovano la strada giusta per attivarsi nella lotta
quotidiana per i diritti.
Per dirla tutta e all'onor del vero, negli ultimi 3-4 anni, la partecipazione
sempre più numerosa e sempre più attiva dei cittadini di origine non italiana
nelle varie manifestazioni, iniziative concrete, nelle lotte quotidiane dimostra
che finalmente il risveglio delle coscienze è una realtà. Abbiamo iniziato a
riconoscerci il ruolo importante di membri attivi di questa società.
Un tardivo risveglio?? Forse sì! Ma forse, forse proprio questo dà ancora più
forza alla nostra voce. Perché difendiamo il nostro diritto di essere trattati
alla pari nei doveri e nei diritti con i cittadini italiani. Così agendo,
facciamo comprendere alla società che questo paese lo rispettiamo, lo amiamo, lo
chiamiamo CASA. È la casa dei nostri figli e nipoti,la maggior parte dei quali
qui ci sono nati, crescono e maturano. E la casa la si difende e la si migliora
continuamente, investendo energie concrete, investendo il proprio lavoro, il
proprio sudore, la propria mente e la propria passione.
Ce ne ribelliamo più apertamente e in modo attivo verso le leggi discriminatorie
della Destra, (la legge Bossi-Fini, con il suo contenuto disumano è un ostacolo
quasi insormontabile per una vera e naturale integrazione), e ci rallegriamo per
l'attivazione concreta della Sinistra nel cercare di dare al fenomeno
immigrazione la dignità e l'attenzione che merita, senza abbassare la guardia e
il tenore degli sforzi quotidiani a questi intenti. Sto cercando di rimanere il
più possibile neutrale e razionale su questo punto, perché in queste mie
personali riflessioni non vorrei fare un'analisi politica né dell'una e né
dell'altra parte, anche se a chi mi conosce è noto il fatto su da che parte sto
per quanto riguarda lo sviluppo politico italiano. Non è stato mai un segreto e
ne sono consapevole delle mie scelte e le mie convinzioni.
Ma, anche dalla parte politica che io stessa appoggio, c'è una certa falla per
quanto riguarda la prima generazione. Forse il mio è un richiamo a noi e proprio
a loro. Siamo dei quarantenni, con delle risorse ancora inesplorate e non messe
alla disposizione.
Abbiamo un mondo ricco dentro di noi, che si può sfruttare in tutti i campi. Il
futuro è dei nostri figli, dei giovani ma noi esistiamo in questo presente.
Esistiamo e viviamo non siamo dei vegetali.
Abbiamo molto da dare prima di tutto la nostra energia e il nostro sapere, la
nostra esperienza inestimabile. Abbiamo coscienza e per di più siamo degli
adulti che come dovere primario conosciamo il ruolo di guida per i nostri
ragazzi. Non siamo solo una definizione di un aspetto dell'immigrazione, siamo
attivi. Non scordate la nostra presenza, perché siamo proprio noi le radici di
questa seconda generazione.
Ci siamo!!! E vogliamo che si riconosca il nostro ruolo attivo in questa
società, in tutti i campi per preparare un terreno fertile per la crescita e lo
sviluppo delle nuove generazioni. Rendiamo attiva questa prima generazione,
rendiamola utile proprio ora che la sua coscienza è risvegliata. Perché si è
lasciata ed è stata lasciata per troppo tempo in disparte per ragioni sopra
menzionate. Sennò rischiamo di vedere una seconda generazione riconosciuta come
cittadini in tutti gli effetti, che come radice ha una generazione ghettizzata.
L'esempio dei ragazzi di origine nord-africana di cittadinanza francese che
fischiano l'inno nazionale, ci deve fare riflettere. Già il mondo lavorativo
tratta i quarantenni e i cinquantenni come peso morto Che la politica non faccia
lo stesso errore!!!
Chiudo queste riflessioni personali, prendendo spunto da due passaggi che
citerò:
1. "Ho provato ad affermare un principio: l’integrazione non riguarda gli altri.
Riguarda noi, tutti. Noi tutti che condividiamo il destino di vivere nello
stesso spazio e nello stesso tempo. Indipendentemente da dove siamo nati, in
quale lingua sogniamo, quale sia il nostro credo religioso, il nostro
orientamento sessuale, la nostra età, il nostro genere o la nostra condizione
sociale ed economica. Noi che usiamo gli stessi mezzi pubblici, le stesse
piazze, gli stessi luoghi di lavoro, gli stessi giardinetti dove giocano i
nostri figli
2. Lavoriamo perché l'Italia sia un paese per tutti, per i bimbi e per i loro
genitori, qualsiasi sia la loro origine.
Visti così, sembrano i passaggi dello stesso discorso, della stessa persona.
Invece appartengono a momenti diversi e a persone diverse. Il primo è di Ilda
Curti, Assessore delle Politiche per l'Integrazione di Torino. E il secondo
appartiene a Marco Pacciotti, Coordinatore Nazionale del Forum Immigrazione PD,
in un intervento congiunto con Piero Ruzzante, Vicepresidente della Commissione
Bilancio di Regione Veneto.
Comunque la si pensi dal punto di vista politico, si può trarre la conclusione
che, la società che vogliamo è proprio questa, dove c'è un posto e un ruolo per
tutti, e dove la politica mette in centro del suo lavoro il cittadino.
Noi, di prima generazione lo siamo!!! E vogliamo riconoscere e vedere
riconosciuto il nostro ruolo nella società e nello sviluppo di essa. Ne vale il
nostro presente e il futuro delle generazioni che verranno.
Esmeralda Tyli Ha studiato "Letteratura
italiana" presso l’Università di Tirana
František Kostlán, translated by Gwendolyn Albert -
Prague, 2.12.2011 18:08 Intervista con Milan Uhde, presidente del consiglio d'amministrazione della
Televisione Ceca
Ha preso una piega inaspettata il caso della denuncia presentata da Anna Šabatová
e Petr Uhl al Consiglio delle Trasmissioni Radio e Televisive Ceche (Rada pro rozhlasové a televizní
vysílání - RRTV) riguardo l'uso del termine "inadattabili" in televisione. Michal Heldenburg,
capo del dipartimento legale della Televisione Ceca, ha fornito una risposta con
diverse generalizzazioni ed interpreta la società democratica come una sorta di
regola della maggioranza che non tiene conto della minoranza. La lettera cita
anche argomenti irrilevanti usando un peculiare vocabolario "legale" come in
questo caso: "Nella Televisione Ceca lavorano degli zingari. Uno di loro è anche
presentatore del telegiornale. Non è questo un esempio concreto di rottura degli
stereotipi?" (vedi nostri
rapporti precedenti).
Anna Šabatová ha detto a Romea.cz che la risposta di Heldenburg è "arrogante
ed offensiva e manca l'essenza del problema che stiamo sollevando. E' indegna,
la Televisione Ceca è uno strumento mediatico che influenza ogni giorno milioni
di persone."
Petr Uhl considera la risposta di Heldenburg incompatibile con l'approccio
europeo verso i differenti gruppi di persone. "Sto parlando del trattamento di
qualsiasi gruppo, non soltanto dei Rom. Attribuisco questo comportamento inumano
ed antisociale all'eredità dei 40 anni della nostra storia prima del novembre
1989. Qui l'ambiente è simile a quello del secondo dopoguerra, e l'intolleranza
di interi gruppi di popolazione a quel tempo portò ad ingiustizie evidenti," ha
detto a Romea.cz.
Abbiamo intervistato Milan Uhde, presidente del consiglio d'amministrazione
della Televisione Ceca, riguardo alla lettera di Heldenburg. Uhde non sa ancora
se la commissione esaminerà la lettera durante la prossima riunione, perché era
malato e non ha potuto partecipare alla stesura dell'agenda. Tuttavia, ci ha
comunicato le sue opinioni personali sulla questione.
Cosa ne pensa di questa lettera di Michal Heldenburg in
risposta alla denuncia sull'uso del termine "inadattabili"?
Quella lettera è mostruosa. Un avvocato della televisione pubblica non deve
farsi coinvolgere in simili tecniche comunicative.
Protesterà in qualche modo?
Lunedì porterò la lettera del dottor Heldenburg all'attenzione del direttore
generale, Petr Dvořák. Non gli chiederò quanto non è di mia competenza, ma
gli darò la mia opinione, cioè che ciò è fuori dalle regole. Gli chiederò di
leggerla lui stesso e vedere l'impressione che farà su di lui.
Nella lettera, Heldenburg difende l'uso del termine dicendo
che "Gli zingari lavorano nella Televisione Ceca"...
Non si tratta solo del suo vocabolario. La lettera mostra che non ha
imparato nemmeno le basi della logica elementare. Anche se nella Televisione
Ceca lavorassero un migliaio di Rom, questo non avrebbe niente a che fare col
motivo del dibattere. E' la stessa cosa di scrivere che non si è razzisti perché
si ha un amico rom. E' il tipo di argomenti usati spesso dagli antisemiti:
"Guarda, non sono antisemita, qualche volta ho pranzato con un ragazzo ebreo."
Tutto ciò non ha niente a che fare col fatto che i Rom lavorino o meno nella
Televisione Ceca. Anna Šabatová e Petr Uhl si sono lamentati per l'uso
dell'aggettivo "inadattabili", non per la mancanza di personale rom nella
Televisione Ceca.
Il che ci porta al commento di Heldenburg su quella
espressione...
L'espressione "inadattabili" implica inequivocabilmente che la persona così
etichettata vuole esserlo, "inadattabile". Il termine, semplicemente, non
descrive la situazione di quanti sono così etichettati dai media. Le persone
socialmente escluse non hanno scelto la loro situazione, sono state obbligate
dalle circostanze. Sono finite nell'esclusione sociale per motivi concreti. Una
persona "inadattabile" sarebbe un criminale che intenzionalmente non segue le
regole, non una persona socialmente esclusa.
Di Fabrizio (del 04/12/2011 @ 09:26:32, in Italia, visitato 2008 volte)
Parto
dalla fine, la mia (personale) delusione per il teatrino visto in 6 mesi. In
questo periodo ha visto, cercato, contattato, persone importanti e meno,
ascoltato le loro dichiarazioni e poi le loro smentite, ho trovato tanti che
volevano PARLARE, ma quasi nessuno che cercasse di DIALOGARE.
Settimana affollata di eventi, quella appena passata:
Amnesty International chiede di essere ricevuta in comune.
La risposta;
PRESIDIO A PALAZZO MARINO Campi rom, trattative e stop agli sgomberi
Un tavolo di confronto entro Natale e, nel frattempo, niente sgomberi. L'
accordo con la Consulta rom e sinti è arrivato per voce di Paolo Limonta, della
segreteria del sindaco, che ieri pomeriggio è intervenuto al presidio
organizzato davanti a palazzo Marino. Prima una ventina, poi sempre più
numerosi, i rom hanno chiesto una moratoria per gli sgomberi («Quando fa freddo
anche le Nazioni Unite indicano di sospenderli») e di fermare il piano Maroni.
Circa 2 mila in tutta la città, i rom chiedono attraverso la portavoce Diana
Pavlovic di aprire un confronto con il Comune. Insorge però l'opposizione di
centrodestra. «Lo stop agli sgomberi dei campi nomadi è sconcertante, e ancor
più lo è il ruolo dell' onnipresente Paolo Limonta che ha concluso la trattativa
in nome e per conto dell' amministrazione comunale», osservano i pidiellini
Carlo Masseroli e Pietro Tatarella. Pagina 7 - (2 dicembre 2011)
Venerdì 02 Dicembre 2011 - 09:17 di Michela Corna ROM, IL
REBUS DEGLI SGOMBERI. GRANELLI: "BISOGNA INTERVENIRE SUBITO"
MILANO - È la rivincita dei rom con lo stop agli sgomberi? Ieri, una trentina di
nomadi, capeggiati dalla consulta rom e sinti, ha manifestato davanti Palazzo
Marino per chiedere «una moratoria agli allontanamenti forzati durante
l'inverno». «Quando fa freddo anche le Nazioni Unite indicano di sospenderli»,
han detto. Quindi, gli sgomberi programmati entro dicembre, come in via Bonfadini, saranno rinviati? A incontrare i nomadi è stato Paolo Limonta, della
segretaria del sindaco, ma senza ruolo istituzione all'interno della giunta, che
si sarebbe impegnato, «a istituire un tavolo di confronto entro Natale e, nel
frattempo, bloccare le ruspe». Una novità per l'assessore alla sicurezza Marco
Granelli che sostiene «di non aver firmato nessun accordo»: «Credo che proprio
per il bene delle persone che vivono nei campi sia necessario procedere più
celermente in modo che non trascorrano l'intero inverno in situazioni poco
dignitose e fortemente rischiose per la vita. Il campo di via Novara, per
esempio, presenta delle condizioni igieniche-sanitarie pessime e gli impianti
elettrici sono pericolosi. Vogliamo evitare una possibile tragedia e superare la
logica dei campi, proponendo soluzioni di tipo abitativo per intere famiglie.
Abbiamo già approvato progetti d'inserimento in case e cascine per venticinque
famiglie di via Novara, via Bonfadini e via Idro, utilizzando i percorsi
promossi dal Piano Maroni». Granelli incontrerà oggi Matteo De Bellis di Amnesty
International, dopo l'accusa di «non aver rispettato gli standard internazionali
dei diritti umani». L'assessore è chiaro nella sua posizione: «Ritengo di non
aver svolto azioni contro i diritti umani, ma riconosco come istituzione
umanitaria Amnesty e voglio stabilire un dialogo diretto»
di Karma Mara (Zona Autonoma Milano)
Presidio della Consulta Rom davanti a Palazzo Marino Si è tenuto nel tardo pomeriggio di ieri il presidio voluto dalla Consulta
rom e sinti davanti a Palazzo Marino, presidio che ha visto la presenza dei
rappresentanti dei diversi campi, regolari e non, della città.
In piazza tante donne e tanti bambini aspettavano insieme una probabile uscita
dal consiglio Comunale, riunito in seduta, di Paolo Limonta, collaboratore del
sindaco sulle questioni più spinose che emergono dalle relazioni con la città.
Nel comunicato lanciato in rete la Consulta richiedeva all'amministrazione un
incontro per discutere il tema dei continui sgomberi e per chiedere l'apertura
di un tavolo di lavoro sulla questione rom e sinti.
Verso le cinque e trenta Paolo Limonta ha raggiunto il presidio ed è stato
accolto da due bimbe rom che gli hanno consegnato il comunicato-documento della
Consulta e una letterina scritta da una bimba rom di 11 anni risiedente in uno
dei campi sottoposto a futuro sgombero.
I rappresentanti delle comunità presenti, tra cui quelle di via Novara e via
Negrotto, hanno fatto richiesta a Limonta di un segno di discontinuità da parte
di questa amministrazione rispetto alla politica della precedente; segno che
fino alle dichiarazioni di ieri dell'assessore Granelli di una probabile
sospensione degli sgomberi, non c'era stato.
E' stata fatta dunque richiesta di una moratoria degli sgomberi per l'inverno e
di una deroga perché nei ricoveri comunali si accolgano le famiglie senza
dividerle.
Limonta durante l'incontro ha tenuto a precisare che : "Questa giunta a
differenza della precedente vi considera persone e non numeri, tanto che come
avete visto i nostri sgomberi non avvengono ne in tenuta antisommossa né
tantomeno con la presenza di ruspe… che sappiamo tutti cosa possono creare
nell'immaginario dei bambini".
Dichiarazione subito smentita dall'intervento di un volontario operante nei
campi che sollevando il problema dei campi non regolari ed in particolare quello
di Bonfadini, gli ha ricordato come nell'ultimo tentato sgombero, proprio del
campo irregolare di via Bonfadini, fossero presenti due ruspe e due camion Amsa.
Riguardo questo particolare campo è singolare come da poco si sia saputo che è
decaduto l' originario motivo dello sgombero, sembra infatti essere notizia
ufficiale che la strada statale Paullese di lì non passerà più, tanto che ci si
domanda se quindi lo sgombero previsto per il 12 Dicembre sarà effettivo o meno.
Limonta si farà relatore per il sindaco sulla questione, ha promesso, e ha
richiesto alla Consulta di fornirgli un resoconto che descriva le diverse realtà
rom presenti sul territorio e le loro richieste; la Consulta ha accettato, ma ha
richiesto l'apertura di un tavolo di lavoro sulla questione con una veduta più
lunga sul futuro e una interrogazione su tutti gli atti dichiarati illegittimi
dall'ultima sentenza del consiglio di Stato che dichiarava illegittimo il
decreto emergenza.
Di fatto, rimane incerto il futuro per le comunità rom di questa città.
Di fatto, fino a quest'ultima sollecitazione, l'amministrazione non aveva
realizzato un intervento conoscitivo sulle diverse comunità e le loro richieste,
ma aveva applicato quasi alla lettera la politica della precedente, finendo così
con il non differenziarsi su un tema delicato come il rapporto con una delle
minoranze della città più bersagliate negli ultimi anni.
Ci piacerebbe che la scuola delle bimbe rom che hanno accolto ieri Limonta,
sulla cartina di Milano all'opposto rispetto alla scuola elementare in cui lui
insegna, formino in futuro un asse e non due linee parallele che non si
incontrano mai.
Di Fabrizio (del 03/12/2011 @ 09:23:25, in Kumpanija, visitato 2434 volte)
Al JazeeraLe comunità tradizionalmente nomadiche di fronte alla
discriminazione statale ed ai violenti tentativi di abolire il loro modo di vita James Brownsell and Pennie Quinton
Le comunità viaggianti come quella di Dale Farm sono spesso distrutte col
pieno appoggio delle autorità statali [GALLO/GETTY]
Viaggiate dovunque nel Medio Oriente e potrete essere accolti con queste
parole: Ahlan wa sahlan wa marhaban. Letteralmente "Benvenuti su
questo pezzo di terra", un ritorno al tempo in cui la cultura araba era per
natura tradizionalmente più nomade ed i visitatori potevano aver avuto un lungo
viaggio periglioso prima di raggiungere i loro amici.
Ma l'immagine romantica del viaggiatore errante è ben lontana dalla realtà
quotidiana sperimentata dalle comunità nomadi. Da Est ad Ovest, la loro è più
spesso una vita piena di discriminazioni, violenza ed oppressione portata avanti
dalle autorità di stato, che tentano di costringerle a conformarsi con lo stile
di vita urbano.
"E' stata un'esperienza che non dimenticherò più, la polizia che ci
attaccava, ci picchiava, usava le scariche elettriche," dice Pearl, della
comunità di Dale Farm.
Lei fa parte di un gruppo di oltre 200 Traveller irlandesi cacciati a forza
dai loro terreni vicino a Basildon nell'Essex, Inghilterra del sud-est, da una
serie di
sgomberi violenti che si dice siano costati sino a 18 milioni di sterline
($29m).
L'isolamento della loro comunità, fondata negli anni '70, ha paragoni
inquietanti con quella dei Beduini residenti nel Negev, che hanno subito
frequenti minacce dai funzionari di Israele sin dalla fondazione dello stato -
col diniego di servizi infrastrutturali ai villaggi "non riconosciuti" o
semplicemente rasi al suolo dalle ruspe.
Dale Farm è un'ex discarica, venduta dal consiglio di Basildon alla comunità
Traveller irlandese quando la loro vita nomade venne messa fuorilegge dal
Criminal Justice Act nel 1994, che abrogava le precedenti garanzie legali ai
diritti dei Traveller. Al suo culmine, Dale Farm ospitava circa 1.000 persone.
La legge del1994 abolì l'obbligo da parte dei comuni di fornire siti ai
Traveller, riducendo così drasticamente i posti dove le comunità nomadi potevano
sostare durante i loro spostamenti.
Attivista solidale a Dale Farm regge un crocifisso davanti alle barricate in
fiamme [GALLO/GETTY]
Le autorità locali incoraggiarono allora le comunità viaggianti ad acquistare
terreni per ovviare alla situazione: Dale Farm nacque appunto così. Ma la
comunità di Dale Farm non si aspettava ciò che hanno descritto come un
pregiudizio arbitrario mostrato dal consiglio di Basildon a guida Tory, che ha
rifiutato ripetutamente i permessi di edificabilità per parcheggiare rimorchi e
case mobili, e costruire casette sul sito, con la scusa che quell'ex discarica
inquinata facesse parte della fascia protetta detta "green
belt".
Si riferisce che durante lo sgombero, una cappella cattolica eretta in loco -
intitolata a san Cristoforo patrono dei viaggianti - sia stata distrutta dalla
compagnia degli ufficiali giudiziari, Constant & Co. Padre Dan Mason, il
prete del posto, era a Dale Farm quel giorno.
"Ero lì... a visitare i miei parrocchiani e vedere come stavano. E' stato
molto traumatico," ha detto all'Independent Catholic News.
"E' stata ferita una donna. Mi hanno detto che è stata spinta contro un muro
e presa a calci. Ha subito un infortunio alla schiena. Questo è quello che mi
han detto. E' stata portata in ospedale ma non l'hanno trattenuta perché non
c'erano posti letto. E' tutto completamente surreale. Conosco bene quel sito. Le
famiglie sono così ospitali. Ci siamo seduti in una roulotte per una tazza di
tè. Non credevo ai miei occhi. Dappertutto vedevo poliziotti, elicotteri,
manifestanti - sembrava una zona di guerra."
John Baron, eletto Tory al Parlamento nella circoscrizione di Basildon ed ex
banchiere, ha difeso lo sgombero come applicazione della legge sui suoli.
"Non dimenticate, queste sono famiglie che hanno infranto la legge,
ha
detto alla BBC. "Non possiamo permetterlo in questo paese... se dovessimo
semplicemente concedere a questi viaggianti di rimanere, dopo aver infranto
tutte le leggi, che messaggio arriverebbe a tutti gli altri? Chiunque direbbe
-Bene, se loro possono farla franca, perché non noi?- Ed avremmo il caos."
Durante lo sgombero a Richard Howitt, eletto Laburista al Parlamento Europea
nella circoscrizione Inghilterra Est, non è stato permesso di osservare lo
svolgersi delle azioni, dicendogli che il consiglio di Basildon aveva ordinato
al personale addetto alla sicurezza di farlo spostare nello spazio riservato ai
media, accanto a Dale Farm. Era stato invitato dalla televisione regionale, col
permesso scritto della polizia, ed aveva correttamente ed in anticipo informato
il consiglio di Basildon; quindi ha presentato una denuncia formale sulle azioni
del consiglio e sull'attacco alla sua persona.
Il parlamentare si era in precedenza offerto per mediare tra Traveller e
consiglio, come avevano fatto gruppi di chiesa ed organizzazioni statali.
Persino le Nazioni Unite avevano condannato l'azione prevista, "esprimendo il
profondo rammarico per l'insistenza del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda
del Nord nel procedere con lo sgombero di famiglie zingare e viaggianti a dale
Farm nell'Essx, prima di identificare e fornire una sistemazione culturalmente
appropriata."
Distruggere le case di circa 86 famiglie senza fornire "sistemazione
culturalmente appropriata" va contro il diritto internazionale, ha detto Amnesty
International. Nel contempo, sono stati identificati due siti alternativi dalla Britain's Homes
and Communities agency, ma il consiglio di Basildon ha deciso lo stesso di
spingere per la liquidazione di Dale Farm, prima di considerare i permessi di
edificazione su questi siti.
I residenti di Dale Farm hanno dichiarato di non aver altro posto dove andare
dopo lo sfratto
[GALLO/GETTY]
Il clamore sullo sgombero aveva attirato al sito numerosi attivisti solidali.
Hanno aiutato i residenti a costruire barricate e si sono incatenati ad una
torre d'osservazione costruita in fretta da loro stessi.
"La prima cosa che è successa, la polizia antisommossa ha fatto irruzione
attraverso la recinzione ed hanno usato le pistole a scariche elettriche [Taser],
prima ancora che i loro piedi fossero sul sito," ha detto un'attivista di nome
Jenny durante un incontro alla
Fiera del Libro
Anarchico di Londra, una settimana dopo lo sgombero.
"Quelli che si erano incatenati alla torre, sono stati staccati da una
"squadra di arrampicatori" molto brutale ed è stata tagliata l'elettricità,
inclusa la casa di una persona che ne aveva bisogno per le apparecchiature
mediche che gli sono indispensabili... Altri che erano rimasti incatenati [al
cancello, alla torre] erano ancora lì 24 ore dopo. I lucchetti sono stati
scardinati in una maniera rischiosa - quando le televisioni ed i media se ne
erano andati. [...]"
Il giorno dopo, i Travellers decisero che era giunto il momento di andare.
Racconta Jenny: "Non volevano vedere nessun altro colpito. Hanno deciso di
andare con dignità e ci hanno chiesto di uscire assieme a loro... Siamo partiti
in dignità e solidarietà."
Tony Ball, leader del consiglio di Basildon, ha detto alla stampa: "E' molto
incoraggiante vedere i Traveller ed i loro sostenitori lasciare Dale Farm in
maniera pacifica e dignitosa, cosa che ho sempre sollecitato ed auspicato.
Purtroppo, questo si sarebbe potuto ottenere molti anni fa e senza le scene di
violenza a cui abbiamo assistito nelle ultime 48 ore, e con queste spese a
carico dei contribuenti."
Residenti, testimoni ed attivisti lamentano che lo sgombero si è svolto in
maniera illegale e che, nonostante le battaglia legale condotta dai residenti,
le regole di condotta emanate dall'Alta Corte non siano state seguite dalla
polizia o dagli ufficiali giudiziari - che ora stanno rendendo il sito
inabitabile, accumulando macerie e rifiuti sui terreni di proprietà della
comunità. La compagnia [degli ufficiali giudiziari] dedica un'intera sezione del
suo sito alla rimozione dei Traveller, evidenziando che "i procedimenti del
tribunale significano ritardo" e promettendo "un'azione alternativa e veloce".
Contesto internazionale
Il Comitato ONU sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale
ha notato [PDF] che "Tuttora Viaggianti e zingari subiscono notevoli
discriminazioni ed ostilità da parte della società maggioritaria... e quesyo
potrebbe peggiorare a causa delle azioni intraprese dalle autorità nell'attuale
situazione".
Infatti, un
rapporto del 2008 [PDF] di Human Rights First nota che parte delle
discriminazioni viene approvata dallo stato stesso:
[in Italia] Migliaia di Rom sono stati allontanati dalle loro case nel
2007, quando la folla ha attaccato. picchiando i residenti ed incendiando i
loro insediamenti che sono stai rasi al suolo, mentre viene riferito che in
diversi casi la polizia non è intervenuta a protezione delle vittime. Alcuni
politici italiani hanno favorito quanti chiedevano che i Rom fossero espulsi
dalle città e deportati.
Episodi di violenza sono stati riportati anche in Bulgaria, Repubblica
Ceca, Federazione Russa, Serbia e Slovacchia.
Lo stesso rapporto annota anche le dichiarazioni razziste espresse
ufficialmente dal prefetto di Roma, Carlo Mosca, nel dichiarare i propri intenti
di firmare i decreti di espulsione senza esitazioni. "E' necessaria la linea
dura," dice, "per agire contro queste bestie".
Sono stati firmati "Patti di sicurezza" dai sindaci di Roma e Milano, che
"prevedono lo sgombero forzato di 10.000 Rom" dalle due città, ignorando le
regole di migrazione UE.
Nella Repubblica Ceca, Liana Janáèková, senatrice e sindaco, ha detto che il
problema degli insediamenti rom potrebbe essere risolto con "la dinamite", che i
Rom hanno troppi bambini, e che dovrebbero essere ""tenuti dietro una recinzione
elettrica".
Tuttavia, è in Israele che lo stile di vita nomade è stato maggiormente
criminalizzato, col pretesto di "aiutare" le comunità nomadi a diventare più
"civilizzate".
Sono state dispiegate le guardie di frontiera, mentre le ruspe demolivano il
villaggio beduino di al-Arakib [GALLO/GETTY]
Khalil al-Amour ha 46 anni ed insegna matematica ad al-Sira, uno dei 45
villaggi beduini "non riconosciuti" nel deserto del Negev, Israele meridionale.
"[I funzionari israeliani] hanno ordinato la demolizione di tutte le case del
villaggio nel 2006," ha detto ad Al Jazeera. "Ci sono circa 70 famiglie e 500
persone ad al-Sira."
Le loro case non sono state ancora demolite (a differenza di
altri villaggi beduini) ed il caso viene dibattuto in tribunale. Ma la loro
comunità resta senza nessuno dei servizi statali che collegano i villaggi
attorno, come la rete elettrica o le strade asfaltate.
"La gente ha usato i generatori per anni," dice. "Ora sto cercando di
convincere sempre più persone ad usare sistemi e pannelli solari - che [sono]
molto costosi. D'altra parte, anche il carburante usato per i generatori è molto
caro."
Ci sono circa 80.000 beduini che vivono nei villaggi "non riconosciuti".
La loro comunità è sempre stata semi-nomade; migrano stagionalmente con le
loro mandrie in cerca di pascoli e tornano ai loro villaggi ogni anno.
Ma quando Israele ha approvato le sue leggi su pianificazione e sviluppo nel
1965, vennero esclusi i villaggi beduini del Negev, "anche se i beduini erano
una popolazione indigena e lì vivevano da secoli," dice Doni Remba,
co-direttore della Campaign for Bedouin-Jewish Justice in Israele.
La sua campagna, un progetto dei Rabbini per i Diritti Umani in America del
Nord e della Jewish
Alliance for Change, sottolinea che, oltre a non avere servizi di
infrastrutture, i beduini vivono sotto minaccia costante di sgombero forzato che
[...] "si basa su una legge fondamentalmente discriminatoria".
"L'esempio più recente sono state una serie di demolizioni nel villaggio
beduino di al-Arakib, nel Negev," dice Remba ad Al Jazeera.
"In questo caso, il governo israeliano ha inviato ben 1.300 poliziotti
paramilitari, per espellere violentemente oltre 300 uomini, donne e bambini. Il
villaggio è stato distrutto e ricostruito quasi 30 volte, soltanto nell'ultimo
anno e mezzo."
Una donna beduina seduta sulle macerie della sua casa ad al-Arakib, distrutta
dalle ruspe israeliane [GALLO/GETTY]
In più, sono in corso piani che secondo i funzionari israeliani saranno una
risoluzione completa sullo status dei beduini di tutto il Negev.
"Il Piano Praver [dal nome dell'ex collaboratore di Netanyahu, Ehud Praver]
riguarda la demolizione di 20 villaggi non riconosciuti e l'espulsione di
20-40.000 residenti, se questi non accettassero un'offerta di compensazione
piuttosto scarsa ed inadeguata," dice Remba.
L'obiettivo del piano, aggiunge, era di concentrare l'intera comunità beduina
in sette "riserve" riconosciute dal governo, nella regione che attualmente
ospita circa 100.000 persone che, aggiunge, sono già state sgomberate dalle loro
terre.
"Il governo li discrimina e trascura, perché i beduini sono tra le
popolazioni di Israele più economicamente svantaggiate sotto ogni parametro
socio-economico."
"Anche nei villaggi approvati dal governo, quindi legali e non a rischio di
demolizione... i tassi di disoccupazione, povertà, criminalità, istruzione e
mortalità infantile sono tra i più sfavorevoli."
"Il tasso di mortalità infantile è quattro volte superiore a quello delle
comunità ebraiche lì accanto, ad una o due miglia di distanza - e tutto a causa
dell'estrema discriminazione delle condizioni di vita."
"Il governo intende "cancellare" i villaggi beduini e rimpiazzarli con
comunità ebraiche, "per controllare il territorio... in collegamento a ciò
che il primo ministro Netanyahu chiama - mantenimento della maggioranza ebraica
nel Negev-," ha detto Rembo ad Al Jazeera.
Come nel caso dei residenti di Dale Farm, i funzionari dicono che la
rilocazione "aiuterà" i residenti a rispettare le leggi di pianificazione. Ma,
mentre lodava il suo nuovo piano, persino Netanyahu notava che i beduini sono
stati allontanati dalla terra su cui hanno vissuto per generazioni.
"Dopo anni in cui i loro bisogni non erano trattati sufficientemente, questo
governo ha deciso di prendere in mano la situazione ed arrivare ad una soluzione
a lungo termine della questione," ha detto.
"Il piano permetterà ai beduini, per la prima volta, di stabilizzare i loro
beni e tramutarli da capitale morto a vivo - di essere proprietari della terra,
cosa che permetterà loro di costruire case nel rispetto della legge e lo
sviluppo di imprese e posti di lavoro. Questo sarà un progresso per la
popolazione e darà loro l'indipendenza economica."
"Il nostro stato sta balzando verso il futuro e voi dovete essere parte di
questo futuro. Vogliamo aiutarvi a raggiungere l'indipendenza economica. Questo
piano è volto allo sviluppo ed alla prosperità. E' un'opportunità storica che
non dobbiamo perdere."
Comunque, questo tipo di retorica non piace a molti beduini.
"Il problema del piano è che ci sradicherà tutti dalla nostra terra
ancestrale, per metterci nelle città più povere," dice al-Amour, leader beduino
di al-Sira.
"Stiamo per essere sradicati, per perdere le nostre tradizioni, la nostra
vita, la cultura ed i valori - andando in queste città - questa è l'antitesi del
nostro essere, come beduini. E' per questo che ci opponiamo al piano. Gli ebrei
hanno il diritto di scegliere dove vogliono vivere. Possono vivere in città, in
un villaggio, in un moshav, in un kibbutz. Ora i beduini dovrebbero vivere solo
in città. E' ridicolo, è incredibile."
Ridicolo forse, ma non incredibile. Difatti, molti beduini ed i loro
sostenitori dicono che il Piano Praver è soltanto la continuazione della
politica di stato portata avanti da decenni.
Nel 1963, l'allora ministro dell'agricoltura Moshe Dayan mostrava il suo
disprezzo per i beduini ed il loro modo di vita, dicendo ad Haaretz:
"Dobbiamo trasformare i beduini in lavoratori urbani... Significa che il
beduino non vivrà più sulla sua terra col suo gregge, ma si urbanizzerà,
tornerà a casa nel pomeriggio e si metterà le pantofole. I suoi figli si
abitueranno ad un padre che indossa pantaloni, senza un pugnale, che non si
spulcia in pubblico. Andranno a scuola con i capelli pettinati. Sarà una
rivoluzione, ma si può fare in due generazioni. Senza coercizione, ma con la
guida dello stato. La realtà è che i beduini spariranno."
Campagna in corso
Al-Amour è stato insegnante per 28 anni, ed è anche docente di sistemi
informatici di rete, ha un master in amministrazione dell'istruzione ed ha
appena terminato il secondo anno di studi in legge.
Dice ad Al Jazeera che continuerà a lottare per la sua comunità, senza
abbandonare mai il suo stile di vita nomade.
"Andrò a Ginevra per prendere parte alla riunione del Comitato ONU per i
Diritti Economici, Sociali e Culturali, e dopo a Berna, ed incontrerò dei
sostenitori a Losanna. Sarò sempre in movimento, per rappresentare la mia
comunità ed il mio popolo."
Difatti, lui - e migliaia come lui - hanno sostenitori in tutto il globo.
Doni Remba, di New York, ha detto che la discriminazione contro i beduini
deve finire.
"Se noi crediamo che Israele sia una democrazia, come pretende di essere, il
minimo che deve ai propri concittadini beduini è dar loro gli stessi diritti ed
opportunità dei cittadini ebrei."
"E' ciò che Israele promise nella sua dichiarazione d'indipendenza - di
sviluppare il paese per il beneficio di tutti i suoi abitanti... [il Piano
Praver] è una violazione dei principi democratici base israeliani, e del suo
impegno per l'eguaglianza - lo vedo come una violazione dei valori morali base
ebraici."
"Penso anche che sia estremamente negativo e che infiammerà le relazioni tra
ebrei ed arabi in Israele - e questo non può portare ad un buon finale."
Tornando all'Essex, una volta usciti da Dale Farm, gli ex residenti hanno
reso omaggio ai loro sostenitori e richiesta una solidarietà continuata con le
comunità viaggianti, dato che gli ufficiali giudiziari hanno continuato a
distruggere le loro case:
"Stanno facendo cose che non si immaginava potessero fare," dice un
residente di nome Clen. "Stanno sfasciando tutto, gli ufficiali giudiziari
stanno facendo un gran casino nel mezzo del sito. I residenti stanno
gridando. Ma se siete venuti a Dale Farm, siete venuti ad appoggiare una
causa, perché sapevate che quanto stava accadendo era sbagliato. Vi voglio
bene con tutto il cuore. Prima d'ora nessuno si era erto per i Traveller,
avete fatto la storia."
Conclude Pearl: "Voglio bene a qualsiasi attivista nel mondo, senza di loro
il mondo sarebbe un posto duro e malvagio."
* Rom e sinti, tra falsi allarmi e integrazione: il docufilm "Mandiamoli a
casa" Davide Casadio, Sinti Italia Mez-Italia - Verso la Strategia Nazionale, Roma,
6 dicembre
Circa la metà di coloro che risiedono nel nostro Paese sono italiani. Lo dice il
rapporto della Commissione Diritti Umani del Senato, che ha redatto il primo
rapporto sulla situazione di Rom e Sinti in Italia, di cui fa parte integrante
il docufilm "Mandiamoli a casa" (vedi il servizio su Rai News, ndr). In studio
con Luce Tommasi e Josephine Alessio, il senatore Roberto Di Giovan Paolo del
Pd, componente della commissione Diritti Umani e Francesco Mele, uno degli
autori del filmato.
* Rui commenta il docufilm su rom e sinti "Mandiamoli a casa"
Riceviamo da Irene Rui e pubblichiamo un suo commento a
Rom e sinti, tra falsi
allarmi e integrazione: il docufilm "Mandiamoli a casa"
La copertina così come il video è interessante e permette di lanciare un
sassolino nell'informazione riguardante i rom e i sinti, ciò che da qualche anno
cerco di fare in seno locale. Devo però fare una critica ai due interlocutori
Francesco Mele e al Senatore Roberto Di Giovan Paolo, poiché ancora una volta
dimostrano di ragionare da gagé e di non comprendere le culture rom e sinti.
Affermare che visto che ci sono rom che vivono nelle case, anche coloro che ora
risiedono nei campi devono integrarsi e andare ad abitare nelle case ci mostra
una miopia culturale e un poco rispetto di queste minoranze. Culturalmente i
sinti e non i "camminanti" (mezzi gagi e mezzi sinti o rom), sono abituati a
vivere all'aperto, costringerli a vivere all'interno di mura domestiche o
capannoni, significa fare a molti una violenza psicologica e culturale. Altra
cosa per i rom italiani, che sono da sempre almeno negli ultimi secoli, abituati
a vivere in casa. Non si possono accumunare la cultura sinti con quella rom,
perché pur per alcuni aspetti simili, sono diverse. Integrazione non significa
che altri soggetti si devono omologare alla maggioranza dei residenti di un
Paese, bensì significa scambio culturale ed interazione fra i popoli. Spero che
il 6 dicembre al Workshop si tenga conto di questo e che la soluzione per uscire
dai ghetti e dall'emarginazione sono per i sinti le microaree e una politica di
inserimento occupazionale per coloro che non esercitano più la professione dello
spettacolo viaggiante o di raccolta del materiale ferroso.
Nota: Rom e Sinti: Verso la Strategia Nazionale
clicca sull'immagine per scaricare l'invito. L'evento su
Facebook
La Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del
Senato della Repubblica e Open Society Foundation in collaborazione con FIERI,
organizzano un workshop dal titolo "Rom e Sinti, verso la strategia nazionale",
presso il Senato della Repubblica, Aula della Commissione Difesa, Martedì 6
dicembre, alle ore 9,00 in Via degli Staderari, 2. Per gli uomini, obbligo di
giacca e cravatta.
Intervengono:
Andrea Riccardi (Ministro per la Cooperazione Internazionale e
l'Integrazione)
Massimo Serpieri (Vicedirettore dell'unità Justice D4 della
Commissione Europea)
Isidro Rodriguez (Direttore della Fundacion Segretariado Gitano)
Zeljko Jovanovic (Direttore del Roma Initiatives Office dell'Open
Society Foundations)
Jeroen Schokkenbroek (Special Representative of the Secretary
General for Roma Issues for the Council of Europe)
Modera:
Henry Scicluna (Advisor for Roma Issues, Council of Europe)
Conclusioni:
Pietro Marcenaro (Presidente della Commissione diritti umani)
Di Fabrizio (del 02/12/2011 @ 09:41:57, in Regole, visitato 1671 volte)
Segnalazione di Elvis Asti. Mi immagino le facce nella redazionema già godo
a leggere i commenti. Ricordate che è lo stesso "giornale" che da spazio a
queste notizie...
Furono sgomberati da Maroni Ora i rom chiedono i danni Milano, caos nelle baraccopoli. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato,
centinaia di nomadi sono pronti ad azioni legali
I rom sono pronti a chiedere i danni per gli sgomberi e le espulsioni subite
all'interno dei campi regolari negli ultimi tre anni. È il primo effetto
collaterale della sentenza del consiglio di Stato che ha azzerato il piano
nomadi dell'ex ministro Maroni: i giudici hanno dichiarato «illegittimi» gli
atti firmati dal prefetto Gian Valerio Lombardi in qualità di commissario e
demolito il concetto stesso di emergenza. «La presenza di seimila rom a Milano
non giustificava norme straordinarie».
A cascata, diventa carta straccia anche il regolamento approvato in era-Moratti
per garantire la sicurezza delle aree attrezzate. Il principio messo nero su
bianco: fuori dai campi chi ha precedenti, chi delinque, chi ospita amici e
parenti fuori dagli orari dell'area attrezzata. Decine di nomadi - seguendo alla
lettera le nuove norme - sono stati cacciati dagli insediamenti per mettere in
pratica l'agognato «alleggerimento dei campi». il verbo del consiglio di Stato,
però, sbianchetta tutto. «Chi ha subito un danno ora potrà rivalersi verso le
istituzioni» dice Alberto Guariso, uno degli avvocati che ha seguito la
battaglia giudiziaria contro il piano Maroni. «Se il regolamento è un atto
illegittimo, perché bastavano le norme ordinarie, è giusto chiedere un
risarcimento per gli allontanamenti».
Al Tar, ad esempio, è ancora pendente il ricorso di quattro rom italiani di via
Idro espulsi dal campo perché avevano subito condanne penali in un periodo
antecedente all'entrata in vigore del regolamento (oggi polverizzato). Chiosa Guariso: «A questo punto credo che vinceranno la causa, come tutti quelli che si
faranno avanti nella stessa situazione». Diverso il caso degli sgomberi dei
campi irregolari, resi possibili anche dalla legislazione ordinaria e perciò a
prova di ricorso. E le case Aler? Le cascine nel Pavese acquistate con il
sostegno economico del Comune? I rimpatri profumatamente pagati? Quelli, ironia
della sorte, non si toccano. «I vantaggi sono acquisiti» sottolinea Guariso,
«servirà piuttosto un riassestamento di competenze da parte delle istituzioni
per correggere la catena di comando». Il piano nomadi, oltre alla messa in
sicurezza dei campi e alle telecamere, promuoveva anche l'integrazione abitativa
dei rom. «La sentenza è un atto politico gravissimo» dice l'assessore
provinciale Stefano Bolognini. «Per risolvere le situazioni di degrado dei campi
rom servivano poteri straordinari.
Il piano Maroni seguiva il buon senso, i numeri lo dimostrano». Le presenze sono
scese fino a quota 1.200, le quattro aree infernali del Triboniano sono state
chiuse. Di «sentenza politica» parla anche Romano La Russa, assessore regionale
alla Sicurezza. «I giudici confondono il loro ruolo con quello dei politici. È
una sentenza in perfetta armonia con l'orientamento della giunta Pisapia, che ha
allentato i controlli nei campi tollerando anche quelli abusivi». L'ultimo
cambio di rotta è arrivato ieri nella baraccopoli illegale di via Bonfadini, un
campo satellite di quello autorizzato: lo sgombero dei cento occupanti, previsto
per ieri mattina, è stato rinviato al 12 dicembre. «Hanno rifiutato la
sistemazioni dei nostri servizi sociali» dice l'assessore Marco Granelli.
«Queste settimane serviranno loro per trovare una soluzione».
Di Fabrizio (del 01/12/2011 @ 09:43:56, in Italia, visitato 1667 volte)
di Pino Petruzzelli - 30 novembre 2011
I bambini rom dovrebbero essere tolti alle rispettive famiglie e dati
tutti in adozione?
Stando alla ricerca di Carlotta Saletti Salza, professoressa presso
l'Università di Verona, su un totale di 8.830 procedure di adottabilità, i
minori rom e sinti dichiarati adottabili in sette sedi di Tribunali Minorili
italiani nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005 sono stati 258. Quello che è
oggi uno dei maggiori studiosi di cultura romanì in Italia, il professor Leonardo Piasere, commenta i dati:
"Se consideriamo che la popolazione dei rom e dei sinti in Italia ammonta allo
0,15% circa della popolazione totale, capiamo che la percentuale di procedure di
adottabilità dello 0,15%, cioè in sintonia con la proporzione della popolazione,
corrisponderebbe a circa 13 procedure sulle 8.830. Ora il numero di procedure
riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a tale cifra!"
Questo mio intervento non è contro il sistema delle adozioni, perché, lo dico
chiaramente, ci sono casi in cui togliere il bambino a una famiglia rom o sinta
è cosa sacrosanta.
Ciò che mi interessa è porre alcune domande.
Stando alla legge italiana sono dichiarati in stato di adottabilità i minori di
cui sia accertata la situazione di "abbandono" (legge 184 del 2001), ma nella
legge 149 dello stesso anno, si dice che:
"1) Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà
genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore
alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti
interventi di sostegno e di aiuto.
2) Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze,
sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei
limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei famigliari a rischio, al
fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato
nell'ambito della propria famiglia…."
L'interpretazione del termine "abbandono" è così lasciato alla discrezionalità
del Tribunale dei Minori. Ma cosa si intende per abbandono?
Ipotizziamo ci siano due bambini rom di sette e dieci anni, Alin e Mari, che a
causa della povertà dei genitori sono costretti a vivere sotto un ponte. Vengono
sgomberati e i Vigili Urbani li portano sotto un altro ponte. Lì assistono
all'incendio della loro baracca e all'orribile morte di quattro amichetti.
Vengono sgomberati nuovamente e ritornano sotto il primo ponte. I genitori non
trovano lavoro (chi di noi assumerebbe uno zingaro che vive sotto un ponte?) e
tirano avanti solo con gli aiuti che forniscono loro alcuni volontari della
Caritas e dell'Arci. Ogni mattina i genitori di Alin e Mari, però, accompagnano
i figli a scuola dove i bambini arrivano sempre puliti e ben vestiti anche
grazie all'aiuto dei sopra citati volontari. Aggiungo che i bambini, a detta
delle maestre, seguono con sufficiente profitto le lezioni. I pomeriggi dei
bambini, però, trascorrono sotto il ponte.
Voglio ora porre alcune domande:
1) Se vedessimo Alin e Mari sotto il ponte e non sapessimo nulla di loro,
penseremmo giusta l'affidabilità? E sapendo la loro storia e la loro
quotidianità, riterremmo lo stesso giusto toglierli alla famiglia e darli in
adozione?
2) Può un'Amministrazione pubblica, di qualunque appartenenza politica, sentirsi
priva di responsabilità nel lasciare che una famiglia di rom continui a
sopravvivere sotto un ponte?
3) La famiglia di Alin e Mari va sgomberata? E, se si, può lo sgombero di un
sottoponte, senza una reale alternativa abitativa, bastare a tutelare i minori
che vi abitano?
4) Cosa si fa per prevenire le situazioni di estrema miseria in cui sono
costretti a vivere alcuni bambini rom e sinti?
5) Togliere un bambino alla propria famiglia deve essere l'ultima strada
percorribile o la prima? E se deve essere l'ultima, perché il numero di
procedure riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a quello delle
procedure totali nelle sette sedi dei Tribunali dei Minori che ha preso in esame
la professoressa di Verona nel suo libro "Dalla tutela al genocidio?"
"Ogni volta che mi sgomberavano dai campi ero molto dispiaciuto... perché
non pensavo che era un campo, pensavo che era la mia casa. Era il mio posto che
adoravo, dove arrivavo la sera e mi mettevo al caldo... nella casa, nella
baracca".
Marius ha 16 anni. È arrivato in Italia oltre un anno fa ed è stato sgomberato
già otto volte. Il suo sogno era di "andare avanti", di lavorare, di "essere un
ragazzo molto, molto bravo". Ma per lui non è facile.
Nemmeno per Giuseppe, italiano di etnia rom che ha vissuto per oltre 20 anni in
un campo autorizzato a via Idro, è semplice. È venuto sapere che le autorità di
Milano vogliono ridurre il numero di abitanti del campo e trasformarlo in un
"campo di transito". Né lui né la sua famiglia sono stati consultati su questo
piano e temono di dover andar via senza un'alternativa adeguata.
Da un po' di tempo si sente sempre più indesiderato nella sua città natale,
Milano.
In questa città, le autorità da decenni attuano politiche che sembrano
considerare i campi l'unica soluzione abitativa per le persone rom,
disinteressandosi inoltre del fatto che queste persone vivano in container
sovraffollati, con sistemi fognari vecchi e infestati dai topi. Ma negli ultimi
anni, la loro situazione è addirittura peggiorata.
L'"emergenza nomadi", dichiarata dal governo italiano nel 2008, ha permesso alle
autorità di Milano di sgomberare forzatamente dai campi non autorizzati
tantissime famiglie. Le conseguenze sono state devastanti, soprattutto per
centinaia di bambine e bambini rom, la cui frequenza scolastica è stata
interrotta.
Anche i campi autorizzati sono stati presi di mira. Una nuova normativa
fortemente discriminatoria ha permesso di programmare la chiusura di quasi tutti
i campi autorizzati in cui risiedono i rom, anche per consentire l'esecuzione di
progetti connessi all'Expo, che si terrà a Milano nel 2015. I progetti
infrastrutturali per questo evento internazionale hanno già portato alla
chiusura di due campi autorizzati.
Per Amnesty International, dichiarare uno stato di emergenza su basi infondate
nei confronti di una minoranza etnica e mantenerlo per tre anni e mezzo è stato
uno scandalo!
L'"emergenza nomadi", illegale e discriminatoria in base al diritto
internazionale, non avrebbe dovuto mai essere dichiarata. E adesso che anche il
Consiglio di stato, il più alto organo amministrativo del nostro paese, ha
dichiarato la sua illegittimità, occorre un'inversione di rotta!
Il governo Monti deve porre i diritti umani in cima alla sua agenda, fornendo
rimedi alle persone colpite da sgomberi forzati e da altre violazioni dei
diritti umani.
Le nuove autorità di Milano devono immediatamente fermare tutti gli sgomberi
forzati, mettere a disposizione di tutte le persone sgomberate che non sono in
grado di provvedere a se stesse ripari di emergenza, sospendere e rivedere i
piani per la chiusura dei campi autorizzati e assicurare che rispettino in pieno
gli standard internazionali sui diritti umani.
È il momento di un cambiamento reale per le donne, i bambini e gli uomini rom di
Milano!
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